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Nuovo mondo: riscriviamo le regole per uscire dalla crisi

Scritto il 19/9/11 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Il nostro tempo è caratterizzato dall’intreccio di tre grandi crisi. Crisi epocali e senza precedenti. Tutte queste crisi, in vario modo, stanno arrivando a un punto di rottura. Tale situazione rende indispensabile la transizione ad una diversa organizzazione sociale, politica ed economica. La prima, cruciale, crisi che abbiamo di fronte è quella economica, che nel 2007-08 si è resa evidente attraverso la crisi finanziaria, ed è diventata, oggi in Europa, crisi dei debiti sovrani. Non è una crisi ciclica. La seconda riguarda l’egemonia degli Usa, il cui potere imperiale appare avviato verso un declino lento ma probabilmente irreversibile.

A queste va aggiunta la crisi ecologica che segnala l’ormai avvenuto raggiungimento dei “limiti della crescita” e mette in questione i fondamenti giovani stessi dell’organizzazione economica e produttiva mondiale e la subordinazione dei rapporti sociali, cioè dei rapporti che plasmano le nostre vite, alla valorizzazione infinita del capitale. Il picco del petrolio è stato raggiunto e la crisi energetica è ormai aperta, rendendo ancora più decisivo il controllo delle riserve di combustibili fossili. Lo sviluppo demografico mondiale ha raggiunto i 7 miliardi di abitanti e tutto dice che a questi tassi di crescita, e con il pianeta dominato dal sistema capitalista che porta ad accentrare sempre di più la ricchezza verso pochi individui, si apriranno drammatici problemi di sopravvivenza per centinaia di milioni di persone.

L’Onu prevede movimenti migratori di mezzo miliardo di persone nel caso in cui non siano scongiurati i collassi interconnessi dovuti alla crisi dell’acqua, dell’alimentazione, dell’energia, del clima. Tutte queste crisi sono infatti interconnesse e non presentano un andamento lineare che consenta di prevedere con precisione quando e come i collassi avverranno. La convergenza di queste crisi si colloca, con ogni evidenza, all’interno della Etiopia emergenza umanitariaprima metà del XXI secolo.

Il modo in cui si manifestano oggi queste crisi è la conseguenza del modo in cui il sistema capitalistico ha reagito alla fine del periodo di sviluppo impetuoso del secondo dopoguerra, sopravvenuta fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del Novecento. In quel momento nel mondo capitalistico sono sorte gravi difficoltà di realizzazione dei profitti. Ciò ha spinto il sistema da una parte ad occupare spazi ecologici e sociali sempre maggiori e dall’altro a spostare progressivamente nella finanza i processi di valorizzazione.

L’intreccio di queste tre crisi rende urgente, come abbiamo detto, la transizione ad una diversa società, ma rende anche questa transizione delicatissima, difficile da gestire e costellata di pericoli. La prospettiva che abbiamo di fronte è quella di una gravissima crisi di civiltà, con un peggioramento generale della vita e la drastica perdita dei diritti che i ceti medi e subalterni avevano conquistato negli ultimi due secoli. In primo luogo è evidente a tutti che la crisi economica porta con sé disoccupazione, povertà, distruzione dei servizi sociali. In secondo luogo, la crisi di egemonia degli Usa è foriera di gravi rischi di guerra. Lo squilibrio militare che si è determinato negli ultimi 50 anni, con la schiacciante supremazia americana, rende irresistibile la tentazione della guerra come mezzo per cacciabombardieririsolvere una o più di queste crisi.

Infine, sono evidenti i pericoli indotti dalla crisi ecologica e ciò impone di mutare drasticamente il nostro modo di produrre, consumare, vivere. Per fronteggiare questa crisi, e per far sì che la transizione avvenga nella direzione di una società più giusta, più umana, più solidale e più serena dell’attuale, occorre mettere in campo una eccezionale iniziativa politica, radicata in una impostazione ideale che sia all’altezza dei problemi che abbiamo di fronte. I punti centrali di una transizione di questo tipo sono la riduzione della sfera della produzione mercantile (tramite per esempio il ricorso a scambi non mercantili di beni e servizi, gestiti localmente dalle varie comunità, all’intervento pubblico, all’auto-produzione quando possibile), e la forte riduzione del fabbisogno energetico, tale da consentire che esso possa gradualmente arrivare ad essere interamente soddisfatto dalle fonti rinnovabili.

Indichiamo ciò col termine “decrescita”. Decrescita significa abbandono dell’obbligo alla crescita, cui è vincolato il nostro sistema economico, e quindi abbandono dell’obbligo ad un consumo sempre crescente di merci, energia, territorio. Condizione fondamentale per la decrescita è la diminuzione della quantità di lavoro svolto da ciascuno nella sfera mercantile (salariato o autonomo). Nell’economia della decrescita è lo Stato che crea le condizioni perché tutti abbiano una occupazione e possano lavorare molto meno di adesso, favorendo l’innalzamento complessivo della qualità della vita (beni comuni, tempo libero, cultura, benessere relazionale, Marino Badiale, segretario di "Alternativa"armonia fra uomo e ambiente naturale).

