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Hudson: tre poteri lucrano sulla guerra alla Russia (e a noi)
Armamenti, energia, finanza. Sono queste tre oligarchie a controllare gli Usa, determinando la loro politica: che oggi schiaccia l’Europa sotto il peso delle sanzioni imposte alla Russia, provocata per anni fino all’esplosione della resa di conti con il regime anti-russo di Kiev, imbottito di manovalanza sfacciatamente neonazista. Lo sostiene Michael Hudson, professore emerito di economia all’Università del Missouri-Kansas City, nonché alfiere internazionale della Modern Money Theory. Pochissime, nel mondo anglosassone, le voci indipendenti e non silenziate dalla “nebbia di guerra” diffusa in modo orwelliano per criminalizzare Putin. Tra queste l’economista canadese Michel Chossudovsky, fondatore di “Global Research” (preoccupato per gli sviluppi dello scontro Russia-Nato) e l’ex viceministro di Reagan, Paul Craig Roberts, che si augura che il Cremlino riesca a “bonificare” rapidamente l’Ucraina, strumentalizzata da Washington per servire i peggiori interessi sulla pelle degli ucraini, dei russi e degli stessi europei.Quali sono questi interessi americani che vogliono la guerra? E’ Hudson a entrare nei dettagli. «La domanda da porsi è: cosa sta cercando di cambiare o “risolvere” la Nuova Guerra Fredda di oggi?». Dal 1991, la forza di aggressione è stata ininterrottamente incarnata dagli Usa, che non hanno “smontato” la Nato (nonostante la fine del Patto di Varsavia) e hanno seminato terrore e morte in molte aree del mondo in nome della “sicurezza nazionale”, espressione «utilizzata per interessi speciali che non devono essere nominati». Di fatto, «la Nato è diventata l’organismo europeo di politica estera, fino al punto di dominare gli interessi economici interni». Aggiunge Hudson: «Il recente incitamento alla Russia, attraverso l’espansione della violenza etnica anti-russa da parte del regime neonazista ucraino», insediato con il “golpe Maidan” del 2014, ha centrato il bersaglio: «Forzare una resa dei conti». Il movente, però – ragiona il professore – è economico: tenere legati a sé i membri Nato e altri satelliti dell’area del dollaro, «poiché questi paesi hanno visto le loro maggiori opportunità di guadagno risiedere nell’aumento del commercio e degli investimenti con Cina e Russia».Per capire esattamente quali obiettivi e interessi degli Stati Uniti sono minacciati – prosegue Hudson – è necessario comprendere la politica statunitense e il suo “blob”, cioè la pianificazione centrale del governo, «che non può essere spiegata guardando alla politica apparentemente democratica», cioè l’alternanza tra repubblicani e democratici. Secondo Hudson, è più realistico considerare la politica economica ed estera degli Stati Uniti «in termini di complesso militare-industriale, di petrolio e gas (e minerario) e di complesso bancario e immobiliare». I deputati-chiave che siedono in Parlamento? «Non rappresentano i loro Stati e distretti, quanto piuttosto gli interessi economici e finanziari dei loro principali contributori elettorali». Ovvero: i tre grandi blocchi d’interesse che oggi avrebbero forzato l’Occidente verso la tragedia cui stiamo assistendo. Tre entità che, secondo Hudson, «hanno acquisito il controllo del Senato e del Congresso per inserire i propri responsabili politici nel Dipartimento di Stato e nel Dipartimento della Difesa».Chi sono, questi tre soggetti? «Il primo è il Military-Industrial Complex (Mic): i produttori di armi come Raytheon, Boeing e Lockheed-Martin». Per Hudson, «la loro base economica è la rendita monopolistica, ottenuta soprattutto dalla vendita di armi alla Nato, agli esportatori di petrolio del Vicino Oriente e ad altri paesi». Attenzione: «Le azioni di queste società sono aumentate immediatamente dopo la notizia dell’attacco russo, guidando un’impennata del mercato azionario», sapendo che il Pentagono «fornirà un ombrello di “sicurezza nazionale” garantito per i profitti del monopolio per le industrie belliche». Il cartello delle armi, ricorda Hudson, è tradizionalmente rappresentato – alle Camere – da politici di Washington e della California, oltre agli Stati del Sud. In questi giorni, si brinda: l’escalation militare in corso «promette un aumento vertiginoso delle vendite di armi alla Nato e ad altri alleati degli Usa». Esempio: «La Germania ha rapidamente accettato di aumentare la spesa per le armi a oltre il 2% del Pil».Il secondo grande blocco oligarchico, prosegue l’economista, è il settore dell’estrazione di petrolio e gas, cui si aggiunge l’estrazione mineraria (Ogam). «Come il settore bancario e immobiliare, che cerca di massimizzare la rendita economica per acquistare alloggi e altri beni, l’obiettivo del settore Ogam è massimizzare il prezzo della sua energia e delle materie prime». Non a caso, «il monopolio del mercato petrolifero dell’area del dollaro e l’isolamento dal petrolio e dal gas russi è stata una delle principali priorità degli Stati Uniti da oltre un anno, poiché l’oleodotto Nord Stream 2 minacciava di collegare più strettamente l’economia dell’Europa occidentale e quella russa». Chi sono i principali lobbysti dell’Ogam? Soprattutto i senatori del Texas, spiega Hudson. Sicché, «l’amministrazione Biden ha sostenuto l’espansione delle perforazioni offshore», ma anche «la rinascita del fracking statunitense». Fuori dai confini, «l’estensione della politica estera mira a impedire ai paesi stranieri di competere sui mercati mondiali, dove siano più convenienti dei fornitori statunitensi». Ergo: «L’isolamento della Russia (e dell’Iran) dai mercati occidentali ridurrà l’offerta di petrolio e gas, facendo aumentare di conseguenza i prezzi e i profitti aziendali».Il terzo grande gruppo oligarchico, continua Hudson, è il settore simbiotico “Finance, Insurance and Real Estate” (Fire). Di fatto, «è il moderno successore del capitalismo finanziario della vecchia aristocrazia fondiaria post-feudale europea, che vive di rendite fondiarie». Cifre enormi: «Circa l’80% dei prestiti bancari statunitensi e britannici sono al settore immobiliare», che agisce «gonfiando i prezzi dei terreni per creare plusvalenze, esenti dalle tasse». Questo blocco bancario e immobiliare incentrato su Wall Street, osserva Hudson, è ancora più ampiamente basato sul supporto politico dei parlamentari lobbysti. Chuck Schumer, senatore di Wall Street ora a capo del Senato, è stato «sostenuto a lungo da Joe Biden», a sua volta protettore storico «dell’industria delle carte di credito». A livello nazionale, «l’obiettivo di questo settore è massimizzare la rendita fondiaria e le plusvalenze derivanti dall’aumento della rendita fondiaria». A livello internazionale, invece, l’obiettivo del settore “Fire” è quello di «privatizzare le economie straniere (soprattutto per assicurarsi il privilegio della creazione di credito nelle mani degli Stati Uniti)».Si mira quindi a «trasformare le infrastrutture governative e i servizi di pubblica utilità in monopoli in cerca di rendita per fornire servizi di base (come assistenza sanitaria, istruzione, trasporti, comunicazioni e informatica) a prezzi massimi anziché a prezzi agevolati». E Wall Street, ovviamente, «è sempre stata strettamente fusa con l’industria petrolifera e del gas (vale a dire: i conglomerati bancari Citigroup e Chase Manhattan dominati dai Rockefeller)». Ecco quindi spiegato come il Fire finanziario-immobiliare, il Mic militare e l’Ogam energetico «sono i tre settori “rentier” che dominano l’odierno capitalismo finanziario postindustriale». Le loro fortune reciproche «sono aumentate vertiginosamente». E le mosse per escludere la Russia dal sistema finanziario occidentale, insieme agli effetti negativi dell’isolamento delle economie europee dall’energia russa, promettono di stimolare un afflusso di titoli finanziari dollarizzati. «Questo è il motivo per cui né l’industria né l’agricoltura svolgono oggi un ruolo dominante, nella politica estera degli Stati Uniti». La convergenza degli obiettivi politici dei tre grandi “rentier” «travolge gli interessi del lavoro e persino quelli del capitale industriale».Come ha spiegato lo stesso Biden, l’attuale escalation militare orchestrata dagli Stati Uniti (“Provocare l’Orso”) non riguarda proprio l’Ucraina. «Biden ha promesso dall’inizio che le truppe statunitensi non sarebbero state coinvolte, ma ha chiesto per oltre un anno che la Germania impedisse al gasdotto Nord Stream 2 di rifornire la sua industria e le sue abitazioni con gas a basso prezzo», in modo che Berlino «si rivolgesse ai fornitori statunitensi a prezzi molto più alti». E così, dopo un anno di pressioni a vari livelli sui politici tedeschi, la Germania non ha messo in funzione il super-gasdotto. Uno degli obiettivi principali dell’odierna Nuova Guerra Fredda – sottolinea Hudson – è quello di monopolizzare il mercato del gas: già sotto Trump, la Merkel era stata costretta a promettere di spendere 1 miliardo di dollari per costruire nuove strutture portuali per le navi-cisterna statunitensi. Poi, l’avvicendamento alla Casa Bianca e il ritiro della Cancelliera hanno congelato l’investimento portuale, lasciando la Germania senza alternative al gas russo. Ed ecco dunque la stretta di oggi: obiettivo, «l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas, soprattutto a scapito della Germania».Oltre a creare profitti e guadagni sul mercato azionario per le compagnie petrolifere statunitensi – rileva Hudson – l’aumento dei prezzi dell’energia sottrarrà gran parte del vigore all’economia tedesca. Certo, il rincaro di benzina, riscaldamento e altri servizi danneggerà tutti, anche i cittadini statunitensi, riducendo il loro tenore di vita. «Ciò potrebbe spremere i proprietari di case e gli investitori emarginati, portando a un’ulteriore concentrazione della proprietà», accelerando le acquisizioni a danno di «proprietari immobiliari in difficoltà, in altri paesi che devono far fronte all’aumento dei costi del riscaldamento e dell’energia». Aumenteranno anche i prezzi dei generi alimentari, guidati dal grano: Russia e Ucraina rappresentano il 25% delle esportazioni mondiali, nei cereali. «Ciò comprimerà molti paesi del Vicino Oriente e del Sud del mondo con deficit alimentari, peggiorando la loro bilancia dei pagamenti e minacciando l’insolvenza del debito estero».E non è tutto: le esportazioni russe di materie prime potrebbero essere bloccate dalla Russia in risposta alle sanzioni e all’esclusione dallo Swift. Questo «minaccia di causare interruzioni nelle catene di approvvigionamento di materiali chiave, tra cui cobalto, palladio, nichel e alluminio». Se poi la Cina decidesse di considerarsi la prossima nazione minacciata e si unisse alla Russia in una protesta comune contro la guerra commerciale e finanziaria degli Stati Uniti, le economie occidentali subirebbero un grave shock. Il sogno a lungo termine dei fautori americani della Nuova Guerra Fredda, riassume Hudson, «è quello di rompere la Russia, o almeno di ripristinare la sua cleptocrazia manageriale di Eltsin», assistita dagli “Harvard Boys”, «con gli oligarchi che cercano di incassare le loro privatizzazioni nei mercati azionari occidentali». Il cartello Ogam «sogna ancora di acquistare il controllo di maggioranza di Yukos e Gazprom». Quanto a Wall Street, «vorrebbe ricreare un boom del mercato azionario russo». E gli investitori del Mic (armamenti) vorrebbero «anticipare felicemente la prospettiva di vendere più armi, per contribuire a realizzare tutto questo».Sul fronte opposto, invece, «l’obiettivo a lungo termine della Russia è di strappare l’Europa dal dominio della Nato e degli Stati Uniti e, nel frattempo, creare con la Cina un nuovo ordine mondiale multipolare centrato su un’Eurasia economicamente integrata». Dato che la Russia non invaderà mai l’Europa, riflette Hudson, gli europei finiranno per chiedersi perché mai pagare cifre esorbitanti per l’armamento Usa, e perché mai strapagare l’energia fornita da Washington, oltre a «pagare di più per il grano e le materie prime prodotte dalla Russia», perdendo anche la possibilità di fare profitti con l’export verso la Russia e, domani, forse, anche verso la Cina. Ma le complicazioni non finiscono qui: «La confisca da parte degli Stati Uniti delle riserve monetarie russe, a seguito del recente furto delle riserve dell’Afghanistan (e del sequestro dell’Inghilterra delle scorte auree venezuelane ivi detenute) minaccia l’adesione di ogni paese al Dollar Standard, e quindi il ruolo del dollaro come veicolo per il risparmio in valuta estera da parte delle banche centrali del mondo. Ciò accelererà il processo di de-dollarizzazione internazionale già avviato da Russia e Cina, facendo affidamento sulle reciproche partecipazioni delle valute dell’altra».A lungo termine, conclude l’economista, è probabile che la Russia si unisca alla Cina nel formare un’alternativa al Fmi e alla Banca mondiale, tuttora dominati dagli Stati Uniti. «L’annuncio della Russia di voler arrestare i nazisti ucraini e tenere un processo per crimini di guerra sembra implicare che un’alternativa alla corte dell’Aia sarà istituita dopo la vittoria militare della Russia in Ucraina. Solo un nuovo tribunale internazionale – aggiunge il professor Hudson – potrebbe processare i criminali di guerra che vanno dalla leadership neonazista ucraina fino ai funzionari statunitensi responsabili di crimini contro l’umanità come definiti dalle leggi di Norimberga». Hudson si aspetta che Mosca si ritiri a breve, dopo aver raggiunto gli obiettivi: proteggere i russofoni e allontanare da Kiev la minaccia diretta alla propria sicurezza. Infine, emerge l’autogol del “blob americano”: «La più enorme conseguenza involontaria della politica estera statunitense è stata quella di portare Russia e Cina insieme, insieme a Iran, Asia centrale e altri paesi, lungo la Belt and Road Initiative».Se la Russia sognava di «creare un nuovo ordine mondiale», finalmente in armonia con l’Occidente, «è stato l’avventurismo statunitense a portare il mondo in un ordine completamente nuovo». Un assetto «che sembra essere dominato dalla Cina, come vincitore predefinito, ora che l’economia europea è essenzialmente dilaniata e che l’America è rimasta con ciò che ha preso dalla Russia e dall’Afghanistan, ma senza la possibilità di ottenere un sostegno futuro». Sperando che, ovviamente, tra Putin e Biden esista un accordo, sotto banco, per non far degenerare oltre la situazione, evitando cioè lo scontro diretto. Tutti sanno che, in quel caso, non ci sarebbero vincitori. Discorsi che sembrano folli, nel 2022: eppure, Usa e Russia sono entrate in “allerta atomica”. E paesi come l’Italia si accingono a varare aiuti militari al regime di Kiev. Lo schema è tragicamente evidente: dipingere la Russia come aggressore, demonizzandola, così come graziosamente richiesto dai tre grandi cartelli che, secondo Hudson, avrebbero pianificato l’intero disastro: armamenti, energia e finanza.Armamenti, energia, finanza. Sono queste tre oligarchie a controllare gli Usa, determinando la loro politica: che oggi schiaccia l’Europa sotto il peso delle sanzioni imposte alla Russia, provocata per anni fino all’esplosione della resa di conti con il regime anti-russo di Kiev, imbottito di manovalanza sfacciatamente neonazista. Lo sostiene Michael Hudson, professore emerito di economia all’Università del Missouri-Kansas City, nonché alfiere internazionale della Modern Money Theory. Pochissime, nel mondo anglosassone, le voci indipendenti e non silenziate dalla “nebbia di guerra” diffusa in modo orwelliano per criminalizzare Putin. Tra queste l’economista canadese Michel Chossudovsky, fondatore di “Global Research” (preoccupato per gli sviluppi dello scontro Russia-Nato) e l’ex viceministro di Reagan, Paul Craig Roberts, che si augura che il Cremlino riesca a “bonificare” rapidamente l’Ucraina, strumentalizzata da Washington per servire i peggiori interessi sulla pelle degli ucraini, dei russi e degli stessi europei.
