Archivio del Tag ‘armi’
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L’arsenale della democrazia fabbrica guerre senza fine
Ormai comunemente si osserva che l’arsenale della democrazia continua a intervenire con le sue guerre, coinvolgendo i suoi alleati subalterni, per buttare giù soggetti politici che esso stesso aveva messo su, armandoli e finanziandoli. Pensiamo ai Talebani, a Saddam Hussein, a Osama Bin Laden, ai miliziani dell’Isis. Queste odierne operazioni in due fasi, costruzione e demolizione, sono la continuazione di ciò che l’arsenale della democrazia aveva fatto col nazismo, sostenendolo finanziariamente persino in tempo di guerra attraverso partecipazioni societarie, e combattendolo nella seconda fase con grande dispendio di mezzi, in larga parte addebitati agli alleati. È stato infatti grazie all’indebitamento abissale degli alleati e poi delle potenze sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale, che l’arsenale della democrazia ha assunto l’egemonia di gran parte del pianeta, facendosi suo fornitore di credito e, con Bretton Woods, di moneta di riserva.In Ucraina avviene oggi qualcosa di simile: l’arsenale della democrazia dapprima sostiene una sorta di colpo di stato contro un regime eletto, poi incoraggia una deriva anti-russi a Kiev, usa ogni mezzo per fare della Russia un nemico e una minaccia militari per l’Europa occidentale, imponendoci di adottare contro Mosca sanzioni autolesionistiche per noi, che però ci rendono più dipendenti dall’arsenale della democrazia per le forniture energetiche, quindi arricchiscono l’arsenale della democrazia in termini di profitti ed egemonia; al contempo, annuncia che potrà in futuro contribuire alle spese della Nato in misura ridotta, quindi gli alleati europei dovranno metterci più soldi, ossia dovranno comprare più armamenti dall’arsenale della democrazia, il quale è di gran lunga il principale produttore di armamenti, con una larga quota del Pil e dell’occupazione dipendente dalla produzione e… dal consumo di questi articoli; così contribuiranno alla prosperità della sua industria bellica a spese dei propri cittadini contribuenti.L’arsenale della democrazia ha una necessità oggettiva e strutturale di agire così, per rimanere egemone e per assicurare grandi profitti al suo complesso finanziario e industriale-militare, e salario ai suoi addetti. E per continuare a imporre la sua ultra-inflazionata valuta come valuta internazionale di riserva e pagamenti soprattutto delle materie prime, con cui comperare tutto, nel mondo, continuando a stampare carta. Ha necessità di essere fabbrica di guerre, tiranni e terrori. La sua fisiologia richiede una continua domanda di armamenti, quindi continue guerre, tensioni, conflitti nel mondo. I suoi governi assicurano e producono queste condizioni. Nel corso della sua storia, l’arsenale della democrazia è quasi sempre stato impegnato in qualche guerra. Il Papa non parla mai di questa causa di guerre e violenza. È una necessità oggettiva, che non ha implicazioni morali. Nessuno va condannato. Finché resterà l’arsenale della democrazia, avremo guerre senza fine. Dopo, chissà.(Marco Della Luna, “Arsenale della democrazia e fabbrica delle guerre”, dal blog di Della Luna del 23 settembre 2014).Ormai comunemente si osserva che l’arsenale della democrazia continua a intervenire con le sue guerre, coinvolgendo i suoi alleati subalterni, per buttare giù soggetti politici che esso stesso aveva messo su, armandoli e finanziandoli. Pensiamo ai Talebani, a Saddam Hussein, a Osama Bin Laden, ai miliziani dell’Isis. Queste odierne operazioni in due fasi, costruzione e demolizione, sono la continuazione di ciò che l’arsenale della democrazia aveva fatto col nazismo, sostenendolo finanziariamente persino in tempo di guerra attraverso partecipazioni societarie, e combattendolo nella seconda fase con grande dispendio di mezzi, in larga parte addebitati agli alleati. È stato infatti grazie all’indebitamento abissale degli alleati e poi delle potenze sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale, che l’arsenale della democrazia ha assunto l’egemonia di gran parte del pianeta, facendosi suo fornitore di credito e, con Bretton Woods, di moneta di riserva.
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Quegli strani suicidi all’italiana, da Gardini a Pantani
Finalmente, dopo dieci anni s’è riaperto il caso Pantani, frettolosamente archiviato come suicidio anche se il campione quella mattina del 2004 aveva chiesto aiuto per due volte, invocando l’intervento dei carabinieri, prima che fosse ritrovato senza vita, in una stanza distrutta, con accanto un misterioso biglietto con scritto che “le rose sono contente e la rosa rossa è la più contata”. Indagini all’epoca così “distratte” da non registrare le troppe anomalie: tali e tante, che il giornalista francese Philippe Brunel ne ha scritto un libro-denuncia, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, edito da Rizzoli-Bur. Il fatto è che nel nostro paese sono davvero parecchi i “casi Pantani”, osserva l’avvocato Solange Manfredi: «Casi da cui risulta evidente che qualcosa non funziona, o forse funziona sin troppo bene». Troppe indagini diffettose, troppi processi che poi a distanza di anni si rivelano completamente da rifare, perché «caratterizzati sempre dagli stessi errori, le stesse carenze e violazioni». Pantani, Gardini, Cagliari. E tutti gli altri suicidi apparenti di cui è lastricata la nostra storia recente.