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La Stampa: lampi sul ponte prima del crollo, video oscurato
Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?Non sono in pochi, nei mesi scorsi, ad aver parlato di massima allerta: come se ci fosse il fondato timore di un “Big One”, un maxi-attentato per colpire finalmente anche l’Italia, finora rimasta al riparo dalle stragi dolose grazie a quello che viene considerato il miglior dispositivo antiterrorismo del mondo. «Al posto di Salvini mi guarderei bene dal sostituire gli attuali vertici dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza che hanno finora sventato decine di attentati, nel nostro paese», ha dichiarato tempo fa l’avvocato Gianfranco Pecoraro, meglio noto con lo pseudonimo di Carpeoro, con il quale ha firmato romanzi e saggi come “Dalla massoneria al terrorismo”. Nel libro, l’autore svela gli inquietanti retroscena degli attentati compiuti in Francia e in Belgio: manovalanza islamista, ma simbologia tipicamente massonica e di ispirazione templare. Più volte, specie dopo l’orrenda strage di Nizza del 14 luglio 2016, lo stesso Carpeoro ha ammonito: c’è il rischio che le stesse “menti raffinatissime” possano colpire anche l’Italia, paese a cui sembra alludere scelta di organizzare proprio a Nizza il massacro compiuto nel giorno dell’anniversario della Presa della Bastiglia, data-simbolo per la massoneria progressista impegnata a contrastare la supermassoneria reazionaria responsabile dell’austerity europea.C’entra qualcosa, tutto questo, anche con la sciagura di Genova? Lo stesso Carpeoro ne parlerà domenica 19 agosto in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” insieme a un altro analista non-allineato come Massimo Mazzucco, autore di documentari che hanno fatto epoca, nei quali si dimostra completamene infondata la verità ufficiale sul maxi-attentato dell’11 Settembre negli Usa. A gettare acqua sul fuoco dei possibili complottismi, per ora, provvedono siti come “Next”, secondo cui i due bagliori ben visibili nel filmato circolato sul web «in tutta evidenza sono lampi, visto che prima del crollo su Genova si era scatenato un nubifragio di grandi dimensioni (c’era l’allerta arancione della protezione civile)». Il primo ad adombrare l’ipotetica presenza di circostanze anomale è stato Valerio Staffelli, uno dei mattatori di “Striscia la notizia”, autore del seguente tweet: «Scusate, ho visto immagini crollo ponte a Genova, per caso avete notato due bagliori prima del crollo? Ero lontano dal monitor ma sembravano una coppia di bagliori». Fa effetto, ovviamente, a neanche due settimane dal disastro sull’A14 a Bologna.Alcuni degli automobilisti che appena dopo il crollo erano corsi al riparo nella vicina galleria, aggiunge “Next”, hanno raccontato di aver visto cedere uno degli “stralli”, i tiranti che reggevano il viadotto. Altri testimoni che si trovavano in auto nelle vicinanze hanno invece visto «un fulmine colpire il ponte». L’ipotesi che il viadotto Morandi sia crollato a causa di un fulmine «non è stata confermata né accertata», spiega Angelo Borrelli, dirigente della protezione civile. “Next” aggiunge che l’ingegner Antonio Brencich, professore associato di costruzioni in cemento armato all’università di Genova, esclude la possibilità che un fulmine abbia causato il crollo del ponte. Per contro, è il quotidiano “La Stampa” a scrivere che un altro video, quello delle telecamere di sicurezza dell’autostrada A10, è stato stranamente rimosso appena dopo il disastro. Il giornale lo ripropone. Ore 11, 36 minuti e 28 secondi: quei lampi, sotto la pioggia battente, sono evidentissimi, proprio al momento del crollo. Inutile affrettare conclusioni, ovviamente, così come sarebbe demenziale scartare pregiudizialmente le ipotesi più scomode.Basti ricordare che la verità su Charlie Hebdo non si saprà mai, avendo la Francia seppellito l’inchiesta col segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura di Parigi aveva scoperto un’imbarazzante triangolazione: i Kalashnikov impiegati dal commando dell’Isis erano stati acquistati da un armaiolo belga grazie ai buoni uffici di un funzionario dei servizi segreti francesi, risultato in contatto con la fidanzata di uno degli attentatori. «A volte il complottismo raggiunge l’idiozia pura», avverte Carpeoro: «C’è chi è arrivato a dire che nel teatro Bataclan non sia morto nessuno: e questo genere di “sport” è utilissimo per screditare chiunque si impegni a cercare una verità diversa da quella ufficiale». E’ noto che il terrorismo è un abominevole strumento politico: in Francia, ad esempio, è servito a intimidire Hollande spianando la strada a Macron, già banchiere Rothschild e pupillo dell’oligarchia supermassonica più pericolosamente reazionaria. E’ lo stesso Macron che oggi ha dichiarato guerra all’Italia, definendo “vomitevole” la politica di Salvini e del governo gialloverde, sostenuto da oltre il 60% degli italiani ma fermamente osteggiato dall’élite europeista artefice del rigore (e, secondo Carpeoro, anche della strategia della tensione a colpi di attentati stragistici “false flag”, comodamente targati Isis).Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. E quegli strani lampi? Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?
