Archivio del Tag ‘arcaismo’
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Golpe europeo contro la libertà del web, l’Italia si opponga
Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.Un gesto orwelliano, da tirannide asiatica d’altri tempi: è il 2018, eppure l’Unione Europea è questa. Non riconosce cittadini, vuole soltanto sudditi. E ha una paura maledetta che i sudditi si ribellino, ridiventando cittadini. Il killer prescelto per l’operazione è ovviamente tedesco e risponde al nome di Günther Oettinger, il simpaticone che – all’indomani del voto italiano del 4 marzo – spiegò che sarebbero stati “i mercati”, o meglio i signori occulti dello spread, a insegnare agli italiani come votare nel modo giusto, evitando cioè di rinnovare la loro fiducia a gentaglia come Salvini e Di Maio. Come sempre, Bruxelles cerca di ammantarsi di una parvenza di legalità: la Commissione Europea, organismo non-eletto e forte di poteri paragonabili a quelli delle “giunte militari” di sudamericana memoria, stavolta utilizza la foglia di fico del Parlamento Europeo (eletto, ma senza potere) per ricevere l’ipotetica legittimità politica dell’abuso, che verrebbe incoraggiato con il voto di Strasburgo il 4 luglio. Da qui il conto alla rovescia della petizione lanciata da Claudio Messora su “ByoBlu” e ripresa da “Change.org”, che in pochi giorni ha raccolto quasi mezzo milione di firme, in Italia, per tentare di convincere gli europarlamentari a non votare il piano Oettinger, in base al quale non sarebbe più possibile far circolare, su blog e social, i testi, le idee e le immagini che in questi anni hanno fatto informazione.L’intento è evidente: “spegnere” le fonti che hanno sopperito al colpevole silenzio dei grandi media, sostituendo in modo prezioso la non-informazione di giornali e televisioni, canali mainstream reticenti e omertosi, largamente difettosi quando non direttamente mafiosi, docili strumenti nelle mani di editori collusi con il potere centrale che trama contro le democrazie per svuotarle e depredarle. Senza informazione non c’è democrazia, ed è normale quindi che l’oligarchia si premuri innanzitutto di imbavagliare la libertà di espressione. Prima hanno ridotto i giornali a carta straccia, e le televisioni a salotti tragicomicamente impermeabili a qualsiasi verità. E ora, dato che il pubblico ha aggirato i grandi media rivolgendosi al web – in Italia il 50% dei cittadini dichiara di informarsi ormai solo sulla Rete – ecco il supremo bavaglio a Internet, con l’espediente della tutela del copyright. Con l’alibi della (giusta) sanzione contro gli abusi, si mette il bavaglio alla prima fonte di notizie per 30 milioni di persone, nel nostro paese. Difficile credere che un simile attentato alla libertà possa essere accettato come costituzionale, in Italia.Beninteso: è più che legittima la tutela del copyright, ove si impedisca di eseguire dei pedestri copia-e-incolla non autorizzati. Ma il legislatore Ue va ben oltre: impedirà addirittura che, su blog e social, vengano caricate segnalazioni ipertestuali: in pratica, sarebbe la fine dei link, cioè dell’anima stessa di Internet. Vietato riportare frasi, estratti, dichiarazioni. Vietato certificare le fonti di provenienza. Vietato veicolare – mediante collegamento diretto – i contenuti più interessanti. In altre parole: la fine del web, la morte della libertà d’opinione. Il sovrano europeo pensa di fermare, letteralmente, l’orologio della storia: vuol far diventare lento e disfunzionale ciò che oggi è veloce, immediato. Una pazzia anacronistica, come quella di chi schierasse i carri armati nelle strade. L’essenza stessa del web è la rapidità, la circolazione di notizie in tempo reale: e il web è diventato il più potente vettore economico del nostro tempo. Ostacolarlo significa arrecare un danno di portata incalcolabile alla dinamica economica del terzo millennio, riportando l’Europa al medioevo