«Chi come me studia i fascicoli processuali – scrive Solange Manfredi nel blog di Paolo Franceschetti – si ritrova sempre davanti alle stesse situazioni: quasi come se esistesse un meccanismo che si mette in moto per impedire l’accertamento delle uniche cose che il procedimento penale ha lo scopo di accertare», ovvero «come si sono svolti i fatti e chi ne è responsabile». I suicidi anomali, avverte la Manfredi, sono molto frequenti, anche se sono veramente pochi quelli che balzano agli onori delle cronache. In tutti questi casi, «le indagini presentano sempre le stesse carenze». Delle stranezze sulla fine di Pantani, trovato morto a Rimini il 14 febbraio 2004 in una stanza del residence “Le Rose”, si sa ormai abbastanza. Il “suicida” Pantani aveva ingerito cocaina: nel corpo ne era stata rinvenuta una quantità sei volte superiore alla dose letale. «Eppure ci sono tante cose che non quadrano». Per due volte, poco prima di morire, aveva telefonato alla reception: «Per favore, chiamate i carabinieri, ci sono qui due persone che mi stanno dando fastidio».Nel cestino della camera vengono ritrovati i resti di del cibo cinese che Marco detestava: quel cibo non l’ha mai ordinato, né tantomeno mangiato. In camera vengono ritrovati indumenti che l’atleta, all’arrivo in albergo, non aveva. Il ciclista viene ritrovato in una pozza di sangue del diametro di un metro, sul suo corpo sono presenti ferite (conseguenza di calci e pugni) e la stanza è a soqquadro, come se ci fosse stata una lotta. Secondo l’ultima perizia, poi, i segni sul corpo del campione rivelano che Pantani è stato trascinato. Tutto molto strano. Come il “suicidio anomalo” del giovane Attilio Manca, avvenuto appena due giorni prima, a Viterbo, la mattina del 12 febbraio 2004. Il corpo viene ritrovato nel suo appartamento, e anche in questo caso per la Procura si è trattato di suicidio. Attilio ha nelle vene un mix letale di tre sostanze: eroina, sedativi e sostanza alcolica. Ma le modalità di assunzione sono assolutamente incredibili, prende nota Solange Manfredi.«Attilio viene ritrovato in camera da letto riverso sul letto seminudo, dal naso e dalla bocca è fuoriuscita una ingente quantità di sangue che ha provocato una pozzanghera sul pavimento. I suoi pantaloni sono appoggiati sulla sedia, ma nella casa non si ritrovano né i suoi boxer né la camicia. Il volto presenta una vistosa deviazione del setto nasale e sugli arti sono presenti numerose ecchimosi». Sul corpo di Attilio, poi, sono visibili i segni di due distinte iniezioni: una al polso e una all’avambraccio. In effetti, «nell’appartamento vengono ritrovate due siringhe da insulina usate, una in bagno e una nella pattumiera della cucina». La la cosa strana è che «ad entrambe è stato riapposto il tappo salva-ago». E attenzione: «I segni delle iniezioni letali sono sull’avambraccio sinistro, ma Attilio era un mancino puro: con la destra non sapeva fare praticamente nulla. Eppure, quando decide di suicidarsi, usa proprio la destra».Dunque, conclude la Manfredi, sia Marco che Attilio si sarebbero suicidati con una overdose: Marco ingerendo cocaina contenuta all’interno di palline fatte di mollica di pane, e Attilio praticandosi due iniezioni – una sull’avambraccio e una sul polso – con la mano destra, lui che era mancino puro. Overdose volontaria? E allora perché entrambi i corpi presentano ferite da colluttazione? «Attilio ha addirittura il setto nasale deviato, mentre Marco risulta essere stato trascinato». Ma per gli inquirenti si è trattato di suicidio, in entrambi i casi. Accadde la stessa cosa con altri tre suicidi eccellenti, maturati in piena Tangentopoli: quelli di Sergio Castellari, Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Castellari, direttore generale degli affari economici del ministero delle Partecipazioni Statali, poi consulente Eni, scompare il 18 febbraio 1993. Il corpo senza vita viene ritrovato il 25. Per la Procura è suicidio. O meglio, il più incredibile dei suicidi.Castellari si sarebbe sparato alla testa e la morte sarebbe avvenuta il 18 febbraio. «Eppure, il cadavere – rinvenuto 7 giorni dopo – non presenta processi putrefattivi». In più, «entrambe le mani presentano amputazioni di alcune dita». Le dita sono state certamente amputate, non mangiate da qualche animale. Inoltre, «la pistola Smith & Wesson calibro 9 con cui si sarebbe sparato è infilata nella cintura dei pantaloni», addirittura. Dettaglio ulteirore: «Il cane dell’arma è alzato». E poi il proiettile con cui si sarebbe suicidato: sparito, dissoltosi nel nulla. Infine, «sull’arma non vengono ritrovate impronte», men che meno quelle della vittima. «Dunque, secondo la Procura, Castellari prima si amputa qualche dito (che non verrà ritrovato) da entrambe le mani, quindi si suicida sparandosi alla testa con una calibro 9 – che gli porta via mezza calotta cranica – e, dopo, compie queste attività: riarma il cane della pistola, la pulisce dalle impronte digitali, se la infila nei pantaloni, fa sparire il bossolo del proiettile con cui si è sparato e solo dopo, finalmente, muore».Il 20 luglio 1993 tocca a Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, arrestato l’8 marzo di quell’anno. Viene ritrovato nel bagno della sua cella con una busta di plastica legata al collo. Altro suicidio, per gli inquirenti. Cagliari si sarebbe suicidato chiudendosi nel bagno: prima di farla finita, avrebbe bloccato la porta della toilette con un paletto inserito nella maniglia. «Eppure il pezzo rotto e mancante del paletto che sarebbe servito a Cagliari per chiudersi dentro il bagno non si trova», ricorda Solange Manfredi. Inoltre, secondo le testimonianze, «nei primi soccorsi a Cagliari sarebbe stato strappato il sacchetto dal viso per permettergli di respirare: eppure quel sacchetto viene ritrovato integro». Al momento dell’autopsia vengono poi riscontrate sul corpo di Cagliari diverse lesioni agli zigomi, al cuoio capelluto, allo sterno e alle costole, con ecchimosi e infiltrazioni emorragiche. «Ma se al momento del ritrovamento Cagliari era morto, come se le è prodotte quelle lesioni? Gli ematomi si possono formare solo se vi è circolazione sanguigna. Questo vuol dire che quelle ecchimosi se l’era prodotte prima della morte. Come?».Infine, Raul Gardini. Il capo del gruppo Ferruzzi, coinvolto nel caso Enimont, muore il 23 luglio del 1993. Ufficialmente, «sparandosi un colpo di pistola alla tempia nella sua camera da letto». Peccato che «sul letto, sull’orologio, sui cuscini e sul lenzuolo» non siano stati ritrovati residui di polvere da sparo. Inoltre, «nessuno dei collaboratori domestici presenti in casa ha sentito lo sparo», benché l’arma non fosse dotata di silenziatore. Strana pistola: «Viene ritrovata appoggiata sulla scrivania a diversi metri dal letto». E persino il bossolo «viene rinvenuto sul pavimento a tre metri di distanza da dove avrebbe dovuto trovarsi se Gardini si fosse suicidato». Anche in questo caso sull’arma non vengono rilevate impronte, neanche quelle della vittima. Sulle cartucce, invece, «vengono trovate impronte non appartenenti a Raul Gardini». All’esame autoptico, per contro, «il corpo presenta una frattura alla base cranica e una ecchimosi sotto l’occhio». Per l’avvocato Manfredi sono lesioni compatibili con ben altra dinamica: qualcuno ha afferrato la testa di Gardini e gliel’ha sbattuta contro un corpo solido.