Archivio del Tag ‘Antonio Gramsci’
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Meluzzi: accelerano, temono che la strage diventi vistosa
Personaggi come Umberto Galimberti e Giuliano Cazzola criminalizzano e patologizzano il dissenso, come ai tempi della psichiatria di Stato introdotta da Stalin? Credo che ci sia una grande strumentalità, e una serie di vantaggi sociali ed economici che derivano da questa parte in commedia, questa commedia tragicomica e grottesca alla quale siamo sottoposti tutti i giorni dai media mainstream. E credo ci sia anche un atteggiamento screziato di paranoia, a fronte di una patologia che ha una letalità bassissima. Però ricordo, a questi vecchi malvissuti, che chi pensa di poter sacrificare la libertà alla sicurezza, alla fine, non avrà né l’una né l’altra. Non avrà la sicurezza (non avrà “l’immortalità”), mentre alla libertà ha già rinunciato da tempo. E, avendo rinunciato alla libertà, ha rinunciato anche alla dignità, al poter andare con la propria faccia di fronte ad uno specchio al mattino (e di fronte al Tribunale della Storia, in tempi – ritengo – medio-brevi).
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Magaldi: con Draghi, l’Italia cambia la storia europea
«L’Italia, l’Europa e persino il mondo attendono parole nuove: chi saprà interpretarle senza deludere sarà protagonista nella storia, a partire da questo momento». Una frase che sembra scolpita, quella che Gioele Magaldi utilizza per chiarire, in modo inequivocabile, il senso autenticamente post-keynesiano della rivoluzionaria missione di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Lui, l’ex principe del massimo rigore (Grecia docet) ora si appresta a capovolgere tutto: non solo il disastro nazionale firmato Conte-Casalino, con la collaborazione dei vari Arcuri, Ricciardi, Speranza e virologi televisivi di complemento. Non si tratta esclusivamente di sventare il collasso del sistema-paese e fare uscire l’Italia dall’incubo-Covid alla velocità della luce, archiviando la psicosi da coprifuoco. La partita è epocale: in gioco è la sopravvivenza degli italiani, con la loro libertà e la loro dignità. Una questione che coinvolge l’intero Occidente, finito sul precipizio dei lockdown forsennati. Se ne esce in un solo modo: trovando il coraggio di azzerare il debito, cioè lo strapotere abusivo e i diktat dell’élite che ha usato ogni mezzo, dalla finanza privatizzatrice alla crisi pandemica, per svuotare la democrazia.
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Comunisti, cioè santi: sul Pci, frottole lunghe 100 anni
Antonio Gramsci era un santo. Palmiro Togliatti un fior di riformista, sulla scia del socialista Filippo Turati. Il Partito comunista era non solo del Migliore (Togliatti, appunto), ma anche dei migliori, essendo i suoi elettori colti e moralmente irreprensibili. La svolta della Bolognina e la trasformazione in Partito democratico della sinistra fu una geniale intuizione di Giorgio Napolitano, e non di Achille Occhetto. Botteghe Oscure prese le distanze da Mosca un poco alla volta, ma con decisione, fin dal dopoguerra, quando scelse di partecipare al processo democratico. Budapest non è mai esistita. La Primavera di Praga, neppure. I Gulag sono un’invenzione della propaganda. L’Unione Sovietica era pacifista, a differenza dei guerrafondai statunitensi. I dissidenti erano fascisti sotto mentite spoglie. Questo, a sommi capi, è il ritratto del Partito comunista italiano, nato cento anni fa con la scissione di Livorno, che abbiamo potuto leggere sui quotidiani, in pratica tutti, spesso in articoli firmati da… (ex?) comunisti.Massì. Non facciamo i bastian contrari a tutti i costi. È stupido ricordare fatti sgradevoli. San Gramsci disse che la piccola e media borghesia erano «la barriera di umanità corrotta, dissoluta, putrescente, con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e di lacchè». Quindi proseguiva, con divino afflato, che la classe sociale in questione bisognava «espellerla dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco». Col ferro e col fuoco, che carino. Sul riformismo di Togliatti, sarebbe proprio cercare il pelo nell’uovo il voler ricordare queste parole del Migliore: «Nella persona e nell’attività di Filippo Turati si sommano tutti gli elementi negativi, tutte le tare, tutti i difetti che sin dalle origini viziarono e corruppero il movimento socialista italiano, che lo condannarono al disastro, al fallimento, alla rovina. Per questo la sua vita può bene essere presa come simbolo e, come un simbolo, anche la sua fine. L’insegna sotto cui questa vita e questa fine possono essere poste è l’insegna del tradimento e del fallimento. Nella teoria Turati fu uno zero».Uno zero? Dai, Palmiro, non fare l’invidioso, sappiamo tutti (?) che in realtà Turati fu il tuo maestro. Quanto alla guerra di Liberazione, chiedere informazioni nel triangolo rosso e lungo il confine orientale: regolamento di conti a mano armata (quella comunista), brigate tradite e sotterrate (dai gappisti), infoibamenti (dai gappisti e dai compagni titini). La “svolta” democratica era tatticismo, voluto e ordinato da Mosca, che stava rafforzando la presa sull’Europa dell’Est e non poteva permettersi l’apertura di un fronte in Italia. In quanto alle posizioni del Partito comunista davanti all’ingresso dei carri armati in Ungheria, sono limpide. Ecco qua cosa scriveva Giorgio Napolitano: «L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo». Secondo “l’Unità”, gli insorti non erano socialisti in cerca di riforme ma «teppisti, spregevoli provocatori e fascisti».Beh, direte voi, però a Praga nel 1968… No, signori, davanti alla repressione, il Partito comunista, con Berlinguer in ascesa a fianco di Luigi Longo, non riuscì ad andare oltre un «forte dissenso». Ah, il dissenso. Vogliamo parlare del tentativo, andato a vuoto, di impedire la pubblicazione del “Dottor Zivago” di Boris Pasternak? Rossana Rossanda si prese la briga di far capire all’editore Giangiacomo Feltrinelli che quel romanzo era brutta propaganda anti-comunista. Darlo alle stampe significava «passare il segno». Non solo Rossana Rossanda. Scese in campo tutta la prima linea della dirigenza: Pietro Secchia, Paolo Robotti, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Mario Alicata. E quando il Premio Nobel per la letteratura Aleksandr Solgenitsin fu esiliato? I comunisti di casa nostra giudicarono l’atto proporzionato, una dimostrazione di responsabilità da parte dei sovietici. Certo, l’esilio era una misura restrittiva dei diritti individuali, ma Solgenitsin aveva sfidato lo Stato e sostenuto aberranti tesi controrivoluzionarie.Sì, però dopo… a un certo punto le cose saranno cambiate. Nel 1977, non ancora. Quello fu l’anno della Biennale del dissenso voluta da Carlo Ripa di Meana. Ordine diretto di Mosca, subito raccolto dai compagni italiani: boicottate la mostra veneziana. Inutilmente cercherete notizia di questi o analoghi fatti. Prevale, nella stampa e nell’editoria, l’adorazione per la storia formidabile del comunismo italiano, senza macchia e senza paura. D’altronde, il comunismo ha perso come sistema politico ma ha vinto come sistema culturale, come mentalità di massa. Facciamo un esempio. Chi ha pagato il conto più salato in questi mesi piagati dalla pandemia? La piccola o media borghesia, impossibilitata a lavorare e ingannata dai mitici ristori, ovvero soldi a pioggia che non arriveranno mai nella misura necessaria e promessa. D’altro canto, come potrebbe lo Stato italiano, che non ha un centesimo, provvedere davvero a tutto? Bene, ricordate le parole di Gramsci da cui siamo partiti? La borghesia «da espellere… col ferro e col fuoco»?(Alessandro Gnocchi, “Il Pci celebra cento anni di menzogne”, dal “Giornale” del 19 gennaio 2021).Antonio Gramsci era un santo. Palmiro Togliatti un fior di riformista, sulla scia del socialista Filippo Turati. Il Partito comunista era non solo del Migliore (Togliatti, appunto), ma anche dei migliori, essendo i suoi elettori colti e moralmente irreprensibili. La svolta della Bolognina e la trasformazione in Partito democratico della sinistra fu una geniale intuizione di Giorgio Napolitano, e non di Achille Occhetto. Botteghe Oscure prese le distanze da Mosca un poco alla volta, ma con decisione, fin dal dopoguerra, quando scelse di partecipare al processo democratico. Budapest non è mai esistita. La Primavera di Praga, neppure. I Gulag sono un’invenzione della propaganda. L’Unione Sovietica era pacifista, a differenza dei guerrafondai statunitensi. I dissidenti erano fascisti sotto mentite spoglie. Questo, a sommi capi, è il ritratto del Partito comunista italiano, nato cento anni fa con la scissione di Livorno, che abbiamo potuto leggere sui quotidiani, in pratica tutti, spesso in articoli firmati da… (ex?) comunisti.