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Virus Marburg, peggio della Morte Nera che insidia l’Africa
Il Malawi si sta organizzando per difendersi dall’epidemia di peste dal Madagascar, come riportato dal “Daily Mail”, dove si evidenzia che la malattia non cessa di diffondersi su tutto il territorio dell’isola africana. Almeno 143 persone sono morte e più di 2000 sono state infettate da quando, agli inizi di agosto di quest’anno, è stato lanciato l’allarme. Sono ora 10 le nazioni del continente africano colpite dall’epidemia. Il ministro della salute del governo del Malawi ha confermato che il governo è pronto ad affrontare eventuali casi d’infezione, in una situazione di crescente preoccupazione a causa dei “confini colabrodo” che contraddistinguono il continente africano: «Abbiamo attrezzature dedicate alla prevenzione dell’infezione nonché gruppi di lavoro e squadre specializzate pronte per essere attivate nel caso s’identifichi un focolaio». Gli Stati del Sud Africa, Mauritius, Seychelles, Tanzania, Réunion, Mozambico, Kenya, Etiopia e Comoros sono stati allertati, essendo tutti egualmente a rischio. I casi d’infezione sono aumentati dell’otto per cento nel solo spazio di una settimana. Il professor Jimmy Whitworth, esperto di salute pubblica, ha descritto questa epidemia come «la peggiore degli ultimi 50 anni e più».I ricercatori stanno lavorando duramente per assicurarsi che la malattia non si diffonda dal Madagascar all’Africa continentale. La buona notizia è che il ceppo patogeno responsabile della peste può essere combattuto con antibiotici: i soldi dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) saranno impiegati per finanziare personale medico supplementare, la disinfestazione degli immobili e il carburante per le autoambulanze. Oggi tuttavia un nuovo virus, per il quale i medici non hanno ancora sviluppato una cura, si sta diffondendo. Il nuovo virus ha una mortalità vicina al 90%, per cui ben più letale della “morte nera” che sta flagellando il Madagascar, come riportato dall’“Express”. Il primo focolaio è scoppiato in Uganda e ci sono stati già 5 casi identificati. Il virus è conosciuto con il nome di Marburg. È simile all’Ebola e secondo la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità rappresenta una delle infezioni più virulente che possano colpire l’uomo: «Il virus Marburg è responsabile di una malattia rara con un alto tasso di mortalità, per il quale non c’è alcun trattamento specifico. Il virus si trasmette attraverso contatto diretto con sangue, fluidi corporei, e tessuti di persone o animali selvatici infetti (scimmie e pipistrelli della frutta)».Il focolaio si è sviluppato all’inizio di settembre quando un trentenne, che lavorava come cacciatore e che viveva vicino a una grotta popolata da pipistrelli, è stato ricoverato presso una piccola clinica locale, manifestando sintomi quali febbre alta, vomito e diarrea. Le sue condizioni si sono aggravate velocemente e la terapia antimalarica è stata inutile. L’uomo è morto subito dopo essere stato trasferito in un altro ospedale. Subito dopo è morta anche la sorella, con gli stessi sintomi. Dopo la morte di altri tre membri della famiglia, a testimonianza dell’altissima virulenza del virus Marburg, sono stati avviati controlli a tappeto al confine tra Uganda e Kenya, in Turkana. Il personale sanitario è stato invitato a rendere i propri servizi presso le comunità agricole locali, nel tentativo di contenere