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Nibiru ci sta venendo addosso? Shimschuck: è un segreto
Come scienziato, ho trascorso gran parte della mia vita nella ricerca di risposte semplici a domande difficili. Sono votato alla verità, e per lungo tempo ho aiutato a nascondere una verità che potrebbe costare milioni o miliardi di vite. Come molti dei miei colleghi, ho temuto per la mia vita. Ora non ho parenti in vita, e la mia coscienza non poteva sopportare a lungo il peso della colpa. Dovevo rendere pubblica la verità per l’umanità intera.Vogliono mantenere gli occhi e l’attenzione del pubblico su qualsiasi cosa, ovunque, ad eccezione di dove dovrebbero essere concentrati: nello spazio. Il sistema di Nibiru è già naturalmente visibile, attraverso i più potenti telescopi, dall’emisfero Sud del pianeta, ma non è consentita la divulgazione pubblica delle sue immagini. Quel sistema gode inoltre di una sorta di occultamento naturale, consistente nella densa nube di ossido di ferro che lo circonda, estesa per sette milioni di miglia in tutte le direzioni. Se vi sveglierete una mattina e vedrete polvere di ossido di ferro sul vostro parabrezza, Nibiru sarà probabilmente a meno di dodici ore di distanza.Cos’è Nibiru? Si tratta di un termine generico per quello che io e altri conosciamo come “Sistema Nibiru”. In sostanza è un sistema stellare indipendente, che si interseca con il nostro. Al suo cuore ha una stella nana bruna delle dimensioni pari ad un ottavo del nostro Sole. Questa nana bruna ha in orbita attorno a sé sette pianeti, alcuni più piccoli della nostra Luna, altri più grandi della Terra. La preoccupazione maggiore è rappresentata dal terzo pianeta di questo sistema, che ha diverse volte la massa della Terra con un nucleo di nichel-ferro. Si prevede che questo pianeta passerà entro 0,3 UA dalla Terra (una UA, Unità Astronomica, corrisponde alla distanza Terra-Sole, ndr). Lo scenario peggiore? Un evento a livello di estinzione. Niente sul pianeta sopravviverà, nemmeno un batterio. Il migliore: spostamento dei Poli, accompagnato da un innalzamento del livello dei mari, eruzioni vulcaniche, tsunami che invadono per centinaia di miglia l’entroterra. Terremoti di magnitudine 10 lungo le linee di faglia e da sei a otto di magnitudine in molte altre aree. Fondamentalmente, tutte le parti peggiori della Bibbia.Le persone con conoscenza non fanno confessioni se non sul letto di morte: per paura del male che possono fare ai loro cari. Dubito che mi sarei fatto avanti, se altri – come il dottor Eugene Ricks – non avessero fatto quel primo passo, un passo coraggioso. Ormai abbiamo raggiunto un precipizio: cinque, dieci, trenta anni fa, i governi del mondo avevano una “rete di sicurezza” e la convinzione che avrebbero potuto nascondere la verità quasi all’infinito. Ora che il tempo è trascorso, credo che si rendano conto che la verità circa “l’intruso” non possa essere nascosta ancora a lungo. Da quanto tempo si è al corrente del problema Nibiru? Credo che lo conoscessero fin dagli anni ‘50. Ma io personalmente ne sono a conoscenza fin dai primi anni ‘80. Sì, i principali governi del mondo, ognuno a proprio modo, cospirarono contro la popolazione mondiale per mantenere questo segreto, che è quello più accuratamente conservato nella storia dei cosiddetti segreti.Le tre grandi potenze – Stati Uniti, Russia e Cina – hanno da tempo attivato un “protocollo secondario”, il che significa che si sono preparati bunker sotterranei e che “governi secondari e provvisori” sono pronti per essere operativi. Le scie chimiche? E’ decisamente possibile che le irrorazioni aeree di aerosol servano per molteplici finalità. Io davvero non lo so, ma niente mi sorprende più. So per certo che una delle ragioni è di impedire, oscurare e ritardare la visibilità del sistema Nibiru. Questo lo so perché ho visto della documentazione sulla cosa. Stanno spruzzando adesso – lo hanno fatto per anni – perché le scie chimiche (di cui io non ero informato sulla precisa composizione), combinando riflettenti e translucenti nano-fibre con l’ossido di alluminio, un altro loro ingrediente, creano una barriera, una sorta di schermo per offuscare e per limitare la visibilità delle ottiche naturali e artificiali. C’è una degradazione marginale nel corso del tempo, ma il composto persiste nell’atmosfera e continua ad auto-ricostruire se stesso.(Ronald Shimschuck, dichiarazioni rilasciate in un’intervista concessa al sito “Someonesbones.com” e riprese da Nicola Bizzi in un saggio proposto su “Archeomisteri” nel 2016, ora rilanciato anche su Facebook. Astrofisico con dottorato di ricerca al Mit, Shimschuck ha lavorato a lungo per la Nasa. Lo scienziato sostiene di aver appreso dell’esistenza del “problema” mentre era coinvolto con il programma Sts dell’agenzia spaziale statunitense, nel 1985, venendo a conoscenza di un ordine esecutivo segreto, firmato dall’allora presidente Ronald Reagan, che vietava qualsiasi discussione pubblica su Nibiru. Nel timore che l’avvicinarsi del sistema solare “intruso” – ciclicamente vicinissimo all’orbita terrestre – possa causare immani devastazioni al nostro pianeta, Shimschuck dichiara che Usa, Russia e Cina hanno imposto sull’argomento il silenzio più assoluto, proibendo agli scienziati di parlarne. Per il sumerologo Zecharia Sitchin, proprio da Nibiru provennero gli Anunnaki, che avrebbero “fabbricato” geneticamente l’umanità, o almeno una parte di essa, ibridando il loro Dna con quello dell’Homo Erectus).Come scienziato, ho trascorso gran parte della mia vita nella ricerca di risposte semplici a domande difficili. Sono votato alla verità, e per lungo tempo ho aiutato a nascondere una verità che potrebbe costare milioni o miliardi di vite. Come molti dei miei colleghi, ho temuto per la mia vita. Ora non ho parenti in vita, e la mia coscienza non poteva sopportare a lungo il peso della colpa. Dovevo rendere pubblica la verità per l’umanità intera. Vogliono mantenere gli occhi e l’attenzione del pubblico su qualsiasi cosa, ovunque, ad eccezione di dove dovrebbero essere concentrati: nello spazio. Il sistema di Nibiru è già naturalmente visibile, attraverso i più potenti telescopi, dall’emisfero Sud del pianeta, ma non è consentita la divulgazione pubblica delle sue immagini. Quel sistema gode inoltre di una sorta di occultamento naturale, consistente nella densa nube di ossido di ferro che lo circonda, estesa per sette milioni di miglia in tutte le direzioni. Se vi sveglierete una mattina e vedrete polvere di ossido di ferro sul vostro parabrezza, Nibiru sarà probabilmente a meno di dodici ore di distanza.
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Green Deal, maxi-raggiro: raddoppia la razzia della Terra
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali. Un commentary uscito su “Nature Geoscience” pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale. Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, in un giacimento di rame, mediamente il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno. Ma non basta.Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti. Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 Twh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 Twh l’anno di energia fossile in più. E non è finita qui. Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo. È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil. L’Onu, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe: serviranno moltissime risorse naturali in più. Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: “Pnas”, “Science”, “Nature”.Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”, da “Le Scienze” alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto, così enorme e così contraddittorio. La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no. Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma. Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni. Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia, si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare (una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale).La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande. Su “Econopoly” ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19 mettesse in luce che la scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media (sul clima impazzito ascoltate gli scienziati: ok, ma quali?). In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali. Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani: per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più, distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua, spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali. Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse: la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo. Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche. Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale. Ci sono altre soluzioni? La temperatura continua ad aumentare, non possiamo fare finta di niente. Certo che ci sono altre soluzioni. E di nuovo, ci si scontra con il muro di gomma della divulgazione: l’opinione pubblica è stata convinta che non ci siano altre strade ma in realtà non è così. Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (Dac). La cattura diretta è una tecnologia dall’apparenza pionieristica, ma in realtà molto semplice, che permette di separare l’anidride carbonica dall’aria. Niente di fantascientifico, esistono decine di impianti pilota perfettamente funzionanti in tutto il mondo.Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno. Chiunque faccia notare che stiamo parlando dei dati relativi a un impianto pilota, molto piccolo, e che in un impianto di grandi dimensioni i costi potrebbero essere già ora molto più bassi, viene accusato di pensiero magico, nonostante il potenziale delle economie di scala sia noto e facilmente misurabile. Oltretutto, si pretende che la cattura diretta competa con le rinnovabili senza beneficiare di incentivi pubblici, mentre le rinnovabili vengono generosamente sussidiate. Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.Da non dimenticare, poi, come sottolinea proprio “Nature”, che la cattura diretta ha un vantaggio fondamentale rispetto a tutte le altre soluzioni: minimizza l’incertezza, aggredisce il nocciolo del problema. Da una parte parliamo di ridurre l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera attraverso complessi meccanismi culturali e sociali, dall’altra di toglierla direttamente con una tecnologia. Ancora più curioso è il caso della riforestazione e dell’agricoltura rigenerativa (da non confondere con l’agricoltura biologica o biodinamica: parliamo di agricoltura intensiva con rese superiori a quella chimica tradizionale), due opzioni perfettamente ecosostenibili che ci permetterebbero di tamponare rapidamente il problema del cambiamento climatico, con un dispendio di risorse limitato e ricadute socioeconomiche allettanti. Eppure, le iniziative in questa direzione sono continuamente sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green. Un paradosso. L’accusa è spiazzante: l’adozione di queste soluzioni potrebbe rallentare la transizione verso le energie rinnovabili.Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo. Elon Musk è indubbiamente un imprenditore brillante, un genio del nostro tempo, ma non per questo ci dobbiamo sentire obbligati a versargli 1.000/2.000 miliardi di dollari l’anno, generosamente irrorati da fondi pubblici che togliamo alla sanità o all’educazione, solo per fare due esempi. Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente. «Va notato che l’Ipcc nel suo quinto rapporto, coerentemente con tutte le precedenti relazioni di valutazione, non affronta esplicitamente la questione delle implicazioni materiali degli scenari di sviluppo climatico» (World Bank).(Enrico Mariutti, “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?”, dal “Sole 24 Ore” dell’11 novembre 2020; l’articolo è pubblicato nel supplemento “Econopolis”. Ricercatore e analista in ambito economico ed energetico, nonché autore de “La decarbonizzazione felice”, Mariutti è il “founder” della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Isag, Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.
