Archivio della Categoria: ‘segnalazioni’
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Fassino ai Subsonica: tranquilli, non spegneremo Torino
C’era una volta la grigia tecnocity dell’Avvocato, la città industriale delle periferie operaie cresciute attorno ai mausolei risorgimentali del centro storico sabaudo. “Tutto era Fiat”, conferma Mimmo Calopresti in un documentario d’epoca, mentre Gianni Amelio, chiamato a dirigere il Torino Film Festival, in “Così ridevano” ricorda i tempi non gloriosi in cui la borghesia subalpina avvertiva: “Non si affitta ai meridionali”. Sembra un milione di anni fa. Prima di andarsene, l’Avvocato – sempre lui – patrocinò l’ultimo atto del suo regno: le Olimpiadi. Torino stava uscendo dal grigiore grazie al nuovo sindaco della società civile, Valentino Castellani, inaugurando una trasformazione spettacolare: da capitale dell’auto a “ville lumière” della cultura. Col successore Chiamparino, “il sindaco più amato dagli italiani”, dieci anni di trionfi. E ora, se vincesse Fassino? «Per favore, non spegnete Torino», raccomanda Max Casacci, facendosi portavoce del “popolo della movida”.
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La Nato si avvicina al “tesoro” di Gheddafi, ormai in fuga
Muhammar Gheddafi in fuga nel deserto? La voce si rincorre con sempre maggiore insistenza dal 1° maggio, quando la Nato bombardò pesantemente la sua residenza-bunker di Tripoli, uccidendo – pare – il figlio Saif al Arab e tre nipoti del Colonnello. Come già nel 1986, quando sfuggì per un soffio alle bombe di Ronald Reagan perché avvisato all’ultimo minuto dai servizi segreti italiani su ordine del premier Bettino Craxi, sembra che anche stavolta Gheddafi sia uscito incolume dall’attentato grazie a sofisticate attrezzature tecnologiche fornite alla Libia da «un’ambasciata straniera», scrive “La Stampa”. Truppe del regime intanto in rotta anche a Misurata: l’Occidente si avvicina così al “tesoro” libico, sterminati giacimenti di greggio e di gas, nonché un’ingente riserva di denaro, miliardi di dollari.
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Ordine al Sismi, salvare Moro: prima ancora del sequestro
Nel lontano 1978, i servizi segreti italiani chiesero aiuto ai palestinesi per la liberazione di Aldo Moro. Niente di strano: se si tratta di salvare un ostaggio, è lecito rivolgersi anche a una formazione “terroristica” come il Fronte per la Liberazione della Palestina. Peccato che l’ordine da Roma fosse partito addirittura il 2 marzo: cioè 14 giorni prima che Moro venisse sequestrato. Lo conferma il “postino” del messaggio scottante, Antonino Arconte, allora agente del Sismi, l’intelligence militare. Arconte consegnò il plico al tenente colonnello Mario Ferraro, di stanza a Beirut. A sua volta, Ferraro avrebbe informato il suo superiore ed eliminato il dispaccio, che era “a distruzione immediata”. Ma Ferraro non lo distrusse. E quando tentò di resistere alla liquidazione della sua struttura, forse fece sapere di esserne ancora in possesso. Fu trovato impiccato il 6 luglio nella sua abitazione romana.
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Così lasciarono che Moro venisse assassinato dalle Br
Mentre il 9 maggio l’Italia rendeva omaggio ai magistrati caduti sotto il piombo dei terroristi, solo “Rai Storia” ha dedicato un focus a quello che resta il capitolo peggiore di quegli anni, il più eclatante e – tuttora – il più misterioso: la fine di Aldo Moro. Rapito proprio all’esordio della “solidarietà nazionale” e trucidato dai killer delle Br dopo 55 giorni di prigionia. Nei quali, scrisse Leonardo Sciascia, si fece di tutto per evitare di salvarlo, grazie alla doppia intransigenza dei due grandi partiti: i comunisti erano spaventati dall’idea di apparire “morbidi” con le Br, ma perché tanta durezza anche dai democristiani? Scenario oscuro, voci: Usa e Urss, servizi segreti, Israele, mafia. Ma anche la P2 di Licio Gelli, il dossier che negli anni ‘90 accusa il “consulente” americano Steve R. Pieczenik, che prima dice che l’unità di crisi per salvare Moro era infiltrata e lo sapevano anche i golpisti in Argentina, e poi ammette: la fine di Moro l’abbiamo decisa noi.