il contagio. Si teme infatti che centinaia di persone siano state esposte al virus, e che un’epidemia di Marburg vada ad aggiungersi alla peste del Madagascar. Secondo il dottor Zabulon Yoti, coordinatore tecnico di Emergency presso gli uffici regionali africani dell’Oms, «il coinvolgimento della popolazione è la chiave del successo della risposta all’emergenza». Gli operatori sanitari dovrebbero «lavorare con le comunità locali per costruirsi una possibilità di successo e sostenibilità» e sviluppare una più adeguata comprensione delle usanze e delle tradizioni locali.Il Malawi si sta organizzando per difendersi dall’epidemia di peste dal Madagascar, come riportato dal “Daily Mail”, dove si evidenzia che la malattia non cessa di diffondersi su tutto il territorio dell’isola africana. Almeno 143 persone sono morte e più di 2000 sono state infettate da quando, agli inizi di agosto di quest’anno, è stato lanciato l’allarme. Sono ora 10 le nazioni del continente africano colpite dall’epidemia. Il ministro della salute del governo del Malawi ha confermato che il governo è pronto ad affrontare eventuali casi d’infezione, in una situazione di crescente preoccupazione a causa dei “confini colabrodo” che contraddistinguono il continente africano: «Abbiamo attrezzature dedicate alla prevenzione dell’infezione nonché gruppi di lavoro e squadre specializzate pronte per essere attivate nel caso s’identifichi un focolaio». Gli Stati del Sud Africa, Mauritius, Seychelles, Tanzania, Réunion, Mozambico, Kenya, Etiopia e Comoros sono stati allertati, essendo tutti egualmente a rischio. I casi d’infezione sono aumentati dell’otto per cento nel solo spazio di una settimana. Il professor Jimmy Whitworth, esperto di salute pubblica, ha descritto questa epidemia come «la peggiore degli ultimi 50 anni e più».
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Allerta sul cibo industriale: rilevati troppi veleni invisibili
Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.E ancora: colorante non autorizzato (Reactive Red 195) in concentrato di frutta dal Messico; infestazione da parassiti Anisakis in rana pescatrice refrigerata dalla Francia; presenza di Dna di ruminanti in materiali alimentari provenienti da Danimarca e destinati a mangime. Poi ci sono i ritiri di prodotti per questioni di potenziali allergie o presenza di sostanze estranee. Per esempio, a fine luglio Ikea ha esteso il richiamo delle due tavolette di cioccolato avviato un mese prima per la mancanza delle indicazioni in etichetta di due ad altri sei prodotti al cioccolato. Il motivo è sempre lo stesso: la mancanza dell’indicazione sull’etichetta della frase “può contenere mandorle e nocciole”. Si tratta di una dimenticanza che potrebbe procurare problemi alle persone allergiche o intolleranti. Il richiamo interessa tutti i mercati mondiali e tutti i lotti venduti. Ikea precisa che la presenza di mandorle e nocciole non è occasionale ma che è stata rilevata frequentemente.E ancora, di recente la catena di supermercati Coop ha annunciato il ritiro dagli scaffali dei supermercati delle confezioni di dessert Granarolo 100% vegetale di soia al gusto vaniglia, per possibile presenza di tracce di latte non dichiarate in etichetta. Il 15 luglio 2016 Barilla ha richiamato e ritirato dai punti vendita dieci tipi di pane in cassetta e due torte della Mulino Bianco oltre a un lotto di Maxi Burger Pavesi per sospetta presenza di corpi estranei nel sale utilizzato