Zarelli: la scuola si salva riaffermando il primato del pensiero
«L’istruzione non è un corpo avulso dalla società edonistica e individualistica in cui vive il disorientato uomo contemporaneo. Non si cambia né rendendola un servizio di assistenza sociale permissivo, né inseguendo la competizione economica, in entrambi i casi trainate dal suicida determinismo della globalizzazione. Bisogna, in contro tendenza, avere la forza di emanciparsi dal mercenario spirito dei tempi e riformulare un primato del pensiero disinteressato rispetto al pragmatismo utilitaristico della società industriale».
«La leva del cambiamento è la parte per il tutto, ma nel contesto dell’educazione ha un suo primato esemplare. Il degrado dell’istruzione intacca, ancor prima del ruolo sociale, la dignità del docente e l’irripetibilità del discente. Il compromesso impiegatizio, lo squallore familistico del baronato accademico, l’ignoranza studentesca che si propaga e raggiunge i vertici professionali in ogni dove… Nessuno è più disponibile a giocarsi coerentemente la vocazione di una scelta di vita, a trasmettere la cultura come evento irripetibile nella formazione spirituale dell’essere, del sentirsi partecipe di un tutto comunitario».
«La domanda da porsi è banale, elementare: chi è il bravo insegnante, quello che cova la sua frustrazione nei mille rivoli del compromesso sociale o quello che fa una lezione meravigliosa sull’origine dell’universo? Il paradosso è che l’insegnante che si limita a fare lezioni straordinarie, di quelle da incantare anche i sassi, è bravo perché non è “misurabile”. Ma per i funzionari del grigiore questo è intollerabile: una lezione “invisibile”, non è valutabile, scende nell’anima, s’inabissa chissà dove e magari agisce dopo vent’anni e crea uno sconquasso. Chi la misurerà mai? Peccato che sia l’unica “prestazione” che distingue un “maestro” da un intrattenitore sociale».
(tratto da “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, di Eduardo Zarelli, pubblicato su Opifice, www.opifice.it).