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Ecomafie, non Green Economy: il Salento in rivolta
«Aiuto, il Salento sta morendo». Di cemento? Sì, ma non quello dei soliti palazzi. Il nuovo nemico ha un nome suggestivo e ingannevole: green economy. Che per il “Forum ambiente e salute”, network di comitati e associazioni per la difesa del territorio, in Puglia fa rima con devastazione, malversazioni spregiudicate e persino infiltrazioni mafiose per il facile riciclaggio di denaro sporco. «La green economy industriale sta devastando il nostro futuro». Paradosso? Forse, se l’avvenire che gli ambientalisti temono è fatto di «morte distese di ciminiere, mega pale eoliche e deserti di pannelli fotovoltaici, di cemento, di asfalto, di cave e discariche persino nucleari», là dove crescono gli uliveti più belli d’Italia, davanti a una costa tra le più affascinanti del Mediterraneo.
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Vendola, attenti a Milano: Berlusconi ha paura di perdere
Mentre Bossi si allinea con Napolitano che frena l’attacco del premier alle “toghe rosse”, Nichi Vendola scommette sulla caduta della “capitale berlusconiana”, snodo cruciale dell’alleanza tra Cavaliere e Carroccio. Se Letizia Moratti non riuscisse a vincere al primo turno, si aprirebbero giochi rischiosi per il centro-destra, come ammette anche Massimo Cacciari, pur critico col centro-sinistra che, a suo parere, non ha avuto il coraggio di sparigliare le carte, rinunciando al «vecchio Ulivo» per mobilitare la società civile contro «i fallimenti della giunta Moratti». Sui quali ora si abbatte il ciclone-Vendola, salito a Milano a dar manforte a Giuliano Pisapia. Per il governatore pugliese, ormai «Berlusconi ha paura di perdere».
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Gaza, stiamo arrivando: con Vittorio Arrigoni nel cuore
Con l’approssimarsi della manifestazione nazionale del 14 maggio, vogliamo rivolgere un appello a tutte le associazioni, le forze politiche e le personalità che hanno aderito al progetto della Freedom Flotilla per far cessare l’assedio di cui i Palestinesi della Striscia di Gaza sono vittime da anni. Le dichiarazioni del Ministro degli Esteri egiziano sull’ipotesi di un’apertura permanente del valico di Rafah ci incoraggiano ancora di più nel nostro progetto di raggiungere la Striscia via mare, sfidando il blocco israeliano insieme a tutte le organizzazioni della coalizione internazionale della Freedom Flotilla 2 – Stay Human.
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Il generale: basta trucchi, l’uomo ucciso non era Bin Laden
L’uomo ucciso ad Abbottabad non era Osama Bin Laden, e non è escluso che i servizi segreti pachistani riescano a dimostrarlo, smentendo clamorosamente Barack Obama davanti al mondo intero. Lo sostiene il generare Hamid Gul, potente ex capo dell’Isi, l’intelligence di Islamabad, uomo-chiave per anni dei rapporti con gli Usa per le operazioni tra Pakistan e Afghanistan. Il generale Gul non crede alla versione ufficiale sul blitz di Abbottabad, che fa acqua da tutte le parti, a cominciare dalla inaccettabile sparizione del cadavere, “sepolto in mare”. Ma se un giorno Obama dovesse riuscire a dimostrare – esibendo foto e video autentici – che l’uomo ucciso era davvero Bin Laden, sarebbe peggio: come “martire”, sarebbe più pericoloso da morto che da vivo.