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Radio, radar, satelliti e 5G: e arriva, puntuale, la pandemia
Nel 1918, dopo l’enorme pandemia dell’influenza Spagnola, hanno chiesto a Rudolf Steiner a cosa fosse dovuta. Lui rispose: i virus sono semplicemente le escrezioni di una cellula avvelenata. I virus sono delle parti di Dna o Rna, o di qualche altra proteina, che vengono espulse dalla cellula. Si formano quando la cellula è avvelenata, non sono la causa di niente. Oggi, improvvisamente, scopriamo che nel circolo polare artico i delfini stanno morendo: per un contagio, o magari per qualche schifezza finita in mare, come il greggio della super-petroliera Exxon Valdez? Se date un’occhiata alle teorie correnti sui virus, l’ultima conferenza del Nih (il Dipartimento della salute degli Usa) parla della complessità dei virus, e vedrete che corrisponde esattamente alle teorie correnti su cosa sono realmente i virus. Ho un esempio drammatico di ciò, nella mia vita. Durante la mia infanzia, fuori da casa mia c’erano degli acquitrini. Erano pieni di rane, che mi svegliavano di notte. Col tempo tutte le rane sono sparite. Quanti di voi pensano che le rane avessero una malattia genetica? Quanti pensano che le rane avessero un virus? Quanti pensano che qualcuno abbia sversato del Ddt nell’acqua? Questo è infatti quello che è successo.Ogni pandemia, negli ultimi 150 anni, corrisponde a un salto di qualità nell’elettrificazione della Terra. Come si spiega l’epidemia di Spagnola nel 1918? Alla fine dell’autunno del 1917 c’era stata l’introduzione delle onde radio, intorno al mondo. Quando esponete un qualsiasi essere vivente a un nuovo campo elettromagnetico, lo avvelenate: qualcuno ne viene ucciso, e gli altri entrano in una specie di ibernazione; vivono un po’ di più, e più malati. Con la Seconda Guerra Mondiale è iniziata una nuova pandemia, a causa dell’introduzione dei radar su tutta la Terra, improvvisamente ricoperta dai nuovi campi magnetici emessi dai radar. Era la prima volta che gli esseri umani subivano quel tipo di esposizione. Nel 1968, poi, c’è stata l’influenza di Hong Kong: è stata la prima volta che, nella fascia protettiva della cintura di Van Allen – il cui ruolo principale è quello di incorporare i raggi cosmici provenienti dal Sole, dalla Luna, da Giove, e distribuirli a tutti gli esseri viventi terrestri – sono stati posti dei satelliti che emettono delle frequenze radioattive. In sei mesi c’è stata una nuova epidemia “virale”. In realtà, la gente è stata avvelenata, anche se pensava di subire un’epidemia influenzale.Nel 1918, la sanità di Boston deciss di analizzare la caratteristica contagiosa di una epidemia: che lo crediate o no, hanno preso centinaia di persone che avevano l’influenza, hanno prelevato ciò che avevano nel naso e l’hanno iniettato in soggetti sani, che non avevano l’influenza. Neanche una volta sono riusciti a far ammalare qualcuno. L’hanno ripetuto più e più volte, e non sono riusciti a dimostrare il contagio. L’hanno fatto pure con dei cavalli, che sembrava avessero preso l’influenza Spagnola; gli hanno messo dei sacchi sulle teste: il cavallo starnutiva dentro il sacco, e poi infilavano il sacco attorno alla testa del cavallo seguente. Nessun cavallo si è ammalato. Potete leggere tutto ciò in un libro che si chiama “L’arcobaleno invisibile”, di Arthur Firstenberg. Ad ogni stadio di elettrificazione della Terra ha corriposto, entro sei mesi, una nuova pandemia influenzale. Non ci sono altre spiegazioni, per la Spagnola. Come ha potuto propagarsi, dal Kansas al Sudafrica in appena due settimane, in modo tale che il mondo intero manifestasse i medesimi sintomi nello stesso momento, nonostante i mezzi di trasporto dell’epoca fossero la nave e il cavallo? Non ci sono spiegazioni, per questo. Infatti ammettono: non sappiamo come sia successo.Riflettete: tutte queste onde radio e altre frequenze, che avete in tasca o tra le mani, vi permettono di inviare un segnale in Giappone, e arriva all’istante. Voi magari non credete che esista, un campo elettromagnetico capace di comunicare a livello mondiale nel giro di qualche secondo: semplicemente, non ci prestate attenzione. Aggiungo che c’è stato un salto di qualità drammatico, durante gli ultimi sei mesi, per quel che riguarda l’elettrificazione della Terra. Sono certo che molti di voi sanno di cosa si tratta. Si chiama 5G. Ora ci sono 20.000 satelliti che emettono radiazioni, proprio come quelle emesse nella vostra tasca o nella vostra mano, dai dispositivi elettronici che usate continuamente. Tutto questo – mi spiace doverlo dire – non è compatibile con la salute. Le frequenze dei dispositivi che usiamo destrutturano l’acqua presente nel nostro corpo. Finisco con un indovinello: qual è la prima città al mondo interamente coperta dal 5G? Whuan, esatto.Quindi cominciamo a pensarci: siamo in una crisi esistenziale di un’ampiezza tale, che gli esseri umani non hanno mai visto. Non gioco a fare il profeta del Vecchio Testamento: è davvero qualcosa che non ha precedenti, la messa in orbita di centinaia di migliaia di satelliti nella fascia protettrice della Terra. In effetti, ciò non ha a che vedere con la questione dei vaccini. Un anno fa ho avuto un paziente che era in piena forma, che faceva surf. Era elettricista, installava dei sistemi Wi-Fi per delle persone molto ricche. Gli elettricisti hanno un tasso di mortalità molto elevato, ma lui stava bene. Poi si ruppe un braccio e gli hanno messo una placca metallica nell’arto. Tre mesi più tardi non poteva più scendere dal letto, aveva un’aritmia cardiaca. Fu il crollo totale. La sensibilità dipende dalla quantità di metallo che avete in corpo, come anche dalla qualità dell’acqua nelle vostre cellule. Quindi, quando si inizia ad iniettare dell’alluminio nel corpo, le persone diventano dei ricettori per assorbire maggiormente i campi elettromagnetici. E questa è una “tempesta perfetta”, visto il tipo di danni di cui sta facendo esperienza tutta la nostra specie, adesso.(Thomas Cowan, estratto del video “Rudolf Steiner, i virus e l’elettrificazione della Terra”, pubblicato il 19 marzo 2020 sul canale YouTube “L’Ortolana” e ripreso da “La Voce del Trentino”. Per avere un’idea della preoccupazione che il filmato sta suscitando, basta dare un’occhiata alle moltissime pagine web che, scagliandosi contro il medico statunitense, alimentano la disinformazione quotidiana, promossa dalla crociata neo-medievale contro il pluralismo scientifico. Illuminanti, in questo senso, gli attacchi pubblicati da siti umoristici come “Butac” e lo spassoso “Open”, diretto da Enrico Mentana, che arriva a definire “guru” il fondatore dell’antroposofia, presentando Steiner come “ispiratore del nazismo magico”. Ai burloni di “Butac”, “Open” e colleghi, forse vale ricordare la recente sentenza della magistratura italiana che, sulla scorta di evidenze medico-scientifiche, ufficializza la correlazione tra salute – tumori, addirittura – ed esposizione a radiofrequenze elettroniche, anche solo quelle dei comuni smartphone 4G).Nel 1918, dopo l’enorme pandemia dell’influenza Spagnola, hanno chiesto a Rudolf Steiner a cosa fosse dovuta. Lui rispose: i virus sono semplicemente le escrezioni di una cellula avvelenata. I virus sono delle parti di Dna o Rna, o di qualche altra proteina, che vengono espulse dalla cellula. Si formano quando la cellula è avvelenata, non sono la causa di niente. Oggi, improvvisamente, scopriamo che nel circolo polare artico i delfini stanno morendo: per un contagio, o magari per qualche schifezza finita in mare, come il greggio della super-petroliera Exxon Valdez? Se date un’occhiata alle teorie correnti sui virus, l’ultima conferenza del Nih (il Dipartimento della salute degli Usa) parla della complessità dei virus, e vedrete che corrisponde esattamente alle teorie correnti su cosa sono realmente i virus. Ho un esempio drammatico di ciò, nella mia vita. Durante la mia infanzia, fuori da casa mia c’erano degli acquitrini. Erano pieni di rane, che mi svegliavano di notte. Col tempo tutte le rane sono sparite. Quanti di voi pensano che le rane avessero una malattia genetica? Quanti pensano che le rane avessero un virus? Quanti pensano che qualcuno abbia sversato del Ddt nell’acqua? Questo è infatti quello che è successo.
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Ashkenaz, il super-sapiens, ci schiavizza col debito eterno
Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.La solita, bieca massoneria mondiale? Gli uomini invisibili del famigerato “complotto giudaico-massonico” caro ai cospirazionisti? Nemmeno, scrive Cianti, mettendo a fuoco un altro gruppo, che definisce “super-sapiens”. «Si chiamano Ashkenazi, e si sono mimetizzati tra gli ebrei, a insaputa degli ebrei stessi. Ma attenzione: gli “Ahskenazim” non sono ebrei, e nemmeno semiti. Sono i veri manipolatori dell’umanità, fin dai primordi, attraverso il denaro e il credito usuraio». Sarebbero stati loro a danneggiare in primo luogo gli ebrei, provocando la catastrofe dell’antisemitismo. Da dove spuntano? Ne parla la Bibbia, probabilmente, quando – nella Genesi – racconta la “fabbricazione” degli adamiti: strani ibridi, praticamente degli Ogm ante litteram, clonati mescolando i geni del sapiens con quelli dei Figli delle Stelle, che l’Antico Testamento chiama Elohim (come Yahvè e colleghi) mentre per i Sumeri si chiamavano Anunna o Anunnaki. Stessa schiatta di dominatori – venuti dal cielo, secondo il sumerologo Zecharia Sitchin, affascinante e controverso teorico della paleo-astronautica. La missione: trasformare la Terra, fino a quel momento popolata solo da tribù nomadi, in un immenso campo di lavoro.Per produrre cibo, energia e poi anche tecnologia occorrevano “servi” intelligenti e obbedienti, i sapiens, che ancora non c’erano. E per dirigere i sapiens ci voleva una super-razza, in grado di dominarli per conto terzi. Impressionante la consonanza con le rivelazioni che l’avvocato Paolo Rumor affida al saggio “L’altra europa”, edito da Panda, con prefazione dell’eminente politologo Giorgio Galli. La tesi: un’élite immutabile, sempre la stessa, reggerebbe il mondo da quasi 12.000 anni. Origine: Golfo Persico, poi Mesopotamia, Egitto, Mediterraneo fenicio e poi minoico e greco-romano. Pietra miliare: l’antico insediamento nella città caldea di Ur, alla foce del Tigri. E’ la stessa geografia che ripercorre Cianti, inseguendo il fantasma dei progenitori di quelli che (erroneamente, sostiene) verranno poi chiamati “ebrei askhenaziti”, diffusisi nell’Est europeo. La comparsa dell’Adàm biblico, «non ancora ebraico, verosimilmente sumero», risalirebbe a un’epoca collocabile tra il 15.000 e il 20.000 avanti Cristo. Seguono 9 discendenti quasi millenari, i patriarchi pre-diluviani, fino ad arrivare a Noè, cioè intorno all’anno 5.600.Stando alla Bibbia, Noè generò Sem, Cam e Jafet. Da Sem si arriva a Giacobbe-Israele per linea retta attraverso Ever, Terach, Abramo e Isacco: in altre parole, ecco gli ebrei (quelli veri), poi suddivisi nelle famose 12 tribù, inclusa quella israelitica di Giuda e Davide. «Quindi – conclude Cianti – solo i discendenti di Abramo possono essere considerati semiti». Gli altri, cioè la super-razza di cui si occupa “Benvenuti all’inferno”, sarebbero la discendenza di Jafet: il fratello di Sem e Cam «generò tra gli altri Gomer, capostipite dei Cimmeri», il cui figlio si chiamerà Ashkenaz, «dall’assiro Askuza»: nome col quale, secondo la Tavola nelle Nazioni, «si indicavano i popoli nomadi della regione sciita del Caucaso». Insieme ai Minniti e al Regno di Ararat, continua Cianti, i nomadi caucasici Ashkenaz si opposero ai Babilonesi, almeno secondo la Bibbia (Geremia 51-27), e in seguito diedero origine ai popoli slavi. «Gli Ashkenaziti – conclude Cianti, citando sempre l’Antico Testamento – sono dunque “jafeti”, cimmeri o sciiti – ma non semiti, quindi non ebrei».Per l’autore si tratta di un “cluster genetico” autonomo, «una popolazione nomade di origini turcomanne che si reinventa continuamente». Prima sciiti (da “sak”, nomade), poi Kazari (dal turco “qaz”: nomade, ancora). Per Cianti erano di religione tengrista, un mix