Morire a Kabul, tra i signori dell’oppio e dell’uranio
Scritto il 18/9/09 • nella Categoria:
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Via le truppe dall’Afghanistan? Lo chiedono Umberto Bossi (Lega Nord) e Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) dopo l’attentato a Kabul che il 17 settembre ha ucciso 6 parà della Folgore, ferendone altri 4 e infliggendo all’Italia il più grave lutto, dopo la strage irachena di Nassiriya. Mentre Bossi auspica che «i nostri ragazzi» tornino a casa «per Natale», Ferrero chiede il ritiro immediato: «La presenza del contingente italiano in Afghanistan è figlia di una politica assurda e sbagliata. Non è bastata neppure a garantire elezioni regolari, visti i colossali brogli da parte del governo-fantoccio di Hamid Karzai, denunciati dagli osservatori internazionali».
«Oltre a piangere la morte di alcuni ragazzi italiani», dichiara a “PeaceReporter” Marco Garatti, medico di Emergency a Kabul, «dovremmo piangere la morte e il pessimo trattamento ricevuto da alcune decine di pazienti afghani che sono stati forzatamente trasferiti ed ammassati nella struttura sanitaria dell’esercito, che solo in occasioni come questa si ricorda che può trattare anche civili. Purtroppo – spiega – la motivazione vera e non troppo nascosta è che così i pazienti possono essere “interrogati meglio”: nell’Afghanistan democratico, non è tanto importante quanto sei ferito ma quanto sei utile alle indagini».
Il Centro chirurgico di Emergency a Kabul riceve quotidianamente decine di feriti che provengono da tutte le province vicine, «ma quando una bomba esplode a 500 metri dall’ospedale – aggiunge Garatti – ai pazienti viene reso impossibile esercitare il proprio diritto ad essere curati: per motivi che chi fa attività sanitaria, come me, trova difficile comprendere». Specie in un paese come l’Afghanistan, quasi ininterrottamente in guerra dal 1979. Conflitti che finora sono costati al paese un milione e mezzo di morti, 500.000 combattenti e un milione di civili.
Il computo delle vittime, spaventoso, provocato da scontri, bombardamenti e dalle 640.000 mine (antiuomo e anticarro) disseminate sul terreno, parte dall’occupazione sovietica del 1979 e, dieci anni dopo, prosegue con il conflitto tra le varie fazioni di “mujaheddin”, protrattosi fino al 1996, quando l’Afghanistan fu invaso dai Talebani provenienti dal Pakistan e poi, nel 2001, dalle truppe dell’Alleanza del Nord. Negli ultimi otto anni, rileva “PeaceReporter”, la guerra ha causato altri 42.500 morti afghani: 11mila civili (7.500 vittime delle truppe d’occupazione e 3.500 degli attacchi talebani), 6.000 soldati e agenti di polizia e 25.000 guerriglieri. A questi vanno aggiunti 1.350 soldati Usa e Nato.
«L’Afghanistan – ricorda “PeaceReporter” – è il maggior produttore di oppio al mondo (l’eroina afgana rifornisce i tre quarti del mercato occidentale) ed è ricco di smeraldi e risorse minerarie. Ma il valore strategico del paese è legato ai gasdotti e ai corridoi commerciali (stradali e ferroviari) che lo attraversano, collegando gli Stati ex-sovietici dell’Asia centrale con il Pakistan e l’India. Inoltre la recente scoperta di immensi giacimenti di uranio potrebbe diventare una fonte potenziale di nuovi conflitti».
L’esercito afghano è armato dall’Occidente (Usa e Gran Bretagna in testa), mentre i mujaheddin sono stati riforniti da Russia, India, Iran, Tajikistan e Uzbekistan. I Talebani si finanziano col commercio illegale di oppio e grazie all’appoggio indiretto del Pakistan e dell’Arabia Saudita, paese d’origine di Osama Bin Laden, coinvolto dagli Usa nel conflitto afghano ai tempi dell’occupazione sovietica. Determinante il ruolo del Pakistan, giocato in prima persona dal “signore della guerra” Gulbuddin Hekmatjar, che fece bombardare Kabul per allontanare il tagiko Ahmad Shah Massoud, eroe della resistenza afghana.
Fu lo stesso Massoud, che seppe resistere sia ai sovietici che ai Talebani, a chiedere nel 2001 l’aiuto internazionale per eliminare dal paese l’influenza del Pakistan. Massoud fu ucciso in un attentato organizzato, sembra, con la copertura dell’Isi, il servizio segreto pakistano. Era il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle che poi avrebbe scatenato in Afghanistan la caccia a Bin Laden, senza più neppure l’ingombro dello scomodo carisma di Massoud. Allora in esilio, l’ex premier pakistana Benazir Bhutto denunciò il dittatore Pervez Musharraf e la sua politica di ingerenza in Afghanistan condotta su ordine di Washington. Candidata alle presidenziali, anche Benazir Bhutto è stata assassinata, a Rawalpindi, il 27 dicembre 2007.
Mentre ora l’Italia piange i suoi paracadutisti uccisi a tradimento dall’esplosivo nel cuore di Kabul, soldati di cui si apprezza unanimemente «l’umanità, oltre che la professionalità», ci si domanda quale senso possa avere la loro permanenza in Afghanistan. «Annunciare una data per il ritiro, come ha fatto Bossi, è sbagliato e pericoloso per la loro incolumità», ammonisce Emma Bonino. «Nessuna decisione unilaterale», conferma Fabrizio Cicchitto del Pdl, ammettendo però che «l’opzione militare è insufficiente» e che serve «una conferenza internazionale» per ridefinire, quantomeno, il ruolo della comunità mondiale, Occidente in primis, rispetto alla “guerra infinita” di Kabul, provando a cercare una via d’uscita (info: www.peacereporter.net).
DEAD IN KABUL – A bomb has killed 6 Italian solidiers in Kabul (september, 17) opening a crisis: the minister Umberto Bossi asks the Government to leave Afghanistan at the end of the year (info: www.peacereporter.net).
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