Un altro concetto fondamentale per guidare politicamente una transizione verso una civiltà più umana è il superamento della contrapposizione tra destra e sinistra. Ciò non significa una confusione di valori, né significa cambiare il giudizio storico su ciò che hanno significato fascismo e nazismo, e sul decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta. Significa piuttosto rendersi conto che oggi l’opposizione di destra e sinistra è ormai del tutto interna a quel mondo che sta entrando in crisi irreversibile. I ceti politici di destra e sinistra propongono versioni leggermente diverse delle stesse ricette politiche e sociali, incentrate sulla crescita economica e destinate ad essere travolte dalla dinamica delle crisi indicate all’inizio. L’ottica della decrescita è quindi del tutto esterna all’opposizione di destra e sinistra.

Occorre inoltre ribadire la più totale opposizione alle guerre di aggressione imperialistica cui abbiamo assistito in questi anni. In una fase di crisi come l’attuale, la guerra è un pericolo concreto. In particolare, gli Usa si trovano oggi nella singolare posizione di aver perso la supremazia economica indiscussa (pur restando ovviamente una delle principali potenze economiche) ma di conservare una assoluta supremazia militare. La politica internazionale di questi ultimi anni può essere facilmente compresa alla luce del tentativo degli Usa di puntellare con la forza militare la propria declinante egemonia. Le guerre imperiali degli Usa, oltre a creare distruzioni e lutti, sono fatte allo scopo di sostenere il sistema economico e sociale che ci sta portando al disastro. Il loro scopo non è mai “umanitario”. L’opposizione ad esse deve essere netta e intransigente, quale che sia la modalità con cui queste guerre sono offerte all’opinione pubblica mondiale, Giulietto Chiesa, presidente di "Alternativa"e quali che siano le caratteristiche dei regimi che reggono gli Stati sotto potenziale attacco.

Una forza politica che voglia indirizzare l’inevitabile transizione verso una società più giusta deve porre al centro della sua azione la costruzione di un sistema mediatico democratico, pluralistico, non manipolatorio. Milioni di persone, oggi, non conoscono quasi nulla di ciò che realmente accade, e quindi non possono liberamente orientare le loro scelte. Senza informazione e comunicazione democratica non può esserci democrazia. L’informazione, al pari del lavoro e del territorio naturale, è un bene comune che va tutelato e difeso da ogni condizionamento da parte delle forze economiche o politiche. L’informazione e la comunicazione, dato il loro ruolo culturale e formativo determinante in una qualunque transizione, debbono essere sottratte alle logiche del mercato ed essere tutelate, finanziate con l’intervento pubblico e controllate dai cittadini.

In Italia, le linee di un’azione politica di civiltà sono prefigurate e comprese nei principi e nei valori della Costituzione, che deve essere finalmente applicata. Alla realizzazione della Costituzione occorre affiancare la costruzione di una democrazia pienamente partecipativa. I processi decisionali devono essere svincolati da logiche mercantili e aperti al coinvolgimento diretto dei cittadini. A partire da questi concetti fondamentali, “Alternativa” propone precisi punti programmatici come base del programma di una nuova forza politica.

Su “Megachip” il programma di Alternativa: “beni comuni, ricchezza di tutti” (energia e risorse naturali, ambiente e territorio, acqua), “il nostro posto nel mondo – redistribuire, non dominare” (rapporti internazionali, lotta alla povertà e alle diseguaglianze, Europa – salvare gli europei da questa Unione Europea, Onu), “economia, legalità ed equità – meno tempo al lavoro, più tempo alla vita” (lavoro, legalità, banche, fisco, debito pubblico), “formazione delle coscienze – meno televisione, meno mondo virtuale, più relazioni e conoscenza” (istruzione pubblica statale, mass media, ricerca scientifica e tecnologica), “democrazia e partecipazione – scegliere tutti, consapevolmente” (democrazia partecipativa, questione morale e trasparenza, controllo sulla vita interna dei partiti, legge elettorale, Internet, laicità) e “qualità della vita – essere di più, con meno” (trasporti, bio-urbanistica, relazioni di aiuto e orientamento esistenziale, salute e sistema sanitario). Info: www.alternativa-politica.it

 

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Tag: alternativa, ambiente, banche, bio-edilizia, capitalismo, conoscenza, Costituzione, crisi, debito pubblico, decrescita, democrazia, destra, Diritto al Futuro, diseguaglianze, energia, equitazione, Europa, fisco, Giulietto Chiesa, imperialismo, informazione, lavoro, legalità, Maurizio Pallante, media, Megachip, Onu, partecipazione, politica, povertà, ricchezza, ricerca, salute, sinistra, Stop consumo territorio, trasparenza, trasporti, Usa, web

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