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Totalitarismo: il pensiero conforme dell’Imbecille Globale
A parte il corso permanente e intensivo di angoscia e terrore causa pandemia, ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: «Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo». Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 75 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte. Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.C’è l’Imbecille Cantante che dal palco, ispirato direttamente dal dio degli artisti, dichiara che lui canta contro tutti i muri e tutti i razzismi. Che eroe, sei tutti noi. Poi vedi l’Imbecille Attore o Regista che dal podio lancia il suo messaggio originale e assai accorato, perfettamente uguale a quello del precedente cantautore, ma lui lo recita come se l’umanità l’ascoltasse per la prima volta dalla sua viva voce. «Io non amo i muri, non mi piace chi vuole alzare muri». Che bravo, che anticonformista. Segue a ruota l’Imbecille Intellettuale, profeta e opinionista che per distinguersi dal volgo rozzo e ignorante, dichiara anche lui la Medesima Cosa, sui muri ci piscio, morte al razzismo, morte a Hitler (defunto sempre da 72 anni), viva l’accoglienza, i neri, i gay e i trans. L’Idiota Collettivo, versione ebete dell’Intellettuale Collettivo post-gramsciano, non pensa in proprio ma scarica l’app ideologica che genera risposte in automatico. Poi c’è l’Imbecille a mezzo stampa o a mezzobusto che riscrive o recita ispirato l’identica pisciatina contro i Muri. E poi c’è il Presidente o la Presidente, che in veste d’Imbecille Istituzionale, esprime lo stesso, identico Concetto, col piglio intrepido di chi sfida i Poteri Forti (ai cui piedi è accucciato o funge da zerbino).Non c’è film, telefilm, concerto, spettacolo teatrale o sportivo, gag e omelia tv in cui non si ribadisca la lotta tra il Bene e il Male: Aperti e Filantropi contro Chiusi & Ottusi, Accoglienti contro Razzisti, Omofili contro Omofobi, Xenofili contro Xenofobi e Negrofobi. Voi quelli del Muro, noi quelli del Telepass. Le bestie da scacciare sono quasi sempre vaghe, anonime, mitologiche; e già, il male è sempre oscuro, cospira nel buio, non ha volto, solo maschere storiche o ridicole. Ma il repertorio è ricco di bersagli, quasi tutti definiti sovranisti. Tu senti uno, cambi canale e ne senti un altro idem, spegni la tv e senti alla radio un altro ma il Discorso è sempre quello, apri il giornale e leggi ancora l’Identica Opinione; a scuola idem con patate, all’Università peggio-mi-sento, i Palloni Gonfiati dai media compilano lo stesso Modello Unico. Nessuno di loro è sfiorato da dubbi, invece a te sorge un primo dubbio: è un’allucinazione o è sempre la stessa persona, l’Imbecille Globale, che cambia veste, fattezze e mansioni e ripete all’infinito l’Identico Discorso?Segue un secondo dubbio: ricordo male o eravamo in democrazia, che vuol dire libertà e pluralismo, cioè opinioni libere e divergenti a confronto? Loro non credono alla Verità, sono relativisti, però guai a dissentire dal Discorso Obbligato con fervorino finale anti-Muro. Ma possibile che tutti la pensino allo stesso modo, conformi, allineati e omologati, e ritengano che la cosa più urgente e più importante del momento, il Messaggio Unisono da dare all’Umanità sia sempre quello? Allora ti sorge un terzo dubbio. E se l’Imbecille Globale a reti unificate fosse il Grande Fratello del nostro tempo? Se fosse lui il Portavoce multiplo del Non-Pensiero Unico, cioè del nuovo regime totalitario-globalitario? E se fosse proprio quell’Uniformità Totale e quel corale accodarsi la miseria prioritaria del nostro tempo? Non so voi, ma io di quell’Imbecille Planetario che ripete il Discorso Unico e Identico all’Infinito, non ne posso più.(Marcello Veneziani, “Il pensiero conforme dell’Imbecille globale”, dal blog di Veneziani del18 novembre 2020).A parte il corso permanente e intensivo di angoscia e terrore causa pandemia, ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: «Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo». Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 75 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte. Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.
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Giorgio Bocca, partigiano: ma nel fascismo c’era del buono
La cultura italiana si è resa conto che la storia del fascismo, così come è stata scritta dagli antifascisti in questi anni, è storia da rivedere. È una storia che io chiamerei di famiglia. Il più grave errore mi sembra quello di aver raccontato la storia del fascismo come la storia di un movimento autoritario, violento… Ma la realtà del fascismo nascente è tutt’altra: il fascismo è un movimento violento e autoritario che reagisce a un’altra minoranza, altrettanto violenta e autoritaria, come quella socialcomunista. Tra socialismo e fascismo c’è una matrice culturale comune, ci sono delle illusioni comuni: che gli uomini possano essere cambiati in breve spazio di tempo. Nel 1936, all’epoca dell’impero, credo che il 90% degli italiani approvasse quello che rappresentava anche il loro sogno. Il consenso ci fu per tutto il periodo, diciamo così riformistico del fascismo, fino al patto con la Germania. Gli intellettuali italiani, secondo la loro tradizione millenaria, passarono subito al servizio del fascismo. Si sa che i professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo furono tre e non di più (in realtà erano 11 e diventarono 12, ndr). Tutti gli altri si misero dalla parte del fascismo che verso di loro, in verità, a differenza di altri regimi totalitari, fu piuttosto morbido.Il fascismo si differenziò proprio nell’essere largo nel lasciare autonomia alle scienze e alle arti. C’era una posizione abbastanza permissiva da parte del fascismo. Mussolini in campo culturale è stato un grandissimo giornalista e un politico professionale del suo tempo…come Gramsci, Togliatti, Nenni. Rispetto agli altri dittatori totalitari Mussolini era un uomo di mondo, aveva letto i libri giusti, aveva dei rapporti corretti con la cultura, mentre Hitler e Stalin non li avevano. Al di fuori del giornalismo non ha mai preso un soldo dallo Stato. Per il delitto Matteotti non credo che si possa parlare di mandante diretto, credo che sia stato interpretato in modo estensivo un suo scatto di malumore… Mussolini diede in escandescenza contro di lui ma senza mai dire “uccidetelo”. La politica sociale del fascismo fu nei primi anni una politica riformista normale, furono introdotte alcune leggi che facilitavano l’agricoltura, mettevano un primo ordine nei luoghi di lavoro; assicuravano con l’Iri un industrialismo assistito, una rinuncia al capitalismo feroce. Eravamo un paese arretrato, con una classe imprenditoriale anch’essa arretrata, e ad un certo punto fu giocoforza fare un’economia protezionista.Il fascismo, nato come regime di massa, fece partecipare alla vita politica un numero maggiore di persone. I ceti medi, infatti, che nel regime liberale non avevano contato, sotto il fascismo, pur nei modi e nei limiti previsti, partecipavano alla vita politica. Non è esistito un razzismo degli italiani diverso dal razzismo di tipo coloniale… era politica di dominio, non di sterminio. Il popolo italiano le leggi razziali non le ha sentite per niente; l’adozione delle leggi razziali per adeguarsi alla Germania nazista furono una prova di subalternità rispetto alla Germania. In tutto il fascismo fino al 1935, non c’è la minima traccia di razzismo antisemita. Le affinità tra nazismo e fascismo sono pochissime e sono affinità di metodo: sono due regimi di massa, a partito unico, autoritari; ma le differenze sono molto più grandi delle somiglianze. Veramente fra fascismo e nazismo non c’è alcuna parentela. La concezione della razza resta fondamentale per differenziare il fascismo dal nazismo. Il Mussolini dell’ultimo periodo è stato un Mussolini con le mani legate, indubbiamente. Io credo che il motivo dominante dell’alleanza con la Germania sia stata la paura.(Giorgio Bocca, dichiarazioni sul fascismo estratte dal volume collettivo “Il fascismo ieri e oggi”, a cura di Enzo Palmesano, pubblicato nel 1985 dall’editore Ciarrapico. La sintesi, che rivela il revisionismo storico del grande giornalista, già comandante partigiano, è stata riproposta da Marcello Veneziani su “La Verità” il 26 agosto 2020. Riguardo all’omicidio Matteotti, Bocca coglie nel segno: il mandante non fu Mussolini, ma il Re. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, nel saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, uscito nel 2017 per UnoEditori. La ricostruzione di Carpeoro si basa su documenti riservati della massoneria: Matteotti fu assassinato dai killer reclutati da Filippo Naldi, vicino a Casa Savoia, perché a Londra il leader socialista aveva scoperto che Vittorio Emanuele III era il grande beneficiario dell’accordo stipulato con la Standard Oil dei Rockefeller, cui era stata concessa l’esclusiva per le forniture di petrolio all’Italia).La cultura italiana si è resa conto che la storia del fascismo, così come è stata scritta dagli antifascisti in questi anni, è storia da rivedere. È una storia che io chiamerei di famiglia. Il più grave errore mi sembra quello di aver raccontato la storia del fascismo come la storia di un movimento autoritario, violento… Ma la realtà del fascismo nascente è tutt’altra: il fascismo è un movimento violento e autoritario che reagisce a un’altra minoranza, altrettanto violenta e autoritaria, come quella socialcomunista. Tra socialismo e fascismo c’è una matrice culturale comune, ci sono delle illusioni comuni: che gli uomini possano essere cambiati in breve spazio di tempo. Nel 1936, all’epoca dell’impero, credo che il 90% degli italiani approvasse quello che rappresentava anche il loro sogno. Il consenso ci fu per tutto il periodo, diciamo così riformistico del fascismo, fino al patto con la Germania. Gli intellettuali italiani, secondo la loro tradizione millenaria, passarono subito al servizio del fascismo. Si sa che i professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo furono tre e non di più (in realtà erano 11 e diventarono 12, ndr). Tutti gli altri si misero dalla parte del fascismo che verso di loro, in verità, a differenza di altri regimi totalitari, fu piuttosto morbido.
