Archivio del Tag ‘arbitrio’
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Magaldi: Isis e austerity, doppia impostura e identici registi
Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).Loro, gli uomini del clan fondato dai Bush all’epoca dell’elezione di Reagan, avrebbero organizzato il disastro dell’11 Settembre. E oggi serebbero alle prese col nuovo copione del terrore, quello del Califfato. Per questo non bisogna mai credere all’Uomo Nero, aggiunge un altro massone, Gianfranco Carpeoro, schierato con Magaldi nel “Movimento Roosevelt”, associazione sorta per “risvegliare alla verità” la politica italiana (clamorosa la proposta, rivolta al Movimento 5 Stelle, di candidare a sindaco di Roma un valoroso combattente della democrazia come il grande economista Nino Galloni). L’Uomo Nero – ieri Bin Laden, oggi Al-Baghdadi – è sempre una creazione “magica” del potere: «Il loro obiettivo – ricorda Carpeoro a “Border Nights”, trasmissione radio via web – è sempre lo stesso: indurci a odiare il “nemico” di turno, anziché il sistema che l’ha prodotto». Ma l’Uomo Nero, per farci paura, ha bisogno di vaste coperture: politiche, diplomatiche, industriali, militari, finanziarie, mediatiche. I cosiddetti poteri forti. Attenzione, avverte Magaldi: non si tratta di una semplice élite di potere. I grandi burattinai sono tutti massoni, affiliati a superlogge segrete internazionali. E convinti che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi. Solo loro, gli “eletti”, auto-promossi in una sorta di “aristocrazia spirituale”, si credono in grado di stabilire cos’è bene e cos’è male.Sono gli uomini come il “venerabile” Mario Draghi, che Magaldi chiama “contro-iniziati”, cioè traditori della missione massonica originaria: “libertè, egalitè, fraternitè”, ideali su cui le logge del ‘700 basarono la storica guerra sotterranea contro l’assolutismo monarchico, innescando la Rivoluzione Francese e quella americana, quindi i Risorgimenti dell’800 e le grandi rivoluzioni del ‘900, compresa quella russa. Magaldi l’ha ripetuto in una lunga video-intervista che Claudio Messora ha realizzato e pubblicato sul seguitissimo blog “Byoblu”, vicino all’area grillina. Un’ora di rivelazioni a catena, per spiegare (anche) la candidatura romana di Galloni: «Se fosse eletto sindaco della capitale, esordirebbe con un gesto necessario e dirompente: la rottura del “patto di stabilità” che costringe artificiosamente gli enti pubblici a deprimere la spesa, mettendo in sofferenza i cittadini, non in nome di criteri economici ma solo di diktat ideologici imposti da quell’élite oligarchica che vuole semplicemente la fine della democrazia». L’autore di “Massoni” cita il politologo statunitense John Rawls e la sua “teoria della giustizia”: nulla in contrario alla ricchezza, se sudata, purché nella società non restino persone senza reddito, senza il diritto a un’esistenza dignitosa. Diritto al lavoro, da inserire nella Costituzione: «Oggi serve un’alta autorità deputata alla creazione della piena occupazione, in Italia», ben sapendo che la crisi – rigore, austerity, disoccupazione – è stata espressamente voluta: il bisogno e la paura del futuro trasformano i cittadini in sudditi, secondo la visione neo-feudale dell’élite dominante.Era un massone, Rawls, e purtroppo lo era anche Robert Nozick, il teorico dello “Stato minimo”: tagli drastici alla spesa sociale, come raccomandato anche dalla scuola austriaca, quella di Friedrich Von Hayek, altro massone, punto di riferimento di un esponente nostrano della massoneria neo-oligarchica, Mario Monti. Proprio la “libera muratoria”, insiste Magaldi, è il convitato di pietra dei nostri giorni: benché assente, clamorosamente, dalla storiografia, la massoneria ha letteralmente “fatto la storia”, creando le basi della modernità (democrazia, elezioni, Stato di diritto), e poi ha partorito un’élite di potere di segno opposto, reazionario, che ha dominato gli ultimi decenni. Un’élite di rinnegati e “contro-iniziati”, appunto: «Tradiscono l’ispirazione umanitaria della massoneria storica, che ha conferito ad ogni singolo cittadino, prima la prima volta, una quota di sovranità: prima non esistevano cittadini, ma solo sudditi, esposti all’arbitrio del monarca». Se non ci si decide a riconoscere finalmente il ruolo positivo e decisivo della “libera muratoria” come leva dello sviluppo civile democratico, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promossa da Eleanor Roosevelt, è impossibile capire fino in fondo chi abbiamo di fronte oggi, insiste Magaldi: è fondamentale la matrice massonica del nuovo super-potere, quello delle Ur-Lodges apolidi e affaristiche, pronte a manipolare la storia sociale del mondo in nome delle proprie convinzioni iniziatiche, corrotte dal suprematismo neo-aristocratico.Enorme, comunque, anche tra i commenti sul blog di Messora, la diffidenza nei confronti di Magaldi e della massoneria in generale. «In materia, in Italia, c’è un’ignoranza abissale», ammette lo stesso Magaldi, che nel suo libro denuncia il ruolo di Gelli e della P2 come longa manus della superloggia reazionaria e golpista “Three Eyes”, quella di Kissinger, a cui sarebbe stato affiliato anche Giorgio Napolitano. In polemica col “Grande Oriente d’Italia”, Magaldi ha condotto una battaglia per la trasparenza, fondando il “Grande Oriente Democratico”. Poi ha concepito il progetto editoriale “Massoni”, per scuotere le acque, affiliandosi anche alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Il “Movimento Roosevelt” è l’ultima creatura, apertamente politica, per contrastare l’emergenza attuale, fondata sull’artificio ideologico del rigore. Non è casuale, ovviamente, il richiamo al grande presidente americano: «Quando gli Usa agonizzavano, in preda alla Grande Depressione, il repubblicano Hoover condusse la sua campagna elettorale nel silenzio imbarazzato del suo stesso partito: nessuno più credeva alla ricetta dell’austerity, ed era il 1929. La riscossa venne proprio dal massone Roosevelt, grazie al genio economico di un altro massone, John Maynard Keynes, l’uomo della spesa pubblica espansiva: solo lo Stato ha il potere di risollevare le sorti dell’economia. A loro, l’Europa deve lo sviluppo e la prosperità del dopoguerra».Grandi personaggi, leader storici indiscussi, di cui però viene sempre regolarmente omessa l’appartenenza massonica. Un “buco nero” a cui probabilmente ha contribuito la massoneria stessa, con la sua tradizionale riservatezza, ereditata dall’epoca in cui gli inventori della democrazia rischiavano il cercere e la forca. Oggi la massoneria torna a fare notizia, ma generalmente in negativo: sinonimo di potere occulto, di network deviato e pericoloso. «Io sono orgogliosamente massone», protesta Magaldi, «e, come me, tanti “fratelli”, in Italia e nel mondo, decisi a contrastare questa leadership egemonica nefasta». Grande complotto, da parte dei neo-aristocratici? L’autore di “Massoni” preferisce parlare di “progetto”: «E’ comprensibile che, chi ha creato la modernità, pensi di poterla pilotare a suo piacimento. Comprensibile, ma sbagliato: il potere deve assolutamente e rapidamente tornare al popolo, per via democratica. E questo, anche se i libri di storia non lo spiegano, è un orientamento non soltanto giusto, ma anche profondamente massonico, nonostante il pessimo esempio fornito dai contro-iniziati come Draghi e Monti». Il viaggio di Gioele Magaldi continua, come le tappe della presentazione del suo libro, oscurato dai media mainstream. «Lei non ha paura?», gli domanda Messora. «Ricevo minacce di morte, ma vado avanti», assicura Magaldi, deciso a completare la missione: strappare il velo che ci impedisce di vedere che i burattinai dell’Isis e quelli dell’austerity europea sono le stesse persone.Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).
