Mercalli: i numeri svelano il flop dell’inutile Torino-Lione
Le grandi opere non le vuole più nessuno, salvo chi le costruisce e la politica bipartisan che le sponsorizza con pubblico denaro. Dell’inutilità del Ponte sullo Stretto non vale più la pena di parlare, e dell’affaruccio miliardario delle centrali nucleari ci siamo forse sbarazzati con il referendum. Prendiamo invece il caso Tav Val di Susa. Su cosa sta succedendo in questi giorni in Piemonte, sulla repressione, vi consigliamo la lettura di “Piove sulla Valle di Susa” di Claudio Giorno scritto per il sito “Democrazia Km Zero”. Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno; sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa.
Chiacchiere senza un solo numero a supporto: è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco. I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso. Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno.
Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia. I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male.
Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa: detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica, invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario che utilizza il tunnel del Fréjus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale. Questa ferrovia è attualmente molto sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri; sarebbe dunque logico, prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio l’infrastruttura esistente.
“Lyon-Turin Ferroviarie”, a sostegno della proposta di nuova linea, ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che «assunzioni e conclusioni di questo tipo sono del tutto infondate». I dati degli ultimi anni lungo l’asse Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo e non ha ragione di esplodere in futuro. Un rapporto della “Direction des Ponts et Chaussées” francese, predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003, afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà ininfluente.
E ora i costi di realizzazione a carico del governo italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a 16-17 miliardi di euro. Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale.
Ho qui sintetizzato una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”. Ma suvvia, ci sono tanti lavori più utili da fare! Piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili. Non abbiamo bisogno di scavare buchi nelle montagne che a loro volta ne provocheranno altri nelle casse statali, altro che opera strategica!
Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa. Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale.
(Luca Mercalli, “Flop ad alta velocità, i numeri che nessuno vuol sentirsi dire”, da “Altracittà”, ripreso dal sito No-Tav).
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Perfetto Dott. Luca Mercalli, lei ogni tanto può far sentire la sua voce. io ho provato a scrivere alla Stampa ma essendo controcorrente non sono stato pubblicato. quello che dicevo è in accordo con Lei e lo riporto qui di seguito
“Seguendo l’impostazione Pro TAV de “La Stampa” il dott La Spina continua a dire cose parziali sull’argomento treno ad alta velocità e non ammette replica, sia perchè ho già scritto al giornale senza essere pubblicato sia perchè, al contrario di altri giornalisti non ho trovato (o forse sono io che non sono stato capace) possibilità di rispondergli in coda al suo articolo e quindi chiedo gentilmente a voi di essere tramite. Nel suo articolo di ieri c’è per altro questa frase:
“Perché è ovvio il consenso di chi non è toccato direttamente dai disagi che arrecheranno i lavori e ne vede solo i vantaggi futuri”.
Questa frase è completamente gratuita. Non solo io ma illustri opinionisti e politici che abitano anche lontani dal sito sono in grado di vedere gli svantaggi futuri.
Pochi anni fa abbiamo avuto le olimpiadi invernali. Già allora io dissi in buona compagnia che la piasta di bob (utilizzata per pochi giorni) avrebbe solo rovinato la montagna e sarebbe stata un costo per anni, e così il trampolino del salto di Pragelato. Si è voluto farli ugualmente ed oggi paghiamo tutti i debiti accumulati (non so voi, io ho avuto il blocco dello stipendio e non rinnovato il contratto). Ora lo stato di abbandono è sotto gli occhi di tutti. Il lavoro ai valsusini? per le olimpiadi subappaltati cinesi in cinquanta in una camera ad eseguire i lavori senza le più elementari norme di sicurezza. Lo stadio olimpico? l’interesse di pochi lo ha fatto costruire piccolo in una zona poco adatta. La Juventus se n’è già andata e l’affitto al Torino non è sufficiente a coprire le spese. Oltre a pagare la costruzione ora dobbiamo pagare anche la manutenzione. un imprenditore privato sarebbe già fallito!
No, caro dottor La Spina è il vantaggio di pochi (quanti sono che debbono fare la tratta Torino- Lione in poche ore? per non dire chi deve guadagnare dagli appalti?) che non può sovrastare l’interesse di molti: i pendolari che vogliono convogli non da terzo mondo per andare al lavoro TUTTI i giorni, le persone comuni che non vogliono ancora subire tagli al loro potere di acquisto (a chi toccherà pagare la prossima manovra economica?) per finanziare opere inutili e devastanti!”
distinti saluti
Andrea Belingardi
perfettamente d’accordo con Lei Dott Mercalli .mi chiedo si non sarebbe più utile fare il tunnel del mercantour costerebbe costerebbe meno e sarebbe più utile.
tutto vero, tutto giusto…
solo una domanda, come mai in Francia sono TUTTI a favore della TAV ?
stessa montagna, stesso tunnel… eppure non una polemica e tutti d’accordo.
dov’è che sbaglio ?