anche sul piano civile, oltre che economico e politico.Non è strano che a organizzare il golpe sia l’Unione Europea, che i suoi carri armati (finanziari) li ha già spediti ovunque, a fare strage di democrazia. Resta da vedere come reagiranno le anime morte del Parlamento Europeo il 4 luglio, sotto la pressione dell’opinione pubblica. E soprattutto: c’è da capire come risponderà, al golpe, il governo italiano. Salvini “esiste” soprattutto su Twitter, i 5 Stelle sono nati dalla Rete. Il cielo stellato è stato inquadrato dal cannocchiale di Galileo, che adesso l’ultima reincarnazione del cardinale Bellarmino – il fantoccio Oettinger e i suoi mandanti – sta per fare a pezzi. Questa Ue si comporta come una dittatura di colonnelli: nasce morta e condannata dalla storia. E’ destinata alla sconfitta, ma a che prezzo? Quanto durerebbe, il blackout, prima del ripristrino della democrazia? Quanti altri danni produrrebbero, nel frattempo, i golpisti del web? Nessun aiuto, intanto, da giornali e televisioni: gli operatori ufficiali dell’informazione, ancora una volta, tacciono. Non una parola, da loro, sulla più importante notizia – la peggiore – che abbia investito il pubblico italiano. Tacciono, giornali e televisioni, sul golpe in atto. Sperano, probabilmente, che il colpo di Stato riesca. Si comportano come fossero complici dei golpisti. Se c’è un’occasione per dimostrare che il “governo del cambiamento” non è solo un modo di dire, è questa: se c’è un “no” che l’Italia deve pronunciare, forte e chiaro, è proprio questo, contro il golpe che vorrebbe spegnere il web.(Su Change.org la petizione contro il bavaglio al web che l’Ue vorrebbe imporre).Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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La Francia: stop all’inutile Torino-Lione, totem del potere
Lo chiamano ancora Tav, treno ad alta velocità, ma ormai è chiaro a tutti che l’eventuale linea Torino-Lione, doppione perfetto della già esistente (e deserta) Torino-Modane, sempre in valle di Susa, non sarebbe altro che il totem ultra-lento di un potere antico, sordo, primitivo, pronto a bruciare 680 milioni di euro per costruire una galleria esplorativa, a Chiomonte, con anni di ritardo rispetto agli analoghi tunnel geognostici aperti sul versante transalpino. Un vettore (lentissimo, vecchissimo) di grandi affari e grandi interessi, l’improbabile Tav valsusino, lungo una direttice rimasta senza più passeggeri né merci, nella “ribelle” valle di Susa che lotta da decenni contro l’infrastruttura più inutile della storia europea. Se n’è finalmente accorta la Francia, da sempre più tiepida dell’Italia rispetto all’impegno per la grande opera: il governo Macron ha annunciato una “pausa di riflessione” di almeno un anno, per valutare se è davvero il caso di finanziarlo, l’euro-tunnel da 54 chilometri sotto le montagne che, tra Susa e Modane, separano l’Italia dalla Francia. A Parigi costerebbe almeno 10 miliardi. Servirebbe? No, rispondono in coro i tecnici indipendenti.Tecnici peraltro suffragati dai controllori (svizzeri) del traffico transalpino per conto dell’Ue: quella linea non avrebbe alcun senso – né per i passeggeri, inesistenti, né per le merci, che sono in calo storico e viaggiano sull’attuale linea internazionale, largamente inutilizzata, per la quale l’Italia ha speso recentemente 400 milioni di euro, riammodernando il Traforo del Fréjus, attraverso il quale oggi possono transitare anche convogli con a bordo i grandi container “navali”. Per anni, prima che la contesa finisse in rissa (con feriti e arresti) i NoTav hanno tentato di intavolare un civile dibattito con le isituzioni: la storia racconta di petizioni firmate da centinaia di esperti universitari, rivolte a Palazzo Chigi e persino al Quirinale, rimaste sempre senza risposta. Una realtà imbarazzante: le istituzioni non hanno mai accettato di esaminare i più autorevoli studi, che