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Medicina ribelle, contro Big Pharma che fabbrica malattie
“Big Pharma”, l’industria farmaceutica mondiale, impiega un terzo dei ricavi e un terzo del personale per collocare nuovi medicinali sul mercato. Pionieri di questo nuovo approccio verso la salute sono gli Stati Uniti, dove tra il 1996 e il 2001 il numero dei venditori di farmaci è cresciuto del 110%, passando da 42.000 a 88.000 agenti. Per promuovere i suoi nuovi prodotti, questo settore spende ogni anno da 8.000 a 13.000 euro per ogni singolo medico. Sono le cifre di un big business, che si trasforma in guerra ai pazienti: si specula sulla loro pelle. Lo scrive, senza giri di parole, un giovane giornalista come Andrea Bertaglio, nel suo ultimo libro, “Medicina ribelle”. Racconta gli abusi del sistema, ma anche le prime clamorose ribellioni. Come quella della dottoressa Patrizia Gentilini, oncologo di Forlì: «Sono un medico, ho lavorato per più di trent’anni in un reparto di oncologia. Sono qui avendo nel cuore la sofferenza, la disperazione, le lacrime – quelle versate e quelle nascoste – dei miei pazienti, delle mogli, dei mariti, dei figli e dei genitori». Domanda: «Perché tanto dolore? Era proprio ineluttabile? Davvero la ricerca e le terapie sempre più mirate e “intelligenti” risolveranno il problema del cancro?».No, purtroppo: «Ancora una volta abbiamo imboccato la strada sbagliata», sostiene la dottoressa. Perché la medicina ufficiale, quella degli ospedali, è tragicamente orientata dal mercato farmaceutico. Un sistema che inquina la conoscenza, a cominciare dalle università e dai centri di ricerca. E’ sempre “Big Pharma” a indirizzare gli investimenti, pensando ai profitti prima che alla salute e all’efficacia delle cure. Clamoroso il capitolo degli psicofarmaci: un mercato virtualmente senza limiti, rivelatosi particolarmente redditizio. «Secondo alcune stime – scrive Bertaglio – psichiatri e produttori di psicofarmaci hanno una fetta di mercato da cui incassano 80 miliardi di dollari ogni anno (sono più di 150.000 dollari al minuto)». Cifre da capogiro. «Le industrie farmaceutiche spendono a questo proposito oltre 22 miliardi di dollari all’anno per convincere ad aumentare le loro prescrizioni, un incredibile 90% del loro budget di marketing», conferma la “Citizens Commission on Human Rights”. Nel 1997, le lobby delle industrie farmaceutiche hanno fatto pressione sul Congresso degli Usa per permettere la pubblicità degli psicofarmaci nelle Tv americane, e questo ha aperto le porte a un torrente di pubblicità. Dai 595 milioni di dollari del 1996 ai 4,7 miliardi di dollari del 2009: un aumento di quasi il 700%.«Non sorprende, quindi, che i conglomerati dei media aborriscano l’idea di mordere la mano di chi li nutre», scrive l’autore di “Medicina ribelle”. «Dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti, sempre negli Stati Uniti, il numero delle malattie psichiche diagnosticate è passato da 26 a 395». Psicofarmaci dati come caramelle anche ai bambini: «È bene ricordare come oltreoceano abbiano superato l’impressionante numero di 14 milioni i bambini in terapia con psicofarmaci per il controllo delle più svariate sindromi del comportamento: dal miglioramento delle performance scolastiche, al controllo dell’iperattività sui banchi di scuola, alle lievi depressioni adolescenziali». Un problema non solo americano, però: «In Germania, sono stati rilasciati lo scorso anno i dati dei bambini diagnosticati iperattivi e quindi probabilmente destinati a terapie farmacologiche: sono 750.000. E il problema non è solo tedesco: se nella vicina Francia quasi il 12% dei bimbi inizia la scuola elementare avendo già assunto una pastiglia di psicofarmaco, abbiamo un problema».La logica, continua Bertaglio, è la stessa che domina in generale nella società dei consumi. Dalla produzione di merci per il loro consumo non siamo forse passati al consumo fine a se stesso per continuare a produrre merci? Bene, allo stesso modo «si è passati dall’invenzione di nuove medicine per la cura delle malattie all’invenzione di nuove malattie per produrre nuovi farmaci». E fabbricare malattie rende moltissimo. «Il caso più eclatante si è probabilmente verificato nel 2004, quando una commissione di “esperti” negli Stati Uniti ha riformulato la definizione di “ipercolesterolemia”», cioè l’eccesso di colesterolo nel sangue. «In pratica, riducendo i livelli ritenuti necessari per autorizzare una terapia medica, hanno letteralmente triplicato da un giorno all’altro il numero di persone che potevano avere bisogno di cure farmacologiche». Dettaglio importante: «Otto dei nove membri di quella commissione lavoravano a quel tempo anche come relatori, consulenti o ricercatori proprio per le case farmaceutiche coinvolte nella produzione di farmaci ipocolesterolemizzanti». E questa, assicura Bertaglio, è solo la vetta dell’iceberg.Già nel 2002, infatti, secondo uno studio pubblicato sul “Journal of the American Medical Association”, l’87% degli autori delle linee-guida cliniche aveva conflitti d’interesse a causa di legami con l’industria farmaceutica. «Di questi, il 59% aveva rapporti diretti con i produttori dei farmaci relativi alle patologie per cui era chiamato a stilare le linee-guida». Qualcosa però sta cominciando a cambiare: a opporsi a “Big Pharma” c’è infatti un numero crescente di sanitari, protagonisti della “medicina ribelle” che rifiuta la logica industriale dei “fabbricanti di malattie”. «Sempre più medici iniziano a sentirsi stanchi di essere indotti a mettere il guadagno delle grandi case farmaceutiche davanti alla vita dei pazienti», sintetizza Bertaglio, in un libro che fotografa un diverso approccio con il concetto di salute. Il volume, inoltre, «si interroga su quello che ci può capitare con l’eccessiva americanizzazione (che va oltre la semplice privatizzazione) del sistema sanitario».“Medicina ribelle” non è ovviamente un manuale scientifico, né una mera raccolta di interviste, ma un insieme di punti di vista alternativi. Lungi dal rifiutare il progresso medico-farmacologico, «sarebbe altrettanto sbagliato non iniziare a reagire ai continui tentativi di venderci, a caro prezzo, un sacco di porcherie di cui non solo non abbiamo bisogno, ma che addirittura ci portano a vivere peggio». Anche in un sistema come il nostro, basato sul profitto, stanno aumentando i medici che non hanno più intenzione di sottostare a certe dinamiche di mercato. Questa è la loro storia, la loro missione. «Io sono qui per dire che rifiuto una “scienza” per la quale un veleno non è mai abbastanza veleno per essere dichiarato tale», dichiara la dottoressa Gentilini. «Sono qui perché rifiuto una medicina per la quale i morti che si contano non sono mai abbastanza per decidersi ad affermare che è il caso di prendere provvedimenti. E sono qui perché rifiuto un mondo accademico che celebra come grande epidemiologo sir Richard Doll, colui che trent’anni fa attribuì a cause ambientali solo il 2% dei tumori, dimenticando che Doll era sul libro paga della Monsanto».Non solo: Doll «era pagato in percentuale in base alla quantità di sostanze chimiche annualmente prodotte da tutta l’industria chimica mondiale». E oggi, «sia chiaro, nulla è cambiato». L’oncologa di Forlì “rifiuta” una scienza e una medicina che non hanno celebrato e ricordato un ricercatore come Lorenzo Tomatis, insigne scienziato sconosciuto al grande pubblico: ignorato dai media, «ha posto le basi scientifiche e metodologiche della cancerogenesi, identificando e classificando gli agenti inquinanti e le loro conseguenze per la salute umana». Per il medico romagnolo, Tomatis «rappresenta la vera faccia della scienza e della medicina: schierata, senza ambiguità alcuna, a difesa della salute e della dignità dell’uomo». Un uomo che si è sempre strenuamente battuto per la prevenzione primaria, ovvero per la tutela della salute pubblica attraverso la riduzione dell’esposizione (ambientale, professionale) a sostanze tossiche cancerogene o comunque nocive.Nel suo lavoro di ricercatore, ricorda Gentilini, Tomais incontrò inaudite difficoltà. Addirittura definì la prevenzione primaria del cancro come «una corsa a ostacoli, in cui l’identificazione di un agente fisico o chimico come cancerogeno viene troppo spesso vista con scetticismo, se non con aperta ostilità». Alcune sostanze sono ritenute cancerogene in alcuni paesi e non in altri. Quando riconosciute, i limiti consentiti variano a paese a paese, «come se il loro effetto cancerogeno potesse modificarsi passando i confini». Invitato in audizione sul problema dell’incenerimento dei rifiuti al Comune di Forlì il 24 novembre 2005, Tomatis esordì dicendo: «Le generazioni a venire non ci perdoneranno i danni che noi stiamo loro facendo», e spiegò che centinaia di sostanze chimiche, tossiche e pericolose, molte delle quali emesse anche dagli inceneritori, ormai si ritrovano nel cordone ombelicale. «Tutto ciò compromette non solo lo sviluppo fetale, ma comporta un crescente, inesorabile aumento nell’incidenza del cancro nell’infanzia nonché disturbi neuropsichici e cognitivi, e condiziona quello che sarà lo stato complessivo di salute anche da adulti, creando danni che addirittura possono trasmettersi, attraverso le cellule germinali, nelle generazioni successive».Giornalista freelance specializzato sui temi cruciali della sostenibilità ambientale, dopo anni di impegno al “Fatto Quotidiano”, ora Bertaglio collabora con “La Stampa”. Ha alle spalle una stretta collaborazione con Maurizio Pallante, nonché libri sul tema della decrescita, sulla scomparsa del futuro per i giovani, sul fardello inquietante delle scorie nucleari italiane di cui nessuno parla mai. Dalla salute dell’ambiente a quella della persona, il passo è breve. «Ho scritto questo libro – racconta Andrea – perché mi sono reso conto, nell’arco degli anni, di essere entrato in contatto con parecchi medici e realtà del settore sanitario molto a disagio con quello che è ormai diventato il loro campo». Con un certo stupore, Bertaglio si è accorto tempo fa che «ci sono sempre più medici che non hanno più intenzione di sottostare a certe dinamiche di mercato, che non sopportano più di vedere l’interesse economico venire prima della salute». Medici “ribelli”, «stanchi di dover mettere il guadagno delle grandi case farmaceutiche davanti alla vita dei pazienti, magari bambini».Così, Andrea Bertaglio ha raccolto le loro testimonianze, mettendo a fuoco «l’insano intreccio fra profitto e salute», in quest’Europa su cui incombe la progressiva e minacciosa “americanizzazione” del sistema sanitario. «Che cosa ho imparato? Moltissime cose, a partire dalla mole enorme di soldi che ruota intorno al settore farmaceutico», confessa. «Mi ha impressionato l’arbitrarietà con cui si decide se le persone sono malate o meno (cosa che avviene soprattutto in ambito psichiatrico). Mi ha disgustato la semplicità con cui, soprattutto negli Usa ma tendenzialmente anche in Europa, si preferisce dare uno psicofarmaco a un bambino, piuttosto che educarlo o amarlo. E mi ha colpito come molta gente, oggi, persa nel paradosso di una società che si crede molto informata, sia convinta di sapere anche più del proprio medico cosa sia opportuno prescrivergli».(Il libro: Andrea Bertaglio, “Medicina ribelle”, Edizioni L’Età dell’Acquario, 146 pagine, 12 euro).“Big Pharma”, l’industria farmaceutica mondiale, impiega un terzo dei ricavi e un terzo del personale per collocare nuovi medicinali sul mercato. Pionieri di questo nuovo approccio verso la salute sono gli Stati Uniti, dove tra il 1996 e il 2001 il numero dei venditori di farmaci è cresciuto del 110%, passando da 42.000 a 88.000 agenti. Per promuovere i suoi nuovi prodotti, questo settore spende ogni anno da 8.000 a 13.000 euro per ogni singolo medico. Sono le cifre di un big business, che si trasforma in guerra ai pazienti: si specula sulla loro pelle. Lo scrive, senza giri di parole, un giovane giornalista come Andrea Bertaglio, nel suo ultimo libro, “Medicina ribelle”. Racconta gli abusi del sistema, ma anche le prime clamorose ribellioni. Come quella della dottoressa Patrizia Gentilini, oncologo di Forlì: «Sono un medico, ho lavorato per più di trent’anni in un reparto di oncologia. Sono qui avendo nel cuore la sofferenza, la disperazione, le lacrime – quelle versate e quelle nascoste – dei miei pazienti, delle mogli, dei mariti, dei figli e dei genitori». Domanda: «Perché tanto dolore? Era proprio ineluttabile? Davvero la ricerca e le terapie sempre più mirate e “intelligenti” risolveranno il problema del cancro?».
