Grillo e No-Tav: la val Susa affonda Mercedes Bresso
E’ il risultato più clamoroso d’Italia, al fotofinish: meno di 10.000 voti di differenza. Con Roberto Cota e appena lo 0,4% di vantaggio, la Lega Nord conquista il Piemonte e mette fine al lungo regno di Mercedes Bresso. Decisivo il voto della valle di Susa, che malgrado sia schierata a sinistra si è affidata largamente a Beppe Grillo, l’unico a gridare “No-Tav” traducendo la protesta in proposta elettorale: dopo un mese di oscuramento mediatico totale, a seggi chiusi, finalmente è stato concesso al suo candidato, Davide Bono, di fare dichiarazioni davanti alle telecamere: «Sbagliato pensare che abbiamo affondato la sinistra: senza di noi, semplicemente, il 4% degli elettori non avrebbe votato».
La conferma? Il crollo del Pd nella valle che contesta l’alta velocità Torino-Lione, dove anche i partiti minori che nel 2005 erano stati scelti dai No-Tav – comunisti e verdi – sono scivolati indietro fino all’assoluta irrilevanza. Nel piccolo comune di Venaus, simbolo della “resistenza” valsusina contro la Tav, il movimento di Grillo ha sfiorato il 30% dei suffragi, a ridosso della valanga leghista. «La valle ha votato bene», dichiara a “La Stampa” Luigi Casel, uno dei leader No-Tav. «La partita si giocava qui: pesare la forza del movimento contro l’alta velocità, la tenuta del Pd dilaniato dai contrasti interni», scrive Andrea Rossi sul quotidiano torinese. «E così ha deciso la val Susa: con Cota o con i grillini».
«I cittadini – dice Davide Bono – non hanno seguito quei partiti che si dichiaravano No Tav ma che poi appoggiavano Bresso. Noi siamo sempre stati contro un progetto che riteniamo superato, abbiamo in mente un’economia che parla di “chilometro zero”, treni per i pendolari, puliti e in orario. Insomma, un federalismo partecipato». E’ stata punita «l’insostenibile ambiguità di Mercedes Bresso», dice Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl: «Cinque anni fa la politica ondivaga di Bresso (sì alla Tav e governo insieme ai No Tav) ha pagato. Stavolta no». Fa eco un altro “azzurro”, Enzo Ghigo, predecessore della Bresso alla guida del Piemonte: «Una punizione per l’eccessiva spregiudicatezza della presidente».
Di tutt’altro avviso la sconfitta, che a tarda notte ha ammesso il peso decisivo del movimento di Grillo, «un successo non rilevato per tempo da nessun sondaggio», per poi abbandonarsi all’amarezza, annunciando riconteggi: «Questo voto dimostra che non serve governare bene, visto che gli elettori premiano chi è bravo a parlare». Dichirazioni in diretta, in collegamento con “Porta a Porta”, che hanno fatto scattare, in studio, il ministro Bondi: «La Bresso la conosciamo, non è certo la Bonino», che a Roma si è affrettata a congratularsi con Renata Polverini, dopo un testa a testa quasi pari a quello del Piemonte, al termine di una giornata nera per il centrosinistra, che mantiene le regioni “rosse” e la Liguria ma, per l’unica vittoria squillante, in Puglia, deve affidarsi a un candidato “eretico” come Nichi Vendola.
Impressionante al nord il successo di Grillo, al 7% in Emilia. Dopo lo tsunami-Lega e lo spettacolare contropiede di Berlusconi, dato per morto dalle piazze del “popolo viola”, sono proprio i “grillini” la grande novità politica: indicati come “colpevoli” del flop del centrosinistra, si difendono: visto che ha votato solo il 63% degli aventi diritto, «senza di noi l’astensionismo sarebbe stato ancora maggiore». Scrive Beppe Grillo in una nota sul suo blog (www.beppegrillo.it): «Sui giornali, prima delle elezioni, i candidati a 5 Stelle semplicemente non sono esistiti, non dovevano esistere. Ma noi esistiamo. Qualche giornalista imbecille o in malafede ha parlato di voto di protesta dato al movimento, di voto inutile. Il movimento 5 Stelle – aggiunge Grillo – è stato l’unico a presentarsi con un programma disponibile on line da mesi, l’unico a fare proposte, l’unico senza finanziamenti pubblici, con tutti i media contro. Grazie ragazzi, è solo l’inizio di un percorso».
Percorso che determina, intanto, lo storico voto piemontese: i “grillini” sono stati il maggiore strumento attraverso il quale la valle di Susa ha contribuito a silurare Mercedes Bresso. Se Roberto Cota l’ha spuntata per soli 9.372 voti, in Piemonte il Pdl si ferma al 25% e il Pd al 23,2%. Seguono il boom della Lega (16,7) e l’affermazione dell’Idv (6,9), alle spalle della quale si piazza proprio il movimento di Grillo, che con il suo clamoroso 4,1% supera addirittura l’Udc (3,9) e la somma delle due liste comuniste: la sinistra di Ferrero (2,6) e quella di Vendola (1,4) valgono meno della lista capeggiata da Davide Bono, giovane medico «dall’aria un po’ fricchettona», come l’hanno definito i giornali, finalmente accortisi di lui.
La chiave del voto piemontese, il più sorprendente d’Italia, resta comunque la valle di Susa: dove Beppe Grillo si schierò già nel 2005 dalla parte dei No-Tav, e dove è tornato il 21 gennaio, nel gelo del “presidio” dei militanti di Susa, a incoraggiare la resistenza della valle, che i media si affrettavano a proclamare già estinta, prima di essere smentiti (due giorni dopo) dal corteo dei 40.000 valsusini scesi in strada per contestare, ancora una volta, la Torino-Lione. Un’opera denunciata come costosa e devastante: per Grillo, «un crimine contro l’umanità di domani», visto l’indebitamento miliardario che comporterebbe.
Malgrado l’impegno personale di importanti intellettuali italiani, il centrosinistra piemontese non ha voluto sentire ragioni, sostenendo la grande infrastruttura. «La valle di Susa fermerà la Tav, perché non si possono imporre decisioni contro i territori: l’epoca del feudalesimo è finita, i sudditi non esistono più, qui ci sono cittadini», aveva avvertito Erri De Luca dal “presidio” No-Tav di S.Antonino. Un altro scrittore, Massimo Carlotto, anche lui ospite del Valsusa Filmfest, ha rilanciato: «La Torino-Lione è una follia, serve solo a chi la costruirà. E attenti: dietro le grandi opere c’è sempre la mafia, che ha bisogno di riciclare denaro in investimenti sicuri».
«Chi è causa del suo mal pianga se stesso», dichiarano i No-Tav, commentando la punizione inflitta al centrosinistra piemontese. E comunque, aggiungono, se il Pd è stato sconfitto ma non spazzato via lo deve al presidente della Comunità Montana, Sandro Plano, schieratosi coi No-Tav insieme ad altri esponenti valsusini del partito di Bersani. Senza i “dissidenti”, dicono i No-Tav, per il Pd «sarebbe stata un’ecatombe». Ammette Plano: «Questa lotta intestina non ci ha aiutati, il comportamento adottato dal partito nei nostri confronti non ha fatto bene a nessuno. Siamo stati isolati, minacciati di espulsione, e questo ha favorito l’emorragia verso il voto di protesta». Voto di protesta o, a scelta, «politica dal basso: quella che qui ha pagato», come dicono i No-Tav, che una volta di più – grazie alle elezioni regionali – tornano ad essere un “caso” italiano.