Fukushima, le radiazioni sono il doppio di quelle dichiarate
La Terra ha subito il doppio delle radiazioni finora dichiarate, dopo l’incidente nucleare di Fukushima l’11 marzo scorso. Per avere l’esatta misura dell’inquinamento radioattivo basta infatti estendere le rilevazioni: se si oltrepassano i confini del Giappone, si scopre che la nube velenosa ha contaminato una vasta area dell’Oceano Pacifico, sul quale peraltro “naviga” un’altra minaccia: l’enorme distesa di rifiuti e macerie finiti in mare in seguito al doppio cataclisma nipponico, terremoto e tsunami, raggiungerà la costa occidentale degli Stati Uniti già nel 2014. Si tratta di almeno 20 milioni di tonnellate di rifiuti, ad aggravare il bilancio di un disastro ambientale senza precedenti nella storia, a cominciare dall’incidente atomico, gravemente sottostimato.
La centrale di Fukushima, scrive “Il Cambiamento”, avrebbe infatti rilasciato nell’atmosfera il doppio delle radiazioni rispetto a quanto precedentemente affermato dalle autorità giapponesi. A sostenerlo è uno studio pubblicato dalla rivista “Atmospheric Chemistry and Physics”. I ricercatori, guidati da Andreas Stohl del Norwegian Institute for Air Research, hanno esaminato i dati di decine di stazioni di monitoraggio delle radiazioni in tutto il mondo, sia indipendenti sia appartenenti alla rete dell’Onu, scoprendo dati clamorosamente contrastanti e smentendo di fatto il bilancio “rassicurante” delle autorità giapponesi. Per Tokyo, l’incidente avrebbe liberato cesio-137 in quantità pari a “1,5 per 10 bequerel alla 16/ma potenza”, cioè 1,5 seguito da 16 zeri, e xenon-133 pari a 1,1 bequerel per 10 alla 19/ma. «I dati di Stohl – scrive “Il Cambiamento” – indicano invece una liberazione di 1,7 bequerel per 10 alla 19/ma per lo xenon e di 3,5 per 10 alla 16/ma di cesio».
Il doppio, dunque, dell’inquinamento radioattivo stimato dai tecnici giapponesi e, addirittura, «una quantità superiore a quella calcolata in seguito alla catastrofe nucleare di Chernobyl». L’analisi ha inoltre smentito l’affermazione delle autorità secondo cui dalle piscine di combustibile spento non sarebbero pervenute radiazioni: «Un effetto, quest’ultimo, che poteva essere evitato con azioni appropriate». Il modello utilizzato dai ricercatori ha infatti mostrato chiaramente che il livello di radiazioni è sceso di molto quando le vasche sono state allagate con acqua. «La discrepanza tra le stime – prosegue “Il Cambiamento” – sarebbe dovuta in parte al fatto che i tecnici giapponesi hanno utilizzato solo i dati dei loro sensori, mentre i ricercatori guidati da Andreas Stohl hanno tenuto conto ad esempio anche della radioattività che si è liberata nel Pacifico», insieme alla marea di rifiuti scaraventati in mare dal devastante tsunami.
«Divani, frigoriferi, pezzi di abitazioni, relitti di barche da pesca: le inondazioni seguite al fortissimo terremoto hanno provocato un vero e proprio tsunami di rifiuti che, risucchiati dalle correnti oceaniche del Pacifico, viaggiano ora in direzione delle Hawaai», scrive ancora “Il Cambiamento”. Le macerie si trovano a 3.200 chilometri dalle coste nipponiche e stanno facendo rotta verso le isole Midway, per poi raggiungere le Hawaii nei primi mesi del 2013. «I rottami proseguiranno quindi verso la West Coast degli Stati Uniti dove potrebbero arrivare all’inizio del 2014 colpendo in particolare gli Stati dell’Oregon e di Washington». A sostenerlo sono il ricercatore dell’International Pacific Research Center di Hawaii, Nikolai Maximenko, e lo studioso di programmazione informatica Jan Hafner.
I due scienziati hanno elaborato il percorso dei detriti sulla base delle informazioni fornite da una nave russa che si occupa di studiare le correnti oceaniche. «I frammenti sembrano viaggiare più veloci di quanto pensavamo inizialmente», sostiene Hafner, che ha stimato in 20 milioni di tonnellate la massa di rifiuti. Lo studioso ha aggiunto di non voler creare il panico, ma che «è bene sapere quello che succederà». L’avvenuto terremoto sta infatti causando un disastro ambientale senza precedenti: il problema non è rappresentato soltanto dal rischio per le imbarcazioni che navigano in quelle acque – per le quali è molto difficoltoso evitare ostacoli semisommersi – ma ad essere a rischio è l’intero ecosistema dell’Oceano Pacifico, invaso da milioni di frammenti di spazzatura.
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