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Kapò tedeschi e pagliacci europei? Usciamo dalla barbarie
L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.I tedeschi quindi stanno palesemente violando la sovranità di nazioni ancora oggi formalmente libere e indipendenti. L’Europa ha imboccato una deriva terribile, tenuta brutalmente al laccio da un manipolo di fanatici che dimostrano di non tenere la democrazia in nessun conto. I vari Renzi, Hollande e Rajoy sono poco più che valletti nelle mani del feroce gabinetto germanico, burattini che tradiscono il mandato ricevuto per guadagnare sul campo la benevolenza dei conquistatori. E’ perciò inutile sperare in un sussulto d’orgoglio da parte di simili soggetti, anime nere che mentono continuamente sapendo di mentire. L’unica prospettiva possibile è quella che punta a creare e sedimentare una solidarietà pan-europea organizzata dal basso. C’è bisogno cioè di un nuovo movimento trans-nazionale che raccolga all’interno di un unico contenitore tutti i sinceri democratici ovunque dislocati. Un contenitore libero e plurale, cementato però dalla radicale avversione nei confronti del totalitarismo finanziario e tecno-fascista oggi incarnato da un triumvirato famelico composto da Angela Merkel, Wolfang Schaeuble e Mario Draghi.Questa è la strada giusta. E’ sbagliato invece fomentare contrapposizioni di tipo prettamente nazionalistico. L’élite che oggi sovraintende lo svuotamento della democrazia sostanziale in Europa è apolide. I tedeschi, per indole e costituzione, si limitano soltanto a recitare meglio degli altri la parte dei kapò. Ma Hollande e Renzi, pavidi comprimari, non sono migliori di Angela Merkel, aggiungendo un pizzico di ignavia condita di ipocrisia alla conclamata e unanime predisposizione al sopruso e al raggiro. Nel frattempo in Italia come in Francia proseguono le controriforme di stampo neoliberista approvate da governi formalmente progressisti e di sinistra. Rileggendo i punti della lettera scritta nell’agosto del 2011 dalla Bce di Trichet e Draghi c’è da restare sbalorditi. I governi Monti, Letta e Renzi hanno palesemente applicato l’indirizzo politico deciso d’imperio da un istituto sprovvisto di mandato democratico.Siamo tornati al Medioevo, quando il potere promanava da Dio e i sudditi erano chiamati a non turbare un immutabile ordine costituito. Il nuovo Dio si chiama mercato finanziario e Mario Draghi è il suo profeta. Gli uomini liberi che non intendono arrendersi all’oscurantismo di ritorno si preparino a combattere un battaglia decisiva in difesa del progresso e contro la barbarie. Noi non permetteremo a nessuno di fondare sulla nostra pelle una nuova aristocrazia dello spirito desiderosa di dominare masse informi e abbrutite. Noi combatteremo a viso aperto, con coraggio e spirito di servizio, orgogliosi di stare senza dubbio dalla parte giusta della Storia. Alla lunga, trionferemo!(Francesco Maria Toscano, “Uniti sconfiggeremo il rigurgito nazista che opprime l’Europa”, dal blog “Il Moralista” del 20 febbraio 2015. Insieme a Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico e autore del libro “Massoni”, Toscano è tra i promotori dell’assemblea costitutiva del “Movimento Roosevelt”, in programma a Perugia il 21 marzo 2015, per dare impulso a una riconversione democratica dell’assetto europeo).L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.
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Bricmont: terrorismo umanitario, presto il mondo ci punirà
«Ci sono almeno due cose più facili da iniziare che da finire: un amore e una guerra». Nessuno di coloro che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale si aspettava che durasse così a lungo o che avesse le conseguenze che ha avuto, ricorda il professor Jean Bricmont dell’università belga di Louvain, autore del saggio “Humanitarian Imperialism”. Tutti gli imperi che hanno partecipato alla Grande Guerra sono stati distrutti, inclusi quello britannico e quello francese. «E non è tutto: una guerra conduce a un’altra guerra». Per il filosofo inglese Bertrand Russell, la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese portò come esito a Napoleone, ma poi le guerre napoleoniche produssero il nazionalismo germanico, che a sua volta condusse a Bismarck, alla sconfitta francese di Sédan e all’annessione dell’Alsazia-Lorena. Tutto questo diede forza al revanscismo francese che portò, dopo la Prima Guerra Mondiale, al Trattato di Versailles, la cui iniquità diede un forte impulso al nazismo di Hitler.«Russell si fermò qui, ma la storia continua», scrive Bricmont in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «La sconfitta di Hitler portò alla guerra fredda e alla nascita di Israele. La “vittoria” dell’Occidente nella guerra fredda condusse al diffuso desiderio di schiacciare la Russia una volta per tutte. Quanto a Israele, la sua creazione produsse un conflitto permanente e creò una situazione inestricabile nel Medio Oriente». Ci vorrebbe un “pacifismo istituzionale”, dice Bricmont: istituzioni a guardia della pace. L’Onu? Doveva appunto «salvare l’umanità dalla “piaga della guerra”, in seguito all’esperienza della Seconda Guerra Mondiale». Sovranità degli Stati, dunque, «per impedire che le grandi potenze intervenissero militarmente contro le nazioni più deboli, a prescindere dal pretesto». Ma visto che «non esiste una forza di polizia internazionale che faccia valere il diritto internazionale», non resta che «un bilanciamento di potere», corollario dell’antica politica di potenza. Equilibrio ancora più precario dopo che l’Occidente ha interpretato la fine della guerra fredda «come una vittoria unilaterale del Bene contro il Male».Da qui il boom occidentale dell’ideologia dei diritti umani e del diritto agli “interventi militari umanitari”, sviluppata da influenti intellettuali occidentali già a partire dalla metà degli anni ’70, spesso sostenitori di Israele. Il “diritto” all’intervento umanitario, ricorda Bricmont, è stato respinto dalla maggioranza dell’umanità, anche dal Movimento dei Non Allineati a Kuala Lumpur nel febbraio 2003, alla vigilia dell’attacco Usa all’Iraq. L’intervento militare “umanitario”? «Non trova fondamento né nella Carta delle Nazioni Unite, né nel diritto internazionale». In Occidente, però, quel tipo di intervento «è quasi unanimemente accettato». L’intervento degli Stati Uniti, scrive Bricmont, «è eterogeneo ma costante, e viola sistematicamente lo spirito, e spesso anche la lettera, della Carta delle Nazioni Unite». Nonostante i principi di libertà e democrazia agitati come paravento, «l’intervento statunitense ha ripetutamente comportato conseguenze disastrose, in tutto il mondo.A pesare non solo «i milioni di morti dovuti alle guerre dirette e indirette, in Indocina, America Centrale, Sudafrica e Medio Oriente», ma anche «le opportunità perdute, “l’uccisione della speranza” per centinaia di milioni di persone che avrebbero tratto beneficio dalle politiche sociali progressiste iniziate da personaggi come Arbenz in Guatemala, Goulart in Brasile, Allende in Cile, Lumumba in Congo, Mossadegh in Iran, i Sandinisti in Nicaragua o Chavez in Venezuela, che sono stati sistematicamente rovesciati, deposti o assassinati con il pieno appoggio dell’Occidente». Inoltre, aggiunge Bricmont, «ogni aggressione compiuta dagli Stati Uniti provoca una reazione: il dispiegamento di uno scudo anti-missile produce più missili, non meno. Bombardare dei civili – sia deliberatamente, sia come “danno collaterale” – provoca più resistenza armata, non meno. Cercare di deporre o rovesciare dei governi produce più repressione interna, non meno. Incoraggiare le minoranze secessioniste dando loro l’impressione, spesso falsa, che l’unica Superpotenza verrà in loro aiuto in caso di repressione, porta a più violenza, odio e morte, non meno». E ancora: «Circondare una nazione con basi militari produce più spese per la difesa da parte di quella nazione, non meno. E il possesso di armi nucleari da parte di Israele incoraggia altri stati del Medio Oriente ad acquistare tali armi».L’ideologia dell’intervento umanitario, continua Bricmont, in realtà fa parte di una lunga storia degli atteggiamenti occidentali nei confronti del resto del mondo. «Quando i colonialisti occidentali sbarcarono sulle coste dell’America, dell’Africa o dell’Asia orientale, venivano sconvolti da ciò che noi ora definiremmo violazioni dei diritti umani, e che loro chiamavano “usanze barbare” – sacrifici umani, cannibalismo, donne costrette a legarsi i piedi». Quell’indignazione, reale o simulata, «è stata usata per giustificare o coprire i crimini delle potenze occidentali: il commercio degli schiavi, lo sterminio dei popoli indigeni e il furto sistematico di terre e risorse». Così, «questo atteggiamento di sincera indignazione è continuato fino ad oggi e sta alla base della pretesa che l’Occidente ha “il diritto di intervenire” e “il diritto di proteggere”, chiudendo al tempo stesso gli occhi di fronte a regimi oppressivi considerati “nostri amici”, ad una incessante militarizzazione e continue guerre, e allo sfruttamento massiccio del lavoro e delle risorse».I fautori dell’intervento “umanitario” rivendicano che il loro interventismo sia gestito dalla comunità internazionale? «Ma ad oggi non c’è nulla che si possa definire una vera comunità internazionale. In realtà – scrive Bricmont – niente può illustrare meglio l’ipocrisia dell’ideologia umanitaria quanto il contrasto tra la reazione occidentale alle richieste d’indipendenza del Kosovo e alla richiesta di autonomia dell’Ucraina dell’Est. In entrambi i casi vi è il rifiuto di negoziare, ma in un caso con il totale appoggio all’indipendenza, e nell’altro caso con la totale opposizione all’autonomia». I promotori dell’intervento umanitario lo presentano come l’inizio di una nuova era, ma nei fatti è la fine di una vecchia epoca, sostiene Bricmont: «La più grande trasformazione sociale del ventesimo secolo è stata la decolonizzazione. Continua oggi nella creazione di un mondo veramente democratico e multipolare, in cui il sole sarà tramontato sull’impero Usa, proprio come accadde per vecchi imperi europei». Lo pensano in molti, ormai, ancje in Occidente, anche se «purtroppo non viene riportato nei nostri mezzi di comunicazione».Aggiunge Bricmont: «Durante le recenti campagne isteriche anti-russe, i nostri media sembrano aver completamente abbandonato lo spirito critico dell’Illuminismo che l’Occidente pretende di possedere. L’ideologia dei diritti umani, che ci dipinge come i buoni contro i cattivi, presenta la caratteristica di tutte le fedi religiose, ed è particolarmente intrisa di fanatismo». Nella Prima Guerra Mondiale, «tutte le parti in causa pretendevano di avere Dio al proprio fianco». Oggi, conclude Bricmont, «l’ideologia dei diritti umani ha sostituito le antiche fedi, ma funziona come una religione ed è la base di un nuovo nazionalismo, quello degli Stati Uniti e dell’Unione Europea». C’è chi pensa che tutto questo bellicismo ideologico sia dovuto a calcoli economici razionali da parte di cinici profittatori? «Io penso che questa interpretazione sia troppo ottimista e che ignori, per citare nuovamente Russell, “l’oceano dell’umana follia sul quale la fragile barca della ragione umana naviga precariamente”. Le guerre sono state fatte per ogni tipo di ragioni non economiche, come la religione o la vendetta, o semplicemente per ostentare potere». Attenzione: «Se i cittadini occidentali non riescono a mobilitarsi contro i propri governi e mezzi di comunicazione per fermare l’attuale follia, starà ad altri paesi svolgere questo compito. C’è da sperare che possano riuscirvi, senza aggiungere un ulteriore capitolo sanguinoso alla storia che è iniziata con la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese».«Ci sono almeno due cose più facili da iniziare che da finire: un amore e una guerra». Nessuno di coloro che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale si aspettava che durasse così a lungo o che avesse le conseguenze che ha avuto, ricorda il professor Jean Bricmont dell’università belga di Louvain, autore del saggio “Humanitarian Imperialism”. Tutti gli imperi che hanno partecipato alla Grande Guerra sono stati distrutti, inclusi quello britannico e quello francese. «E non è tutto: una guerra conduce a un’altra guerra». Per il filosofo inglese Bertrand Russell, la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese portò come esito a Napoleone, ma poi le guerre napoleoniche produssero il nazionalismo germanico, che a sua volta condusse a Bismarck, alla sconfitta francese di Sédan e all’annessione dell’Alsazia-Lorena. Tutto questo diede forza al revanscismo francese che portò, dopo la Prima Guerra Mondiale, al Trattato di Versailles, la cui iniquità diede un forte impulso al nazismo di Hitler.