nelle preparazioni. Secondo il fornitore di sale olandese si tratta di pezzetti di metallo che possono arrivare sino a cinque centimetri. In rete sono apparse centinaia di notizie su questo ritiro e molti giornali cartacei hanno ripreso la notizia. La maggior parte dei supermercati che in teoria dovrebbero essere interessati ad avvisare la clientela, visto che probabilmente hanno venduto i lotti ritirati, ha dimenticato di rilanciare l’allerta e di informare i propri consumatori.Poi la querelle tra la Ferrero e l’associazione dei consumatori tedesca Foodwatch che ha analizzato venti marche di patatine fritte e snack, per verificare la presenza di oli minerali. In tre snack è stata rilevata la presenza di idrocarburi di oli minerali (Moh). Si tratta delle barrette di cioccolato Kinder Ferrero, dei cioccolatini alle nocciole Fioretto di Lindt e dei biscotti al cioccolato Sun Rice di Rübezahl. La maggior concentrazione di Moh è stata riscontrata nelle barrette Kinder, e per questo Foodwatch ha chiesto a Ferrero di ritirare il prodotto. In una mail inviata a “Il Fatto Alimentare”, Ferrero «garantisce che tutti i suoi prodotti sono sicuri per i consumatori. Essi sono infatti pienamente conformi ai requisiti di sicurezza alimentare previsti in tutti i paesi in cui sono commercializzati, spesso superandoli».Ferrero difende i suoi prodotti e ne garantisce la sicurezza: «Benché il tema recentemente sollevato relativo a tracce di oli minerali nei prodotti alimentari sia noto alle autorità competenti e all’industria alimentare già da diversi anni, non vi è ad oggi alcuna regolamentazione specifica in materia». Il problema concerne virtualmente tutti gli imballi alimentari: infatti, tracce minime di oli minerali si ritrovano ovunque nell’ambiente. «Tutti gli imballi Ferrero rispettano pienamente la normativa applicabile relativa ai materiali di contatto alimentare. Tuttavia, in linea con la sua tradizione di continuo miglioramento, dal 2013 Ferrero è impegnata in un processo di revisione di tutti i suoi materiali da imballaggio, al fine di garantire la più alta qualità ai propri consumatori». L’associazione dei consumatori tedesca ha però ricordato il parere emesso nel giugno 2012 e poi aggiornato nell’agosto 2013 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).Il testo individua due tipi di Moh per quanto riguarda la sicurezza alimentare: gli idrocarburi saturi (Mosh), che possono accumularsi nei tessuti umani e provocare effetti avversi sul fegato, e quelli aromatici (Moah), che possono agire da cancerogeni genotossici, ovvero possono danneggiare il Dna e provocare il cancro. E quando si parla di cibo industriale, occhio agli ingredienti citati nella pubblicità. Vogliamo parlare dei gelati confezionati? Il “Fatto Alimentare” ha analizzato 104 prodotti scoprendo che la panna è solo uno specchietto per le allodole. L’alternativa c’è. Smetterla con i prodotti industriali acquistati a pacchi e carrelli, che durano un tempo infinito, infarciti di additivi di ogni genere. E riduzione drastica delle proteine animali, dal momento che gli animali sono allevati con abbondanza di antibiotici, ormoni e mangimi addizionati. Sì agli alimenti biologici, in larga parte vegetali, a un’alimentazione basata su cibi freschi cucinati al momento. La salute si guadagna e si mantiene a tavola.(“Cosa c’è dietro al cibo industriale”, da “Il Cambiamento” del 23 agosto 2016).Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.
