Tangenti Finmeccanica: le regole del mestiere delle armi
«Non è possibile che un incidente come quello di cui sono stati protagonisti i due marò del San Marco, colpevoli o innocenti che siano, possa portare a una crisi così clamorosa nei rapporti fra Italia e India». Parola di Davide Giacalone, editorialista di “Libero”, secondo cui i due militari sarebbero solo due pedine di un gioco più grande: “extracosti” legati alle commesse di Finmeccanica, cioè mazzette promesse e poi non versate fino in fondo. Il caso esplode ora con l’arresto di Giuseppe Orsi, ad e presidente della grande azienda. L’accusa: corruzione internazionale. Per la precisione: 50 milioni di euro versati – guardacaso – all’India, per una fornitura di elicotteri italiani. Nel gioco delle parti, ora l’India minaccia di depennare Finmeccanica dalla lista fornitori, inserendola nella “black list”. Suona perlomeno ipocrita, stando a quello che lo stesso Giacalone scriveva, con franchezza, già a gennaio: «In tutto il mondo si fanno affari pagando extracosti o consulenze, alias mazzette, specie nel settore militare».
Il governo Monti, accusa Giacalone, ha di fatto “abbandonato” Finmeccanica, lasciando l’azienda senza adeguata copertura politica – e magari anche finanziaria, per quanto riguarda i famosi “extracosti”, cioè le tangenti che a livello planetario accompagnano da sempre le forniture militari. Opposta la lettura che ne dà Antonio Ingroia, nel pieno della campagna elettorale: per il leader di “Rivoluzione civile”, le accuse contro Orsi «sono gravissime e dimostrano come la corruzione sia endemica all’interno del nostro sistema economico e produttivo: questo è il vero spread italiano – afferma Ingroia – se è vero che gran parte della capitalizzazione di Borsa è sotto inchiesta per scandali o per corruzione». Monti? «Al servizio delle lobby e dei poteri forti: è ridicolo che oggi parli di mettere mano alla governance dell’azienda, quando il suo esecutivo ha avuto un anno di tempo per intervenire sul verminaio tra politica e corruzione che sta scardinando la nostra economia e affossando il paese».
Sempre per Ingroia, che mette anche Finmeccanica nel pacchetto-corruzione, il malaffare italiano «ogni anno si mangia, insieme all’evasione, 180 miliardi di euro». La vicenda Finmeccanica? «E’ l’emblema di una classe dirigente pavida, sottomessa e connivente con la corruzione sistemica che sta avvelenando il paese: di questo passo, Finmeccanica avrebbe potuto aprire un ufficio tangenti e bustarelle senza che Monti fiatasse». Domanda: ma Finmeccanica – come altre aziende mondiali di pari rango, specializzate in forniture militari – potrebbe sopravvivere senza versare i soliti “extracosti” per convincere ministri di mezzo mondo della qualità della propria tecnologia? Ingroia invoca l’azzeramento del cda “politico” di Finmeccanica e chiede che l’azienda sia affidata ai suoi ottimi tecnici, per «salvare i posti di lavoro» e «fermare definitivamente tutte le operazioni di cessione e svendita dei gioielli tecnologici italiani».
Altro problema: i “gioielli” sfornati da Finmeccanica – sicuramente tali, per eccellenza tecnica, al punto che in un sistema sano non avrebbero bisogno di “extracosti” per conquistare il mercato – non sono affatto strumenti di pace, ma micidiali attrezzature per la guerra totale, quella del terzo millennio. Per metà “bancomat” destinato ad alimentare il sistema di corruzione politico nazionale e per metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende, scrive Antonio Mazzeo sul suo blog, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia dopo la Fiat, e non è certo una fabbrica di giocattoli: produce aerei, elicotteri, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, «con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra». Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano, moltiplicando ordini e commesse. E lo ha fatto presidiando un mercato le cui regole, probabilmente, non sono mai state trasparenti, per nessuno.
Eppure, anche Beppe Grillo preferisce attaccare la presunta corruzione del management di Finmeccanica – 70.000 dipendenti e 17 miliardi di ricavi annui, con una partecipazione del Tesoro per il 32,4% – senza soffermarsi sul vero “mestiere” del grande complesso industriale militare, che Mazzeo definisce “holding della guerra”. «La notizia dell’arresto di Orsi per corruzione internazionale non mi ha sorpreso», scrive Grillo sul suo blog, «così come non mi ha sorpreso il fallimento del Monte Paschi di Siena con 21 miliardi di perdita di valore, o dell’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ufficialmente indagato per corruzione per una tangente di 200 milioni di euro per appalti algerini». A proposito di Eni: ma il glorioso fondatore, il giustamente rimpianto Enrico Mattei, non era l’uomo che si vantava di procedere con leggendaria “disinvoltura”, cioè a suon di “extracosti”, per fondare la filiera petrolifera made in Italy, preoccupando i poteri forti al punto da morirne, a bordo del suo aereo, nel disastro di Bascapè?
Eni e Finmeccanica: ora c’è anche un problema di “governance”, come dice Monti? A due settimane dal voto, Grillo la pensa come Ingroia: «In un anno e passa di governo, con una maggioranza assoluta in Parlamento», il pallido “ragioniere” della Bocconi «non ha evidentemente trovato il tempo» per affrontarlo, dunque «si tolga dai piedi e porti il suo cagnolino al parco, ha già fatto abbastanza danni». Tutto giusto, ovviamente. E poi ci sono le indagini in corso, che promettono risvolti clamorosi, capaci di illuminare scenari solitamente in ombra. Come quelli che fanno da sfondo al business internazionale dell’energia e a quello degli armamenti, cioè il “mestiere della guerra” con il quale lo Stato, fuor di retorica, proprio attraverso Finmeccanica produce affari, lavoro e fatturati: in un mercato così opaco nel quale, forse, oltre ai grandi manager, possono persino inciampare, loro malgrado, anche due semplici marò.