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La ricchezza non gocciola: sempre più ricchi, a nostre spese
La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.Il termine trickle-down può essere tradotto con la parola “gocciolamento”. Un’espressione che evoca processi naturali, e che serve a dare alla dottrina un carattere di spontaneità irrefutabile.I neoliberisti sono bravi, in queste narrazioni: l’arbitrio che viene tradotto come libertà di decisione; la subordinazione del bene individuale a quello comune descritta come una prevaricazione indebita dello Stato; la tutela dei più deboli vista come incoraggiamento alle tendenze parassitarie; i meccanismi di previdenza accusati di essere de-responsabilizzanti.(Esempi recenti li troviamo nella retorica della compagine governativa, in particolare quella del nostro caro leader, il facondo Renzi. L’ultimo che mi ha colpito è stata quando a proposito dell’idea di mettere il Tfr in busta paga ha affermato, più o meno, che doveva finire l’epoca dello “Stato-mamma”). In rete mi sono imbattuto in una vignetta che illustra molto bene il concetto di Trickle-down, come ce lo raccontano e come funziona veramente. Molto carina, vero?, ma restava una metafora senza supporto scientifico.Manco a farlo apposta, leggo sul “Washington Post” un articolo di Christopher Ingram a commento del grafico costruito da Pavlina Tcherneva sulla base di dati ricavati dal recente lavoro di Piketty. Il titolo dell’articolo è significativo: “Il deprimente grafico che segue dimostra che i ricchi non si stanno impossessando della fetta di torta più grande: si stanno prendendo tutta la torta”. Il grafico lo trovate qui sotto: rappresenta la distribuzione dell’incremento dei redditi dal secondo dopoguerra a oggi, fra il 10% più ricco della popolazione (in rosso) e il restante 90% (in blu), e dimostra che una quota sempre maggiore di ricchezza prodotta finisce nelle tasche dei più facoltosi. Notare l’inesorabile declino della quota blu a beneficio di quella rossa, culminato con il crollo degli anni ’80 grazie agli effetti della reaganomics e della pretestuosa trickle-down theory. Notare anche come la quota blu non solo è andata diminuendo, ma negli ultimi anni è diventata in termini reali addirittura negativa. Il grafico non dice nulla che non sapessimo o sospettassimo già, ma lo dice in maniera molto eloquente. Va ricordato però che sono dati riferiti alla realtà statunitense. Dati europei, ne sono convinto, mostrerebbero una distribuzione molto più equilibrata. O no?(Mauro Poggi, “Tricke-up, la ricchezza non gocciola”, da “Appello al Popolo” del 1° novembre 2014).La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.
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Ovadia: il ‘900 è finito, infatti con Renzi torniamo all’800
Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.Alle europee prende il 40,8%? E’ un bravissimo comunicatore, si vende bene. Incarna la retorica del nuovismo contro chi è ancora ancorato al Novecento, peccato lui voglia tornare all’Ottocento dove si poteva licenziare arbitrariamente. Forse è più vecchio lui di quella folla che sabato scorso ha invaso Roma in difesa dei propri diritti. Vince perché altrove c’è il nulla. Grillo ha perso il treno. Poteva rappresentare un’interessante proposta ma ha sposato veementemente la retorica dell’urlo. Pur avendo ottimi parlamentari, questo va riconosciuto al M5S, hanno fallito, non sono riusciti a incidere e la novità dopo mesi annoia. Anche la destra è allo sfascio, Berlusconi è un uomo patetico. La sinistra, quella vera, avrebbe un vastissimo popolo e potrebbe arrivare anche al 20%. Ma è più presa a litigare e dal proprio narcisismo ombelicale che a fare politica. Ora è in attesa che l’ex sinistra del Pd le getti un osso. Così – tra paura, opportunismo e crisi – le persone optano per questo giovanotto tronfio, con uno stile dinamico e sbarazzino, il quale dice di voler cambiare e modernizzare il paese.Conosco gente, autenticamente di sinistra, che per mancanza di alternative alle europee l’ha votato. C’è un disperato bisogno di un’aggregazione del popolo di sinistra, lo dovrebbero auspicare anche le persone sinceramente democratiche. In tutta Europa esiste, tranne che in Italia. In Germania abbiamo la Linke, in Francia un fronte variegato intorno al 10, in Grecia l’esperienza trionfante di Syriza, in Spagna l’innovazione di Podemos. E da noi? Abbiamo bisogno di una vera sinistra capace di tutelare il mondo del lavoro, l’ambiente e arrestare razzismo e deriva ultraliberista. Senza, chi osteggerà il trattato europeo del Ttip? Chi si batterà per i beni comuni e contro le privatizzazioni? Non abbiamo l’ambizione di diventare il partito della nazione, ma una forza forte e dialogante con gli altri.Decine di operai di Terni vengono licenziati e con la disperazione nel cuore, con vite perse senza più un’occupazione, e magari con figli senza futuro, si riversano nella capitale per una manifestazione non violenta e che succede? Vengono caricati e manganellati. Ma siamo matti? In un’epoca di dramma sociale e aumento delle diseguaglianze, invece di parlare di solidarietà umana e primaria, si cancellano diritti e dignità dei lavoratori. Dubito che gli agenti l’abbiamo fatto di loro sponte, sarà giunto un comando dall’alto. Come succedeva in Gran Bretagna ai tempi della Thatcher, lì torniamo. I minatori inglesi sanno cosa hanno passato in termini di repressione per aver osato rivendicare salari dignitosi e tutele. Passatemi una battuta: il Papa sembra al momento l’unico leader di sinistra. Landini? Ha un potenziale enorme, un leader già pronto. Quando lo sento parlare in televisione, vedo l’autenticità di un uomo che la sua vita se l’è sudata. La schiettezza di un uomo senza doppi fini, che non vuole fregarti. E’ autenticamente indignato. Le sue sono parole pronunciate col cuore perché da anni vicino alla povera gente e ai deboli. La nostra Italia migliore. Altro che manganellate.(Moni Ovadia, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Se Renzi e il Pd sono di sinistra, io sono il Papa”, pubblicata da “Micromega” il 31 ottobre 2014).Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.