«Anche in questo caso – scrive Solange Manfredi, sarcastica – Gardini si è prima procurato una lesione alla base cranica, quindi si è sparato alla testa sul letto, quindi si è alzato, ha pulito la pistola dalle impronte digitali, l’ha riposta con cura sullo scrittoio, ha spostato il bossolo (forse perché dov’era faceva disordine), quindi è ritornato a letto, e poi è morto». Storie semplicemente incredibili. «Tutti i corpi presentano lesioni immediatamente precedenti il suicidio». Lesioni «difficilmente spiegabili con la dinamica suicidaria». Più verosimilmente, quelle ferite sono «compatibili con una colluttazione». In tutti i luoghi del ritrovamento, poi, alcuni oggetti mancano, insipegabilmente. E, altrettanto misteriosamente, altri oggetti – non collegabili al “suicida” – vengono rinvenuti sulla scena del crimine. «E le attività investigative sono carenti e contraddittorie». Tutti suicidi anomali. Così numerosi e macroscopici da indurre un magistrato come Mario Almerighi, amico di Giovanni Falcone, a indagare a fondo, nel libro “Suicidi? Castellari, Cagliari, Gardini”, editito dall’Università La Sapienza. «Ancora una volta il meccanismo si è messo in moto, e ancora una volta con tragico successo», si è portati a pensare. Perché «anche il sistema uccide». Per la precisione, «uccide chi diventa inaffidabile».Finalmente, dopo dieci anni s’è riaperto il caso Pantani, frettolosamente archiviato come suicidio anche se il campione quella mattina del 2004 aveva chiesto aiuto per due volte, invocando l’intervento dei carabinieri, prima che fosse ritrovato senza vita, in una stanza distrutta, con accanto un misterioso biglietto con scritto che “le rose sono contente e la rosa rossa è la più contata”. Indagini all’epoca così “distratte” da non registrare le troppe anomalie: tali e tante, che il giornalista francese Philippe Brunel ne ha scritto un libro-denuncia, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, edito da Rizzoli-Bur. Il fatto è che nel nostro paese sono davvero parecchi i “casi Pantani”, osserva l’avvocato Solange Manfredi: «Casi da cui risulta evidente che qualcosa non funziona, o forse funziona sin troppo bene». Troppe indagini diffettose, troppi processi che poi a distanza di anni si rivelano completamente da rifare, perché «caratterizzati sempre dagli stessi errori, le stesse carenze e violazioni». Pantani, Gardini, Cagliari. E tutti gli altri suicidi apparenti di cui è lastricata la nostra storia recente.
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Oggi teorie cospirative, domani verità: lo dice la storia
Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.«L’idea che i governi e le agenzie di intelligence svolgano atti di terrorismo sotto falsa bandiera è stata a lungo derisa dai media del sistema come una teoria della cospirazione, nonostante ci sia una pletora di casi storicamente documentati». Paul Joseph Watson e Alex Jones ne citano almeno dieci, famosi o famosissimi. Come l’Operarazione Ajax, che nel 1953 rovesciò il governo di Mohammed Mossadeq in Iran. La Cia ha ammesso il proprio ruolo nel golpe solo dopo mezzo secolo, nel 2013. Bilancio dell’attività terroristica: almeno 300 civili uccisi. Altra clamorosa “false flag”, lo scontro navale dell’estate del 1964 nel Golfo del Tonchino, che fornì il pretesto per la guerra del Vietnam. Peccato che nessuno sparò mai un solo colpo di cannone contro la flotta statunitense. Eppure, il 4 agosto 1964, il presidente Lyndon Johnson andò in televisione e disse al paese che il Vietnam del Nord aveva attaccato delle navi americane: «I ripetuti atti di violenza contro le forze armate degli Stati Uniti devono ricevere una risposta», dichiarò.Il Congresso approvò subito la Risoluzione del Golfo del Tonchino, che fornì a Johnson l’autorità per condurre operazioni militari contro il Vietnam del Nord. Nel 1969, oltre 500.000 soldati stavano già combattendo nel sud-est asiatico. «Johnson e il suo segretario alla difesa, Robert McNamara, avevano ingannato il Congresso e il popolo americano», scrivono Watson e Jones in un post su “Infowars”, tradotto da “Come Don Chisciotte”. «In realtà, il Vietnam del Nord non aveva attaccato la Uss Maddox, come il Pentagono aveva sostenuto, e la “prova inequivocabile” di un “non provocato” secondo attacco contro la nave da guerra degli Stati Uniti era uno stratagemma». Interamente all’insegna della “false flag” fu l’Operazione Gladio, cioè «il terrore sponsorizzato dallo Stato e imputato alla sinistra». In piena guerra fredda, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Cia e la britannica Mi6 collaborarono assieme alla Nato nell’Operazione Gladio per creare un esercito clandestino, o “stay behind”, al fine di combattere il comunismo nel caso di una invasione sovietica dell’Europa occidentale. Ben presto, però, la rete difensiva anti-Urss si trasformò in un esercito terrorista incaricato di intimidire l’opinione pubblica dell’Europa occidentale.«Gladio – precisano Watson e Jones – trascese rapidamente la sua missione originaria e divenne una rete terroristica segreta composta da milizie di destra, elementi della criminalità organizzata, agenti provocatori e unità militari segrete». Le forze armate “stay behind” erano attive in Francia, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Germania, e Svizzera. La “strategia della tensione”, quella che straziò l’Italia per due decenni, «venne progettata per far figurare i gruppi politici di sinistra europei come terroristici e per spaventare la popolazione, inducendola così a votare per governi autoritari». Dalla bomba di piazza Fontana a quella dell’Italicus, dai misteri del sequestro Moro (eseguito dalle Brigate Rosse ma “assistito” da una rete invisibile di protezione, anche all’insaputa degli stessi brigatisti), fino alla strage della stazione di Bologna: un retroterra torbido, popolato da servizi segreti molto opachi, infiltrati da organismi come la P2 di Licio Gelli, potente loggia massonica “deviata”, in collaborazione con gruppi neofascisti (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale), impiegati come manovalanza per le stragi. In ultima analisi, rilevano Watson e Jones, l’Operazione Gladio «ha causato la morte di centinaia di persone in tutta Europa». Secondo Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista di Gladio all’ergastolo per l’assassinio di un poliziotto, la ragione di “stay behind” era semplice: l’organizzazione era stata progettata «per costringere la gente, i cittadini italiani, a pretendere dallo Stato maggiore sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e gli attentati che restano impuniti, perché lo Stato non può condannare se stesso o dichiararsi responsabile di quanto è accaduto».Alla guerra segreta contro il regime comunista di Fidel Castro a Cuba appartiene invece l’Operazione Northwood: nell’ambito dell’Operazione Mangusta della Cia, «lo stato maggiore Usa propose all’unanimità di realizzare azioni terroristiche sponsorizzate dallo Stato all’interno degli Stati Uniti». Il piano, aggiungono Watson e Jones, «prevedeva l’abbattimento di aerei americani dirottati, l’affondamento di navi americane e l’uccisione di cittadini americani, a colpi di arma da fuoco, per le strade di Washington». Lo scandaloso piano «includeva anche lo scenario di un disastro alla Nasa, che prevedeva la morte dell’astronauta John Glenn». Il presidente John Fitzgerald Kennedy, ancora vacillante dopo l’imbarazzante fallimento della Cia per l’invasione di Cuba alla Baia dei Porci, «respinse il piano nel marzo del 1962». E pochi mesi dopo, lo stesso Kennedy «negò all’autore del piano, il generale Lyman Lemnitzer, un secondo mandato come militare di rango più alto della nazione». Poco dopo, nel novembre del 1963, Kennedy fu assassinato a Dallas, in Texas.Si chiama invece “Fast and Furious” l’operazione in cui «il governo Obama ha fornito armi ai signori messicani della droga con l’apparente scopo di seguirne le tracce al fine di distruggere le gang». Secondo Watson e Jones, «era in realtà parte di un piano cospirativo per demonizzare il secondo emendamento», cioè il diritto del cittadino americano di portare armi. I documenti ottenuti da “Cbs News” nel dicembre 2011 dimostrano che gli agenti speciali dell’Atf avevano discusso su come avrebbero potuto collegare le armi coinvolte nelle violenze in Messico ai negozianti di armi degli Stati Uniti, al fine di far approvare normative più restrittive sul controllo delle armi. Una fonte della polizia ha detto a “Cbs News” che le email indicano che l’Atf ha “montato” il caso, come parte di una manovra politica: «È come se l’Atf avesse creato o incrementato il problema, in modo da poter essere proprio lei a fornire la soluzione». Quanto alla droga, i narcos non sono solo messicani o colombiani: la stessa Cia «è stata implicata in operazioni di traffico di droga in tutto il mondo, anche a livello nazionale, in particolare durante l’affare Iran-Contras».«Con la benedizione della Cia», i miliziani che dall’Honduras contrastavano i guerriglieri di dinistra del Salvador e del Nicaragua «contrabbandarono negli Stati Uniti cocaina che venne poi distribuita come droga di prima qualità a Los Angeles, e i cui profitti furono poi versati ai Contras». Michael Ruppert, allora agente della polizia di Los Angeles, ha anche testimoniato di aveva assistito al traffico di droga della Cia. «I boss della droga messicani, come Jesus Vicente Zambada Niebla, hanno perfino dichiarato pubblicamente di esser stati ingaggiati dal governo Usa per operazioni di traffico di droga». Per Watson e Jones, «c’è un voluminoso corpo di prove che conferma che la Cia e i giganti bancari degli Stati Uniti sono i maggiori players in un commercio mondiale di droga del valore di centinaia di miliardi di dollari l’anno», come confermano anche le informazioni pubblicate da svariati osservatori, tra cui Gary Webb, su autorevoli blog d’inchiesta come “Prison Planet”. Banchieri e droga? Sì, e anche sigarette: secondo la Bbc, le aziende americane del tabacco sono state “prese con le mani nel sacco” nell’ingegnerizzare deliberatamente le “bionde”, additivandole con prodotti chimici che ne incrementano artificialmente la dipendenza. Per Clive Bates, direttore di “Ash” (Action on Smoking and Health), la scoperta ha messo alla luce «uno scandalo in cui le aziende del tabacco deliberatamente utilizzano additivi per rendere i loro dannosi prodotti ancora peggiori».Poi c’è lo sterminato capitolo dello spionaggio, fino alla sorveglianza di massa dell’National Security Agency. «Negli anni ‘90, quando gli attivisti anti-sorveglianza e i personaggi dei media stavano mettendo in guardia sulla vasta operazione di spionaggio della Nsa, vennero trattati come teorici paranoici della cospirazione», riordano Watson e Jones. «Ben più di un decennio prima delle rivelazioni di Snowden», l’agenzia di intelligence «era impegnata a intercettare e registrare tutte le comunicazioni elettroniche di tutto il mondo nel quadro del programma “Echelon”». Sorveglianza globale: “Echelon” era in grado di intercettare «ogni chiamata internazionale via telefono, fa, e-mail o trasmissione radio del pianeta». Nel 1999, il governo australiano ha ammesso di farvi parte, assieme a Stati Uniti e Gran Bretagna. In cabina di regia, già allora, c’era la Nsa. Un dossier del Parlamento Europeo risalente al 2001 afferma: «In Europa, tutte le comunicazioni e-mail, telefono e fax sono regolarmente intercettate», dall’agenzia smascherata da Snowden.Vastissimo, infine, il capitolo delle morti in apparenza accidentali. Non è solo cinema: nell’arsenale degli 007, anche il “dardo invisibile” che provoca l’infarto cardiaco. Ne parlò il Senato degli Usa già nel 1975, durante una testimonianza sulle attività illegali della Cia: «Fu rivelato che l’agenzia aveva sviluppato un’arma a dardi che causa un attacco di cuore». Nella prima udienza televisiva, svolta nella sala Caucus del Senato, intervenne Frank Church, senatore dell’Idaho e presidente della commissione d’inchiesta sul caso Watergate. «Church mostrò una pistola a dardi velenosi della Cia, rivelando così che la commissione era venuta a conoscenza del fatto che l’agenzia aveva violato un ordine presidenziale diretto, conservando uno stock di tossine di molluschi che sarebbe stato sufficiente a uccidere migliaia di persone», come conferma ancora oggi una pagina web del sito ufficiale del Senato statunitense. Il veleno penetra nel sangue e provoca l’arresto cardiaco. Al massimo, la vittima percepisce il fastidio di una puntura di zanzara. Veleno micidiale e invisibile: tutto ciò che resta è un puntino rosso sulla pelle. «Una volta che il danno è fatto, il veleno denatura rapidamente, in modo che nell’autopsia è molto improbabile rilevare che l’infarto è stato provocato da qualcosa di diverso da cause naturali».Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.