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Non credete a quelle bombe: sanno quando esploderanno
«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».Strategia della tensione, istruzioni per l’uso: Mazzucco, giornalista e regista di importanti documentari sull’11 Settembre (“Inganno globale”, “La nuova Pearl Harbor”) fornisce una sintesi sconcertante, in una recente conferenza in Friuli ripresa sul blog “Luogo Comune”. Tema: le modalità sistematiche con cui si ripetono i più recenti attentati, destinati – sempre – a impressionare profondamente il pubblico, diffondendo un senso generale di paura e insicurezza. «Pazienza se il pubblico non si accorge di essere preso in giro: il guaio è che sono i giornalisti a far finta di niente, come se non si accorgessero della ripetitività della trama», a partire dai primi due aspetti che saltano immediatamente all’occhio, l’esercitazione concomitante e la comparsa del “patsy”. Primo: «Quando c’è un attentato, c’è sempre la presenza contemporanea di esercitazioni di forze speciali che fanno esattamente, per finta, quello che poi succede davvero». Secondo: in brevissimo tempo, anche solo poche ore, viene individuato il “colpevole presunto”, perfetto per distrarre i media dalla scena del crimine: da quel momento, giornali e televisioni si occuperanno solo della biografia dell’arrestato, tralasciando di analizzare la dinamica reale degli eventi.Fa scuola, naturalmente, l’11 Settembre, con una decina di esercitazioni dell’aviazione programmate quella mattina, nonostante i ripetuti allarmi ricevuti dai servizi segreti di mezzo mondo, che da mesi parlavano di possibili attentati negli Usa, per giunta proprio con aerei di linea dirottati. Sicché, alcune di quelle esercitazioni prevedevano esattamente l’intervento dei caccia contro voli dirottati – ma nei cieli del Canada e dell’Alaska: a difendere il quadrante nord-est degli Stati Uniti, quello di New York e Washington, c’erano solo 4 intercettori. Troppo pochi, per districarsi nel caos che faceva impazzire i radar: «C’era in volo almeno il triplo dei velivoli, e gli addetti alla sicurezza non sapevano quali fossero quelli dirottati e quali no». Oltre ad allontanare i caccia e a creare confusione, secondo il giornalista investigativo Webster Tarpley le esercitazioni aeree programmate proprio quel giorno servivano anche a controllare dall’interno i computer della sicurezza, depistando le operazioni, grazie all’accesso diretto ai monitor della difesa, dietro a cui stavano ignare sentinelle. In più, quella mattina – stranamente – il grado di allerta era stato declassato a “normale”, il livello più basso. «Coincidenze o barzellette».Poi ci sono gli attentati a terra, i più diffusi. «Immancabile, la simultanea esercitazione antiterrorismo». Comodissima, peraltro: «Intanto perché qualcuno deve piazzarla, la bomba: se per caso viene colto in flagrante, può sempre dire che fa parte dell’esercitazione. Poi la bomba scoppia davvero, e un minuto dopo si sprecano le dichiarazioni di stupore: che combinazione, dicono tutti, è successo proprio mentre eravamo lì. E infine, proprio perché erano già lì – forze di sicurezza, soccorritori, ambulanze – si fa anche bella figura, soccorsi immediati e rapidissima cattura del “colpevole”». Sempre secondo Mazzucco, un caso da manuale è quello dei devastanti attentati dinamitardi di Londra, 7 luglio 2005: colpiti tre convogli della metropolitana e un autobus, 56 morti e 700 feriti. «In tutte e quattro le situazioni erano in corso esercitazioni anti-bomba. Dai responsabili della sicurezza, ovviamente “meravigliati” per la straordinaria coincidenza, giunse anche un’excusatio non petita: dissero che i loro uomini erano presenti in quei luoghi non a caso, ma per proteggere la City finanziaria». E attenzione: «In quelle ore, a Edimburgo, era in corso il G8: quale prefetto autorizzerebbe mai una esercitazione antiterrorismo nello stesso giorno in cui nel tuo paese è in corso un G8? Impensabile».Stessa dinamica negli Usa dieci anni prima, il 19 aprile ‘95. Oklahoma City: camion-bomba contro un edificio federale, il Murrah Building. Secondo la versione ufficiale, il veicolo era stato imbottito