di sciamanesio, animismo e totemismo diffuso nell’Asia Centrale. «Si convertirono all’ebraismo per convenienza», e molto tardi: solo fra il 740 e il 920 dopo Cristo. «Alla dissoluzione del Canato di Kazaria, conquistato dal russo Sviatoslav I, si dispersero in tutta Europa, attribuendosi l’appellativo di “ebrei erranti”», evidentemente abusivo. Nell’alto medioevo, continua Cianti, li ritroviamo nella valle del Reno e nel Nord della Francia: «Ed è da questo momento che iniziano a usare l’yiddish, lingua germanica con elementi di ebraico e aramaico». Poi si spostano verso Est: Lituania e Polonia, Moldavia, Russia. Il ritorno in Germania comincerà nel 1200 e terminerà solo nell’Ottocento. In tutti quei secoli, scrive l’autore, gli Askuza-Ashkenaz sciameranno di terra in terra perché «perseguitati per l’attività usuraia». Sono loro gli “inventori” del sistema creditizio?Il prestito a interesse, dice Cianti, compare contemporaneamente in Mesopotamia, India e Cina. «L’invenzione stessa della scrittura nasce lì, da quella nuova necessità». A Uruk (oggi Warka, Iraq) a raccontare quella storia sono 5.000 tavolette d’argilla risalenti al quarto millennio avanti Cristo: «Si iniziò allora a parlare di prestiti, tassi d’interesse, garanzie, usura, derivati e pignoramenti». La banca dell’epoca era il Tempio; non prestava solo denaro ma anche cereali, vino e birra, metalli pregiati: «Si cominciò a prestare argento a tassi fino al 60%». Attraverso il mondo mesopotamico, poi fenicio e persiano, ellenico e romano, il network nomade del denaro si trasferisce dove gli conviene, tendenzialmente da Est a Ovest, col progredire dei nuovi fiorenti imperi. Proto-scienziati della finanza? Cianti li chiama “i nostri mandriani”. Il loro metodo non cambia: usura, per conquistare il potere. Obiettivo: «Mantenere nella sottomissione non solo le masse ma anche gli stessi governanti, che in pratica diventano i loro burattini. E se qualcuno di loro si oppone, viene destituito o ucciso, come i Kennedy».Per Cianti, gli Ahskenaz restano un gruppo ristretto e rigorosamente chiuso al suo interno, per via matrilineare, attraverso i secoli. Sono i “ruler”, gli attuali “padroni dell’universo”. Veri fenomeni: si tratta di «individui di eccezionale intelligenza». Oltre a mercanti e banchieri, nei millenni, «hanno espresso anche filosofi, scienziati, pensatori che hanno determinato le sorti dell’umanità». L’élite dell’élite: «Nomadi e apolidi, seguono lo sviluppo dei più importanti centri di potere, in una traiettoria sempre diretta verso ovest che oggi, dalla West Coast degli Stati Uniti, ha spiccato il balzo verso la Cina». Sono loro i teorici e i registi del globalismo finanziario, secondo Cianti: religioni e massonerie, Ur-Lodges e centri di potere paramassonici sarebbero solo cinghie di trasmissione del super-sapiens Ashkenaz, protagonista del club più inaccessibile del vero potere.Lungo le sue 400 pagine, “Benvenuti all’inferno” esamina con estrema cura le più recenti asserzioni scientifiche, dall’astrofisica alla paleontologia fino alla climatologia, demolendo Darwin: «La Terra è passata attraverso eventi catastrofici che hanno provocato ripetute estinzioni di massa. E ogni volta il pianeta è stato ripopolato con specie nuove, che non avevano niente a che fare con le precedenti». Fino al sapiens, ultimissimo prodotto di queste “introduzioni”: «Una specie bio-ingegnerizzata, nel cui corredo è stato introdotto Stamina, il gene della paura che ci rende così docili di fronte al potere». Nel saggio “Resi umani” scritto con Mauro Biglino, il prestigioso biologo molecolare Pietro Buffa (già attivo al King’s College di Londra) spiega che il “missing link” tra uomo e scimmia non è mai esistito: a quanto pare siamo stati “fabbricati” diversi, dalla nascita, ben distinti dai primati e dagli stessi ominidi – persino dal Neandearthal, a noi vicinissimo nel tempo, probabilmente sterminato dai nostri antenati.A lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, Biglino sostiene che l’Antico Testamento – alla lettera – racconti l’avvento sulla Terra dei Figli delle Stelle. Proprio loro avrebbero “costruito” il sapiens, riservandosi poi la “fabbricazione”, sempre per via genetica, di una super-specie di lavoratori particolarmente intelligenti: gli adamiti, collocati nel Gan-Eden (da cui poi furono cacciati, dopo che ebbero scoperto la possibilità di riprodursi in modo autonomo, sessualmente). Tuttora, nessun sumerologo sa spiegare esattamente l’origine della civiltà sumera, sorta improvvisamente appena a Sud del Gan-Eden (situato nel Caucaso) e immediatamente dotata di favolose competenze tecniche: scrittura e architettura, matematica, astronomia. E soprattutto: agricoltura. «Proprio la rivoluzione agricola – sostiene Cianti – ha cambiato in modo irrimediabile il pianeta, devastando i suoli e sottraendo acqua, impoverendo la nostra dieta e determinando una vera e propria mutazione antropologica: i primi sapiens erano liberi di muoversi e cacciare, noi invece siamo schiavi inurbati, costretti a lavorare e a nutrirci di cibo ormai avvelenato».La stanzialità come sciagura è il tema del saggio “Dominio”, nel quale Francesco Saba Sardi collega all’introduzione dell’agricoltura la nascita del nuovo potere, prima sconosciuto, che “inventa” la religione per trasformare gli esseri umani in servi, lavoratori della terra e soldati. Figure sociali che non esistevano, prima del neolitico: nacquero con l’agricoltura insieme alla religione e alla sua sorella gemella, la guerra, grazie alla comparsa di quell’inedito potere, configurato in forma di dominio. A questo, Giovanni Cianti aggiunge un’altra disgrazia: l’alimentazione. Giornalista e già pubblicitario, appassionato studioso di biologia, Cianti è anche e soprattutto un nutrizionista, disciplina attraverso cui ha rivoluzionato la pratica del body-building partendo proprio dalla dieta. La minaccia più grande? L’abuso di cereali. Il pane – che ha nutrito milioni di individui – viene dal grano, che è comparso sulla Terra di colpo. Discende dal farro selvatico, che però non è commestibile. Chi l’ha trasformato geneticamente in cereale dolce, da farina? I medesimi, misteriosi individui – si suppone – che allo stesso modo, all’epoca di Adamo ed Eva, “fabbricarono” la patata, insieme con la pecora.Cibo pronto uso e a basso costo, per schiere di futuri lavoratori? L’ipotesi è ora vagliata da scienziati di tutto il mondo, ormai convinti che convenga rivalutare e rileggere con occhi nuovi i testi antichi, poi trasformati arbitrariamente in “libri sacri” dalle religioni che, più tardi, se ne impossessarono, travisandoli: e se in quelle pagine ci fossero gli indizi di una storia attendibile? Se cioè il racconto – incluso quello biblico, con la comparsa degli Elohim (Figli delle Stelle) – spiegasse davvero la nostra origine genetica, altrimenti non ricostruibile solo per via evolutiva? Nel qual caso, dice Cianti, sarà meglio aggiungere una riflessione piuttosto decisiva: se qualcuno – venuto dal cielo? – impiantò sulla Terra la sua “mandria” da mungere, di sicuro non scordò di assicurarla alla custodia di servitori speciali e fidatissimi, a loro volta “bio-ingegnerizzati” alla bisogna: i nostri “mandriani”.Non manca nessuno, nella “hall of fame” dei dominatori che Cianti esibisce, dai secoli passati fino ai giorni nostri: spicca il visionario oligarca Jacques Attali, lo sconcertante mentore di Emmanuel Macron, oscuro profeta del transumanesimo post-democratico. C’è l’eterno Zbigniew Brzezinski, lo storico stratega della Casa Bianca (sodale di Kissinger) che reclutò in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, poi protagonista della strategia della tensione globale sotto l’egida dei Bush. Riflettori su Al Gore, l’ex vice di Clinton, ormai «frontman mondiale della bufala del global warming di origine antropica», il nuovo catechismo recitato dalla piccola Greta, la ragazzina svedese spuntata (in apparenza) dal nulla. Gore ha appena vinto due Oscar con il documentario “Una scomoda verità”, «diretto dal regista “ashkenazi” Davis Guggenheim». Manipolazione? «Se è per questo, erano “ashkenazi” anche Walt Disney e Edward Bernays, l’inventore della propaganda pubblicitaria», dice Cianti, «come pure i fratelli Andy e Larry Whachowski», gli sceneggiatori di “Matrix”, film nato per metterci in guardia «sul destino della “mandria umana”, costretta a vivere come nella caverna di Platone, cioè in un mondo virtuale completamente avulso dalla realtà».Tra i protagonisti negativi, invece, dominano politici e finanzieri: si va da Madeleine Albright, che difese la necessità inevitabile del bagno di sangue nei Balcani negli anni ‘90, alla quasi-popstar George Soros, «ashkenazi di elevata esposizione mediatica, quindi verosimilmente di rango inferiore». Nulla, in confronto ai veri “dominus”, più appartati, come ad esempio i campioni delle celeberrime dinastie Rothschild, Warburg e Rockefeller, sinistramente implicati nell’ascesa di Hitler (e nel nascente sionismo), ben sapendo che il dittatore nazista avrebbe sterminato milioni di ebrei: era il mostruoso prezzo necessario per ottenere poi lo Stato di Israele? Incubi e interrogativi storici a parte, dell’immenso potere di quelle famiglie parla anche il professor Pietro Ratto nei suoi recenti saggi, che rivelano l’incredibile pervasività (purtroppo attualissima) della loro influenza, persino nell’odierna editoria scolatica validata dai ministeri attraverso commissioni, strutture e aziende di cui non parla mai nessuno. Ma quei nomi così famosi – i vituperati Rothschild, tanto per cambiare – potrebbero essere solo la vetta dell’iceberg, la parte visibile.Chi sono e cosa vogliono, quelli che Cianti chiama “i nostri mandriani”? Lo spiega lo stesso Attali, nella sua “Breve storia del futuro”, «libro che anticipa le mosse dei “mandriani” fino al 2100», fornendo «una descrizione terrificante delle loro intenzioni nonché l’evidenza di una straordinaria assenza di empatia, mista a follia e delirio di onnipotenza». L’umanità ridotta a formicaio pilotabile, prevedibile? Il genere umano eventualmente anche sterminabile, all’occorrenza, con le pratiche più insospettabili? Cianti menziona il cibo cancerogeno, i medicinali-killer e l’imposizione di vaccini pieni di alluminio e altri metalli pesanti, come quelli che scendono dal cielo, da una ventina d’anni, diffusi nella bassa atmosfera dalle strane scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Di fronte a questo, il mainstream grida immancabilmente al complottismo, fingendo di non sapere che le teorie più eretiche (incluse quelle bislacche e ridicole) nascono proprio dal silenzio ufficiale, dalla ostinata reticenza di chi dovrebbe fornire spiegazioni convincenti dei fenomeni che allarmano la popolazione. Peccato che sia lo stesso sistema dei media a essere strettamente detenuto da pochissime mani.Oltre a controllare Intesa SanPaolo e Unicredit, scrive Cianti, la filiera Rothschild («connessa agli Agnelli-Elkann e ai Caracciolo») è presente in Facebook, in Telecom Italia, nell’agenzia “Reuters”, nel francese “Libération”, nei britannici “Daily Telegraph” e “The Economist”. Sempre secondo Cianti, il gruppo Rcs (Rizzoli e “Corriere della Sera”) è invece appannaggio della scuderia Rockefeller, mentre il gruppo Sassoon controllerebbe “Sunday Times” e “The Observer”. Stessa musica per i grandi network televisivi internazionali. In Italia, aggiunge Cianti, «appartiene al “cluster” anche Carlo De Benedetti», fondatore del gruppo “Espresso-Repubblica”, che «ha alle spalle Lazard e Lehman Brothers». Un’unica discendenza, addirittura, collegherebbe gli attuali Master of the Universe? «La risposta definitiva – ipotizza Cianti – potrebbe venire dall’Us Trust Corporation, istituita a suo tempo da Walter Rothschild», che però è inaccessibile alla consultazione pubblica. «Secondo alcuni “insider” – aggiunge l’autore del saggio – si tratterebbe di otto-dieci linee di sangue millenarie». I nomi? Goldman Sachs, Rockefeller, Lehman e Kuhn-Loeb di New York. Poi i Rothschild di Parigi e Londra. Poi gli inglesi Windsor, già Sassonia-Coburgo-Gotha, insieme ai Warburg di Amburgo, ai Lazard di Parigi, alla dinastia Israel Moes Seif di Roma.Si tratta di «famiglie che da sole posseggono tutte le banche e le corporation del mondo, attraverso un sistema di scatole cinesi: il vertice della piramide, totalmente “ashkenazi”, resta estremamente ristretto e al di fuori di ogni forma di controllo». Gioielli della collezione, dagli Usa all’Europa fino alla Cina, le superpotenze bancarie: Hsbc Holding, Bnp Paribas, Jp Morgan, Icbc Bank of China e Agricoltural Bank of China, Wells Fargo, Bank od America, China Construction Bank. In generale, scrive Cianti, il meccanismo del big business «riguarda tutti i settori industriali strategici: cibo ed energia, farmaci, armi, informazione e intrattenimento, ma anche droga e traffico di esseri umani e di organi». Il volume mastodontico dell’attuale sistema iper-capitalista e neoliberale, interconnesso dalla globalizzazione, lo fornisce ad esempio il database Orbis 2007, che (come documenta uno studio svizzero pubblicato nel 2011 da “Plos One”) ha passato al setaccio qualcosa come 37 milioni di aziende e investitori globali. Le strutture che detengono il 97% della ricchezza del pianeta, riassume Cianti, sono soltanto 147: in cima alla classifica Barclays, Capital Group Companies, Frm Corporation, Axa Assicurazioni, State Street Corporation, Jp Morgan, Legal General Group, Vanguard Group, Ubs e Merrill Lynch.