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New York Times: Obama, nuove atomiche per 335 miliardi
Mille miliardi in nuove bombe atomiche. E’ l’inferno nucleare appena finanziato da Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, fino all’altro ieri sostenitore del disarmo. Ora siamo all’inversione di rotta, verso lo spettro dell’apocalisse: il “New York Times” rivela che gli Usa hanno deciso di investire 335 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, che salirebbero a mille nei prossimi trenta, per realizzare ordigni atomici più moderni, 12 nuovi sottomarini nucleari, 100 bombardieri atomici e 400 silos di lancio di Icbm. Nessuno, come è noto, minaccia gli Stati Uniti. Il nuovo arsenale sarebbe quindi un immenso dispositivo intimidatorio nei confronti del resto del mondo, in primo luogo la Cina, massimo creditore degli Usa. In Italia, «la notizia non è stata ripresa da giornali, né emittenti Tv», protesta l’ingegner Roberto Vacca, matematico e saggista. C’è chi ha già proposto che a Obama si revochi il Nobel solo perché sta armando curdi e iracheni contro l’Isis, dopo aver armato sottobanco l’Isis stesso, ma «questa decisione di rimodernare l’arsenale nucleare Usa è motivo molto più forte per revocargli il premio».Di quei mille miliardi, spiega Vacca su “Megachip”, si parlava già a gennaio. Sarebbero stati ripartiti fra missili balistici intercontinentali, sottomarini e bombardieri capaci di trasportare e lanciare armi atomiche ovunque nel mondo. Nella campagna per il suo primo mandato, Obama aveva dichiarato che il suo obiettivo era un pianeta libero dall’incubo delle armi nucleari: «Con il piano attuale, dimostra di aver rinunciato del tutto a quel sogno». Più tardi, aggiunge Vacca, il presidente americano aveva precisato che ci sarebbero voluti molti decenni per un disarmo totale. Sbagliava: l’inferno si è rimesso a correre veoce. «Il piano attuale implica che per i prossimi tre decenni gli Stati Uniti non muoveranno nemmeno un passo per quella lunga strada», visto che saranno impegnati in un’inquietante campagna di riarmo, non motivata da alcuna reale minaccia. Da non sottovalutare, infine, il profilo della sicurezza degli stessi stabilimenti: in mezzo secolo, dal 1950 al 2003, negli Usa ci sono state 121 “frecce spezzate”, cioè gravi incidenti coinvolgenti bombe nucleari. Dal 2003, invece, più nessuna notizia.Oltre 2 incidenti nucleari all’anno per 53 anni e poi nessuno per 10 anni? «C’è da temere – scrive Vacca – che la censura blocchi informazioni che, se fossero note, proverebbero che il rischio sia maggiore di quanto sostenuto». Nel mondo, gli arsenali nucleari contengono ancora 5 miliardi di tonnellate equivalenti di alto esplosivo, pari a 700 chili per ogni essere umano: è un potenziale oltre centomila volte maggiore di quello delle due bombe di Hiroshima e Nagasaki che nel 1945 uccisero circa 300.000 giapponesi. A conti fatti, 300.000 moltiplicato 100.000 fa 30 miliardi, annota Vacca, e oggi al mondo siamo in 7 miliardi. «Non si è fatto un passo verso un mondo senza armi nucleari, e ora Obama aggrava i rischi invece di ridurli». Anche l’Europa è gremita di missili: 180 testate nucleari tattiche sono già dislocate in Belgio, Germania, Olanda, Turchia e anche in Italia. Le testate europee diventeranno 400, secondo alcuni esperti, calcolando lo stanziamento Usa di 80 miliardi di dollari programmato già nel 2010 per ricerche su armi atomiche.In più, il governo americano ha deciso di ridurre del 15% gli stanziamenti mirati a proteggere le armi nucleari da tentativi di impossessarsene da parte di eventuali terroristi. «Quest’altra misura rende ancora più imminente un rischio gravissimo – l’entità del quale è segreta e, forse, nemmeno valutabile», scrive Roberto Vacca. La storia recente è punteggiata da incidenti anche gravissimi: la catastrofe di Chernobyl nel 1986 «fu causata da ingegneri elettrotecnici che in assenza di esperti nucleari tentarono un esperimento temerario e assurdo». Il disastro di Fukushima è invece avvenuto «perchè la centrale era sorta in zona sismica, soggetta notoriamente, più di una volta ogni secolo, a tsunami di decine di metri». Nonostante ciò, la centrale giapponese «era stata protetta da un muro di soli 8 metri». In questi due incidenti, ricorda Vacca, sono morte circa 30.000 persone, un decimo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki. Cifre approssimative, «perché gli effetti delle radiazioni possono essere letali a notevole distanza di tempo». Nonostante ciò, nel mondo si stanno costruendo altre 60 centrali, in aggiunta alle 435 esistenti. Rischio altissimo, poi, in caso di guerra: «Anche se un conflitto si scatenasse per errore, potrebbe estendersi al pianeta e segnare la fine della nostra civiltà». I favorevoli all’energia nucleare considerano che gli eventuali incidenti futuri sarebbero “accettabili”, perchè quelli finora avvenuti non sono stati molto più gravi di quelli di Bhopal (15.000 morti nel 1984) e del Vajont (2.000 morti nel 1963). «Le armi nucleari vanno smantellate tutte», insiste Vacca. Ma evidentemente Barack Obama ha ben altri piani, per tutti noi.Mille miliardi in nuove bombe atomiche. E’ l’inferno nucleare appena finanziato da Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, fino all’altro ieri sostenitore del disarmo. Ora siamo all’inversione di rotta, verso lo spettro dell’apocalisse: il “New York Times” rivela che gli Usa hanno deciso di investire 335 