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Abolire la normalità: il futuro mostruoso che ci imporranno
Sono fermamente convinto che si possa delineare uno scenario grosso modo analogo a quello seguente: gli amministratori del nuovo ordine terapeuticamente corretto non smetteranno di tormentarci fintantoché la nuova normalità non sarà stata introiettata e accettata dai più come naturale. La vecchia normalità sarà obliata, rimossa. Quasi come non fosse mai esistita. Nel nuovo ordine terapeuticamente corretto che stanno forgiando con zelo giorno dopo giorno mediante pratiche fra il grottesco e il terroristico, si porteranno sempre e comunque le mascherine. Il ceto medio sarà stato annientato, le aziende e le botteghe chiuse per sempre, i lavoratori licenziati. Anziché cittadini con diritti e doveri, vi saranno solo plebi private di tutto, analoghe per stile di vita ai migranti, cioè il nuovo modus che il capitale dominante te ha scelto come modello antropologico ed esistenziale. È solo per questo che finge di amarli: per estendere e generalizzare il nuovo modus vivendi all’intera popolazione mondiale. Queste nuove plebi condannate alla miseria saranno private di tutto e rigorosamente distanziate dai villini dei patrizi.Il fondamento socio-economico del nuovo capitalismo terapeutico sarà un collettivismo oligarchico, per dirla con Orwell. Avremo da un lato masse di disperati a cui avranno portato via tutto, costrette a vivere nel distanziamento e rinchiuse in casa. Dall’altro avremo élite milionarie senza mascherina, in ville spaziose e fortificate, tranquille perché le plebi saranno state finalmente messe nelle condizioni di non nuocere più un alcun modo al nuovo spietato ordine. Sarà la società più rigorosamente asimmetrica dell’intera storia umana. Appariranno addirittura democratiche e piene di diritti forme del passato: l’antico Egitto con i faraoni e gli schiavi che trascinavano i blocchi potrà addirittura apparire meno disumano rispetto al nuovo collettivismo oligarchico che prende forma sotto i nostri occhi ogni giorno. In nome della lotta al virus occorre rinunziare a tutto, è questo il teorema fondativo del nuovo capitalismo terapeutico. È in nome di questo teorema che ci hanno già portato via la vecchia normalità, rubricata ormai come qualcosa di passato, di superato. È con la nuova normalità che bisogna fare i conti. Qui bisogna apprendere a esistere.(Diego Fusaro, “Il terribile futuro che stanno architettando sarà spietato: il prossimo passo è cancellare per sempre la normalità”, da “Radio Radio” del 25 agosto 2020. Filosofo, saggista e opinionista, Fusaro è il fondatore del movimento Vox Italia, di orientamento sovranista. Si considera «allievo indipendente» di pensatori come Hegel e Marx, mentre tra gli italiani predilige Antonio Gramsci e Giovanni Gentile. Nelle sue pubblicazioni ha trattato del pensiero di Marx nell’ottica dell’idealismo tedesco, accostando alla critica del sistema capitalistico elementi tratti dalla tradizione “comunitarista” teorizzata dal filosofo italiano Costanzo Preve).Sono fermamente convinto che si possa delineare uno scenario grosso modo analogo a quello seguente: gli amministratori del nuovo ordine terapeuticamente corretto non smetteranno di tormentarci fintantoché la nuova normalità non sarà stata introiettata e accettata dai più come naturale. La vecchia normalità sarà obliata, rimossa. Quasi come non fosse mai esistita. Nel nuovo ordine terapeuticamente corretto che stanno forgiando con zelo giorno dopo giorno mediante pratiche fra il grottesco e il terroristico, si porteranno sempre e comunque le mascherine. Il ceto medio sarà stato annientato, le aziende e le botteghe chiuse per sempre, i lavoratori licenziati. Anziché cittadini con diritti e doveri, vi saranno solo plebi private di tutto, analoghe per stile di vita ai migranti, cioè il nuovo modus che il capitale dominante te ha scelto come modello antropologico ed esistenziale. È solo per questo che finge di amarli: per estendere e generalizzare il nuovo modus vivendi all’intera popolazione mondiale. Queste nuove plebi condannate alla miseria saranno private di tutto e rigorosamente distanziate dai villini dei patrizi.
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Sapelli: Pd e Grillo venduti alla Cina, Conte le regala il 5G
Porte aperte alla Cina (ma di nascosto) nel settore più importante di tutti: le reti. Lo ha rivelato il 21 agosto uno scoop della “Verità”: il governo ha secretato un Dpcm del 7 agosto scorso con il quale si autorizza Telecom ad utilizzare la tecnologia Huawei, scrive Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «Il 5G è un tema strategico di rilevanza mondiale ed è al centro della nuova guerra fredda che divide Usa e Cina. È dai tempi del memorandum of understanding del marzo 2019 che il governo italiano ha messo in atto un lento scivolamento politico verso Pechino». Il Dpcm del 7 agosto «è la conferma che il progetto (cinese) di trasformare l’Italia nella testa di ponte della Cina in Occidente va avanti seguendo logiche sottratte al controllo del Parlamento, alla disciplina del “golden power” e, per quanto possibile, anche all’opinione pubblica». In Italia, dice Giulio Sapelli, storico ed economista – intervistato da Ferraù – non ci sono più i partiti: per questo le forze esterne ostili hanno la meglio e gli Usa non possono contrastarle. Porte aperte a Huawei, dunque, ma la decisione è a porte chiuse. «Questo governo, come anche quello precedente, soffre della pericolosa inclinazione a dipendere da forze esterne», dice Sapelli: «Non solo la Francia, la Germania e gli Usa, nostro alleato storico, ma anche la Cina, la cui influenza è sottoposta a forti misure restrittive dalla stessa Unione Europea».