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Addio dollaro, meglio l’oro: e Gheddafi firmò la sua fine?
Qualcuno ritiene che sia per proteggere i civili, altri dicono sia per il petrolio, ma alcuni sono convinti che l’intervento in Libia sia tutto per via del progetto di Gheddafi di introdurre il dinaro d’oro, un’unica valuta africana fatta d’oro, un’autentica condivisione della prosperità. «È una di quelle cose che devi progettare alquanto in segreto perché, non appena annuncerai che stai per passare dal dollaro a qualcos’altro, ti starai per trasformare in un obbiettivo dentro un mirino», afferma il dottor James Thring, fondatore del “Ministry of Peace”. «Ci sono state due conferenze sull’argomento, nel 1986 e nel 2000, organizzate da Gheddafi. Tutti erano interessati, la maggior parte degli stati africani ne era entusiasta».
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Fiction Bin Laden, Cheney: era estraneo all’11 Settembre
Osama Bin Laden? Mai avuto a che fare con l’11 Settembre. Chi lo dice, i soliti “complottisti”? Ma no, gli americani: per la precisione l’ex vicepresidente Dick Cheney, un super-falco. Possibile? Eccome: l’intervista, radiofonica, è del 29 marzo 2006. Ergo: questa sanguinosa saga durata dieci anni e conclusasi con l’oscuro blitz in Pakistan era tutta una favola? «Ammettiamolo: la democrazia campa di verità costruite, e questa verità è tutta qua: in una costruzione», dice Pierangelo Buttafuoco a “Matrix” il 5 maggio. «Qui c’è una verità costruita su una menzogna, o una menzogna costruita su una verità: è un paradosso, costruito sulla pelle delle persone. Guerre vere, con giochi pericolosissimi, sulla pelle di gente che non c’entrava niente. La cosa da evitare è ridurre a caricatura chi si pone delle domande».
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Fidatevi, Osama è morto: tutto il resto è fiction
Una messinscena, come quella per l’uccisione di Salvatore Giuliano? L’ex ministro degli esteri craxiano Gianni De Michelis evoca la tragica montatura con cui si tentò di archiviare la liquidazione del bandito Giuliano, custode di troppi segreti: a ucciderlo per conto dello Stato, che se n’era a lungo servito in Sicilia, fu il suo braccio destro Gaspare Pisciotta, a sua volta poi avvelenato in carcere. Ma all’opinione pubblica fu data in pasto una versione assai più presentabile: un cavalleresco “conflitto a fuoco coi carabinieri”. L’impostura allestita a Castelvetrano nel remoto 1950 come la “fiction” andata in scena ad Abbottabad nel 2011? «Tutto può essere», dice De Michelis, «e la verità verrà fuori chissà quando, o forse mai». Purché nessuno pensi davvero che Bin Laden sia ancora vivo: fidatevi, il capitolo è chiuso.
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Cia e Pakistan: verità a doppio fondo e omicidi eccellenti
Osama Bin Laden “venduto” dal Pakistan, che lo aveva sempre protetto, sottraendolo alla vistosa caccia scatenata dalla Casa Bianca dopo l’11 Settembre 2011? E’ una delle ipotesi che affiorano dopo lo storico blitz del 1° maggio nel compound di Abbottabad, nel quale sarebbe stato prima catturato e poi ucciso – con due colpi alla testa – lo “sceicco del terrore”, secondo quanto annunciato direttamente dal presidente Obama, responsabile della spettacolare operazione contro l’uomo-simbolo del terrorismo antiamericano. In attesa che gli Usa si decidano a rendere pubbliche le immagini che metterebbero fine ai dubbi sulla reale dinamica degli eventi, ci si interroga sul ruolo del Pakistan: i cui servizi segreti sono notoriamente addestrati dalla Cia.