con oltre 2.300 chili di fertilizzante. Una strage: 168 morti, tra cui 19 bambini, e 680 feriti. Il più sanguinoso attentato terroristico entro i confini degli Stati Uniti prima dell’11 Settembre. «Mai, fino ad allora, gli americani si erano sentiti così vulnerabili», annota Mazzucco. «Furono le prove generali, per testare l’opinione pubblica prima del super-attentato delle Twin Towers?». Quella volta niente arabi, ma un estremista di destra, Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, arrestato e poi giustiziato sei anni dopo con iniezione letale. E l’esercitazione concomitante? C’era, naturalmente: Alex Jones, titolare dell’importante sito web “Prison Planet”, spiega che a Oklahoma City, nello stesso momento, erano in corso esercitazioni anti-bomba della polizia federale. Un’altra straordinaria coincidenza.Idem alla maratona di Boston, 15 aprile 2013: «Proprio sulla linea del traguardo – ricorda Mazzucco – si stava svolgendo un’esercitazione con cani anti-bomba». Gli altoparlanti ripetono l’annuncio, per il pubblico in apprensione che osserva le squadre di sicurezza: «Non preoccupatevi, è solo un’esercitazione». Tre secondi dopo l’ultimo annuncio, scoppia la bomba: 3 morti e 264 feriti. Dagli Stati Uniti alla Francia: Parigi, 13 novembre 2015, la carneficina del teatro Bataclan, 137 morti e 368 feriti. «L’indomani – rileva Mazzucco – il capo della protezione civile va in televisione e dice: ma tu guarda, proprio ieri mattina stavamo facendo un’esercitazione negli stessi posti. Una fortuna, per l’efficienza dei soccorsi». Ultimo capitolo, la mattanza di San Bernardino, California, 2 dicembre 2015. Marito e moglie sparano su un centro per disabili: 14 morti e 13 feriti. «E cos’era in corso, proprio lì, un attimo prima dell’attentato? L’esercitazione “Active Shooter”», sottolinea Mazzucco. «Non solo ci prendono in giro, ma contano sul fatto che non abbiamo memoria, capacità di collegare i fatti. Noi pazienza, ma i giornalisti dovrebbero farlo per mestiere: invece tacciono, guardano da un’altra parte, altrimenti perdono il lavoro».E’ successo ad Andrew “Judge” Napolitano, conduttore di una famosa trasmissione a “Fox News”: licenziato, dopo aver denunciato il ruolo dell’Fbi nella formazione e nell’assistenza dei terroristi di Oklahoma City. Stranamente, dopo aver fatto quel servizio, è stato liquidato. Napolitano parlava anche di 17 casi apparentemente sventati dall’Fbi, dove – diceva – era stata la stessa Fbi a infiltrare aspiranti terroristi, convincendoli: «Hanno reclutato islamici, giovani incazzati, e li hanno covinti ad agire, spiegando loro che avrebbero potuto cambiare il mondo ammazzando degli americani, per poi presentarli come “arabi dalla mentalità anti-americana”». Altre volte, «l’Fbi ha usato intermediari con precedenti penali, disponibili a collaborare in cambio di sconti di pena». Tra le illustri vittime del mainstream anche un grande giornalista come Dan Rather, prestigioso reporter della “Cbs”: «E’ stato liquidato con una “polpetta avvelenata” (una notizia falsa, fornitagli appositamente), per bruciargli trent’anni di grande giornalismo. La sua colpa? Aveva rivelato e denunciato lo scandalo di Abu Ghraib, il lager iracheno dove si infliggevano le peggiori torture ai soldati di Saddam».Non se ne esce, dice Mazzucco, se la stragrande maggioranza dei giornalisti si ostina a “non vedere”. Eppure, nell’attentato del 1993 al Wto – un camion-bomba nel parcheggio sotterraneo della Torre 1 – fu la stessa Fbi ad ammettere di essere implicata: stava infiltrando aspiranti terroristi e aveva fornito loro l’esplosivo, tramite l’ex militare egiziano Emad Salem, il quale confermò che il tutto avvenne addirittura con la supervisione del procuratore distrettuale. «L’Fbi sapeva, poteva evitare l’attentato», conclusero le televisioni americane. Perché la situazione “sfuggì di mano”? Forse lo si può dedurre da quanto dichiarò, poco dopo, l’ex direttore dell’Fbi di New York, Jim Kallstrom: «Quella bomba ha fatto tremare il nostro concetto di sicurezza nazionale, la convinzione di essere invulnerabili al terrorismo. Le crepe nella fiducia non potranno essere riparate. E’ successo una volta: potrà