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Veneziani: politically correct, una piaga violenta e ignorante
Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.Il politically correct è una forma di riduzionismo ideologico che produce le seguenti fratture: a) riduce la storia, l’arte, il pensiero e la letteratura al presente, nel senso che tutto quel che è avvenuto va letto, riscritto e giudicato alla luce del presente, in base ai canoni corretti e ai generi; b) riduce la realtà al moralismo, nel senso che rifiuta le cose come sono e le riscrive come dovrebbero essere in base al suo codice etico e gender; c) riduce la rivoluzione vanamente sognata nel Novecento e nel ’68 alla mutazione lessicale, nel senso che non potendo cambiare la realtà delle cose e l’imperfezione del mondo si cambiano le parole per indicarle, adottando un linguaggio ipocrita e rococò; d) riduce le differenze ideologiche a una superideologia globale o pensiero unico, che se si nega come tale. Alle quattro riduzioni di cui sopra, il politically correct aggiunge una serie di sostituzioni: 1) sostituisce il sentire comune, l’interesse popolare, il legame famigliare e comunitario con la priorità assegnata ad alcune diversità e minoranze, ritenute discriminate o emarginate. E adotta uno schema vittimistico: non sono i grandi, gli eroi, i geni a meritare onori, strade, elogi unanimi ma le vittime (retaggio cristiano, notava René Girard).2) sostituisce la preferenza per ciò che è nostrano – la nostra identità, le nostre tradizioni, il nostro modo di vedere, la nostra civiltà e religione, i nostri legami e le nostre appartenenze – con la preferenza per tutto ciò che è remoto – le culture e i costumi altrui, i migranti, i mondi lontani, le ragioni di chi viene da fuori (quella che Roger Scruton chiamava oicofobia); 3) sostituisce l’antica dicotomia tra il compatriota e lo straniero, o quella politico-militare tra l’amico e il nemico con la dicotomia tra il Bene e il Male, per cui chi non è allineato al canone non è uno che la pensa differentemente né un avversario da combattere ma è il male assoluto da sradicare e annientare. Col nemico si può arrivare a patti, lo puoi sconfiggere e sottomettere; il Male no, va cancellato e dannato nella memoria. 4) sostituisce l’oppositore, il dissidente, l’antagonista col razzista, nemico dell’umanità, del progresso e della ragione. E gli riserva un trattamento a metà strada fra la patologia e la criminologia, accusandolo di fobie: è omofobo, sessuofobo, islamofobo, xenofobo, e via dicendo.Di conseguenza non c’è contesa con lui, ma lo si isola tramite cordone sanitario, lo si affida alla profilassi medica e prevenzione nelle scuole, università, media; o quando il caso è conclamato, lo si affida ai tribunali e alla condanna. Il pregiudizio ideologico riduce i dissidenti al rango di pregiudicati, ovvero di condannati dalla storia, dal progresso, dalla ragione. Non conflitti ma bombe umanitarie, operazioni di polizia culturale o internazionale. Per il politically correct la realtà, la natura, la famiglia, la civiltà finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione. Ecco, in breve il politically correct. Postilla finale dedicata a come si reagisce. Chi rifiuta l’imposizione del politicamente corretto e reagisce con l’insulto contro i suoi totem e i tabù, entra a pieno titolo nel suo gioco e ne conferma l’assunto e l’assetto: visto, che avevamo ragione a dire che il razzismo, l’odio, l’intolleranza albergano nei nostri nemici? È una forma stupida e istintiva di risposta che rafforza il politically correct.Non migliore sul piano dell’efficacia è la risposta opposta, mimetica, di chi sta al gioco, asseconda, tace o compiace, rispondendo con ipocrisia all’ipocrisia parruccona del politicamente corretto. Anche in questo caso si resta sul suo terreno, si fa il suo gioco, si mira a una sopravvivenza immediata e individuale pregiudicando in prospettiva una visione alternativa più ampia. Spesso ci si limita a opporre all’ideologia la realtà, alla sua narrazione la vita pratica. Invece, partendo da quella, si dovrebbe tentare lo sforzo opposto: smontare i loro tic, totem e tabù, usando l’arma dell’intelligenza, del paragone culturale, del senso critico e ironico. E indicando percorsi alternativi, letture diverse, altre priorità. Qui, purtroppo, l’intolleranza degli uni s’imbatte nell’insipienza degli altri, frutto di ignoranza, ignavia e indifferenza. Se il politically correct domina, è anche perché non trova adeguate risposte. Solo imprecazioni e silenzi. La città è nelle mani degli stolti, dissero al sovrano i messi di una città in rivolta; ma i “savi” nel frangente che facevano, chiese loro il Re Carlo d’Angiò? Domandiamocelo pure noi.(Marcello Veneziani, “Corso intensivo sul politicamente corretto”, da “La Verità” del 16 febbraio 2020).Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.
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Gli Stati Generali servirebbero all’opposizione: è scomparsa
Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?La soluzione al problema è facile e pure vistosa: l’egemonia culturale ha il monopolio della narrazione, ed è tutta dall’altra parte, un tempo marxista e gramsciana, poi sessantottina, radical-progressista e antifascista, e ora pure grillo-trasformista. Il potere culturale si annoda all’establishment ed è nelle mani sinistre, non solo da noi; ed è esercitato, non ci stancheremo mai di ripeterlo, come una cupola mafiosa, con gli stessi metodi, protezioni, esclusioni, ostracismi e omertà, anche se incruenti. Possono fallire le loro idee, finire gli slanci rinnovatori, mancare gli autori all’altezza; e sostituirli coi palloni gonfiati, gli slogan, i riflessi condizionati, i pugni chiusi, le sentenze di qualche magistrato, i precetti della nuova religione politically correct, il catechismo del nuovo bigottismo progressista. Ma il quadro non cambia. E allora torniamo a un nostro tormento che ad alcuni di voi sembrerà un tormentone. Ma perché a quel consenso politico alle forze d’opposizione che sono tuttora maggioranza nel paese e dunque governo potenziale d’Italia, non corrisponde poi nulla a livello sociale, culturale, mediatico, narrativo?Perché non c’è un altro racconto oltre quello unico, globale, ossessivo, che ci viene propinato ogni giorno? Perché l’agenda dei temi e delle narrazioni, il senso della nostra epoca, è sempre in quelle mani e chi vi si oppone al più gioca di rimessa, avversa i loro discorsi, contrasta le loro dominazioni, ma senza lanciare modelli, linguaggi, valori, racconti alternativi? C’è chi si consola dicendo che va così, loro dominano la cultura e l’ideologia, ma ad altri tocca governare e affrontare la realtà, con spirito pratico. Loro parlano parlano ma poi perdono al voto, sono una minoranza. Versione finto-consolatoria, perché sappiamo bene quanto invece siano impediti e condizionati coloro che vanno a governare, avendo contro la bolla ideologica di scomunica; ne subiscono la fatwa, la pubblica interdizione. E sappiamo pure quanto conta in termini d’intimidazione e dominazione il monopolio del discorso rispetto a chi ne è bersaglio e vittima. Vedete che succede a Trump, la violenta campagna a tutti i livelli per impedire la sua rielezione con ogni mezzo.Se parli di opposizione, alla fine non vai oltre i nomi, le facce, la gag dei leader; e quando immagini un’Italia alternativa non riesci ad andare oltre la piazza del 2 giugno, del 4 luglio o poco altro. E magari, a ulteriore conforto, ti soccorrono i nomi di alcuni governatori, sindaci e giunte. Ma finisce lì. L’opposizione in Italia è una forza politico-elettorale, un paio di facce e cognomi; la sinistra invece non ha leader ma è una forza socio-culturale, ideologico-politico-morale diffusa, ramificata, a ogni livello. La destra è realtà nuda e cruda, la sinistra è rappresentazione, molteplice e polivalente. La destra è piazza e urna, la sinistra è salotto, terrazza, poteri, cattedra, pulpito, sacrestia, editoria, libro, premio, film, tribunale, teatro, tendenza, regime, anarchia, eccetera. Viviamo, non solo in Italia, in una democrazia asimmetrica, squilibrata.Non si può far nulla, allora? Lasciate che io vi dica una cosa. Parlo a titolo personale. Preferisco anch’io che al governo ci vadano forze di destra, sovraniste, nazional-popolari, antisinistra, antigrilline. Penso che farebbero poco di quel che dicono ma almeno un po’ meglio di quel che dicono e fanno i loro avversari; meno danni perlomeno, più qualche piccolo tentativo di riforma (avendo l’inferno contro). Però, tenetevi forte: considero quei cambiamenti, quei correttivi meno importanti della mancata sfida sul piano delle idee, dei valori, dei linguaggi, dei comportamenti. Ovvero, più che governare, prima che governare, a me piacerebbe un serio tentativo di cambiare la mentalità dominante, di rovesciare l’egemonia e i suoi derivati o perlomeno di contenderla in modo adeguato. Perché quello sarebbe un vero cambiamento, strutturale, epocale, non effimero e occasionale; un cambiamento destinato a durare e non a passare con una folata di leggi e poi controleggi.E quel che più sconforta è che questo tema non viene minimamente sfiorato o solo compreso da chi potrebbe da un giorno all’altro trovarsi a governare l’Italia. Non dico che si debba creare un’egemonia culturale uguale e contraria, ma almeno avere due chiavi di lettura diverse della realtà. Non dico che si debba riuscire nella titanica impresa, ma nemmeno provarci, però, è imperdonabile. E se non si affronta questa contesa su questo piano, l’atteso cambiamento si riduce a una piccola roba di breve respiro, che non lascia tracce. Non ci cambia la vita se Salvini o Meloni vanno al governo; invece cambia davvero se qualcosa muta nelle idee dominanti, nella vita reale, nella mentalità dell’epoca.(Marcello Veneziani, “Gli Stati Generali ci vorrebbero all’opposizione”, da “La Verità” del 22 giugno 2020).Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?