«Una rete capillare ed estesa, di soggetti che si posseggono a vicenda». Blackrock, «il più grande fondo d’investimento del pianeta, fondato da Lawrence Fink (ashkenazi) ha tra i maggiori azionisti Pnc Financial Service, Norges Bank, Vanguard, Bank of America, Wellington Management Group». A sua volta, Jp Morgan è gestita da Vanguard e Blackrock, insieme a State Street, Bank of New York e altri soci. Sempre le stesse aziende possiedono anche il colosso farmaceutico Merk. La notizia? Secondo Cianti, il vertice è costituito da consanguinei, tutti discendenti dell’ipotetica, originaria super-razza, quella che già agli albori della civiltà inventò il “debito inestinguibile”. Dalla Mesopotamia si arriverebbe tranquillamente fino ai veri campionissimi del terzo millennio, come il sudafricano Elon Musk, fondatore della Tesla, e il fenomenale Mark Zuckerberg, l’enfant prodige di Facebook. A proposito, chi c’è nell’azionariato del social network che “scheda” oltre due miliardi di esseri umani? «Sempre gli stessi: Vanguard e Blackrock, Frm-Lcc, State Street Corporation, Prince T Rowe, Capital World Investors».Globalizzazione? Termine in uso dagli anni ‘80, quando si pianificò l’abolizione dei dazi per merci e capitali. Ma, stando a Cianti, non sarebbe che l’ultimo passaggio tecnico del mondialismo ante litteram perseguito dal misterioso “cluster” del super-sapiens, fin dagli albori della nostra storia. Possibile? L’autore invita a riflettere sul vero significato dell’agenda dell’Onu, organismo – pochi lo sanno – poderosamente finanziato da donatori privati (sempre loro, i mattatori del superclan). Mondialismo mercantilista, che dichiara guerra alle identità – di genere, nazione, religione – per omologare la “mandria” che popolerà l’Iper-Impero dopo l’imminente declino della potenza Usa. Un “impero totale” esteso in ogni continente «con la sola eccezione della Russia, che per ora resiste ma finirà accerchiata da America, Europa, Cina e India». Viaggia sempre verso ovest, dunque, il super-sapiens di cui parla Cianti? Lo conferma, secondo l’autore, il matrimonio di Zuckerberg: «Sua moglie, Priscilla Chan, è nata negli Usa da genitori rifugiati Hou, un gruppo minoritario di usurai cinesi del Vietnam». Gli Hou, scrive Cianti, discendono dagli “ashkenazi d’Oriente” come la famiglia Li (o Lee), che duemila anni fa, al tempo della dinastia Zhou – introdussero la moneta cartacea.Oggi, come dire, si sono portati avanti col lavoro: «Già legati a Mao Tse-Tung, hanno espresso presidenti cinesi come Li-Peng e Li-Xinnian. Oggi, Lee Kwan Yew è il presidente di Singapore». Un altro esponente della dinastia, Li Ka-Shing, secondo “Forbes” ha un patrimonio di 4 miliardi di dollari, mentre Li Kwok-Po gestisce la Bea (Banca dell’Est Asiatico) agendo «in collegamento coi Warburg e restando in ottimi rapporti coi Rothschild, i Rockefeller e i Bush». La nuova corsa all’Ovest, assicura Cianti, vede una strana migrazione: i boss dell’impero digitale della Silicon Valley ormai puntano verso la Nuova Zelanda, che sta diventando «il santuario dei super-sapiens ashkenazi». Il passaggio dalla California all’Oceania «sarà seguito dallo spostamento degli iper-nomadi dell’Ordine Mercantile Usuraio in una sede geograficamente più vicina ai loro nuovi affari, cioè il subcontinente indocinese».La Nuova Zelanda? Un’area scarsamente abitata e pressoché intatta, dal punto di vista naturalistico. Il resto del mondo, invece – prevede Cianti, in modo apocalittico – sarà «costretto a condizioni invivibili, catastrofi climatiche, epidemie indotte, crollo dell’ordine pubblico, terrore nucleare e collasso della civiltà». Le isole dell’Oceania «saranno l’ultimo rifugio: il nuovo santuario dell’élite, sicuro e intoccabile». Scrive Cianti: «Centinaia di tecno-plutocrati e finanzieri stanno acquistando terreni in queste isole per costruire lussuose ville-bunker. Il Deep State, cioè il vero potere dell’impero americano, ha già creato il governo del “santuario”: si tratta di una oligarchia socialista, che li accoglierà garantendo loro sicurezza, anonimato e impunità». L’attuale primo ministro neozelandese, la trentanovenne Jacinda Ardern, già leader dell’Unione internazionale della gioventù socialista, «è una creatura di Hillary Clinton, che le ha fatto da mentore nella carriera politica», guidandone l’ascesa.Il recente attentato di Christchurch contro le moschee musulmane, lo scorso marzo – aggiunge Cianti – era una classica “false flag” (con morti reali) escogitata «per testare la rapidità con la quale si riesce a far sparire da Internet ogni testimonianza diretta di una strage», e ha fornito «il pretesto per disarmare immediatamente tutti i civili del paese». E’ già una specie di bunker, la Nuova Zelanda: «Per risiedervi sono necessari beni per milioni di dollari, oppure bisogna essere cooptati in quelle ristrettissime liste di personale di servizio necessario al sistema. Ogni altra forma di immigrazione è proibita e immediatamente repressa», alla faccia della politica di accoglienza (quella che oggi, per dire, viene imposta all’Italia). Allucinazioni fantapolitiche? Non proprio: nel suo ponderoso volume, ad ogni pagina, l’autore acclude note, link, riferimenti, citazioni. “Benvenuti all’inferno” si inserisce nella recente letteratura divulgativa che tenta di dare risposte ai pesanti interrogativi del presente, rileggendo la storia antica e provando a sincronizzarla con l’attualità.E’ l’ennesimo catastrofista, Angelo Cianti? In realtà si mostra ottimista rispetto alle possibilità del libero arbitrio. Non smette di credere nel sapiens, in fondo. E infatti sogna di rinaturalizzare l’Appennino con il suo Evo Village Project, presentato nel 2018 al ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio. Obiettivo: ricolonizzare i versanti con una rete di ecovillaggi, verso un’economia sostenibile e slegata dalle catene del sistema-debito. La sua tesi sul ruolo dell’ipotetico super-sapiens rischia di apparire fin troppo facilmente demonizzante, col risultato di introdurre discriminazioni “etniche” e scoraggiare i lettori, posti di fronte a un avversario super-umano e quindi invincibile? Intanto, è notevolissimo lo sforzo compiuto dall’autore nel collegare realtà in apparenza lontane fra loro, nel tempo e nella geografia planetaria. Uno stimolo per farsi domande, allargare la mente e verificare connessioni, scovando strane coincidenze nel ricorrere, invariabile, delle medesime “famiglie” che – come si può vedere – in molti casi detengono da secoli (da millenni, secondo Cianti) le redini del globo. Dinastie che mostrano la straordinaria capacità di rendersi invisibili, mimetizzandosi nella società – magari anche a spese dei veri israeliti, di cui si parla spessissimo a sproposito.(Il libro: Giovanni Angelo Cianti, “Pianeta Terra, benveuti all’inferno! Passato, presente e probabile futuro della mandria umana”, Evo Editorial, 401 pagine, euro 27,78 su Amazon).Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.
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Ponti: Tav ridicolo. E ben 133 miliardi di progetti-fantasma
«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».Parlando con Maria Teresa Santaguida dell’agenzia di stampa Agi, Marco Ponti definisce testualmente «un’enorme cazzata» il progetto Tav Torino-Lione. I progetti in giacenza al ministero, ereditati dai governi Renzi e Gentiloni? Non si sa quanto traffico ospiterebbero, né si conosce l’eventuale rientro finanziario: «Si sanno solo i costi, perché sono soldi nostri». Attacca Ponti: «Solo perché si tratta di soldi dei contribuenti, non occorre valutare?». Il professor Ponti, economista, è bersaglio di polemiche dopo che la sua analisi ha sonoramente bocciato la Torino-Lione. Si difende contrattaccando: per decenza, si faranno analisi costi-benefici su tutti i progetti-fantasma parcheggiati al ministero da Delrio. Molte opere avrebbero alternative meno costose, tutte da analizzare. «Sulla Tav è più difficile, perché quello è un “tubo”: o si fa o non si fa». Il professore, intanto, critica «l’assioma» per il quale il trasporto su ferro inquinerebbe meno di quello su gomma: «Grazie alla tecnologia abbiamo già risultati strepitosi: un camion di oggi inquina un decimo di uno di vent’anni fa. E questa è la strada che sta seguendo tutto il mondo: si investono decine di miliardi per fare veicoli ibridi o elettrici. Tecnologia che poi pagano gli utenti, mentre la ferrovie le paghiamo noi».Tra le accuse a Ponti, l’aver redatto in passato una pubblicazione che valutava positivamente la Torino-Lione. Il professore si infuria: «Il precedente studio è una balla, è una delle bugie più odiose pronunciate da Enrico Mentana: quello che ha fatto è orrendo». E spiega: «Quello studio non era un’analisi costi-benefici, ma un’analisi di valore aggiunto: il che non ha niente a che vedere con l’analisi costi-benefici». Aggiunge Ponti: «Col valore aggiunto è fattibile qualsiasi cosa, anche un’autostrada di alluminio tra la Sicilia e la Sardegna, perché non misura il rapporto tra costi e benefici: infatti ai politici piace tantissimo». Secondo lo studioso, confrontare la stima del valore aggiunto con l’analisi costi-benefici «è una porcata indegna di un giornalista serio». Tutti, ovviamente, l’hanno usata per dire: ecco, Ponti dice una volta sì e l’altra no, a seconda di chi lo paga. Falso: la consulenza al governo gialloverde è gratis. «Ci tengo a dire che non sono pagato, per mia scelta», sottolinea Ponti: «La libertà ha un prezzo, io sono ricco e non me ne frega niente». Insiste: «Nessuno deve potermi dire che dico sì o no perché sono pagato. Da 10 anni valuto i progetti sulla base dei costi e dei benefici che riesco a calcolare».Il progetto Torino-Lione, aggiunge Ponti, «mi dicevano già che era indifendibile: non sarebbe stato un buon uso delle risorse pubbliche, perché costa troppo caro rispetto al traffico che ci passerebbe su». E come spiegare, allora, tanta insistenza nel proporre una grande opera così disastrosamente sgangherata, improbabile, inutile e oltretutto avversata dall’intera comunità locale della valle di Susa? «La lobby ferroviaria in Europa è intoccabile perché muove voti e soldi», sostiene Ponti: viene dunque da lontano l’ostinazione ventennale sulla ridicola Torino-Lione. Colpa della potente lobby europea, che si mette tranquillamente in tasca Bruxelles. «La Commissione Europea – dice ancora Ponti – decide senza seguire le regole, tra cui quella in base alla quale chi inquina paga, perché anche le ferrovie sono altamente inquinanti». E attenzione: «I ritorni finanziari sull’investimento per infrastrutture ferroviarie sono sempre zero». Chi gliel’ha detto? «La stessa commissaria Ue ai trasporti, la slovena Violeta Bulc».«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».
