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Da Draghi carta straccia, conti azzerati solo con una guerra

Scritto il 26/3/16 • nella Categoria: idee Condividi Tweet

Come si sa, Mario Draghi ha scelto la strada del rimedio estremo: prestiti a interessi zero in rate da 80 miliardi al mese, nella speranza di riattivare il ciclo consumi-profitti-investimenti-occupazione. Ma possiamo già dire con tranquillità che così non sarà, salvo un breve momento di miglioria passeggera. E non sarà così perché i signori banchieri (e finanzieri in generale) continueranno ad investire il denaro in altri impieghi finanziari, concedendo i crediti per aziende e famiglie con il contagocce e comunque con interessi esosi. E questo per la semplice ragione che nelle attuali condizioni dei “mercati” finanziari (se è lecito chiamare “mercati” le bische). Il denaro tende a non uscire dal gioco finanziario: la Banca X acquista denaro a bassissimo interesse dalla Bce, (poniamo lo 0,25% e, adesso, a costo zero) e lo re-investe per acquistare titoli della finanziaria Y al 2,75% mettendosi in tasca la differenza, la finanziaria Y usa il denaro così ottenuto per comprare oro nella previsione di un suo aumento dalla società Z che a sua volta compera titoli di Sto giapponesi perché pensa che l’oro non salirà ed è più vantaggioso investire nel debito di Tokyo. E così all’infinito.
Il segnale è l’assenza di inflazione in presenza di immissione di liquidità: una sindrome economica già studiata e si chiama “momento Minsky” dal nome dell’economista che la analizzò formulandole la legge sottostante. Nel tempo della globalizzazione neoliberista il denaro tende stabilmente a non uscire dai circuiti finanziari, con la conseguenza che le immissioni di liquidità non fanno che gonfiare la bolla credito-debito attraverso il meccanismo degli interessi. Ma con una deadline: i crack a catena dei più deboli quando risulti loro impossibile pagare gli interessi, perché la loro esposizione scoraggi anche l’ investitore più spericolato a rifinanziare il debito in scadenza. Quello che non va è il sistema, in permanenza del quale la crisi si cronicizza. Non c’è una via di uscita? Non è esatto, se il sistema permane e con esso la crisi, una via di uscita c’è: una guerra generalizzata. La guerra è un grande consumo di risorse a fondo perduto ed impone una ricostruzione che risucchia risorse finanziarie.
Che poi il conflitto debba avvenire in forme classiche e come conflitto generalizzato fra grandi potenze, con uso o meno di armi nucleari a bassa intensità, o, piuttosto, attraverso un a generalizzazione dei punti di crisi fra piccole e medie potenze o di guerriglie o guerre “anfibie” o forme di guerra coperta (come nel caso di Daesh), questo è altro discorso da esaminare in apposita occasione (e lo faremo). Quel che conta è che la permanenza dell’iper-capitalismo finanziario è orientato in questa direzione. Ora Draghi riuscirà a tappare la falla per un po’ ed a guadagnare una manciata di mesi, forse addirittura un paio di anni (dopo i quali, peraltro, sulla sua poltrona ci sarà altro banchiere), ma quando la scadenza si ripresenterà avremo finito le munizioni. Infatti, dopo una bordata del genere ed a interessi zero c’è solo il passaggio agli interessi negativi, ma, anche questo non correggerebbe i comportamenti. E di fronte a tutto questo c’è una protesta popolare sacro santa ma che non trova altro sbocco che l’impotente scelta populista. Chi manca all’appello è la sinistra, una vera sinistra che non sia quella di nome dei lacchè socialdemocratici o dai retori parolai della sinistra alla Tsipras, alla Vendola o Ferrero. Non è un gran rimedio dirlo, ma almeno rendiamocene conto.
(Aldo Giannuli, “Interessi azzerati, la bordata della Bce di Mario Draghi”, dal blog di Giannuli del 18 marzo 2016).

