Rata Nece Biti, a Gaglianone il David di Donatello
Con “Rata Nece Biti” (la guerra non ci sarà), film capolavoro sull’eredità della guerra civile in Bosnia, Daniele Gaglianone ha vinto il David di Donatello 2009, massimo riconoscimento cinematografico italiano. Il film, girato tra Sarajevo, Tuzla e Srebrenica, già presentato a Locarno nel 2008 e vincitore del Torino Film Festival, si è aggiudicato l’Oscar italiano del cinema per i documentari di lungometraggio. Un racconto delicato, coinvolgente e intensamente poetico, che riscopre il linguaggio universale della pietà nel cuore stremato di una terra ancora devastata dall’odio.
In attesa del verdetto ufficiale per il cinema di fiction, che l’8 maggio probabilmente incoronerà “Il divo” di Paolo Sorrentino (16 nomination), piazzatosi davanti a “Gomorra” di Matteo Garrone (11), il 9 aprile il vincitore del David di Donatello è stato intanto già scelto per la categoria documentari. Gaglianone si è imposto su Giovanna Massimetti e Paolo Serbandini, Andrea Segre e Dagmawi Yimer, Stefano Saverioni e Fabio Grimaldi. A festeggiare, oltre a Gianluca Arcopinto, produttore romano che da anni sostiene il grande talento del regista torinese, autore de “I nostri anni” e “Nemmeno il destino ” (Fandango), anche i due giovani produttori Enrico Giovannone e Andrea Parena, che attraverso la “Baby Doc Film” di Torino hanno scommesso fin dall’inizio su “Rata Nece Biti”.
Un film di sconvolgente bellezza, che ha ricevuto un’ottima accoglienza a Locarno e poi la palma di miglior documentario all’ultima edizione del festival di Torino diretto da Nanni Moretti, tra recensioni entusiastiche e quasi imbarazzate, viste le note difficoltà che, in Italia, impediscono a pellicole così “impegnative” (tre ore di proiezione) di incontrare un vasto pubblico. Di fronte a ”Rata Nece Biti”, però, certe diffidenze sono saltate: il film è talmente intenso da ipnotizzare subito lo spettatore, trascinandolo in un’esperienza emotiva indimenticabile, come succede solo di fronte alle grandi opere d’arte, che hanno il potere magico di cambiare per sempre la percezione della realtà.
“Rata Nece Biti”, ovvero: le ragioni dell’umanità, che Gaglianone si ostina a scovare soffrendo, costringendosi ad attraversare il lutto e i cimiteri di odio che, dopo la guerra civile, murano vivi i popoli della Bosnia, prigionieri di un apartheid soffocante. Il film va a cercare con tenacia struggente una civiltà dispersa, che stenta a riconoscersi: il disertore Mohamed tornato nei boschi a difendere la sua gente, la solitudine di Hajra tra le case spettrali e deserte di Srebrenica, gli occhi impietriti del superstite di fronte al lager di Potocari dove furono macellati i civili sotto lo sguardo dei soldati olandesi dell’Onu.
«Andiamo a gettare i turchi ai pesci: così dicevano», ricorda il guardaboschi Aziz, gli occhi lontani, sull’acqua verde della Drina, dove si consumò la barbarie delle milizie cetniche. Nei boschi trovò scampo Aziz, che finì all’ospedale di Tuzla. «Tutti urlavano: i dottori operavano senza anestesia, non c’erano farmaci». Oggi a Tuzla, la città santa dei Bogomili, i càtari balcanici, dove Maurizio Maggiani ambienta il romanzo “Il viaggiatore notturno”, Gaglianone si sofferma su una visione di pietà e silenzio: quella del centro internazionale dove giovani dottori sono al lavoro per rimettere insieme i resti umani delle fosse comuni e dare finalmente un nome alle vittime.
“Rata Nece Biti” riesce ad essere un possente racconto visionario, senza mai staccarsi dalla realtà. Tuonano sul cielo di Sarajevo le voci degli dèi della guerra, l’inferno degli opposti nazionalismi, i comizi di Milosevic, Karadzic, Tudjman. La capitale dà i brividi, quando nell’aria della notte esplodono i fuochi di capodanno, gli scoppi dei petardi che già all’inizio del film, in un incanto immobile di neve e colline seminate di tombe, inquietano i bambini paralizzando i loro giochi. «Chi ha vissuto quell’esperienza non ne esce più», racconta una ragazza. «Nessuno ci credeva, che la guerra sarebbe potuta scoppiare davvero: la guerra, ripetevamo, non ci sarà».
Se i reduci scampati alle stragi, adulti e anziani, sono abitati da un silenzio definitivo, il disagio cresce ulteriormente esplorando le macerie interiori tra le quali sono costretti a camminare i giovani. Come i due ragazzi, entrambi serbi, su cui Gaglianone misura il possibile futuro della Bosnia: Sasha, che odia Sarajevo perché gli ricorda una sconfitta bruciante e una vittoria sleale, imposta dalla Nato e dalla «propaganda» islamica, e Zoran, che ha lasciato il rifugio sicuro di Milano per tornare a Sarajevo, cuore multietnico della Jugoslavia, dove oggi i vecchi si mettono a piangere commossi di fronte alle immagini di Tito, l’architetto della coesistenza più eretica e meravigliosa della storia.
Malgrado la densità dei vissuti nei quali s’inoltra, il film di Gaglianone mantiene sempre una leggerezza misteriosa, avvincente, affascinante. E’ lo sguardo del regista, nitido e indifeso, ad attraversare il canto del dolore, trasformandolo miracolosamente in qualcosa che assomiglia a una musica. E cercando, in punta di piedi, gli accordi segreti della partitura che per pudore nessuno pronuncia, e nella quale non si osa sperare.
BEST AWARD FOR GAGLIANONE - The director Daniele Gaglianone, from Torino, wins the “David di Donatello”, the Italian Oscar (documentaries), with “Rata Nece Biti” (there will be not war), a dramatic view of the civil war legacy in Sarajevo.