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L’inferno: microchip obbligatorio e vaccini imposti col Tso
Il vaccino è soltanto un passaggio intermedio. L’obiettivo finale non è il vaccino: perché, per quanti soldi si possano fare vaccinando 60 milioni di italiani, non è questo l’obiettivo finale. Certo i vaccini sono una cosa bellissima, per Big Pharma, perché non c’è niente di meglio che curare i sani, nella storia della medicina. Curare a pagamento dei sani è il meglio di qualsiasi business legato alla medicina post-ippocratica. Ma il vero problema è che il vaccino è soltanto una tappa intermedia, verso il pieno controllo bio-tecnologico e bio-politico dell’umanità, con tecnologie che mettano insieme la biologia e la biochimica con l’elettronica. Questo è l’orizzonte di senso a cui personaggi come Bill Gates e le sue aziende lavorano, ormai da molti anni. L’arricchimento della grande élite è secondario, è quasi un effetto collaterale. Il problema fondamentale è il controllo del sistema. Noi dobbiamo fare attenzione, per non cadere nella trappola e non apparire dei dietrologi, dei paranoici deliranti; dobbiamo vedere le cose, ognuna, “iuxta propria principia”. Quando gli Achei salpano per distruggere e conquistare Troia, sono mossi – come ci spiega bene Omero – da una gamma di desideri diversi.Agamennone vuole affermare la sua supremazia su tutti i regni della Grecia. Menelao vuole vendicare il tradimento della moglie, Elena, e recuperarla. Aiace vuole far vedere che è il più forte. Ulisse si piega, pure alla partenza, dovendo realizzare un suo progetto, che non si si risolverà neanche nell’Odissea. E Achille deve riaffermare la sua natura divina-umana. Cioè: sono tutti mossi da finalità diverse, come in fondo ci spiega questa grande epopea psicologica che è l’Iliade; ma tutti convergono su un obiettivo, che è la conquista e la distruzione di Troia. Anche nel nostro caso, evidentemente, ci sono molti interessi, diversi ma convergenti. L’interesse su cui convergono è il fatto di mettere l’umanità sotto controllo. Le ragioni per cui diversi soggetti debbano mettere l’umanità sotto controllo sono svariate, ovviamente. Qualcuno dovrà vendere i microchip per metterli sotto la pelle di tutti, qualcuno dovrà vaccinare tutti, qualcuno dovrà avere un sistema monetario che non risenta di capricci come quelli dei titoli-spazzatura e del problema della monetazione delle monete sovrane. Qualcuno dovrà distruggere ogni principio di sovranità nazionale, alla luce di un diabolico governo globale.Questi interessi convergono: così come nel caso dell’Iliade la distruzione di Troia, in questo caso l’interesse convergente è la distruzione di tutte quelle libertà (costituzionali, civili, giuridiche, individuali e collettive) su cui è nata la grande epopea sorta con la Pace di Westfalia, attraversando poi la Rivoluzione Inglese (quella delle Teste Rotonde), la Rivoluzione Americana di Washington, Franklin e Madison, la Rivoluzione Francese con i suoi esiti, arrivando fino ai Risorgimenti nazionali dell’800, per creare invece un ecumene tecnologico iper-controllato, governato da un’élite platenaria in cui si entra per cooptazione. E’ un disegno luciferino, che sembra marciare con un’agenda implacabile. Anche perché, su questo, convergono molti interessi inconfessabili. Quando oggi si dice, per esempio, che l’unico principio ispiratore, l’unico attrattore strano del caso, l’unico principio organizzatore generale di una società con 9 miliardi di uomini non può che essere la scienza, si perde di vista il fatto che non solo non esiste, una scienza con la S maisucola, neutrale, e non solo gli scienziati non sono gli efori, i sacerdoti della verità metafisica; ma ci sono mille interessi che convergono: quelli delle Big Pharma, di chi vuole mettere sotto controllo il mercato della salute, in tutte le sue implicazioni (il mercato della vita e della morte).E quindi è chiaro che, in questa situazione, non è del tutto scontato che non si possa prendere atto che il dottor Fauci, denunciato anche da sue collaboratrici, non sia guidato soprattutto dal tema dei brevetti dei vaccini o dalle case farmaceutiche, piuttosto che dagli interessi comuni della popolazione degli Stati Uniti d’America. Però, questo blocco storico (uso un termine gramsciano) è saldato in modo talmente forte, che queste idee – che possono sembrare un po’ dietrologiche e paranoiche – in realtà si saldano con un processo storico che è molto forte e molto chiaro. Nel piano della globalizzazione, del mondo senza frontiere, della finanza globalizzata dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Soros e dei Bill Gates, è stata già stabilita una divisione internazionale del lavoro. All’estremo Oriente, alla Cina deve andare tutta la manifattura, che con la sua plusvalenza accumulata deve comprarsi il debito americano e la potenza anche militare degli Stati Uniti. L’Europa dev’essere ridotta a qualcosa che è una via di mezzo tra quel po’ di industria che rimane in Germania e un gerontocomio (o una pizzeria) come l’Italia; e comunque, essendo un continente invecchiato, l’Europa deve essere destinata all’afro-islamizzazione demografica, come già aveva preconizzato Oriana Fallaci una trentina d’anni fa.E in questo quadro, chiunque rappresenti un ostacolo dev’essere spazzato via come una formica, e spiaccicato. Non esiste più nessuna libera informazione: c’è un mainstream implacabile. Siamo arrivati al ricorso al Tso, per chi contesta il lockdown? Del trattamento sanitario coatto è sempre stato fatto un uso dovizioso in tutti i regimi, a partire da quello staliniano: se si rifiuta una società “perfetta”, o si è criminali o si è matti, perché si rifiuta il proprio bene. Quella del Tso “per il bene comune” è l’idea che sta alla base di questa filosofia del diritto. In Italia ci sono due modi per costringere qualcuno a subire il trattamento sanitario coatto: uno è psichiatrico e l’altro – guardacaso – è epidemiologico, infettivologico. L’isolamento e la quarantena obbligatoria per chi rischia di propagare una malattia è un intervento coatto, esattamente come il Tso psichiatrico, che viene applicato in modo arbitrario. Il Tso psichiatrico viene prescritto da un medico psichiatra, dipendente pubblico, e confermato da un secondo collega che ne recepisce la diagnosi. Poi deve essere ratificato entro 24 ore dal sindaco, quindi dal giudice tutelare.E’ chiaro che tutto questo implica qualsiasi arbitrio possibile: le ragioni per cui un soggetto possa essere considerato pericoloso a sé e agli altri sono infinite. Potrebbe essere qualcuno che brandisce un’ascia e vorrebbe fare a pezzi la nonna, ma potrebbe essere qualcuno che vuole suicidarsi gettandosi dalla finestra. O qualcuno che non vuole sottoporsi a una terapia, che a quel punto gli viene imposta con la forza. A Testimoni di Geova sono state imposte trasfusioni, col pretesto di salvare una vita. Se lo psichiatra arriva perché il paziente non vuole ricevere quello che è “buono, santo e giusto” per lui, siamo entrati in questa fattispecie. Ed è quella che, credo, verrà usata in modo sistematico: nel nome del pietismo, della filantropia, del benessere individuale e collettivo, e del bene supremo della salvezza della vita – che diventa qualcosa di assoluto, ipostatizzato e mitizzato, anche al di fuori di qualsiasi valutazione razionale. Cioè: se noi abbiamo un vaccino con cui ti puoi salvare da una malattia incombente e tu non te lo vuoi fare, tu non stai facendo il tuo bene; e quindi noi saremo costretti a ricoverarti in ospedale, foss’anche