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Gli Usa vogliono il Venezuela, ma il popolo (86%) si oppone
La Guerra Fredda 2.0 ha fatto scalo in Sudamerica. Gli Stati Uniti e i loro soliti vassalli si trovano di fronte ai quattro pilastri dell’integrazione eurasiatica in corso: Cina, Iran, Russia e Turchia. È sì una questione di petrolio, ma non solo. Caracas ha commesso un peccato capitale agli occhi dei neocon; scambiare petrolio bypassando il dollaro Usa e i mercati controllati dagli Stati Uniti. Ricordate cos’è successo in Iraq? Ricordate cos’è successo in Libia? Eppure anche l’Iran sta facendo lo stesso. E così la Turchia. La Russia – perlomeno in parte – è sulla strada. E la Cina finirà per scambiare tutte le proprie fonti energetiche in petroyuan. Già lo scorso anno l’amministrazione Trump aveva sanzionato Caracas, dopo che il Venezuela aveva adottato la petro cripto-valuta ed il bolivar sovrano, escludendola dal sistema finanziario internazionale. Non c’è da stupirsi che Caracas sia sostenuta da Cina, Iran e Russia. Sono loro la vera Troika – e non la ridicola “troika tirannica”, così definita da John Bolton – che combatte contro la strategia di dominio energetico del governo Usa , che essenzialmente consiste nel continuare per sempre a scambiare petrolio in petrodollari.Il Venezuela è un ingranaggio-chiave nella macchina. Lo psico-assassino Bolton l’ha pubblicamente ammesso: «Farebbe tutta la differenza del mondo se le nostre compagnie potessero investire in Venezuela e sfruttarne le capacità petrolifere». Non si tratta solo di lasciare che la Exxon prenda il controllo delle enormi riserve di petrolio venezuelane, le più grandi del pianeta. La chiave è monopolizzare il loro sfruttamento in dollari Usa, a beneficio dei miliardari del cartello Big Oil. Ancora una volta, quel che è in gioco è la maledizione delle risorse naturali. Il Venezuela non deve poter trarre profitto dalla propria ricchezza alle condizioni che vuole; i promotori dell’eccezionalismo americano hanno quindi stabilito che lo Stato venezuelano debba essere distrutto. Alla fine, è tutta una questione di guerra economica. Vedasi l’imposizione da parte del Dipartimento del Tesoro di nuove sanzioni alla Pdvsa, che de facto equivalgono a un embargo petrolifero contro il Venezuela.È oramai appurato che quanto accaduto a Caracas non sia stata una rivoluzione colorata, ma un “regime change” promosso dagli Usa. Si è tentato di sfruttare le locali élite di “comprador” per installare come “presidente ad interim” un personaggio sconosciuto, Juan Guaidó, col suo look mansueto che, un po’ come Obama, in realtà maschera un animo da estrema destra. Tutti ricordano “Assad deve andarsene”. Il primo stadio della rivoluzione colorata siriana fu l’istigazione alla guerra civile, seguita da una guerra per procura tramite mercenari jihadisti da tutto il mondo. Come notato da Thierry Meyssan, il ruolo della Lega Araba viene ora recitato dall’Oas. E quello di Friends of Syria – ora gettato nella spazzatura della storia – dal Gruppo di Lima, il club dei vassalli di Washington. Al posto dei “ribelli moderati” di al-Nusra, potremmo avere mercenari “ribelli moderati” colombiani – o di varia estrazione ma addestrati negli Emirati.Contrariamente a quanto dicono i media mainstream occidentali, le ultime elezioni in Venezuela sono state assolutamente legittime. Non c’era modo di manomettere le macchine per il voto elettronico, made in Taiwan. Il Partito Socialista salito al potere ha ottenuto il 70% dei voti. Una rigorosa delegazione del Consiglio degli Esperti Elettorali dell’America Latina (Ceela) è stata chiara: l’elezione ha rispecchiato «in modo trasparente la volontà dei cittadini venezuelani». L’embargo americano è sicuramente maligno. Bisogna però anche ammettere che il governo Maduro è stato abbastanza incompetente nel non diversificare l’economia e nel non investire nell’autosufficienza alimentare. Rilevanti importatori di cibo, speculando come se non ci fosse un domani, stanno facendo una fortuna. Fonti attendibili a Caracas dicono tuttavia che i barrios – i quartieri popolari – al momento rimangono in gran parte pacifici.In un paese dove un pieno di benzina costa meno di una lattina di Coca-Cola, non v’è dubbio alcuno che sia stata la cronica penuria di cibo e medicinali ad aver costretto almeno due milioni di persone a lasciare il Venezuela. Il fattore chiave dell’offensiva è stato però l’embargo statunitense. Alfred de Zayas, l’inviato Onu in Venezuela, esperto di diritto internazionale ed ex segretario del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, va dritto al punto: più che attaccare Maduro, Washington sta conducendo una “guerra economica” contro un’intera nazione. È illuminante vedere come il “popolo venezuelano” consideri la situazione. In un sondaggio condotto da Hinterlaces ancor prima del golpe, l’86% dei cittadini aveva dichiarato di essere contrario a qualsiasi tipo di intervento Usa, militare o di altro tipo. E l’81% dei venezuelani ha dichiarato di essere contrario alle sanzioni statunitensi. Ne hanno abbastanza di “benigne” interferenze straniere a favore di “democrazia” e “diritti umani”.Le analisi di acuti osservatori come Eva Golinger, e soprattutto il collettivo Mision Verdad, sono estremamente utili. Quel che è certo, in puro stile Impero del Caos, è che il fine americano, al di là di embargo e sabotaggio, è quello di fomentare la guerra civile. Instabili “gruppi armati” sono stati attivati nei barrios di Caracas, agendo nel cuore della notte ed amplificando i “disordini” sui social media. Eppure Guaidó non ha assolutamente alcun tipo di potere all’interno del paese. La sua unica possibilità di successo è riuscire a installare un governo parallelo – incassando le entrate petrolifere e facendo in modo che Washington arresti i membri del governo con pretestuose accuse. Indipendentemente dai sogni bagnati dei neocon, i tipi al Pentagono dovrebbero sapere che un’invasione del Venezuela potrebbe sfociare in un pantano in stile Vietnam. L’uomo forte brasiliano in attesa, il vicepresidente e generale in pensione Hamilton Mourao, ha già detto che non ci sarà alcun intervento militare.L’ormai famigerato foglietto dello psicopatico assassino Bolton con su scritto “5.000 truppe in Colombia” è uno scherzo; non avrebbero alcuna chance contro i 15.000 cubani responsabili della sicurezza del governo Maduro; i cubani nel corso della storia hanno dimostrato che non sono molto inclini a cedere il potere. Dipende tutto da cosa faranno Cina e Russia. La prima è la maggior creditrice del Venezuela. Maduro è stato ricevuto lo scorso anno da Xi Jinping a Pechino, dal quale ha ricevuto ulteriori 5 miliardi di prestiti, in dollari, e col quale ha firmato almeno 20 accordi bilaterali. Putin gli ha invece offerto il proprio pieno sostegno al telefono, sottolineando che «le distruttive interferenze dall’estero violano palesemente le norme basilari del diritto internazionale». A gennaio 2016, il petrolio si attestava a 35 dollari al barile, un disastro per le casse del Venezuela. Maduro ha allora deciso di trasferire alla russa Rosneft il 49,9% della partecipazione statale in Citgo, sussidiaria americana di Pdvsa, per un semplice prestito di 1,5 miliardi.Non ci poteva essere notizia peggiore per Washington: i “cattivi” russi erano ora entrati in possesso di parte del principale asset del Venezuela. Alla fine dello scorso anno, bisognoso di ulteriori fondi, Maduro ha aperto alle compagnie minerarie russe l’estrazione dell’oro nel proprio paese. E non solo oro; alluminio, bauxite, diamanti, minerale di ferro, nichel, tutti ambìti da Russia, Cina e Stati Uniti. Per quanto riguarda l’oro venezuelano in mano alla Banca d’Inghilterra (1,3 miliardi di dollari) le possibilità di rimpatriarlo sono zero. E poi, lo scorso dicembre, è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso del Deep State; il volo amichevole di due bombardieri russi Tu-160 con capacità nucleari. Come osano? Nel nostro cortile?La strategia energetica dell’amministrazione Trump potrebbe implicare l’annessione del Venezuela ad un cartello parallelo di “Paesi Nord-Sud Americani per l’Esportazione di Petrolio” (Nasapec), in grado di rivaleggiare con l’alleanza Russia-Casa di Saud. Se anche ciò si realizzasse, e aggiungendo una possibile alleanza congiunta tra Stati Uniti e Qatar (basata su gas naturale liquefatto), non vi è però alcuna garanzia che sarebbe sufficiente ad assicurare ai petrodollari – e al petrogas – preminenza nel lungo periodo. L’integrazione energetica dell’Eurasia aggirerà il petrodollaro; questo il cuore della strategia di Brics e Sco. Da Nord Stream 2 a Turk Stream, la Russia vuole siglare una partnership energetica a lungo termine con l’Europa. E il dominio petroyuan è solo una questione di tempo. Mosca lo sa. Anche Ankara, Riyadh, Tehran lo sanno. Che ne dite allora del piano B, cari neocon? Siete pronti per il vostro Vietnam in salsa tropicale?(Pepe Escobar, “Venezuela, come stanno realmente le cose”, da “Information Clearing House” del 5 febbraio 2019; articolo tradotto da “Hmg” per “Come Don Chisciotte”).La Guerra Fredda 2.0 ha fatto scalo in Sudamerica. Gli Stati Uniti e i loro soliti vassalli si trovano di fronte ai quattro pilastri dell’integrazione eurasiatica in corso: Cina, Iran, Russia e Turchia. È sì una questione di petrolio, ma non solo. Caracas ha commesso un peccato capitale agli occhi dei neocon; scambiare petrolio bypassando il dollaro Usa e i mercati controllati dagli Stati Uniti. Ricordate cos’è successo in Iraq? Ricordate cos’è successo in Libia? Eppure anche l’Iran sta facendo lo stesso. E così la Turchia. La Russia – perlomeno in parte – è sulla strada. E la Cina finirà per scambiare tutte le proprie fonti energetiche in petroyuan. Già lo scorso anno l’amministrazione Trump aveva sanzionato Caracas, dopo che il Venezuela aveva adottato la petro cripto-valuta ed il bolivar sovrano, escludendola dal sistema finanziario internazionale. Non c’è da stupirsi che Caracas sia sostenuta da Cina, Iran e Russia. Sono loro la vera Troika – e non la ridicola “troika tirannica”, così definita da John Bolton – che combatte contro la strategia di dominio energetico del governo Usa , che essenzialmente consiste nel continuare per sempre a scambiare petrolio in petrodollari.
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Cosa sono quelle scie bianche che imbrattano i nostri cieli?
La trattativa con Bruxelles sul bilancio, d’accordo. E i migranti, e Salvini, e Battisti. E Tria, e Macron, e i Gilet Gialli. D’accordo. Ma quelle scie lassù in cielo, esattamente, cosa sono? Le rilasciano gli aerei. Una volta, vent’anni fa, le scie svanivano subito dopo il passaggio del velivolo. Succede ancora oggi, ma è raro. Il più delle volte, queste nuove scie restano sospese a mezz’aria. E lentamente si espandono, e si abbassano. Diventano nuvole e velano l’azzurro, facendo impallidire il sole. Cosa sono? Non si sa, esattamente. Se qualcuno lo sa, non lo dice. Non lo spiega. Dice, al massimo: è aumentato il numero dei voli (che però, da qualche anno, è in diminuzione). Dice che forse è cambiato il tipo di carburante, e parla di vapore acqueo. Davvero? Ma il vapore, si sa, si dissolve subito. Non siamo noi a irrorare i cieli, assicura l’aeronautica militare. O meglio, dice questo: che gli aerei militari italiani non disperdono nell’aria sostanze misteriose. Un altro militare, il generale Fabio Mini, già comandante della Nato in Kosovo, dice un’altra cosa. Sostiene che i cittadini dovrebbero pretendere risposte esaurienti, su questo fenomeno così strano e visibile. Risposte esaurienti non sono state date neppure al Parlamento, di fronte a puntuali interrogazioni: cosa sono, quelle scie che restano per ore nel cielo fino a trasformarsi in nubi? Già: perché non rispondere, nemmeno ai parlamentari?Tutti le vedono, le strisce, ma in quanti ci fanno caso? Qualcuno le chiama scie chimiche, suscitando l’ilarità di altri, che prendono in giro quelli che “credono nelle scie chimiche”. Credere? Non c’è bisogno di coltivare una fede: basta alzare gli occhi al cielo, in qualsiasi momento. Si vedrà l’azzurro costantemente rigato dalle scie bianche e poi “sporcato”, quando le stesse scie – una volta allargatesi – avranno assunto un colorito grigiastro. Sono veleni? Sono sostanze che rendono l’atmosfera più riflettente per le onde radio, a scopo militare? Sono un velo pietoso che tenta di schermare la Terra, che si sta surriscaldando sotto l’azione del sole? Sono amiche o nemiche, queste scie? Contengono alluminio, come qualcuno dice, o invece sono cariche di ioduro d’argento, come quello che in tanti paesi – tra cui Israele e la Cina – viene normalmente usato, nelle zone aride, per provocare precipitazioni? Quelle sarebbero, appunto, le scie amiche. Di quelle nemiche ha invece parlato il giornalista Gianni Lannes, spiegando che nel 2001 – su richiesta di Bush – Berlusconi autorizzò l’impiego dello spazio aereo italiano per condurre test di modificazione climatica mediante aviodispersione (arosol) di sostanze prodotte in laboratorio. Gli esperimenti sarebbero poi stati avviati nel 2003.Da circa 15 anni, infatti, la rete bianca delle scie si è andata progressivamente infittendo, senza che nessuno – a livello ufficiale – si sia mai preso la briga di spiegare un fenomeno quotidiano così vistoso. E’ talmente smisurata, la dose quotidiana di scie, che dopo un po’ ci si fa l’abitudine. Quando sono veramente tante, poi, e molto concentrate, dopo qualche ora assomigliano a vere formazioni nuvolose. E invece sono sempre loro: un prodotto artificiale, creato dal transito degli aerei. Solo talmente consuete, ormai – e così tante – che in molti non ci fanno neppure più caso. Sono diventate parte del paesaggio. Per non perderle di vista basta alzare gli occhi al cielo: sono sopra la nostra testa, sempre. Sopra tutti e tutto: sopra Salvini e il reddito di cittadinanza, le elezioni europee, il decreto sicurezza, le pensioni, le tasse. Sugli oceani, galleggiano miliardi di tonnellate di plastica, rifiuti ridotti a poltiglia. Si sa perché sono lì: perché siamo una civiltà un po’ folle. Sono lì – le isole di plastica, grandi quanto continenti – perché non abbiamo voluto spendere i soldi necessari a smaltirle. Hanno una spiegazione, le isole di plastica. Le strisce in cielo, invece, ancora no. Non si sa perché stanno lassù. E a dire il vero, non si sa nemmeno cosa siano. Perché nessuno l’ha ancora voluto spiegare.La trattativa con Bruxelles sul bilancio, d’accordo. E i migranti, e Salvini, e Battisti. E Tria, e Macron, e i Gilet Gialli. D’accordo. Ma quelle scie lassù in cielo, esattamente, cosa sono? Le rilasciano gli aerei. Una volta, vent’anni fa, le scie svanivano subito dopo il passaggio del velivolo. Succede ancora oggi, ma è raro. Il più delle volte, queste nuove scie restano sospese a mezz’aria. E lentamente si espandono, e si abbassano. Diventano nuvole e velano l’azzurro, facendo impallidire il sole. Cosa sono? Non si sa, esattamente. Se qualcuno lo sa, non lo dice. Non lo spiega. Dice, al massimo: è aumentato il numero dei voli (che però, da qualche anno, è in diminuzione). Dice che forse è cambiato il tipo di carburante, e parla di vapore acqueo. Davvero? Ma il vapore, si sa, si dissolve subito. Non siamo noi a irrorare i cieli, assicura l’aeronautica militare. O meglio, dice questo: che gli aerei militari italiani non disperdono nell’aria sostanze misteriose. Un altro militare, il generale Fabio Mini, già comandante della Nato in Kosovo, dice un’altra cosa. Sostiene che i cittadini dovrebbero pretendere risposte esaurienti, su questo fenomeno così strano e visibile. Risposte esaurienti non sono state date neppure al Parlamento, di fronte a puntuali interrogazioni: cosa sono, quelle scie che restano per ore nel cielo fino a trasformarsi in nubi? Già: perché non rispondere, nemmeno ai parlamentari?