dimostrano la completa inutilità di un’opera ferroviaria faraonica e anche pericolosa, date le implicazioni ambientali (amianto, uranio) e idrogeologiche, senza contare l’impatto urbanistico dei cantieri e la compromissione, per molti aspetti irreparabile, del territorio alpino.Sarebbe un sacrificio immenso, dunque, tuttora senza giustificazioni: mai, neppure per sbaglio, gli addetti ai lavori hanno fornito del maxi-progetto Torino-Lione una motivazione tecnica, chiara, esplicita, che non fosse grossolanamente dogmatica, fatta di slogan arcaici come “progresso” e “modernità”. Tutti gli studi prodotti riferiscono che la grande direttrice delle merci nel Nord Italia è l’asse sud-nord, Genova-Rotterdam, mentre la linea est-ovest ormai è marginale, come il trasporto – residuale, e ormai solo regionale – di pochissime merci tra Piemonte e Rhône-Alpes. Per contro, spiegano gli strateghi europei dei trasporti, un vero e proprio collo di bottiglia è rappresentato dal valico di Ventimiglia: quello sì avrebbe bisogno di essere “raddoppiato”, visto che le merci sbarcate a Genova si dirigono, via Liguria e Provenza, in tutta l’Europa sud-occidentale. L’unica cosa che certamente non serve, a quanto pare, è proprio la linea Tav in valle di Susa. Impossibile, per il governo italiano, finire per far ragione agli impresentabili, irriducibili NoTav? Eppure è quello che accadrà, se la Francia – nel 2018 – dovesse confermare l’attuale orientamento, scettico di fronte alla realizzazione dell’inutile maxi-opera.Quando prese avvio la protesta popolare, locale, contro i primi progetti per la Torino-Lione, l’Italia non era ancora entrata nell’euro: era un paese in crescita, stabilmente piazzato tra le prime economie del pianeta, alla prese coi valori del primo ambientalismo destinato a tradursi in disposizioni legislative. Il mondo non era ancora così piccolo: l’11 Settembre era ancora di là da venire, con le sue “guerre infinite” e i suoi terrorismi funzionali e cronicizzati. La globalizzazione non aveva ancora cominciato a produrre il flagello cosmico della disoccupazione, non si avvertivano i micidiali effetti dell’euro né quelli della crisi finanziaria di Wall Street. Era un mondo con coordinate visibili e definite, brandelli ideologici ancora vivi, certezze relative e credibili aspettative di benessere, lontano anni luce dalla precarizzazione universale, il delirio dell’austerity e la rassegnazione terminale, via Facebook, alla mediocrità come destino. Insorse, la piccola valle di Susa, minuscola periferia italiana: era la fine degli anni ‘90, oggi pare trascorso un millennio. E ancora si parla di Torino-Lione, cioè di archeologia dell’assurdo, mentre il mondo – intorno – sta finendo di crollare.Lo chiamano ancora Tav, treno ad alta velocità, ma ormai è chiaro a tutti che l’eventuale linea Torino-Lione, doppione perfetto della già esistente (e deserta) Torino-Modane, sempre in valle di Susa, non sarebbe altro che il totem ultra-lento di un potere antico, sordo, primitivo, pronto a bruciare 680 milioni di euro per costruire una galleria esplorativa, a Chiomonte, con anni di ritardo rispetto agli analoghi tunnel geognostici aperti sul versante transalpino. Un vettore (lentissimo, vecchissimo) di grandi affari e grandi interessi, l’improbabile Tav valsusino, lungo una direttice rimasta senza più passeggeri né merci, nella “ribelle” valle di Susa che lotta da decenni contro l’infrastruttura più inutile della storia europea. Se n’è finalmente accorta la Francia, da sempre più tiepida dell’Italia rispetto all’impegno per la grande opera: il governo Macron ha annunciato una “pausa di riflessione” di almeno un anno, per valutare se è davvero il caso di finanziarlo, l’euro-tunnel da 54 chilometri sotto le montagne che, tra Susa e Modane, separano l’Italia dalla Francia. A Parigi costerebbe almeno 10 miliardi. Servirebbe? No, rispondono in coro i tecnici indipendenti.