per 48 ore, praticarti il vaccino e poi dimetterti.Ho fatto il primario di psichiatra per tanti anni, e ho visto imporre trattamenti coatti a schizofrenici cronici: rifiutavano la terapia farmacologica, non gliela si poteva praticare in casa, e allora lo psichiatra del territorio (con la copertura dello psichiatra direttore del dipartimento ospedaliero di salute mentale) confermava il Tso anche con un ricovero tipo day hospital, lì veniva praticata l’iniezione – che ha una durata d’efficacia di tre settimane – e dopodiché il paziente veniva dimesso. Ecco: questo è il futuro che si prepara, per noi. Quindi, anche dentro la psichiatria, occorrerà una battaglia serrata. Ma purtroppo ho un’opinione veramente bassa dei miei colleghi, ormai per lo più ridotti a propagandisti di case farmaceutiche, pronti a vendersi anche la nonna per farsi una settimana di vacanza alle Maldive; pur di non perdere il primariato e i premi che ricevono da Big Pharma, saranno pronti a dire: «Ma come, non vuole fare il vaccino? Lei forse non sta bene, è depresso, ha un disturbo ossessivo-compulsivo; noi la ricoveriamo (anche soltanto per 48 ore) le facciamo il vaccino e poi la dimettiamo». Vedrete che finirà così.Conoscendo i miei mediocri colleghi, il Tso sarà uno strumento fortissimo. Su questo, bisognerà organizzare una linea di difesa anche giuridica, da subito, cominciando a castigare i primi che si prestano a fare i “bravi”, i poliziotti di questo sistema. Io mi candido a fare il perito d’accusa della parte civile. Sono a disposizione, gratuitamente, per colpire il primario di quel reparto, cercare di farlo destistituire e mettere in galera, se possibile. Sul caso di Palermo, facciamo subito un esposto in Procura e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. O sinceriamoci che lo stiano già facendo: bisogna attaccare preventivamente, perché questi personaggi, che si mettono a disposizione del propagandista delle case farmaceutiche, non è che siano dei cuor di leone. Io li conosco bene, è gente che tiene famiglia: se capisce che il potere è una parte, si schiera; ma se capisce che dall’altra parte c’è un contropotere, si defila. Perché sono “minuta gente” manzoniana: è un “popol disperso” che non ha pace, non ha dignità. Basta fargli un “bau”, a volte, per spaventarli.Il problema però non è nemmeno il vaccino, in questo caso. Ci verrà inoculata una qualche sostanza nel momento in cui il Covid non farà più paura neanche a un gatto, perché avrà esaurito la sua funzione e la sua dimensione patogenetica. A un certo punto, per non andare in galera, non finire in manicomio o per non perdere il nostro lavoro, potremmo anche accettare di metterci nel corpo un po’ di acqua sporca, sperando che non ci faccia troppo male. Ma non è questo, l’obiettivo finale, credetemi: fosse tutto qui, sarebbe ancora poca cosa. L’obiettivo finale è la moneta unica platenaria, veicolata da un microchip, collegata alle nostre condizioni di salute. Microchip che tutti dovranno mettersi, come il segno dell’Apocalisse: l’elettrodo sulla fronte, o sotto la pelle della mano, senza il quale nessuno potrà né comprare né vendere (il Segno della Bestia, il 666). Non voglio apparire un mistico pazzo, ma credetemi: quello che si sta delineando è proprio questo. Moneta unica, sistema giuridico unico, salute unica. Tutto questo, per una società filantropica governata da quello che Soloviev definisce l’Anticristo, pacifico filantropo macrobiotico, vegetariano, ecologista, con Greta Thunberg come consulente.E’ un potere pervasivo, perfetto: che non ha bisogno dei nostri soldi, perché li stampa. Il problema è che, perché un sistema di controllo funzioni, di fronte a un capitalismo tradizionale, servono nuove soluzioni: intanto deve ridurre la popolazione mondiale, e poi ha bisogno di una società divisa in caste, come nel “Nuovo mondo” di Huxley, dove c’è un’élite di Alfa che non si vedono neppure. Serve una castizzazione della società che metta gli uomini in condizioni giuridiche, psicologiche e antropologiche diverse. Sotto gli Alfa invisibili ci sono i Beta che si vedono (i Soros, gli Zuckenberg, i Bill Gates), poi ci sono i Gamma, che sono gli esecutori politici (tipo il povero professor Conte, avvocato dello studio Alpa), e poi sotto ci sono i carabinieri, i lavoratori, gli impiegati dell’Agenzia delle Entrate, gli operai. E ancora più sotto ci sono gli Epsilon, che devono vivere con 600 euro al mese prendendosi solo il Soma, che è la droga dell’inebetimento.Questo, credetemi, è il disegno complessivo. Ed è un disegno ben pensato, perché tiene conto dell’ingovernabilità della complessità. L’unica forza che abbiamo non è l’opposizione consapevole, perché in questo siamo sicuramente perdenti. Dobbiamo sperare nelle leggi universali del caos. Il grande imperatore Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole, dal Messico ai Balcani, dopo aver lasciato le colonie d’America e la Spagna al figlio Filippo II e l’impero asburgico a Ferdinando, si ritirò in un convento benedettino in Germania, dove la sua passione era far funzionare una trentina di orologi meccanici. E passò gli ultimi giorni della sua vita dicendo: «Quanto sono stato pazzo, a pensare di controllare tutti i popoli del mondo, quando non sono riuscito a far marciare insieme nemmeno 30 orologi». E’ su questo, che i luciferini del controllo potrebbero cascare. Una cellula impazzita è Trump, un’altra è Putin, altre ancora siamo noi che facciamo questi discorsi, facendoci passare per pazzi, contro i nostri interessi materiali, accademici, categoriali. Siamo noi stessi delle schegge impazzite: siamo sfide nella complessità. Mattoidi, quasi pronti per il Tso.(Alessandro Meluzzi, dichiarazioni rilasciate il 16 marzo 2020 nel dibattito “Alla ricerca della verità”, in diretta web-streaming sulla pagina Facebook di Leonardo Leone, con la partecipazione di Ugo Mattei e Massimo Mazzucco; il video è ora disponibile anche su YouTube. Notissimo psichiatra, nonché criminologo, saggista e accademico, Meluzzi – di formazione comunista – è stato poi deputato e quindi senatore eletto con Forza Italia nel 1994 e nel 1996. Massone, ha fatto parte del Grande Oriente d’Italia. Approdato al cristianesimo, è stato diacono cattolico di rito greco-melchita e poi presbitero della Chiesa ortodossa italiana autocefala, divenendone primate).Il vaccino è soltanto un passaggio intermedio. L’obiettivo finale non è il vaccino: perché, per quanti soldi si possano fare vaccinando 60 milioni di italiani, non è questo l’obiettivo finale. Certo i vaccini sono una cosa bellissima, per Big Pharma, perché non c’è niente di meglio che curare i sani, nella storia della medicina. Curare a pagamento dei sani è il meglio di qualsiasi business legato alla medicina post-ippocratica. Ma il vero problema è che il vaccino è soltanto una tappa intermedia, verso il pieno controllo bio-tecnologico e bio-politico dell’umanità, con tecnologie che mettano insieme la biologia e la biochimica con l’elettronica. Questo è l’orizzonte di senso a cui personaggi come Bill Gates e le sue aziende lavorano, ormai da molti anni. L’arricchimento della grande élite è secondario, è quasi un effetto collaterale. Il problema fondamentale è il controllo del sistema. Noi dobbiamo fare attenzione, per non cadere nella trappola e non apparire dei dietrologi, dei paranoici deliranti; dobbiamo vedere le cose, ognuna, “iuxta propria principia”. Quando gli Achei salpano per distruggere e conquistare Troia, sono mossi – come ci spiega bene Omero – da una gamma di desideri diversi.
