La Russa e Maroni: quando la polizia si occupava di loro
Ora sono ministri, tutti e tre, e dall’alto della loro cattedra danno lezioni di non-violenza agli studenti inferociti contro la riforma Gelmini dell’università e la compravendita dei voti alla Camera per sostenere il traballante governo “ad personam” del Cavaliere. I ragazzi oggi sulle barricate sono troppo giovani per ricordarsi dei tempi in cui La Russa, Maroni e Bossi erano al centro della preoccupazione della forza pubblica: era la polizia a occuparsi di loro. La Russa negli anni ’70 viveva nel clima di tensione quotidiana della guerra civile strisciante, con morti e feriti nelle piazze; Bossi e Maroni vent’anni dopo minacciavano la secessione della “Padania” e opposero resistenza agli agenti.
Ignazio Benito Maria La Russa, scrive Davide Vecchi su “Il Fatto Quotidiano”, in Lombardia era segretario regionale del Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del neofascista Msi, e presidiava scuole e piazze milanesi «insieme ai suoi camerati, armati di catene e coltelli». C’è una foto in cui La Russa è al fianco di Ciccio Franco, caporione della rivolta di Reggio Calabria, e con i leader del Msi milanese: è una immagine del 12 aprile 1973, scattata alla manifestazione “contro la violenza rossa” in cui furono lanciate due bombe a mano, armi da guerra che uccisero il poliziotto Antonio Marino, di 22 anni. «La Russa e compagni – scrive Vecchi – si conquistarono la prima pagina de “La Stampa” di domenica del 22 aprile 1973: l’attuale ministro era indicato tra i “responsabili morali” del lancio della bomba che costò la vita all’agente».
Erano tempi in cui La Russa aveva una chioma lunga e fluente e una barba ben curata: coi soliti occhi luciferini, scrive Vecchi, incitava alla lotta contro il comunismo. Ne esiste una straordinaria testimonianza nel film “Sbatti il mostro in prima pagina” di Marco Bellocchio. La pellicola, del lontano 1972, comincia con un comizio del giovane La Russa in piazza Castello. Erano tempi di forti scontri. Di La Russa si ricorda anche Sergio Cusani, allora coordinatore del movimento studentesco della Bocconi: «Vidi quegli occhi inquietanti volti verso di noi», ha raccontato Cusani all’Espresso nel 2000. «Poi qualcunò gridò: “Hanno la pistola”». Cusani sentì i colpi e restò «stordito dalla violenza di quel gesto: solo più tardi – racconta – mi resi conto che ci avevano sparato con una scacciacani».
Sono passati trent’anni, dice Davide Vecchi, ma a Milano se ne ricordano tutti. «Tranne il diretto interessato, che invece accusa lo studente di oggi di aggredire la polizia a volto coperto ma va invece molto d’accordo con il collega dell’esecutivo, Roberto Maroni». Lo stesso che lottò contro i poliziotti per impedire la perquisizione della sede leghista di via Bellerio a Milano il 12 agosto 1996: condannato a otto mesi in primo grado per resistenza a pubblico ufficiale, Maroni si è visto ridurre in appello la condanna, poi trasformata dalla Cassazione in pena pecuniaria. Fedeli, i leghisti, alla mitologia guerrigliera di Umberto Bossi, che «dal 1993 – ricorda “Il Fatto” – non perde occasione per tirar fuori fucili, rivolte popolari, bombe a mano e rivoluzioni».
«Quando avremo perso tutto, quando ci avranno messo con le spalle al muro, resta il fatto che le pallottole costano 300 lire», disse nel settembre del ‘93. E l’anno dopo: «Se non avessimo impedito la rivolta si sarebbe incendiato tutto il Nord. E se in Sardegna, un’area isolata, qualche mitra lo puoi trovare, in Lombardia trovi tutto, dai cannoni agli aeroplani, tutto quello che vuoi. Se esplodeva la rivolta nella bergamasca, spazzava via la Lombardia che al quinto giorno si sarebbe sollevata in armi contro il regime». Una lunga collezione di dichiarazioni, sottolinea Vecchi, mai bollate come “apologia di reato” dal distratto La Russa.
Il 18 aprile del 1998, Bossi evocò la Pasquetta irlandese del 1916: «Non verrebbero 1.500 uomini a imbracciare il fucile; saranno 150 mila e il giorno dopo un milione e poi… verrà la libertà della Padania. Non obbligate il popolo in un vicolo chiuso, perché è molto più forte di voi». A Bossi piace giocare con la suggestione della rivolta armata. Lo fatto anche due anni fa: «Se necessario potremmo anche imbracciare i fucili». E La Russa liquidò la frase come un «modo colorito di esprimersi in un comizio» (info: www.ilfattoquotidiano.it).