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, che salirebbero a mille nei prossimi trenta, per realizzare ordigni atomici più moderni, 12 nuovi sottomarini nucleari, 100 bombardieri atomici e 400 silos di lancio di Icbm. Nessuno, come è noto, minaccia gli Stati Uniti. Il nuovo arsenale sarebbe quindi un immenso dispositivo intimidatorio nei confronti del resto del mondo, in primo luogo la Cina, massimo creditore degli Usa. In Italia, «la notizia non è stata ripresa da giornali, né emittenti Tv», protesta l’ingegner Roberto Vacca, matematico e saggista. C’è chi ha già proposto che a Obama si revochi il Nobel solo perché sta armando curdi e iracheni contro l’Isis, dopo aver armato sottobanco l’Isis stesso, ma «questa decisione di rimodernare l’arsenale nucleare Usa è motivo molto più forte per revocargli il premio».
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Armi, droga, porno: Deep Web, non aprite quella porta
Pagine dinamiche ad accesso riservato, mail e home banking, e siti dedicati al commercio di armi, droga ed esseri umani. Database di studi scientifici, accademici e documenti governativi. E poi forum pedopornografici o siti per commissionare omicidi. E’ un oceano sommerso, si chiama Deep Web. «La moneta corrente, là sotto, è il bitcoin», valuta virtuale e molto fluttuante «con cui si può comprare qualsiasi cosa», spiega Andrea Coccia. «Lo scarto tra l’utilità e la legalità di una parte e la pericolosità e l’illegalità dell’altra è talmente immenso da rendere inutile qualsiasi tentativo di definizione in bianco e nero: il Deep Web, come il mondo, non è né buono né cattivo, è semplicemente immenso e in gran parte sconosciuto». Là sotto ci si può trovare di tutto, «il più depravato degli psicopatici e il più geniale degli scienziati». Le regole? Non esistono. «Immergersi in questo universo, la cui grandezza stimata è circa 500 volte il Web visibile e in cui i motori di ricerca non servono (quasi) a nulla, comporta il passaggio di una porta oltre la quale il confine della legalità è molto labile e i pericoli sono sul serio a portata di click».Cos’è il Deep Web? Il modo migliore per capirlo, scrive Coccia su “Linkiesta”, è immaginarsi un iceberg, di cui possiamo scorgere solo la vetta: tutto il resto, quello che c’è sotto, possiamo solo immaginarlo. Ciò che si vede in superficie, il Web visibile, è quello che i motori di ricerca tradizionali, come Google, sono in grado di indicizzare. «Intendiamoci, si tratta di una mole impressionante di pagine – tra i 60 e i 120 miliardi secondo alcune stime». Ma quel che sta sotto, come per gli iceberg, lo è ancor di più: «Se stabilire la dimensione esatta del Web visibile è un’impresa quasi impossibile, stimare quella del Web invisibile, o Deep Web, è un’operazione quasi folle». Uno specialista come Anand Rajaraman, intervistato dal “Guardian”, rivela che «nessuno può fare una stima credibile di quanto sia grande», il Deep Web. «L’unica stima che conosco dice che potrebbe essere 500 volte più grande». In questo oceano, avverte Coccia, non si può accedere né ci si può muovere usando i comuni strumenti di navigazione, come Google. Peggio ancora Facebook: nel Deep Web è pericoloso «usare i propri dati sensibili, mettendo a repentaglio il proprio anonimato e anche la propria sicurezza personale».Per accedere alla rete, spiega “Linkiesta”, è necessario installare e configurare un programma in grado di rendere la navigazione anonima e sicura: uno strumento come “Tor”, per esempio, capace di accedere a pagine con un dominio “strano”, come “.onion”. «Vista l’inefficacia quasi totale dei motori di ricerca che pur esistono a quelle profondità», per muoversi «si deve fare affidamento a delle liste compilate di link come la “Hidden Wiki”, o ai forum di utenti». Ma neanche così la navigazione è immediata, visto che, «proprio per garantire la sicurezza e l’anonimato, le pagine cambiano molto spesso indirizzo, a volte vengono chiuse dai proprietari, dalle cyberpolizie di mezzo mondo o vengono abbattute da gruppi di hacker à la Anonymous». Un parziale elenco «non potrebbe fare a meno di citare hacker russi, dissidenti cinesi, ribelli siriani, militari statunitensi, polizie postali europee, giornalisti indipendenti, anarchici svedesi, complottisti zeitgeistiani, pedofili, assassini, mercanti d’armi e di droga, mafiosi, jihadisti, ma anche moltissimi curiosi».Coccia rivela «10 cose notevoli» che ha trovato nel Deep Web. Citazione dantesca: “Per me si va nella città dolente”. Partenza: «Dopo aver installato e avviato “Tor”, dopo aver controllato che l’Ip fosse effettivamente stato mascherato, la prima mossa dell’improvvido navigatore anonimo è cercare una porta di accesso a questo universo pazzesco», dovendo fare a meno dei motori di ricerca. Un’epigrafe avverte: ti serve la “hidden wiki”, cioè “the door of the deep web”. «Be careful», dice la scritta: potreste essere spiati, hackerati, traumatizzati da contenuti «che non immaginavate potessero esistere». Per Coccia, «è la porta che sceglie, non l’uomo», come scrive Jorge Luis Borges nell’“Elogio dell’ombra”. Senza Google, «ci si deve affidare a liste, documenti, pagine wiki come Hidden Wiki, ad esempio, compilate da utenti – chiaramente anonimi – che offrono una serie di link ordinati in categorie da copiare e incollare sul browser di “Tor” per trovare il cammino. E per quanto di link ce ne siano a decine, tra quelli che non funzionano e quelli che è decisamente saggio evitare di cliccare – segnati come truffe o addirittura non più attivi – la strada, o almeno l’inizio, pare quasi segnata».Già dai primi passi, domina «la sensazione della fuffa», come quella di chi promette una cittadinanza Usa al prezzo di 10.000 dollari. Fuffa, o trappola per “gonzonauti”: «Non definirei in altri modi qualcuno disposto a pagare a un venditore anonimo e completamente sconosciuto diecimila dollari per incrociare le dita e aspettare che un postino gli recapiti la sua carta verde, l’assistenza sanitaria, la patente, il certificato di nascita e tutto il cucuzzaro per diventare a un cittadino americano». Se invece vi piace di più l’accento british, agiunge Coccia, c’è anche la possibilità di trovare passaporti britannici, naturalmente personalizzati. E poi: armi, sigarette, partite di calcio truccate. «Decine di altri siti propongono merce di ogni tipo, ma l’aspetto e la facilità di accesso fanno pensare che anche questi siano solo trappole per improvvidi visitatori curiosi». Ma, con qualche passaggio in più, si inizia a vedere qualcosa di più serio, come il “gran bazar delle droghe”. «Una volta c’era il celebre Silk Road, mitico sito di e-commerce sulle cui pagine si poteva comprare veramente di tutto. Ora che Silk Road è stato chiuso, i suoi figliastri sembrano aver proliferato. Dall’aspetto, ma soprattutto dalla presenza di protocolli di verifica dei venditori, questi siti sembrano più “affidabili”. I prodotti che vendono, invece, restano completamente illegali».Forse proprio perché accessibili senza eccesivi sforzi o conoscenze informatiche particolari, scrive Coccia, quasi tutti questi “negozi” applicano una bizzarra strategia per convincere i compratori a fidarsi: chiedono ai propri clienti «una di quelle cose che si sentono soltanto nei film americani di gangster». Ovvero: «Al momento dell’acquisto si paga la metà, l’altra metà la si salda al momento dell’arrivo della merce». Non mancano vecchie conoscenze, come “Gli Illuminati” (since 1776). «Sì, c’è anche il sito di quei simpaticoni degli Illuminati, per entrare però bisogna registrarsi. Io – ammette Coccia – ho vinto la curiosità e non l’ho fatto, ma nel caso dovrebbe bastare inventarsi un nome utente e una password. Una precauzione: non usate le vostre password normali e preferite codici alfanumerici, non si sa mai». Ma nel regno dei banditi c’è annche il “New Yorker”: non tutto è perduto? «Tra i mercanti d’armi e quelli di droga, tra potenziali pagine di pazzi scriteriati, di illuminati o di complottisti professionali c’è anche un approdo amico: si chiama “strongbox” ed è l’antenna che la redazione del “New Yorker” ha piazzato qua sotto per intercettare segnalazioni anonime, documenti scottanti, leaks o semplicemente racconti di gente troppo timida per mettere una firma ai propri lavori».Altro topos ricorrente: la scritta “Questo messaggio si autodistruggerà in 5, 4, 3…”. «Un’altra di quelle cose che si vedono solo nei film, ma questa volta di quelli con James Bond: i messaggi che si autodistruggono». Il sistema è semplice: «Una volta scritto il messaggio lo si mette su una pagina che viene creata apposta e il cui link è accessibile ua volta sola. Poi sparisce, e il gioco è fatto». La prova che smentisce chi descrive le profondità della rete come un luogo frequentato soltanto da pedofili, hacker e terroristi, aggiunge Coccia, è la presenza di infiniti depositi di ebook, di testi html, txt, doc e pdf di ogni tipo. «Io, per esempio, sono capitato sui vincitori dei Premi Pulitzer, ma sono sicuro che si può fare di meglio». Per concludere, «l’impressione che si ha navigando, ingenuamente e a casaccio, in quel che chiamano Deep Web è un po’ quella che si potrebbe provare giocando con una demo limitatissima di un gioco pazzesco», scrive Coccia. «È chiaro che lì sotto c’è un sacco di roba e un sacco di persone dal molto pericoloso al molto interessante». Il problema è che questa esplorazione «richiede tempo, applicazione, conoscenze e, soprattutto, un obiettivo preciso verso cui puntare». Viceversa, può capitare di sentirsi presi in giro, «come se quelle pagine fossero state messe lì apposta da chi quella rete la usa abitualmente, giusto per divertirsi con i turisti del Deep Web, per guardarli mentre si muovono a casaccio e farsi delle gran risate. E chissà, magari è veramente così».Pagine dinamiche ad accesso riservato, mail e home banking, e siti dedicati al commercio di armi, droga ed esseri umani. Database di studi scientifici, accademici e documenti governativi. E poi forum pedopornografici o siti per commissionare omicidi. E’ un oceano sommerso, si chiama Deep Web. «La moneta corrente, là sotto, è il bitcoin», valuta virtuale e molto fluttuante «con cui si può comprare qualsiasi cosa», spiega Andrea Coccia. «Lo scarto tra l’utilità e la legalità di una parte e la pericolosità e l’illegalità dell’altra è talmente immenso da rendere inutile qualsiasi tentativo di definizione in bianco e nero: il Deep Web, come il mondo, non è né buono né cattivo, è semplicemente immenso e in gran parte sconosciuto». Là sotto ci si può trovare di tutto, «il più depravato degli psicopatici e il più geniale degli scienziati». Le regole? Non esistono. «Immergersi in questo universo, la cui grandezza stimata è circa 500 volte il Web visibile e in cui i motori di ricerca non servono (quasi) a nulla, comporta il passaggio di una porta oltre la quale il confine della legalità è molto labile e i pericoli sono sul serio a portata di click».