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I biologi: vaccini “sporchi”, con diserbanti e feti abortiti
Vaccini “sporchi”, con tracce di diserbante e Dna umano ricavato da feti abortiti. E vaccini anche inutili, cioè privi delle necessarie sostanze immunizzanti. E’ esplosiva la denuncia di Vincenzo D’Anna, presidente dell’ordine dei biologi, sulla scorta delle analisi effettuate su vaccini somministrati ai bambini italiani. Risultati-choc, quelli che D’Anna ha presentato in esclusiva a Franco Bechis, direttore del quotidiano “Il Tempo”. «In alcuni casi la prova scientifica ha dato l’esito che ci attenderebbe: vaccini prodotti a regola d’arte. In altri no». Per due di questi, aggiunge Bechis, gli esiti delle analisi biologico-genomiche sono stati «clamorosi e preoccupanti, perché i campioni prelevati da diversi lotti tutto sembravano meno che essere confezionati secondo le regole». In un caso, quello del vaccino da impiegare per morbillo, rosolia, parotite e varicella, «si è rilevata la totale assenza degli antigeni del virus della rosolia». Quegli stessi lotti sarebbero quindi stati utilizzati «per migliaia di vaccinazioni inutili». In assenza dell’antigene necessario, infatti, «chiunque sia stato vaccinato può prendersi la rosolia esattamente come non avesse mai visto un vaccino». Nel secondo referto di laboratorio, analisi e contro-analisi che riguardavano un altro vaccino multivalente (difterite, tetano, pertosse ed epatite B) è stata rilevata «la presenza di sostanze che non dovevano esserci (ad iniziare dal Dna umano)», sia pure in dosi microscopiche, eppure «potenzialmente dannose per la salute dell’uomo».Pubblicati su riviste scientifiche internazionali, questi risultati – spiega lo stesso Bechis il 23 dicembre sul “Tempo” – porteranno a un esposto che verrà presentato all’Agenzia italiana del Farmaco, alla sua “madre” europea (l’Ema), ai Nas dei carabinieri e alle competenti procure della Repubblica. Tanto per cominciare, Vincenzo D’Anna non è ostile ai vaccini: «Come tutti i biologi – premette – credo nella utilità delle vaccinazioni, sono un pro-vax». E le analisi appena svolte non volevano controllare l’efficacia dei vaccini, ma soltanto verificare «la qualità della realizzazione dei prodotti messi in commercio». Ed e lì che sono arrivate le sorprese: le analisi «hanno rilevato decine di impurità in più lotti». Al momento, rivela D’Anna, «sono state individuate 43 sostanze improprie, nel senso che lì non si sarebbero dovute trovare». Ovvero? «Anticrittogamici, diserbanti, glifosato, antibiotici, antimalarici». Spiega il presidente dei biologi italiani: «Un antibiotico non deve stare in un vaccino. Un antimalarico neppure. Come un erbicida». Nelle analisi, aggiunge, si è trovata «tutta una serie di inquinanti che lì non dovrebbero esserci». Si parla di nanogrammi, precidsa D’Anna: nanoparticelle. Ma attenzione: «Nn si tratta di sostanze ingerite, ma iniettate», quindi interamente assorbite. «E in alcuni casi (ad esempio l’alluminio) non smaltibili».Precisa ancora D’Anna: «Non è nostro compito accertare né la nocività, né la tossicità dei materiali». Però, aggiunge, da quelle analisi è venuto fuori altro, «come l’assenza del virus della rosolia, che in sé potrebbe configurare una frode in commercio». Infatti, «migliaia di bambini che si sono vaccinati con quel lotto non sarebbero coperti verso la rosolia». Altra sorpresa sconcertante: «Sono state rilevate quantità improprie di Dna fetale». Com’è possibile? Lo spiega il biologo: «I virus vengono fatti replicare per fare le dosi occorrenti su materiale fetale da aborto, oppure su uova di galline. Ed è per quello che trovi i diserbanti o il glifosato, gli anticrittogamici e gli antiparassitari». Inutile aggiunge che, in un vaccino, quelle tracce «non dovrebbero esserci». Domanda Bechis: ma non c’è stato un esame pubblico di laboratorio su quelle dosi? La risposta: «Lei l’ha visto? Ne conosce i risultati?». Purtroppo, dichiara D’Anna, «c’è una aporìa giuridica», un vicolo cielo procedurale. «I test sul prodotto finito non sono obbligatori per il produttore. Li dovrebbero fare le strutture statali che proteggono la salute dei cittadini. Ma io non le ho mai viste», aggiunge D’Anna, «anche perché qualsiasi risultato è tenuto segreto un po’ come la ricetta della Coca Cola, per evitare che qualche concorrente copi la formula industriale di produzione del vaccino».Ma cosa sarebbe accaduto, domanda Bechis, se nei laboratori di Stato fossero emersi i clamorosi risultati che stiamo citando? «Avrebbero dovuto chiamarsi il produttore dei vaccini e chiedere spiegazioni», risponde D’Anna. «Certo dovrebbero chiedere come fanno ad esserci gli anticorpi della rosolia, se non c’è l’antigene». Per quanto riguarda il vaccino per tetano e difterite, non sono stati trovati quattro distinti “tossoidi” (cioè antigeni proteici) come dovrebbe essere, ma una sola macromolecola fatta da queste quattro proteine (relative a tetano, pertosse, difterite, epatite) “denaturate” dalla presenza di un conservante come la formaldeide. «Questa macromolecola precipita al fondo della provetta e, attaccata con tripsina, non risponde». E’ un comportamento anomalo, chiarisce D’Anna: «Dovrebbero esserci le quattro proteine dei vaccini previsti che, se attaccate con tripsina, dovrebbero sciogliersi. Questo non accade, e quindi nella macromolecola non ci sono solo proteine. Faremo un esposto all’Aifa e all’Ema – aggiunge il biologo – per capire se sono a conoscenza di queste cose».Insiste D’Anna: «Anche tutto fosse lecito e innocuo, come minimo bisognerebbe informarne le autorità e i cittadini che usano i vaccini». Secondo problema: «In questi vaccini è stato riscontrato un numero significativo di peptidi (cioè frammenti corti di sequenze di aminoacidi) di origine batterica, probabilmente provenienti da batteri “avventizi” che contaminano le colture. A questi – prosegue il biologo – si aggiungono 65 sostanze chimiche contaminanti, 35% note, (finora abbiamo replicato i risultati su un solo lotto, l’unico disponibile tramite le farmacie su tutto il territorio italiano da oltre un anno), di cui 7 sono tossine chimiche». Anche questi composti, spiega D’Anna, «devono essere confermati nella struttura da uno studio con standard di controllo». E quindi «bisogna che le agenzie ripetano queste analisi, facciano i controlli e rendano pubblici sia i risultati che il loro giudizio». I biologi italiani non si tirano indietro: per il 25 gennaio a Roma, D’Anna anuncia un grande convegno, dal titolo “Vaccinare in sicurezza”, con la partecipazione di scienziati stranieri e italiani, tra i quali Giulio Tarro (da poco insignito negli Usa del premio di miglior virologo). Obiettivo: premete sulle autorità per avere la certezza che i vaccini somministrati ai bambini siano “puliti” e sicuri.Vaccini “sporchi”, con tracce di diserbante e Dna umano ricavato da feti abortiti. E vaccini anche inutili, cioè privi delle necessarie sostanze immunizzanti. E’ esplosiva la denuncia di Vincenzo D’Anna, presidente dell’ordine dei biologi, sulla scorta delle analisi effettuate su vaccini somministrati ai bambini italiani. Risultati-choc, quelli che D’Anna ha presentato in esclusiva a Franco Bechis, direttore del quotidiano “Il Tempo”. «In alcuni casi la prova scientifica ha dato l’esito che ci attenderebbe: vaccini prodotti a regola d’arte. In altri no». Per due di questi, aggiunge Bechis, gli esiti delle analisi biologico-genomiche sono stati «clamorosi e preoccupanti, perché i campioni prelevati da diversi lotti tutto sembravano meno che essere confezionati secondo le regole». In un caso, quello del vaccino da impiegare per morbillo, rosolia, parotite e varicella, «si è rilevata la totale assenza degli antigeni del virus della rosolia». Quegli stessi lotti sarebbero quindi stati utilizzati «per migliaia di vaccinazioni inutili». In assenza dell’antigene necessario, infatti, «chiunque sia stato vaccinato può prendersi la rosolia esattamente come non avesse mai visto un vaccino». Nel secondo referto di laboratorio, analisi e contro-analisi che riguardavano un altro vaccino multivalente (difterite, tetano, pertosse ed epatite B) è stata rilevata «la presenza di sostanze che non dovevano esserci (ad iniziare dal Dna umano)», sia pure in dosi microscopiche, eppure «potenzialmente dannose per la salute dell’uomo».
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Cbs News: uno studio presenta le scie chimiche “buone”
Come probabilmente ricorderete, nell’aprile dell’anno scorso era stata la prestigiosa università di Harvard a proporre la ricetta di spargere in cielo una nube di particelle di ossido di alluminio per bloccare i raggi solari e raffreddare il pianeta. L’azione e il metodo si rendevano necessari, dicevano i ricercatori, per combattere l’odioso global warming, e la giustificazione esplicita era che sarebbe impensabile che il capitalismo e l’industrializzazione possano rallentare la loro corsa a produrre co2 e altri tipi d’inquinamento. Quindi, la soluzione: inquiniamo un po’ di più, volontariamente, ma fin di bene! Quest’anno invece si sono esposti due ricercatori, Wake Smith e Gernot Wagner, che hanno pubblicato uno studio peer-reviewed per studiare le strategie di iniezione di aereosol nella stratosfera, e il loro costo. La ricerca è stata raccontata al grande pubblico in un articolo dello scorso 23 novembre di “Cbs News”, che ci informa dei principali risultati, sempre con la consueta ricetta: “Una flotta di 100 aerei che facesse 4000 missioni all’anno nel mondo potrebbe aiutare a salvare il mondo dal cambiamento climatico. E sarebbe relativamente economico”.Questa volta, quindi, il riferimento a spargere tali sostanze dagli aerei è esplicito fin nella stesura finale, mentre nella proposta di Harvard gli aerei erano presenti nella fase preliminare del progetto, ed erano stati rimossi nel testo finale in favore di fantomatici palloni sonda. Cade quindi la prima delle principali obiezioni dei mistificatori nostrani ed esteri, secondo cui occorrerebbe un impegno troppo vasto ed un numero troppo alto di aerei per portare a termine modificazioni significative tramite le scie chimiche. Più precisamente l’articolo spiega che «nel loro piano ipotetico, la flotta inizierebbe con otto aerei nel primo anno e arriverebbe ad appena meno di 100 in 15 anni. Nell’anno uno, ci sarebbero 4.000 missioni, fino ad arrivare a poco più di 60.000 missioni nell’anno quindici». Anche questo dato, ovviamente, smonta le obiezioni dei mistificatori: 60.000 missioni all’anno non sono assolutamente proibitive, quando in una giornata tipica vengono messi in volo 40.000 aerei, e nella giornata record si è arrivati a 200.000.L’articolo puntualizza anche i costi: «Questo tipo di geoingegneria sarebbe tecnicamente possibile, valutandola da un punto di vista strettamente ingegneristico. Sarebbe inoltre rimarcabilmente economico, con un costo medio tra 2 e 2,5 miliardi di dollari l’anno, per i primi 15 anni». Quindi, scie chimiche di particolato spruzzate da aerei messi in volo appositamente per questi scopi. Come hanno fatto i ricercatori a pubblicare roba del genere, proponendo queste cose nel dettaglio, dicendo che sono fattibili, spiegandole, ma senza raccontarci che le stanno effettivamente già facendo da più di vent’anni? Semplice! Hanno detto che la quota ottimale per fare queste irrorazioni è di 18.000 metri, non certo i 10.000 metri a cui volano gli aerei di oggi, quindi si può fare tutto e a basso prezzo, ma nel futuro! Tutto perfettamente in linea con la decennale strategia di normalizzazione conosciuta come “finestra di Overton”, cioè in parole povere alla nostra capacità di accettare cose altrimenti inaccettabili se i cambiamenti sono lenti, costanti, e dilazionati nel tempo.E per fare ciò hanno dovuto darci conferme ufficiali, e certificate, sulla fattibilità e sull’esiguo numero di voli, e sull’economicità di queste attività mondiali. E questo resterà agli atti. Ma c’è anche un tema ancor più spinoso, e anche più importante per noi comuni cittadini, un tema che questo studio reintroduce in maniera indiretta facendo un dietrofront rispetto agli studi di Harvard: quello dei materiali da spruzzare. Già all’epoca c’è stato raccontato che il materiale che gli scienziati reputano migliore per essere spruzzato in atmosfera è qualcosa che faccia da specchio per i raggi solari e li rimandi verso lo spazio, e per questo scopo non ci sarebbe niente di meglio dei solfati; peccato che i solfati in atmosfera si combinino con l’ossigeno e con l’acqua presenti in sospensione, e generino ricadute di acido solforico, diventando un vero incubo per le pubbliche relazioni nel tentare di convincere la gente che per ridurre il global warming dobbiamo accettare le piogge acide. Ecco perchè nell’ultimo anno delle ricerche di Harvard ai solfati era stato sostituita l’allumina, un particolare ossido d’allumino sottoprodotto della Bauxite usato nell’industria del vetro per aumentare la riflettività delle superfici. Roba che comunque nessuno vorrebbe respirare, particolato Pm1 di metalli pesanti, ma comunque roba molto meno scomoda da accettare dell’acido solforico.Invece gli articolisti della “Cbs” fingono di ignorare questa “piccola” problematica dei solfati, e semplicemente tengono ben distanti la notizia di qual è secondo questa ricerca il miglior materiale da spruzzare, spiegato all’inizio, con la considerazione sul problema dell’acidificazione degli oceani, raccontata invece alla fine: «Mentre l’anidride carbonica continua ad aumentare, gli oceani stanno diventando sempre più acidi. Secondo il National Oceanic and Atmosferic Administration statunitense (Noaa), l’acidificazione degli oceani può confluire attraverso la catena alimentare oceanica, riducendo la capacità dei gusci e dei coralli che costruiscono le barriere coralline di produrre i loro scheletri. L’iniezione di aerosol nella stratosfera limita semplicemente il sole, non affronta l’accumulo di anidride carbonica sottostante. L’oceano continuerebbe ad acidificare». Ecco, figuriamoci spargendo solfati! Buon appetito!(Riccardo Pizzirani, “Scie Chimiche: continua la strategia della normalizzazione”, dal blog “Luogo Comune” del 30 novembre 2018).Come probabilmente ricorderete, nell’aprile dell’anno scorso era stata la prestigiosa università di Harvard a proporre la ricetta di spargere in cielo una nube di particelle di ossido di alluminio per bloccare i raggi solari e raffreddare il pianeta. L’azione e il metodo si rendevano necessari, dicevano i ricercatori, per combattere l’odioso global warming, e la giustificazione esplicita era che sarebbe impensabile che il capitalismo e l’industrializzazione possano rallentare la loro corsa a produrre co2 e altri tipi d’inquinamento. Quindi, la soluzione: inquiniamo un po’ di più, volontariamente, ma fin di bene! Quest’anno invece si sono esposti due ricercatori, Wake Smith e Gernot Wagner, che hanno pubblicato uno studio peer-reviewed per studiare le strategie di iniezione di aereosol nella stratosfera, e il loro costo. La ricerca è stata raccontata al grande pubblico in un articolo dello scorso 23 novembre di “Cbs News”, che ci informa dei principali risultati, sempre con la consueta ricetta: “Una flotta di 100 aerei che facesse 4000 missioni all’anno nel mondo potrebbe aiutare a salvare il mondo dal cambiamento climatico. E sarebbe relativamente economico”.