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Meyssan: il Califfato Usa, le trame per rovesciare Putin
Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.«Già prima di questo annuncio – rileva Meyssan in un’analisi tradotta da “Megachip” – gli anglosassoni avevano messo in atto la loro risposta: la trasformazione della rete terroristica di Al-Qa’ida in un califfato». Per questo, gli Usa e i loro alleati hanno proseguito la loro offensiva in Siria, espandendola poi contemporaneamente sia in Iraq che in Libano, mentre hanno fallito nell’espulsione di una parte dei palestinesi verso l’Egitto e nel destabilizzare la regione ancor più profondamente. «Infine, si tengono lontani dall’Iran per dare la possibilità al presidente Hassan Rohani di indebolire la corrente anti-imperialista dei Khomeinisti». Due giorni dopo l’annuncio dei Brics, gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver abbattuto il volo Mh17 della Malaysia Airlines nel Donbass, uccidendo 298 persone. «Su questa base, puramente arbitraria, hanno imposto agli europei di intraprendere una guerra economica contro la Russia». Come fosse un tribunale, l’Ue ha processato e condannato Mosca, «senza alcuna prova e senza darle la possibilità di difendersi», promulgando “sanzioni” contro il sistema finanziario russo.«Consapevole del fatto che i governanti europei non lavorano nell’interesse dei propri popoli, ma di quello degli anglosassoni – prosegue Meyssan – la Russia ha morso il freno e si è trattenuta fino ad ora dall’entrare in guerra in Ucraina. Sostiene con armi e intelligence gli insorti, e accoglie più di 500.000 rifugiati, ma si astiene dall’inviare truppe e dall’entrare nell’ingranaggio. È probabile che non interverrà prima che la grande maggioranza degli ucraini si ribelli al presidente Poroshenko, a costo di entrare nel paese soltanto dopo la la caduta della Repubblica popolare di Donetsk». Di fronte alla guerra economica, aggiunge Meyssan, Mosca ha scelto di rispondere con misure analoghe, ma riguardanti l’agricoltura e non la finanza. «A breve termine, gli altri paesi Brics possono mitigare le conseguenze delle cosiddette “sanzioni”». Poi, a medio e lungo termine, «la Russia si prepara alla guerra e intende ricostruire completamente la sua agricoltura per poter vivere in autarchia».Intanto, Mosca dovrà vedersela con le trame Usa per destabilizzare il Cremlino, a cominciare dalla contestazione mediatica in occasione delle elezioni municipali del 14 settembre. «Considerevoli somme di denaro sono state fornite a tutti i candidati di opposizione nelle circa 30 grandi città interessate, mentre almeno 50.000 agitatori ucraini, mescolati ai rifugiati, si stanno raggruppando a San Pietroburgo». La maggior parte di loro ha doppia cittadinanza, ucraina e russa. «Si tratta chiaramente di replicare nella provincia le proteste che erano seguite alle elezioni a Mosca nel dicembre 2011 – aggiungendoci la violenza – e di impegnare il paese in un processo di “rivoluzione colorata”, al quale una parte dei funzionari e della classe dirigente è favorevole». Per fare questo, spiega Meyssan, Washington ha nominato un nuovo ambasciatore in Russia: John Tefft, lo stesso che aveva preparato la “rivoluzione delle rose” in Georgia e il colpo di stato in Ucraina. Per Putin sarà quindi fondamentale poter contare sul suo primo ministro, Dmitry Medvedev, «che Washington sperava di reclutare per rovesciarlo».Considerando l’imminenza del pericolo, sostiene Meyssan, Mosca sarebbe riuscita a convincere Pechino ad accettare l’adesione dell’India in cambio di quella dell’Iran (ma anche quelle di Pakistan e Mongolia) all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Mossa che «dovrebbe porre fine al conflitto che oppone da secoli India e Cina e impegnarle in una cooperazione militare». Un cambiamento che «metterebbe ugualmente fine alla luna di miele tra Nuova Delhi e Washington, che sperava di allontanare l’India dalla Russia dandole, com’è noto, accesso alle tecnologie nucleari». L’adesione di Nuova Delhi è anche una scommessa sulla sincerità del suo nuovo primo ministro, Narendra Modi. Inoltre, l’adesione dell’Iran – che per Washington è una provocazione – dovrebbe portare russi e cinesi a controllare finalmente i movimenti jihadisti, togliendo agli Usa una decisiva pedina terroristica. L’Iran di Rohani rinncerà dunque a «negoziare una tregua con il “Grande Satana”»? Sarebbe una scommessa sull’autorità del capo supremo della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei. Di fatto, dice Meyssan, queste gigantesche evoluzioni geopolitiche segnerebbero l’inizio di una spettacolare inversione di rotta, spostando verso Oriente il baricentro del mondo.Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.
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Macché golpe, da anni i padroni dell’Italia sono stranieri
Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».In virtù di questa alleanza, la grande finanza, via Bruxelles e Bce, ha dato alla casta «legittimazione politica e morale nonché sostegno economico», in due momenti: prima – nella fase 1 dell’euro – con credito agevolato e bassi tassi d’interesse, «con cui la casta ha ampliato strutturalmente la spesa pubblica clientelare», e poi – fase 2 dell’euro – usando la Bce per fare incetta di bond italiani allo scopo di «tenere artificiosamente bassi i loro rendimenti, a dispetto dei pessimi indicatori economici», sostenendo così le politiche dei governi Monti, Letta e Renzi, perfette per facilitare l’élite a spese di tutti gli altri. Un collasso finanziario dello Stato (spread) o delle banche (sofferenze) era da evitare, perché avrebbe spinto l’Italia fuori dall’Eurozona e quindi «avrebbe arrestato il processo di spartizione delle risorse dello sfortunato paese». Quello attuato a nostro danno è dunque un piano complesso, che richiede «profonde deroghe, violazioni e alterazioni della prassi e della stessa Carta costituzionale, cioè di una serie di colpi di Stato e di rivoluzioni, giustificati dalle emergenze e dal “ce lo chiede l’Europa”».Le emergenze – fabbricate a tavolino – sono iniziate con la destituzione del governo nel 2011, dopo che Berlusconi (irritando la Germania) aveva chiesto di conteggiare nel rapporto deficit-Pil anche l’economia sommersa e il patrimonio netto dei privati. Come reazione, le grandi banche tedesche – d’intesa con la Bundesbank e col governo – vendettero in massa i bond italiani, facendone esplodere i rendimenti e aprendo la strada, con Napolitano, all’eurocrate Monti, il quale «lanciò un piano di demolizione dell’economia nazionale e di spremitura fiscale degli italiani per assicurare ai banchieri francesi e tedeschi i loro iniqui incassi sui prestiti che in malafede avevano erogato a Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda». Ne seguì un tracollo economico e occupazionale, una costante ascesa del debito pubblico nonché una campagna di svendite al capitale straniero. Tendenze puntualmente continuate con Letta e ora con Renzi, appoggiate dagli acquisti della Bce. «L’artificiosa calma finanziaria creata da questo sostegno consente al governo Renzi di procedere a riforme in senso autoritario e autocratico».Oggi, continua Della Luna, abbiamo un Parlamento di nominati (dai segretari dei partiti), retto da una maggioranza artificiosa e incostituzionale (sistema maggioritario bocciato dalla Consulta), non rappresentativa del popolo. Questo Parlamento dapprima ha rieletto lo stesso capo dello Stato, e ora sta riformando la Costituzione. Tutto arbitrario, dato che il Parlamento è “illegittimo” e le sentenze della Corte Costituzionale sono immediatamente efficaci e persino retroattive, ma ormai la manipolazione è in corso. «Dietro una rassicurante facciata di attivismo, giovanilismo e idealismo, Renzi sta procedendo a una radicale riforma costituzionale ed elettorale, per rendere il Parlamento ancora più maggioritario, ancora meno rappresentativo della volontà popolare». Quelle che Renzi demolisce, con l’aiuto di un Berlusconi sotto ricatto, sono «le garanzie fondamentali della Costituzione». Un uomo solo al comando: il premier potrà nominare un nuovo capo dello Stato ma anche 10 giudici costituzionali su 15, nonché i componenti laici del Csm e le autorità di controllo e garanzia, quelle che dovrebbero essere imparziali per poter controllare il governo. Di fatto, «una dittatura con pretese di costituzionalità, di legalità e di democrazia». Ma è anche «una dittatura da quattro soldi», perché è solo «la dittatura di una buro-partitocrazia ladra su un paese la cui sovranità monetaria, legislativa e fiscale è già stata trasferita ad organismi esterni, non italiani, non democraticamente responsabili, e in ampia parte esenti anche dalla sindacabilità dei tribunali». Il vero potere ormai è altrove: l’autocrate Renzi controllerà solo quel che resta del terminale periferico italiano.Secondo Della Luna, il trasferimento di sovranità è di natura eversiva: l’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro” è stato ampianente sostituito dal nuovo fondamento, la finanza. I trattati internazionali cui l’Italia ha aderito? Illegali, perché estorti forzando l’interpretazione dell’articolo 11 della Carta, che consente limitazioni (non cessioni) della sovranità, sul piano di parità (non di subordinazione), in quanto necessarie per la pace e la giustizia tra le nazioni (non, quindi, per scopi finanziari). «Usando lo strumento dei trattati, senza consultare il popolo e senza passare per le procedure di revisione della Costituzione (articolo 138)», la Carta «è stata stravolta nella sua stessa prima parte, nei principi fondamentali, iniziando con quello della sovranità popolare e dell’indipendenza». Un percorso avviato ben prima dell’avvento dell’euro, ovvero nel 1981 con la sostanziale privatizzazione della Banca d’Italia, «tra il plauso generale dei giornalisti, degli economisti e dei politici, equamente divisi tra imbecilli e imbonitori». Risultato: «Adesso l’Italia è uno Stato fondato sul mercato». I “padroni” del paese non siamo più noi, ma neppure i “banditi” della casta: la sovranità italiana appartiene a potenti investitori stranieri.E’ vero, Napolitano ha lanciato Monti e poi Letta prima ancora di far accomodare Renzi, ma perché parlare di golpe? «Sostanzialmente – scrive Della Luna – la Costituzione scritta non era mai stata attuata nelle sue parti determinanti», e inoltre l’Italia «non era mai stata indipendente, bensì occupata militarmente da oltre cento basi militari statunitensi». La nostra repubblica «è nata sottomessa», e ha sempre solo finto di essere indipendente. Inoltre, aggiunge provocatoriamente Della Luna, è sbagliato censurare moralmente la liquidazione dell’Italia e la sua sottomissione a potentati stranieri: «L’Italia era ed è spacciata», vittima di «un processo degenerativo» insanabile, aggravato da partiti «dediti strutturalmente al saccheggio della spesa pubblica». Le inchieste parlano: «Non si tratta di mele marce, ma del sistema, dell’ambiente». Una alternativa non esiste, «perché la maggior parte della popolazione si è adattata e accetta il rapporto clientelare, di complicità, coll’uomo politico. Non è possibile che l’Italia sia amministrata in modo non ladresco: i partiti si reggono sulla spartizione del bottino».Su questo sistema così fragile, una non-moneta come l’euro ha effetti devastanti: i debiti pubblici dei singoli Stati restano separati e attaccabili, anche perché la Bce, a differenza delle banche