Una bella guerra mondiale, frontale, a suon di testate nucleari, oppure differita, a rate, in più scenari, come quella già in corso, con epicentro il Medio Oriente. Secondo Aldo Giannuli, è l’unica via d’uscita “tecnica” alla cosiddetta crisi della finanza pubblica, quella degli Stati con i conti in rosso, dopo che hanno permesso alla finanza internazionale di speculare sui debiti pubblici, un tempo “sovrani”. Come si sa, Mario Draghi ha scelto la strada del rimedio estremo: prestiti a interessi zero in rate da 80 miliardi al mese, nella speranza di riattivare il ciclo fatto di consumi, profitti, investimenti e occupazione. Ma sarà solo una breve tregua passeggera, «perché i signori banchieri (e finanzieri in generale) continueranno ad investire il denaro in altri impieghi finanziari, concedendo i crediti per aziende e famiglie con il contagocce e comunque con interessi esosi. E questo – sostiene Giannuli – per la semplice ragione che nelle attuali condizioni dei “mercati” finanziari (se è lecito chiamare “mercati” le bische) il denaro tende a non uscire dal gioco finanziario», impedendo così all’economia reale di riprendersi.

Nel suo blog, il politologo dell’ateneo milanese riassume lo schema della lotteria finanziaria: «La Banca X acquista denaro a bassissimo interesse dalla Bce, (poniamo lo 0,25% e, adesso, a costo zero) e lo re-investe per acquistare titoli della finanziaria Y Deshal 2,75% mettendosi in tasca la differenza». Al che, «la finanziaria Y usa il denaro così ottenuto per comprare oro nella previsione di un suo aumento dalla società Z, che a sua volta compera titoli di Stato giapponesi perché pensa che l’oro non salirà ed è più vantaggioso investire nel debito di Tokyo. E così all’infinito». Il segnale è l’assenza di inflazione in presenza di immissione di liquidità: una sindrome economica ben nota, chiamata “momento Minsky” dal nome dell’economista che la analizzò. «Nel tempo della globalizzazione neoliberista, il denaro tende stabilmente a non uscire dai circuiti finanziari, con la conseguenza che le immissioni di liquidità non fanno che gonfiare la bolla credito-debito attraverso il meccanismo degli interessi. Ma con una deadline: i crack a catena dei più deboli quando risulti loro impossibile pagare gli interessi, perché la loro esposizione scoraggia anche l’investitore più spericolato a rifinanziare il debito in scadenza».

Quello che non va è il sistema, conclude Giannuli, perché rende cronico lo stato di crisi. Per i sovranisti, la via d’uscita sarebbe teoricamente palese, benché non all’orizzonte: restituire allo Stato la sovranità monetaria e impedire alla finanza privata di intervenire nella finanza pubblica, dando così modo allo Stato di fronteggiare agevolmente il debito e investire nell’economia, con interventi su pubblico impiego, servizi e infrastrutture, utilizzando la leva fiscale per riqualificare anche in senso “sostenibile” l’economia, partendo innanzitutto dal mercato interno dei consumi. Viceversa, senza più alcun controllo sulla moneta, sul bilancio statale e sul debito pubblico, lo Stato (nel caso dell’Eurozona) è costretto a una iper-tassazione che deprime l’economia, stronca i consumi e gonfia ulteriormente il debito, visto che in un paese impoverito cala di continuo il gettito fiscale – e non “malgrado” i tagli, ma proprio grazie ad essi (la compressione della spesa pubblica danneggia anche l’economia Lagarde, Draghi, Juncker e Schaeubleprivata). Per Giannuli, in realtà, l’unica opzione davvero sul tappeto è la peggiore, quella cioè di «una guerra generalizzata», perché proprio il conflitto «è un grande consumo di risorse a fondo perduto e impone una ricostruzione che risucchia risorse finanziarie».

Guerra, dunque. «Che poi il conflitto debba avvenire in forme classiche e come conflitto generalizzato fra grandi potenze, con uso o meno di armi nucleari a bassa intensità, o, piuttosto, attraverso un a generalizzazione dei punti di crisi fra piccole e medie potenze o di guerriglie o guerre “anfibie” o forme di guerra coperta (come nel caso di Daesh), questo è altro discorso». Ma quel che conta è che «la permanenza dell’iper-capitalismo finanziario è orientato in questa direzione». Draghi riuscirà a tappare la falla e guadagnare una manciata di mesi, forse addirittura un paio d’anni? Possibile. «Ma quando la scadenza si ripresenterà avremo finito le munizioni: infatti, dopo una bordata del genere ed a interessi zero c’è solo il passaggio agli interessi negativi, ma, anche questo non correggerebbe i comportamenti». E di fronte a tutto questo «c’è una protesta popolare sacrosanta ma che non trova altro sbocco che l’impotente scelta populista». Chi manca all’appello? La sinistra, cioè «una vera sinistra che non sia quella dei lacchè socialdemocratici o dei retori parolai alla Tsipras, Vendola o Ferrero».

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