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Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?
Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.«La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.«Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».«Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?«La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.
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Scie chimiche, Gianini: se smontate un aereo scoprite tutto
«Mi portino pure in tribunale», dice. «Gli dirò di fare una cosa semplicissima: basta prendere un aereo e smontarlo, per capire subito da dove vengono quelle scie». Enrico Gianini, per anni operatore aeroportuale a Milano Malpensa, ha le idee chiarissime sulle strane tracce, bianche e persistenti, che da circa 15 anni intasano letteralmente i nostri cieli. «Tutti sanno tutto, in aeroporto, ma nessuno dice niente», dichiara Gianini ai microfoni di “Border Nights”, denunciando l’omertà generale che coprirebbe la cosiddetta irrorazione quotidiana dell’atmosfera. «Sanno tutto anche i piloti, la cui mortalità sembra sia in aumento: tumori e infarti». Da quando le normative antiterrorismo li obbligano a volare in cabine sigillate, aggiunge, proprio i piloti sono i primi a respirare l’aria inquinata dai composti destinati a essere rilasciati dall’aereo sotto forma di aerosol. Gianini è convinto di aver scoperto il dispositivo clandestino: serbatoi supplementari inseriti in coda, nelle stive dei velivoli. Per trent’anni addetto al carico e scarico dei bagagli, se n’è accorto stazionando sotto gli aerei, da cui sgocciola liquido anomalo, pieno di metalli pesanti. Ne ha parlato tempo fa in un video su YouTube, che ha fatto notizia. E oggi conferma: l’operazione “cieli a strisce” continua, nell’indifferenza generale, senza che nessuna autorità di vigilanza protesti per il costante inquinamento indotto dagli aerei di linea trasformati abusivamente in “tanker”.Alluminio e cadmio, bario, manganese. E poi ferro, torio e stronzio: sono gli elementi chimici riscontrati nel liquido che gli aerei perdono, una volta a terra. L’atmosfera è cambiata, da quando è diventato massiccio il ricorso alla geoingegneria. Sul sito “Tanker Enemy”, Rosario Marcianò spiega che i primi esperimenti risalgono agli anni ‘80, ma il “trattamento dei cieli” è diventato intensivo, anche in Italia, dal 1° gennaio 2001, quando l’allora primo ministro Berlusconi firmò con gli Usa l’accordo “Open Skies Treaty”, divenuto operativo il 23 giugno 2003. Motivazione: il contrasto del surriscaldamento climatico. Di fatto, secondo lo stesso Gianini, era un pretesto per manipolare le condizioni atmosferiche con esiti anche catastrofici, come si è visto anche nella recentissima alluvione che ha devastato il Sud, in particolare la Calabria. Ma in fenomeno è vistoso anche in Sicilia e Sardegna. «Da allora – dice Gianini – è aumentata la concentrazione anomala di piogge, capaci di trasformare ruscelli asciutti in impetuosi torrenti». Gianini crede alla manipolazione sistematica usata come arma: cita i vigneti della Loira e della Borgogna, qualche anno fa distrutti dalle intemperie (caldo africano, seguito da gelate) allo scopo di “convincere” François Hollande a rinunciare alla sua iniziale politica anti-austerity.Nel dossier “Owning the weather”, il generale Fabio Mini, già a capo delle forze Nato in Kosovo, conferma che la “guerra climatica” è ormai una realtà: si possono creare nubi artificiali per “accecare” le difese avversarie, ma quelle stesse nubi possono essere “fabbricate” per provocare siccità o eventi alluvionali, danneggiando l’agricoltura e le infrastrutture. Gianini parla di voli-fantasma, militari, che una volta in Italia vengono classificati civili. Ma cita soprattutto le compagnie low-cost, Ryanair e EasyJet, come i maggiori vettori dell’aerosol atmosferico: sospetta che alcune compagnie campino, letteralmente, con questo “lavoro” clandestino, non essendo sostenibile il bilancio economico del solo trasporto dei passeggeri a bassissimo costo. Inoltre, aggiunge, la recentissima liberalizzazione delle quote da seguire, all’interno delle rotte, rende ancora più efficace l’azione di “disseminazione chimica” del cielo, consentendo sorvoli a minore altitudine. Visivamente, lo strano spettacolo a cui tutti possono assistere è ormai familiare: mentre le ormai rarissime “contrails” (scie di condensazione) svaniscono quasi subito, le “chemtrails” rilasciate dagli aerei restano nell’aria per ore, fino ad espandersi e abbassarsi, creando un velo capace di appannare il sole e cancellare l’azzurro del cielo.Fate un esperimento semplicissimo, dice Gianini: se al mattino trovate la vostra auto cosparsa di una leggera polverina, vedrete che quella polvere – stranamente – si attaccherà alla calamita che avrete cura di far scorrere sul parabrezza. E’ vero che la “sabbia del deserto” può essere anche ferrosa, ammette Gianini, ma ben di rado la sabbia del Sahara “piove” fino alle nostre latitudini, dove invece la “polverina” è pressoché quotidiana. «Oppure – scherza – fate la prova del nove con il comandante di un aereo: quando vi imbarcate, provate a domandargli “scusi, oggi spruzziamo o voliamo puliti?”, e state a vedere che faccia fa». Non teme ritorsioni sul lavoro, Gianini: «Ho di fatto già abbandonato Malpensa, ma per altri motivi. Mai mi avrebbero licenziato per la mia denuncia pubblica: avrebbe fatto troppo rumore e avrebbe costretto i media a parlare del caso, cioè delle scie». Movente e regia? I massimi poteri, secondo Gianini: «I mafiosi, in confronto, sono dei dilettanti». Ma perché nessuno parla, a parte lui? E soprattutto – gli domanda il conduttore di “Border Nights”, Fabio Frabetti – come si fa a custodire un segreto così ingombrante? Non è improbabile che tutte quelle persone – piloti, assistenti, controllori di volo – tengano sempre la bocca chiusa, per anni, senza che a nessuno scappi mai una parola?Enrico Gianini ha una spiegazione anche per questo: il programma di irrorazione dei cieli, dice, è stato avviato in modo graduale, dopo una partenza in sordina affidata a pochissimi voli. Poi l’operazione è cresciuta progressivamente, poco alla volta, ma in modo inesorabile. Quello che ieri poteva sembrare un’anomalia, oggi è la normalità – di cui tutti, sostiene, sono al corrente. «E se lavori in aeroporto a chi la racconti, questa cosa, sapendo che i tuoi colleghi la sanno già?». E la polizia aeroportuale? «Mi rivolsi anche a loro», racconta sempre Gianini, «e ho visto che non erano molto contenti delle mie curiosità». Ma, aggiunge, non è stato mai ostacolato nelle sue ricerche, quando si aggirava sotto la pancia degli aerei armato della bottiglietta con cui raccogliere il liquido, inquinatissimo, che colava sull’asfalto. «In fondo, a nessuno – nemmeno ai poliziotti – fa piacere scoprire che qualcuno può avvelenare impunemente l’aria che poi respiriamo tutti». Che fare? «Semplice: continuare a denunciare il fenomeno, sperando che prima o poi qualcuno si svegli, controlli e intervenga. Ripeto: basta prendere un aereo a caso e smontarlo, per vedere che la coda è ingombra di cisterne piene di liquido».Il caso è clamoroso: di scie chimiche, semplicemente, è vietato parlare. Chi lo fa viene deriso, preso per un cretino visionario e complottista. Le tante interrogazioni parlamentari, sul tema (presentate anche da esponenti del Pd) sono rimaste senza risposta. Ogni tanto, anche sui media mainstream filtra qualche notizia, perlomeno riguardo all’impalpabile mondo dei voli civili, sempre protetto dalla massima discrezione: la “Stampa” ricorda che, se un pilota muore d’infarto mentre è ai comandi, viene sostituito dal suo vice fino all’atterraggio, senza che i passeggeri abbiano il minimo sentore dell’accaduto. Su “Smartweek”, Federico Ciapparoni scrive: «Non è raro che fumi tossici facciano breccia nella cabina di pilotaggio». E aggiunge che molti piloti hanno condotto aerei affollati «mentre respiravano dalle mascherine attraverso cui fluisce l’ossigeno, mentre tutti i passeggeri erano ignari di ciò che accadeva nella cabina». Sulle “chemtrails”, però, la rimozione più eclatante sembra quella della gente comune: ormai ci si è abituati a vedere il cielo “a strisce”, quasi fosse un fatto naturale. Il fenomeno è invece palesemente artificiale: tutti vedono che sono gli aerei a depositare quelle strisce, che poi diventano “nuvole”, ma quasi nessuno si chiede perché. Già: perché, oggi, i cieli sono diventati “sporchi”? Nessuno sente il bisogno di scoprire come mai, oggi – da una quindicina d’anni – i normalissimi aerei di linea “sporcano” il cielo, fino a cancellare l’azzurro?«Mi portino pure in tribunale», dice. «Gli dirò di fare una cosa semplicissima: basta prendere un aereo e smontarlo, per capire subito da dove vengono quelle scie». Enrico Gianini, per anni operatore aeroportuale a Milano Malpensa, ha le idee chiarissime sulle strane tracce, bianche e persistenti, che da circa 15 anni intasano letteralmente i nostri cieli. «Tutti sanno tutto, in aeroporto, ma nessuno dice niente», dichiara Gianini ai microfoni di “Border Nights”, denunciando l’omertà generale che coprirebbe la cosiddetta irrorazione quotidiana dell’atmosfera. «Sanno tutto anche i piloti, la cui mortalità sembra sia in aumento: tumori e infarti». Da quando le normative antiterrorismo li obbligano a volare in cabine sigillate, aggiunge, proprio i piloti sono i primi a respirare l’aria inquinata dai composti destinati a essere rilasciati dall’aereo sotto forma di aerosol. Gianini è convinto di aver scoperto il dispositivo clandestino: serbatoi supplementari inseriti in coda, nelle stive dei velivoli. Per trent’anni addetto al carico e scarico dei bagagli, se n’è accorto stazionando sotto gli aerei, da cui sgocciola liquido anomalo, pieno di metalli pesanti. Ne ha parlato tempo fa in un video su YouTube, che ha fatto notizia. E oggi conferma: l’operazione “cieli a strisce” continua, nell’indifferenza generale, senza che nessuna autorità di vigilanza protesti per il costante inquinamento indotto dai jet di linea trasformati abusivamente in “tanker”, aerei-cisterna.