centrali di Usa, Giappone e Regno Unito, non li garantisce contro il default, né garantisce le banche nazionali. Per questo, il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona «paga mediamente tassi di interesse più elevati», anche se ha un miglior rapporto col Pil. «L’Eurosistema, come ogni sistema di blocco dei cambi, è inevitabilmente dannoso e non può essere corretto». Se un paese importa più di quanto esporti, la sua moneta sarà più offerta (per pagare le importazioni) che domandata (per comperare le sue esportazioni), quindi tenderà a svalutarsi; svalutandosi, renderà più convenienti le esportazioni e meno le importazioni. «Questo è il meccanismo naturale, di mercato, di correzione degli squilibri commerciali internazionali». Se invece si blocca il cambio tra le due monete, «la correzione non avviene», e così «il paese che ha costi di produzione superiori continua a importare e a indebitarsi, la sua industria si atrofizza e in parte emigra, i suoi capitali pure, la disoccupazione si impenna e il reddito cade». Al che, lo sfortunato paese non riesce più a sostenere gli oneri del debito e deve svendersi: «Il paese più efficiente, avendo accumulato crediti, compera i pezzi migliori, banche incluse, e assume il dominio anche politico del paese indebitato, detta le regole». Ecco il disegno europeo: «Lo strumento principale è l’euro: una pompa che trasferisce risorse dai paesi euro-deboli e debitori ai paesi euro-forti».Esclusi gli Usa, «che scaricano i costi sul resto del mondo attraverso il dollaro», le unioni monetarie tra aree diverse (dove diverso è il costo per unità di prodotto) non ha mai funzionato, aggiunge Della Luna, perché – per tenere insieme le parti tendenzialmente divergenti – il sistema deve trasferire costantemente reddito dalle aree più produttive a quelle meno produttive. Ma se lo Stato super-tassa le aree forti (taglio degli investimenti, fuga di capitali e aziende) le indebolisce, impedendo loro di continuare sussidiare le aree deboli, che nel frattempo dovrebbero essere corrette nelle loro disfunzionalità (sprechi e mafie, corruzione e parassitismo, clientelismo e immobilismo). In Italia, si è rimediato con l’emigrazione interna attraverso il pubblico impiego quando lo Stato disponeva di risorse finanziarie e monetarie proprie. Viceversa, col blocco dei cambi (prima lo Sme, ora l’euro) il disastro è garantito. Dal 1960 ad oggi, scrive Della Luna, l’Italia ha speso l’equivalente di 300 miliardi di euro per portare il Sud ai livelli del Nord, col risultato di peggiorare le condizioni del Sud e di soffocare (o mettere in fuga) le imprese del Nord, stritolate dalle tasse.«Chi ha voluto l’euro lo ha imposto in perfetta malafede, con dolo». Ci vuole “più Europa”? Magari gli Stati Uniti d’Europa, con un bilancio federale europeo che metta in comune i debiti pubblici, ripiani i deficit e finanzi le aree meno efficienti con investimenti per l’occupazione? Le aree forti questo tipo di soluzione non l’accetteranno mai, conclude Della Luna, né i lombardi per soccorrere i siciliani, né i tedeschi per “salvare” gli italiani. «La soluzione federale tra aree non omogenee produce un livellamento al basso, un degrado civile, un impoverimento globale che porta all’instabilità quando lo Stato centrale non è più in grado di “comprare” il consenso o perlomeno la quiete mediante l’assistenzialismo, e si mette a consumare con le tasse e con le privatizzazioni il risparmio e le risorse». Procede quindi all’esaurimento delle riserve, bruciando con le tasse il risparmio (ricchezza mobiliare e immobiliare), dopo aver prelevato fiscalmente tutto il reddito prelevabile della popolazione governata. «Queste sono le cause strutturali, essenziali, congenite nella sua composizione, che condannano l’Italia alla rovina e che legittimano quindi i suoi commissari liquidatori». La Germania? Si “difende” a modo suo dai paesi del Sud, «li sottomette, li svuota delle loro risorse industriali e finanziarie attraverso i suoi “reichskommissaren”, rinnovando ciò che faceva con i territori occupati durante la Seconda Guerra Mondiale».Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».
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Una testa, un voto: solo nel proporzionale c’è democrazia
Nell’esperienza italiana, il proporzionale è la democrazia. Lo è sempre stato, del resto. Quando esistevano davvero dei democratici, le loro rivendicazioni fondamentali erano: suffragio universale e sistema proporzionale. Non era un metodo elettorale come un altro, ma una civiltà. Significava opporsi al sistema dei notabili, dei maggiorenti che si riunivano al Circolo dei Nobili, nella Loggia massonica o nell’ufficio del Prefetto, e designavano il candidato per il collegio, che avrebbe ottenuto il consenso dei possidenti e il sostegno delle autorità. Una minoranza che si trasformava in maggioranza escludendo le classi popolari o riducendo ai minimi termini la loro rappresentanza. Era la rivendicazione naturale dei partiti popolari con una visione nazionale (o anche internazionale) che andasse oltre la ristretta dimensione localistica, contro la piccola politica ridotta a pura gestione di clientele e favori nel proprio collegio.Nell’unica occasione in cui nel Regno d’Italia si votò con il proporzionale, imposto nel 1919 dalla situazione postbellica, dall’ingresso forzato delle masse nella vita dello Stato e voluto anche dall’unico presidente del consiglio che si fosse autodefinito “democratico”, Francesco Saverio Nitti, il mondo rivelato da quelle elezioni sovvertiva tutte le raffigurazioni ufficiali e usuali. Era un’Italia in cui socialisti e cattolici erano la maggioranza del paese, e i liberali una minoranza. Contro quel mondo venne mossa una guerra dura e spietata, sanguinosa, e la conquista del proporzionale venne presto schiacciata. Ma va ricordato che nelle elezioni del 1924 con la fascistissima legge Acerbo entrarono comunque in Parlamento il Psu con 5,90% e 24 deputati, il Psi, 5,03%, 22 deputati e il Pcd’I, col 3,74% e 19 deputati. Ai reazionari seri importava prendere a tutti i costi il premio di maggioranza (con le buone e soprattutto con le cattive) ma non c’erano le soglie di sbarramento all’8% o al 12% del bipolarismo straccione del nostro tempo.Dal 1945, con la conquista della democrazia e del suffragio realmente universale (maschile e femminile) il proporzionale divenne il naturale metodo di formazione del Parlamento. Non si trova indicato nella Costituzione perché implicito nella Costituzione stessa e nei suoi principi ispiratori. L’unico tentativo di stravolgere la democrazia parlamentare fu l’approvazione nel 1952 della “legge truffa”, definita tale per tre motivi: 1) non voleva assicurare governabilità, ma spadroneggiamento, perché andava a chi aveva già raggiunto la maggioranza assoluta; 2) era possibile da conseguire solo per il blocco di centro, perché le opposizioni socialcomuniste e fasciste non avrebbero mai potuto coalizzarsi; 3) e soprattutto dava un premio spropositato che consentiva alla maggioranza di cambiare la Costituzione a suo piacimento. Fallito di misura quel tentativo, sulla civiltà del proporzionale si è retta la Repubblica italiana nell’epoca delle sue maggiori conquiste sociali, civili, culturali.Preparata da una lunghissima campagna rivolta all’opinione pubblica e da una vera e propria demonizzazione della democrazia parlamentare, nel 1993 la forma della Repubblica è stata cambiata surrettiziamente attraverso un referendum demagogico che minava alla base la struttura della nostra democrazia. Da allora i voti dei cittadini non valgono tutti allo stesso modo. Il maggioritario ha scardinato il principio della rivoluzione francese “una testa, un voto”. Il popolo è stato convinto di eleggere direttamente un governo e un premier, nella “Costituzione reale” che si è sovrapposta alla Costituzione scritta. E’ una convinzione profondamente radicata, dopo vent’anni di maggioritario, di ideologia o addirittura di “religione” ad esso espirate. Un popolo di sudditi pensa che la democrazia consista nell’investire di un potere quasi assoluto un caudillo.Tutti hanno potuto constatare il crollo verticale di credibilità e di rappresentanza che la politica ha vissuto negli ultimi vent’anni. Eppure persistono leggende radicatissime che demonizzano la “prima Repubblica”. C’erano troppi partiti, si dice. Erano mediamente sette: nulla a che fare con gli oltre quaranta raggruppamenti censiti all’epoca dei governi di Silvio Berlusconi. C’erano piccoli partiti, si dice. C’era qualche piccolo partito, dignitoso e pieno di storia, come il partito repubblicano di La Malfa: nulla a che fare con gli “amici di Mastella”, i “responsabili” di Scilipoti e via dicendo. Cambiavano troppi governi, si dice, vero, ma si dimentica la sostanziale continuità di un sistema politico che ha avuto pochissime svolte nell’arco della sua esistenza. Se si fosse voluto veramente ovviare a questo problema si poteva inserire in Costituzione il principio della sfiducia costruttiva, che garantisce la stabilità della più solida democrazia europea, quella tedesca, che era – con molte differenze – anche la più vicina al nostro ordinamento.E a proposito di sistema tedesco, va ricordato come, nel suo totale analfabetismo istituzionale, Matteo Renzi abbia dichiarato più volte che è inconcepibile che la Merkel pur avendo vinto le elezioni sia stata costretta a fare “inciuci” con le opposizioni. Ma si chiama democrazia parlamentare, non è la “Ruota della Fortuna”, per governare devi avere una maggioranza in Parlamento, e anche prima delle ultime elezioni la Merkel non aveva la maggioranza assoluta ma governava assieme ai liberali, ora scomparsi dal Parlamento. E non è vero che “in tutto il mondo” la minoranza che prende un voto in più delle altre si prende tutto il cucuzzaro, come ritiene il politico di Rignano sull’Arno: questa assurdità esisteva solo nel nostro sistema elettorale che la Corte ha dichiarato incostituzionale.Oggi dalla fossa biologica del maggioritario si levano voci preoccupate di opinionisti che ammoniscono a non tornare nella “palude del proporzionale”. L’ideologia del maggioritario, con l’invocazione di maggiore governabilità a scapito della rappresentanza, ricorda ormai un alcolizzato all’ultimo stadio che invoca sempre più alcool di pessima qualità invece di provare a disintossicarsi. Si usa dire, anche a sinistra, che il proporzionale renderebbe obbligatorie le larghe intese. Non è affatto vero: perché un sistema elettorale comporta scelte diverse da parte degli elettori, come si vide nell’Italia del 1919 (e come, in negativo, abbiamo visto nell’Italia del 1994), e un voto libero da assilli e ricatti di voto “utile” o coartato può finalmente rispecchiare il paese reale e dargli rappresentanza. Certo questo sistema richiederebbe comunque intese come è nella normalità della democrazia parlamentare, e richiederebbe capacità di far politica, di trovare mediazioni, di dare rappresentanza alla complessità della società.Temo che qui si aprirebbe una battaglia molto difficile, soprattutto a sinistra, dove la droga maggioritaria ha fatto perdere completamente la cognizione della realtà e dei rapporti di forza. Non riguarda solo il Pd, nato con una “vocazione maggioritaria” (che in genere è servita a creare maggioranze altrui), ma anche i cespuglietti subalterni che non sarebbero in grado di superare il quorum ma conducono vita parassitaria in simbiosi con l’organismo del partito maggiore. Basare