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Brexit straccia Corbyn, i poveri premiano il falso amico Boris
«I segnali di una sconfitta c’erano tutti, nonostante le illusioni dettate dalle piazze piene e dalle lunghe file di giovani ai seggi». Un analista come Nicola Melloni commenta così il trionfo annunciato di Boris Johnson nel Regno Unito: il consenso si sposta su posizioni estreme, e le classi sociali ignorate per decenni si sono sentite defraudate del referendum sulla Brexit. «Il fronte Brexit si è compattato intorno ai Conservatori (con l’aiuto decisivo del Brexit Party che ha eroso consensi ai Laburisti nel Nord); quello Remain si è affidato principalmente, ma non unicamente, al Labour). Corbyn? «Si è trovato in una situazione impossibile: sostenere un secondo referendum è costato una quarantina di seggi al Nord». Se non lo avesse fatto, «avrebbe dato il via libera ai Libdem come unico partito del Remain: senza poi tenere in considerazione che quasi il 70% dell’elettorato laburista è contrario alla Brexit». Quanto ai Libdem, «rappresentano interessi economici e politici ben definiti e una borghesia liberale spesso assolutamente indisponibile a votare Labour». Insomma, «qualsiasi scelta sarebbe stata perdente», come in effetti si è visto. E ora, la Gran Bretagna staccherà la spina da Bruxelles in modo drastico.«Corbyn ha provato a trasformare il “secondo referendum” sulla Brexit in una elezione normale in cui si parlasse di un programma vastamente apprezzato», per metter fine «a un drammatico decennio di governo conservatore», scrive Melloni su “Jacobin Italia”. «Non c’è riuscito, le carte le hanno date gli altri e il risultato è stato una sconfitta di proporzioni storiche». In molti, aggiunge l’analista, si domandano come sia possibile che le zone più povere del paese abbiano votato per un partito che le ha affamate e per un leader che considera la working class con disprezzo. «Il populismo attuale – spiega Melloni – non è altro che il frutto di una progressiva de-istituzionalizzazione della politica, iniziata con la stagione neoliberista». In questi decenni, «i partiti di cosiddetta sinistra hanno perso qualsiasi capacità tanto rappresentativa che di mobilitazione». Il “red wall” elettorale, dunque, «esisteva più come concetto geografico che politico – un po’ come le regioni rosse in Italia». Corbyn proponeva un programma che parlava soprattutto a quelle regioni, ma non è bastato. «Per gente e classi sociali che sono state ignorate per decenni, veder messo in discussione un voto inequivocabile come quello del referendum è stato uno schiaffo inaccettabile, l’ennesima controprova di come Westminster sia un mondo a parte rispetto ai bisogni del Nord».Johnson ha giocato proprio su questo: «Ha offerto il suo corpaccione come scudo contro il Parlamento, l’establishment, e in difesa del voto popolare», scrive Melloni. «Ha imposto la sua narrativa – d’altronde in Uk per tre anni si è parlato solo di Brexit – e ha vinto». Così, la capacità di attrazione «su una fetta di società frustrata e che si sentiva defraudata del suo potere decisionale», alla fine è risultata «molto più forte di quella nel fronte Remain (diviso e non altrettanto agguerrito)». A questo, aggiunge Melloni, si è aggiunta una campagna senza quartiere scatenata – quella sì dal vero establishment – contro Corbyn. Un uomo di specchiata onestà e rigore morale e politico «è stato dipinto come un antisemita razzista, mentre il razzismo conclamato di Johnson è stato completamente ignorato». La stessa Bbc «si è trasformata in una succursale di Rete4, con violazioni della legge elettorale, conduttori in veste di agit-prop e un coverage basato su falsità e parzialità». Il che non spiega la sconfitta, «ma spiega la bassissima popolarità di Corbyn a dispetto di un programma largamente apprezzato».Da questo, secondo Melloni, discendono inevitabilmente delle importanti lezioni per la sinistra tutta. «Da oggi, ovviamente, vorranno farvi credere che la sinistra radicale sia un inutile rottame della storia destinato inevitabilmente alla sconfitta. E che solo un programma che guarda al centro può fermare le destre». Ma questa «è una sciocchezza opportunista», protesta Melloni. «I risultati britannici dicono tutt’altro: al crollo dei laburisti è corrisposta una performance penosa dei liberaldemocratici, la cui leader non è stata neppure eletta». Non solo: «Nonostante tutta la stampa moderata dipingesse Corbyn come un novello Attila, i Libdem sono riusciti a intercettare solo una piccola percentuale dei voti laburisti in uscita». Di fatto, «non c’è nessuna voglia di centro o di ritorno al New Labour». I voti persi «sono andati tanto a destra più che al centro». E se Boris Johnson «è solo l’ennesimo estremista di destra eletto», il messaggio forte e chiaro è che «le partite non si giocano più al centro, ma sulle estreme: l’elettore mediano potrà forse ancora essere un “moderato”, ma lo schiacciamento della distribuzione porta a maggioranze radicali ed estreme, prendendo il voto degli sconfitti della globalizzazione neoliberale».La seconda lezione inglese, sempre secondo Melloni, è che non bastano programmi e candidati radicali: «Come si è visto, il programma economico e sociale più di sinistra in trent’anni non solo non è bastato ma ha perso le regioni più povere della Gran Bretagna». Da storico, Melloni cita Gramsci: il lavoro quotidiano nella società, la creazione di una “coscienza di classe”. Problema: «L’agenda è strettamente controllata dalla destra, così come i media. Ed è chiarissimo che il cosiddetto centro moderato preferisce la destra peggiore a un’alternativa di sinistra». In Italia, il “Corriere della Sera” ha rivaluto «quel simpatico mattacchione di Boris in funzione anti-socialista». E la campagna denigratoria riservata a Corbyn «sarà replicata contro qualsiasi altro candidato». Per contro, secondo Melloni, qualche segnale postivo viene dagli Usa, grazie all’attivismo di Bernie Sanders: «Le ondate di scioperi di questi anni hanno cominciato a costruire tanto una coscienza che una comunità politica di riferimento. E la sinistra è riuscita in parte a imporre una propria narrazione, dalla diseguaglianza alla critica di Wall Street fino alla sanità pubblica».Nel Regno Unito, invece, il Labour non è riuscito a fare nulla del genere: «I sindacati sono smobilitati da tre decenni, e lo slogan principale della campagna elettorale è stato la difesa della Nhs (il sistema sanitario nazionale) che, per quanto sacrosanta, è alla fine una difesa dello status quo, obiettivamente più debole della promessa di un grande cambio e del “take back control” della Brexit». Se non altro, dice Melloni, l’esperienza di Corbyn ha mostrato anche lati positivi: “Momentum”, con la sua struttura organizzativa, «ha dimostrato un’inaspettata capacità di mobilitazione, in netta controtendenza con la de-istituzionalizzazione della post-democracy». E lo stesso Corbyn ha riempito piazze, cercando di riannodare un filo con la nuova base del partito: studenti, lavoratori delle grandi città, ceto medio proletarizzato e frustrato. E’ un fatto: nonostante la batosta, il Labour rimane di gran lunga il partito di sinistra più votato in Occidente. Una rinascita della sinistra richiede trent’anni, secondo Melloni: bisogna prima «imporre una narrazione diversa», e quindi «resistere a un sistema di potere che non accetterà mai di giocare una partita regolare: hanno troppo da perdere per permetterlo». Dunque Corbyn ha stra-perso, «ma qualche cosa da insegnare ce l’ha ancora».«I segnali di una sconfitta c’erano tutti, nonostante le illusioni dettate dalle piazze piene e dalle lunghe file di giovani ai seggi». Un analista come Nicola Melloni commenta così il trionfo annunciato di Boris Johnson nel Regno Unito: il consenso si sposta su posizioni estreme, e le classi sociali ignorate per decenni si sono sentite defraudate del referendum sulla Brexit. «Il fronte Brexit si è compattato intorno ai Conservatori (con l’aiuto decisivo del Brexit Party che ha eroso consensi ai Laburisti nel Nord); quello Remain si è affidato principalmente, ma non unicamente, al Labour). Corbyn? «Si è trovato in una situazione impossibile: sostenere un secondo referendum è costato una quarantina di seggi al Nord». Se non lo avesse fatto, «avrebbe dato il via libera ai Libdem come unico partito del Remain: senza poi tenere in considerazione che quasi il 70% dell’elettorato laburista è contrario alla Brexit». Quanto ai Libdem, «rappresentano interessi economici e politici ben definiti e una borghesia liberale spesso assolutamente indisponibile a votare Labour». Insomma, «qualsiasi scelta sarebbe stata perdente», come in effetti si è visto. E ora, la Gran Bretagna staccherà la spina da Bruxelles in modo drastico.