succedere ancora? E’ quello che ci domandiamo». Stesso retroscena nelle indagini dopo l’attentato di Boston, per il quale furono incolpati i giovani fratelli Dzokhar e Tamerlan Tsarnaev, di origine cecena. In piena caccia all’uomo, la madre dichiarò: «Perché fingono di non sapere dove siano? Da più di tre anni l’Fbi vive qui a casa nostra e segue i miei ragazzi».Proprio la fulminea cattura del “patsy” è l’ultimo capitolo di quella che, per Mazzucco, è chiaramente una farsa: «Nell’infernale caos dell’11 Settembre, già nelle prime ore, l’unica notizia data per certa era la responsabilità di Bin Laden». E qual è il modo più semplice per arrivare subito al “colpevole”? «Ovvio: trovi il suo passaporto. E’ noto, infatti, che tutti quelli che vanno a fare attentati se lo portano dietro». Nell’apocalisse di fuoco, fumo e macerie di Ground Zero, gli unici reperti intatti erano quelli: «Passaporti solo bruciacchiati un po’ ai lati con l’accendino, ma con foto e nomi sempre ben visibili: nemmeno un documento annerito o strappato». Il primo, trovato il giorno dopo il crollo delle Torri, a quattro isolati: apparteneva ad Abdul Aziz Alomari, quello che insieme a Mohamed Atta avrebbe dirottato il primo aereo. E nella “Buca di Shanksville”, in Pennsylvania, niente rottami di aereo (solo un cratere con ferraglia fumante) e 2 passaporti intatti, una bandana rossa (indumento “appartenente a un dirottatore”, secondo le presunte telefonate dei passeggeri di uno degli aerei), più la carta d’identità di un terzo terrorista, più la ricevuta di una lavanderia, con tanto di nome e cognome del quarto presunto attentatore.Ancora più clamoroso il ritrovamento all’aeroporto di Boston, dove viene ritrovata una valigia “dimenticata” da due dei presunti dirottatori del volo per San Francisco. Contenuto: il Corano, tute dell’American Airlines, manuali di volo del Boeing 767 e, addirittura, la lista completa dei terroristi. Passaporti provvidenziali anche in tasca ai terroristi di Londra, quattro pakistani, inizialmente dichiarati “membri di Al-Qaeda” (notizia poi smentita, nel silenzio dei media). Fondamentali, i documenti, per collegarli alle immagini filmate dalle telecamere del metrò. «Niente passaporti, niente identificazione». Stessa situazione per Charlie Hebdo: «Indossavano passamontagna per non farsi riconoscere, salvo poi “dimenticare” un passaporto in bella vista sul cruscotto dell’auto». Il caso più tragicomico? Quello di Oklahoma City, dove «la famosa “bomba al letame” avrebbe tirato quasi giù un intero edificio in cemento armato». E come venne arrestato, Timonthy McVeigh? Mezz’ora dopo l’esplosione, viene fermato alla guida di un’auto senza targa, lanciata al doppio della velocità consentita. Poi il poliziotto nota che ha la maglietta “macchiata di letame”, quindi si insospettisce, e nel baule scova – indovinate – un manuale per fabbricare le bombe col letame.Il copione non cambia, dice Mazzucco, e il primo della storia fu Lee Harvey Oswald, presentato al mondo come l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. «Non sono stato io», protestò, «io sono soltanto un “patsy”», cioè il diversivo perfetto per allontanare l’attenzione dalla dinamica del crimine, con tutte le sue incredibili incongruenze. Il caso è noto. Dopo la morte di Jfk, l’abitato di Dallas viene passato al setaccio. Ma Oswald, anziché sparire, prende con sé una pistola e se ne va in giro, armato, per la città. Lo ferma un poliziotto, l’agente Tippit, che gli chiede i documenti. Oswald estrae l’arma e gli spara. Poi si rifugia in un cinema, dove però si fa notare, perché entra senza pagare. Al che, la cassiera chiama la polizia, che lo arresta. Ma come lo collega a Tippit? Elementare: mentre estraeva la pistola gli è cascato il portafoglio, con dentro la patente. L’hanno trovato a terra, accanto al corpo dell’agente colpito. «Quindi – riassume Mazzucco – Oswald era andato ad ammazzare Kennedy pensando bene, anche lui, di portare con sé il documento di identità». Che altro aggiungere? «Siamo di fronte a una manipolazione totale. Ed è impossibile credere che i giornalisti non se ne rendano conto».«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».