tutte le obiezioni alla legge elettorale sul tema delle preferenze (una particolarità italiana che non esiste in quasi nessun paese europeo) rivela una debole ipocrisia, laddove sono in gioco temi molto più seri e gravi: rappresentanza della società, pluralismo politico, la stessa sopravvivenza di una democrazia parlamentare e costituzionale. Ma qui viene a galla l’equivoco che ha accompagnato tutte le mobilitazioni dell’autoproclamata “società civile” contro il Porcellum, che non si sono mosse contro lo stravolgimento della rappresentanza e il maggioritario in sé, ma in nome del ritorno al collegio uninominale dei notabili e degli accordi preventivi tra piccoli e grandi partiti. Ed è incredibile che oggi in Italia la battaglia di civiltà del proporzionale sia affidata al solo Beppe Grillo.Bisogna che qualcuno cominci a dire che non accetterà la legittimità di governi di minoranza, che i premi di maggioranza sono un furto di rappresentanza, che una legge elettorale che trasforma una minoranza in maggioranza è comunque una truffa, qualunque nomignolo latino si voglia dare a questo sopruso. I due partiti che si mettono d’accordo per spartirsi il Parlamento ed escludere milioni di cittadini dalla rappresentanza mettono assieme soltanto il 45% dei voti espressi: non possono pretendere di ritagliarsi un sistema elettorale su misura che escluda il resto del paese. Andiamo verso tempi difficilissimi, forse drammatici, per tutta l’Europa e anche e soprattutto per il nostro paese.Abbiamo bisogno di istituzioni che rappresentino tutti i cittadini, che non escludano nessuno, che riattivino un tessuto di solidarietà che è stato lacerato negli ultimi decenni. Abbiamo bisogno di veri partiti e non di comitati elettorali o formazioni personali, abbiamo bisogno di vera politica dopo vent’anni di ubriacature dell’antipolitica. Una legge elettorale l’abbiamo già, ed è quella disegnata dalla Corte Costituzionale. Chiamiamola Perfectum se è obbligatorio un nome latino. Si sciolgano le Camere e si vada a votare con quella: avremo un Parlamento che rispecchia realmente il paese e che sarà l’unico legittimato a cambiare la Costituzione, nelle forme previste dalla Costituzione stessa.(Gianpasquale Santomassimo, “Elogio del proporzionale”, da “Il Manifesto” del 29 gennaio 2014, intervento ripreso da “Micromega”).Nell’esperienza italiana, il proporzionale è la democrazia. Lo è sempre stato, del resto. Quando esistevano davvero dei democratici, le loro rivendicazioni fondamentali erano: suffragio universale e sistema proporzionale. Non era un metodo elettorale come un altro, ma una civiltà. Significava opporsi al sistema dei notabili, dei maggiorenti che si riunivano al Circolo dei Nobili, nella Loggia massonica o nell’ufficio del Prefetto, e designavano il candidato per il collegio, che avrebbe ottenuto il consenso dei possidenti e il sostegno delle autorità. Una minoranza che si trasformava in maggioranza escludendo le classi popolari o riducendo ai minimi termini la loro rappresentanza. Era la rivendicazione naturale dei partiti popolari con una visione nazionale (o anche internazionale) che andasse oltre la ristretta dimensione localistica, contro la piccola politica ridotta a pura gestione di clientele e favori nel proprio collegio.
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Cari epuratori 5 Stelle, i prossimi epurati sarete voi
A Beppe Grillo e a tutti i parlamentari e iscritti del Movimento 5 Stelle che hanno votato l’espulsione dei quattro senatori considerati dissidenti va consigliata la lettura di “La Democrazia in America” di Alexis de Toqueville. Le pagine che il filoso francese dedica al problema della dittatura della maggioranza sono esemplari. E anche se si riferiscono al governo degli Stati, indicano bene la strada che una parte del movimento rischia di imboccare. Fino a qualche tempo fa la libertà di parola e il diritto di critica erano temi centrali per l’intero M5s. Molti cittadini avevano anzi deciso di sostenere l’ex comico alle elezioni dopo aver visto il suo blog e i Meetup battersi anche per questo. Nel novembre del 2010, per esempio, in uno dei tanti post di Grillo si poteva leggere: «La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un ‘politically correct’ asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto».Oggi invece dobbiamo constatare che la libertà di parola nel Movimento 5 Stelle è minacciata e offesa da una brutta voglia di unanimismo. Dalla decisione di far votare gli aderenti 5 Stelle non sulla violazione di una norma del non-statuto o del codice di comportamento parlamentare, ma su una critica al Capo, o se preferite al Megafono. Discutere se i senatori avessero ragione o torto nel prendere posizione contro le modalità con cui Grillo ha deciso di strapazzare Matteo Renzi in diretta streaming – sbattendogli peraltro in faccia molte verità difficili da contestare – non ha infatti senso. Il dato importante è uno solo: non esisteva alcuna regola che impedisse ai senatori di farlo.Certo, per qualsiasi movimento è fondamentale e giusto apparire unito, evitare, come scrive Alessandro Di Battista, che escano «sistematicamente» e per mesi dichiarazioni pronte «a coprire i messaggi del gruppo» o in contrasto con la linea stabilita. Ma anche se le cose sono andate così – tanto che i quattro senatori avrebbero dimostrato maggior dignità andandosene da soli da un movimento del quale non condividevano più gli obbiettivi – la questione non cambia di una virgola. Punire qualcuno per dei comportamenti per i quali non sono state previste esplicitamente sanzioni non è solo liberticida. Rappresenta un rischio per tutti: anche per coloro i quali oggi votano a favore dell’espulsione dei dissidenti. Domani, e per un motivo qualsiasi, una nuova maggioranza potrebbe infatti votare la loro.Consolarsi col fatto che le espulsioni (vedi il caso degli amministratori locali del Pd in val Susa fatti fuori perché anti-Tav) sono spesso la regola in altri partiti, non serve. Il M5S dice infatti (e quasi sempre lo è) di essere diverso dagli altri movimenti politici. Per questo molti elettori, almeno a giudicare dai commenti e dalle mail che arrivano a questo giornale online, avrebbero trovato più intelligente e democratico che il Movimento, già in occasione del brutto e analogo caso di Adele Gambaro, avesse riformato il regolamento e il non-statuto stabilendo con chiarezza cristallina diritti e doveri degli eletti. Non averlo fatto lascia spazio all’arbitrio, alla legge più forte e alle espulsioni di massa. Oltretutto votate online in blocco senza che agli iscritti fosse permesso esprimere valutazioni diverse su ogni singola posizione. Pensare, come fa il Movimento 5 stelle, di rivoluzionare (con il voto) il paese è perfettamente legittimo. Credere che sia possibile farlo rinunciando a dimostrare che, sempre e in ogni caso, si è meglio di ciò che si vuole combattere e abbattere non è solo sbagliato. È stupido.(Peter Gomez, “Espulsioni M5s, stupidità e dittatura della maggioranza”, da “Il Fatto Quotidiano” del 27 febbraio 2013).A Beppe Grillo e a tutti i parlamentari e iscritti del Movimento 5 Stelle che hanno votato l’espulsione dei quattro senatori considerati dissidenti va consigliata la lettura di “La Democrazia in America” di Alexis de Toqueville. Le pagine che il filoso francese dedica al problema della dittatura della maggioranza sono esemplari. E anche se si riferiscono al governo degli Stati, indicano bene la strada che una parte del movimento rischia di imboccare. Fino a qualche tempo fa la libertà di parola e il diritto di critica erano temi centrali per l’intero M5s. Molti cittadini avevano anzi deciso di sostenere l’ex comico alle elezioni dopo aver visto il suo blog e i Meetup battersi anche per questo. Nel novembre del 2010, per esempio, in uno dei tanti post di Grillo si poteva leggere: «La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un ‘politically correct’ asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto».
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Vattimo: i grillini han ragione, per questo fanno paura
Lasciatelo dire a me, che non meno di un mese fa, all’annuncio che, in nome del mio comunismo ermeneutico, avrei voluto candidarmi alle elezioni europee con i Cinque Stelle, sono stato oggetto di una durissima campagna telematica da parte di militanti del Movimento che non mi hanno risparmiato nessuna delle ingiurie che ora scandalizzano tanto la stampa di regime. Le ingiurie e gli insulti, sessisti e no (ma non mi hanno nemmeno rinfacciato di essere gay, peraltro), non mi fanno piacere, e credo che in generale siano controproducenti, come insegna il caso Berlusconi, che dalle sue malefatte sessual-politico-barzellettesche ha sempre tratto enormi vantaggi in termini di popolarità anche elettorale.Ma il diluvio di accuse, insulti, deprecazioni, allarmi in difesa della democrazia, che tutti i media dell’arco “costituzionale” rovesciano ogni mattina su Grillo il suo movimento non dovrebbero più lasciare indifferenti i benpensanti. I quali non possono non vedervi la prova che i grillini hanno ragione da vendere, e per questo il mondo dell’informazione mainstream ne ha tanta paura. Come si fa a qualificare a gran voce come “sgangherata” la costituzionalissima richiesta di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, che a partire dalla nomina di Monti a senatore a vita e poi a primo ministro non avrà attentato alla Costituzione, ma l’ha almeno applicata con molta elasticità e arbitrarietà, sempre nello spirito di un atlantismo addirittura servile (pensiamo alla grazia per il colonnello Romano).Fino all’ultimo decreto che, dopo tanti altri, ha lasciato passare senza battere un colpo, alla faccia della manifesta disomogeneità tra l’Imu e il regalo alle banche, non mitigato nemmeno da un richiamo al dovere di sostenere l’economia con una politica creditizia meno rapinatoria. Quanto all’ostruzionismo, che qualche zelante democratico ha addirittura pensato di perseguire penalmente, sarebbe il caso di capire che mentre si chiude sempre più un blocco renziano-berlusconiano teso a perpetuare il regime delle larghe intese che strangolano la nostra economia, è fin troppo poco ciò che si è visto in Parlamento. La legge elettorale che si progetta è l’anticamera del regime, una sorta di legge truffa costituzionalizzata, come il Fiscal Compact che minaccia di ridurci alla miseria e forse alla guerriglia urbana. Salviamoci almeno dall’ipocrisia dei tanti democratici di complemento che si stracciano le vesti in nome della dignità di un Parlamento che sembra sempre più avviato a una indecorosa eutanasia.(Gianni Vattimo, “M5S, i grillini hanno ragione da vendere. Per questo fanno paura”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 febbraio 2014).Lasciatelo dire a me, che non meno di un mese fa, all’annuncio che, in nome del mio comunismo ermeneutico, avrei voluto candidarmi alle elezioni europee con i Cinque Stelle, sono stato oggetto di una durissima campagna telematica da parte di militanti del Movimento che non mi hanno risparmiato nessuna delle ingiurie che ora scandalizzano tanto la stampa di regime. Le ingiurie e gli insulti, sessisti e no (ma non mi hanno nemmeno rinfacciato di essere gay, peraltro), non mi fanno piacere, e credo che in generale siano controproducenti, come insegna il caso Berlusconi, che dalle sue malefatte sessual-politico-barzellettesche ha sempre tratto enormi vantaggi in termini di popolarità anche elettorale.