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Le Sardine in Tv: che meraviglia, non contestano il potere
Evviva, i ragazzi scoprono la politica, l’impegno civile, il gusto del dissenso. L’onda lunga delle sardine è stata salutata da un boato di speranza e di sostegno con una sfilata di sponsor da grandi eventi, preti inclusi. Che gioia il ritorno del figliol prodigo, la gioventù ritrovata. Da troppo tempo latitante dalla politica, eccola che si fa largo. Risale il Novecento, secolo della giovinezza, almeno fino al ’68, si ritrovano i ragazzi sulla breccia, come li vedemmo sull’orlo infranto del Muro di Berlino, salvo poi sparire nei pub, nei display e nei consumi privati. Superata la prima fase di euforia, sorgono i dubbi. Il primo, già noto. Non vi pare strano che i ragazzi scendano in piazza non per contestare un potere, un governo, una dominazione politica e culturale ma per attaccare l’opposizione, per condannare un libero e vasto consenso popolare, per opporsi a chi si oppone all’establishment politico e culturale, all’ideologia dominante e al relativo conformismo? Non ci sono precedenti… Il secondo dubbio è se sono davvero un fenomeno spontaneo: chi c’è dietro? Non siamo in grado di confermare o smentire niente. Ma possiamo dire che appena sono apparsi, la ditta dei santini si è messa subito al loro servizio, compatta, come già aveva fatto per Greta e i manifestanti a scuola, per Carola e i suoi tifosi, per tutte le icone, Papa Francesco incluso, di volta in volta agitate per sostituire – usando le parole di Gramsci – un populismo progressivo al populismo regressivo.Qual è la differenza tra i due? E’ ideologica, pregiudiziale, tautologica: questi sono buoni perché progressisti, quelli sono nefasti perché bollati come regressisti. Dietro le sardine non ci sarà nessuno ma i pescivendoli hanno già lanciato le loro reti politiche. La terza osservazione è sulla loro consistenza. Leggi il loro manifesto e non trovi nulla che giustifichi qualcosa di più di una manifestazione di piazza. Non ci sono idee, non ci sono ragionamenti, non ci sono programmi, niente. E intorno c’è solo una residua simbologia venuta dal passato: Bella Ciao, via retrocedendo nel tempo e nelle forme. Qualcuno dirà, e siamo al quarto inciampo, ma fateli parlare, ascoltateli prima di emettere giudizi. E invece dopo aver sentito i loro esordi pubblici, direi il contrario: sardine, disertate i talk show, per il vostro bene, non andate mai in tv e nei dibattiti. Quando vanno sono una delusione: il vuoto assoluto, il balbettante carosello di luoghi comuni, istanze generiche, più l’odio verso Salvini & C., come unico segno comune distintivo. E poi le vaghe menate sui muri da abbattere, l’ambiente, il senso civico, il politically correct. Troppo poco per dare consistenza a un movimento. Meglio restare sott’acqua, meglio far tappezzeria in piazza, nascondersi nel branco e restare muti come pesci, piuttosto che dire ovvietà con la scusante che sono ragazzi e vanno al Dams.In certi casi si fa miglior figura a essere figuranti. Restate nei collettivi, non separatevi mai dal coro, perché se dite, sapete solo ripetere le banalità dei grandi, con l’attenuante dell’inesperienza e il candore dell’estraneità. Quinta obiezione. I giovani scoprono la politica, ma dieci anni fa, i ragazzi che si affacciavano ai vaffa day di Grillo non erano in prevalenza giovani? E poi il popolo viola, i girotondini, le pantere… Non è dunque una novità assoluta. Diciamo che ciclicamente accade e di solito la rapidità con cui spuntano dal nulla è pari alla rapidità con cui spariscono nel nulla. Sesto dubbio, sono l’iceberg di una vasta gioventù o rappresentano su scala giovanile la stessa minoranza che la sinistra dem rappresenta a livello adulto? Dubbio più che legittimo perché sondaggi di altro tipo dimostrano una diffusa se non prevalente tendenza giovanile inversa rispetto alle sardine. E a tal proposito sorge una domanda congiunta: ma perché non si vedono le triglie conservatrici, le alici destrorse che avversano questo governo, l’establishment e la sua ideologia politically correct? Non esistono, non riescono a fare gruppo, passano inosservati? Difficile che non esistano, possibile che non riescano a fare gruppo, probabile che passino inosservati all’occhio dei media. Dico occhio al singolare, perché si sa che la fabbrica delle opinioni vede solo con l’occhio sinistro. Intanto si parla di pinguini e di gattini…A parte questi dubbi, alla fine fa piacere che ci siano dei ragazzi che si impegnino sul piano civile e politico, non dirò che si espongano perché non hanno da rischiare più che non abbiano da trarre vantaggi. Ma il dubbio che resta è: dureranno? Andranno oltre le elezioni amministrative di gennaio e forse di primavera, o avranno vita breve e finiranno nelle reti della pesca a strascico? Alla fine, però, con tutti i limiti, i difetti e i dubbi espressi, e ben sapendo che sono dalla parte opposta di chi vi scrive, ben vengano le sardine e altri animali politici. Anche perché suscitano l’impegno avverso, come già accadde alla generazione sessantottina che stimolò per reazione e contrappasso una vasta gioventù di “destra” negli anni Settanta. Ne abbiamo visti tanti di proclami e annunci di nuove generazioni alle porte, e poi dopo poco hanno sciolto le righe, si sono imboscati, sono rimasti in carriera politica solo i caporioni. Non devono impressionare le recriminazioni delle generazioni precedenti verso quelle successive, ci sono sempre state. Ognuna si esprime a suo modo. La vera novità è che gli ultimi ragazzi sembrano più sconnessi dalla storia, dalla polis, dal rapporto anche conflittuale con le altre generazioni. Com’è profondo il mare, troppo vasto, liquido, cangiante, per essere riempito dalle esili sardine.(Marcello Veneziani, “Quanto dureranno le sardine”, dal numero 50 di “Panorama”, 2019; articiolo ripreso dal blog di Veneziani).Evviva, i ragazzi scoprono la politica, l’impegno civile, il gusto del dissenso. L’onda lunga delle sardine è stata salutata da un boato di speranza e di sostegno con una sfilata di sponsor da grandi eventi, preti inclusi. Che gioia il ritorno del figliol prodigo, la gioventù ritrovata. Da troppo tempo latitante dalla politica, eccola che si fa largo. Risale il Novecento, secolo della giovinezza, almeno fino al ’68, si ritrovano i ragazzi sulla breccia, come li vedemmo sull’orlo infranto del Muro di Berlino, salvo poi sparire nei pub, nei display e nei consumi privati. Superata la prima fase di euforia, sorgono i dubbi. Il primo, già noto. Non vi pare strano che i ragazzi scendano in piazza non per contestare un potere, un governo, una dominazione politica e culturale ma per attaccare l’opposizione, per condannare un libero e vasto consenso popolare, per opporsi a chi si oppone all’establishment politico e culturale, all’ideologia dominante e al relativo conformismo? Non ci sono precedenti… Il secondo dubbio è se sono davvero un fenomeno spontaneo: chi c’è dietro? Non siamo in grado di confermare o smentire niente. Ma possiamo dire che appena sono apparsi, la ditta dei santini si è messa subito al loro servizio, compatta, come già aveva fatto per Greta e i manifestanti a scuola, per Carola e i suoi tifosi, per tutte le icone, Papa Francesco incluso, di volta in volta agitate per sostituire – usando le parole di Gramsci – un populismo progressivo al populismo regressivo.