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Flores d’Arcais: a Bruxelles, Tsipras meglio di Grillo
«C’è una strettissima convergenza di interessi fra l’establishment delle istituzioni europee e l’establishment italiano rappresentato da Napolitano e da Letta, ma se la gigantesca opposizione che c’è nel paese trovasse modo di avere anche una sua rappresentanza politica parlamentare la situazione cambierebbe radicalmente». Paolo Flores d’Arcais accetta la scommessa di Barbara Spinelli e punta sul greco Tsipras per costruire un’alternativa europea: dire “no” a Bruxelles significa anche riuscire a mobilitare la “sinistra sommersa” e l’opinione pubblica italiana, quella che gonfia i movimenti e vince i referendum, ma poi alle elezioni non ha chances, diserta le urne o si rassegna a votare “5 Stelle”, cioè l’autocrate Grillo e l’oscuro Casaleggio. Attenzione: il M5S «entrerà in crisi, in due o tre anni». Si tratta quindi di ereditarne le virtù «ma non i suoi gravissimi vizi». Vietato sbagliare, o si spalancherà «lo spazio per una proposta eversiva di destra». La Grecia insegna: «Se non ci fosse Syriza potrebbe dilagare Alba Dorata».Intervistato – come la Spinelli – dal quotidiano ellenico “Avgì” (aurora), il direttore di “Micromega” traccia un’analisi impietosa dell’attuale offerta politica italiana: dilaga la disaffezione perché la casta nazionale si limita ad eseguire i diktat di quella di Bruxelles “suicidando” il paese, ma milioni di italiani – pure attivissimi nei movimenti – non hanno nessuna vera possibilità di rappresentazione, al di fuori del M5S. «L’unica forza di opposizione oggi presente in Parlamento è il “Movimento 5 Stelle” di Beppe Grillo, una grande forza politica di massa (rappresenta grossomodo il 25% dei votanti) ma strutturata in modo debolissimo e soprattutto con un gruppo dirigente fatto di due persone, Beppe Grillo e un personaggio molto inquietante, che si chiama Casaleggio. Il M5S ondeggia perciò a seconda degli umori di questi due capi. Insomma, la vera forza di Letta è la debolezza dell’opposizione». Il governo? «E’ debolissimo nel paese perché inviso alla schiacciante maggioranza dei cittadini». E inoltre Matteo Renzi, «personaggio di destra “alla Blair”», non ha intenzione di appoggiarlo a lungo.Il realtà quello che conta «non è il governo Letta ma il governo Napolitano», dato che l’uomo del Colle «si comporta come un vero e proprio sovrano, attribuendosi poteri che la Costituzione non gli dà». A livello politico organizzato, «la sinistra non esiste», e «da molti anni». La sinistra «esiste invece nella società civile: e la distanza tra una sinistra sempre meno esistente nella politica ufficiale e una sinistra sempre più forte nella società civile continua ad aumentare». Primo problema, il Pd: «Non è più di sinistra», dai tempi di D’Alema e Veltroni, «che hanno realizzato una vera mutazione antropologica del partito, rendendolo parte dell’establishment». Sel e gli altri piccoli partiti? «Non contano più nulla». Ammesso che Sel riesca a superare lo sbarramento del 4%, «il suo leader Vendola sempre di più si trova implicato in inchieste che ormai stanno distruggendo la sua reputazione». Oltre a Sel, il buio: «Rifondazione, i Verdi e gli altri gruppi politici non rappresentano nulla: se non si capisce questo non si capisce la situazione italiana».Per contro, questa “sinistra sommersa” negli ultimi quindici anni è diventata una sinistra di piazza, ricorda Flores d’Arcais. Nel 2002, coi “girotondi”, Nanni Moretti riuscì a portare in piazza San Giovanni a Roma un milione di persone, catalizzando «una voglia di autoorganizzazione che era gigantesca», fino al “popolo viola” e oltre, per arrivare ai referendum del 2011 sul nucleare e sull’acqua pubblica. Ma il problema è che «questa opposizione civile e sociale non ha rappresentanza politica: i suoi militanti si sentono cittadini orfani di rappresentanza». E’ quella che Giulietto Chiesa e i suo movimento, “Alternativa”, chiamano «la voragine dei non-rappresentati», ricordando che alle ultime politiche, quelle del “boom” di Grillo, un italiano su due ha comunque disertato le urne. Elettori mobilitabili da ideali forti, riassumibili nello slogan “giustizia e libertà”? «Nanni Moretti pensava che l’area dell’attuale Pd fosse ancora recuperabile e lo crede anche ora appoggiandolo. Non abbiamo avuto il coraggio di dare un seguito organizzato ai girotondi», ammette Flores d’Arcais, citando anche il caso della Fiom, a cui molti movimenti chiedevano che il sindacato “rosso” mettesse in campo «obiettivi politici molto più espliciti, dicendo che i nemici della Costituzione oggi non sono solo le destre ma anche Letta, il Pd e il presidente Napolitano». In questo caso, l’ultima manifestazione per la difesa della Costituzione «sarebbe stata gigantesca con effetto di mobilitazione straordinario, e oggi non avremmo movimenti sociali ambigui come il movimento dei Forconi».Le europee – maggio 2014 – sembrano davvero l’ultima occasione. Se fossero elezioni nazionali, Flores d’Arcais voterebbe Grillo, «perché non ci sarebbe spazio reale per una lista nuova di “Giustizia e Libertà”». Trattandosi invece di Bruxelles, forse c’è spazio per un’alternativa, dal momento che «con la nuova legge elettorale si può presentare un candidato alla presidenza europea». L’unica carta giocabile è quella del leader greco Alexis Tsipras: «C’è oggi una sola forza politica di sinistra in Europa e si chiama Syriza (negli altri paesi o non sono di sinistra o non sono “forze”). Per questo pensiamo che una lista rigorosamente della società civile con Tsipras potrebbe avere un buon risultato». In Italia, «solo una lista che raccolga esperienze e movimenti della società civile può evitare l’ennesimo fallimento minoritario», a patto che questa lista resti lontana dalle vecchie sigle perdenti: chi si allea con l’ex “sinistra arcobaleno” – Ingroia docet – è condannato a veder dimezzati i propri voti.«Una qualsiasi lista che, poniamo, potenzialmente avesse il 10% dei voti, se si allea anche con Rifondazione o i Verdi o i Comunisti Italiani prenderebbe il 5%», dice Flores d’Arcais. «Una lista autonoma che avesse potenzialmente il 5% dei voti, se si allea con Rifondazione e gli altri prenderebbe il 2%», perché «invece di produrre una somma», oggi «allearsi con uno qualsiasi di questi partitini produce una sottrazione». Poi servono innanzitutto cervelli: quante delle personalità che hanno animato lotte e movimenti sono convinte della necessità di una lista nuova, autonoma? Quanti personaggi pubblici, invece, si illudono ancora che si possa trasformare il Pd dall’interno o recuperare Sel o replicare l’esperienza della lista-Ingroia? «Bisognerà perciò verificare se almeno un centinaio di persone eminenti nei vari campi – scrittori, filosofi, sociologi, scienziati, personalità del cinema e della musica – condividano la nostra ipotesi». Se l’adesione sarà forte, servirà il terzo passo: verificare la disponibilità dei movimenti, per poi promuovere la nascita, a tappeto, di club di sostegno completamente indipendenti. «Per andare al Parlamento Europeo dovremo superare il 4%. Se questa lista prende un risultato intorno al 5% non avrà futuro, sarà una manifestazione di testimonianza». Per Flores d’Arcais, la soglia-verità è quella del 10%.«C’è una strettissima convergenza di interessi fra l’establishment delle istituzioni europee e l’establishment italiano rappresentato da Napolitano e da Letta, ma se la gigantesca opposizione che c’è nel paese trovasse modo di avere anche una sua rappresentanza politica parlamentare la situazione cambierebbe radicalmente». Paolo Flores d’Arcais accetta la scommessa di Barbara Spinelli e punta sul greco Tsipras per costruire un’alternativa europea: dire “no” a Bruxelles significa anche riuscire a mobilitare la “sinistra sommersa” e l’opinione pubblica italiana, quella che gonfia i movimenti e vince i referendum, ma poi alle elezioni non ha chances, diserta le urne o si rassegna a votare “5 Stelle”, cioè l’autocrate Grillo e l’oscuro Casaleggio. Attenzione: il M5S «entrerà in crisi, in due o tre anni». Si tratta quindi di ereditarne le virtù «ma non i suoi gravissimi vizi». Vietato sbagliare, o si spalancherà «lo spazio per una proposta eversiva di destra». La Grecia insegna: «Se non ci fosse Syriza potrebbe dilagare Alba Dorata».