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Mujica, presidente impossibile: possiamo solo sognarcelo
Erri De Luca lo scrive nell’introduzione: «Pepe Mujica e il nuovo Uruguay democratico inaugurano insieme il tempo moderno e il futuro praticabile. A me lettore di queste pagine fa venire voglia urgente di andare a vederlo». Non un istant book su un personaggio in voga ora in Occidente, “Il presidente impossibile” – scritto a quattro mani da Nadia Angelucci e Gianni Tarquini – è un lavoro iniziato anni fa: una narrazione dettagliata e documentata di una piccola grande rivoluzione in un paese passato dal crack economico a rappresentare un interessante laboratorio socio-politico. Un profondo cambiamento che sta riguardando, tra anomalie e qualche contraddizione, l’intero continente latinamericano, dove una nuova leadership progressista – e populista, secondo le categorie dello studioso Ernesto Laclau – è stata capace di conquistare una egemonia culturale che passa attraverso la critica e l’opposizione al modello neoliberista.«A noi arrivano i successi ottenuti dai governi nati dall’ondata di cambiamento, ma bisogna ricordare che il loro emergere è stato favorito dal lavoro dei movimenti sociali latinoamericani, dei movimenti indigeni e sindacali», affermano i due autori del libro. «I governi progressisti e integrazionisti sono per lo più frutto di questo costante lavoro di riflessione, analisi e azione. Dall’altra le organizzazioni partitiche, nel caso dell’Uruguay, hanno saputo cogliere queste istanze e considerano i movimenti interlocutori alla pari». Appunto l’Uruguay, governato ora da un ex guerrigliero tupamaros. Il testo ci porta in questo Stato di soli 3 milioni di abitanti, principalmente agricolo dove «la terra ha un potere quasi religioso». Si ripercorre la biografia di Pepe Mujica – classe 1935 – il quale fin da giovane dimostra l’attaccamento alla vita rurale diventando un esperto di fiori (soprattutto giapponesi) da vendere in fiere e mercati. Ma la politica entra presto nella sua vita. Si forma ispirandosi al pensiero anarchico, successivamente sposa un marxismo eterodosso.Negli anni ’60 visita la Cina di Mao Zedong e la Cuba di Che Guevara rimanendo positivamente colpito dall’esperienza cubana, mentre dell’Unione Sovietica riporta il rifiuto verso un modello anchilosato a causa dell’enorme peso della burocrazia. Aderisce al Movimento di Liberazione Nazionale “Tupamaros” nel 1966, in un Uruguay in grande fermento politico: sono gli anni di una destra golpista che getterà le basi per il futuro regime. Mujica sceglie l’opzione militare. Il Mln, un gruppo armato di sinistra ispirato dalla rivoluzione cubana e alla difesa dei diritti dei lavoratori della canna da zucchero (cañeros) del nord del paese, sindacalizzati da Raúl Sendic, è inclusivo e attira militanti politici e sindacali di diversa provenienza. «Fummo molto attenti – le parole di Mujica riportate nel libro – cercammo di evitare il più possibile lo spargimento di sangue. Perché eravamo imbottiti di questa percezione anche in quanto figli dell’Uruguay, un paese che ha determinate caratteristiche tra le quali quella della vita umana come un valore portante».Una guerriglia di liberazione principalmente urbana, che nel tempo è duramente piegata dalla repressione del governo: molti attivisti sono uccisi, la polizia scheda e sorveglia 300 mila persone. Lo stesso Mujica è arrestato e torturato nel 1971. Proprio l’esperienza di prigionia, di cui ben 12 anni in isolamento, è fondamentale per capire il suo attuale pensiero: «In quella cella, realtà e immaginazione erano tutt’uno». Uscito dal carcere, l’Uruguay è in via di cambiamento. Lui, animale politico, passa dalla lotta armata alle vie parlamentari. Viene eletto per la prima volta deputato il 15 febbraio 1995. Nel libro viene ricordato uno dei suoi interventi maggiormente esplicativi del suo pensiero: «La democrazia vera non esiste, è una meta da raggiungere, non so quando né so bene come. La democrazia è un insieme di compromesso, lavoro, partecipazione, gestione dell’economia e tutto il resto. Noi siamo lontani da tutto questo e mi sembra che ci si avvicinino di più i popoli indigeni».«La democrazia liberale massifica, non promuove lo sviluppo delle enormi potenzialità della società, non dà opportunità, è rigida. Il fatto che io accetti di navigare con questo sistema non significa che mi illuda che sia il sistema ideale. No! Da questo punto di vista sono socialista come esattamente trent’anni fa». Nella sua attività parlamentare, da subito si evince la necessità di restituire il Parlamento ai cittadini come luogo di discussione ed elaborazione: «Compagni, il mondo è sottosopra. Nel palco dovreste esserci voi e noi in basso ad applaudirvi». I giornali raccontano come si sia presentato il giorno dell’insediamento con jeans e maglietta, spettinato e con una vecchia motocicletta. Questo il suo stile di vita, estremamente umile, sobrio e quasi – lo definirei – francescano, che ad oggi ancora lo caratterizza. Nel 2010 l’elezione a presidente dell’Uruguay col “Frente Amplio”, dopo un’esperienza da ministro nel primo governo di centrosinistra nel paese.Da premier rinuncia a tutti i privilegi della cosiddetta casta. Rimane a vivere nella sua umile “chacra”, con la sua compagna (anch’essa militante storica del Mln, intervistata nel libro) e i suoi tre amatissimi cani. Nel poco tempo libero si dedica alla terra, al trattore, alla coltivazione. Come scrivono Nadia Angelucci e Gianni Tarquini, «l’unicità di Mujica è data proprio dalla sua resistenza ad un certo tipo di ‘civilizzazione’». E poi l’innovazione nel paese. Soprattutto sui temi dei diritti civili: l’istituzione del matrimonio omosessuale (una rivoluzione per uno Stato latinoamericano) e la legalizzazione dell’uso della cannabis. Non solo. La decisione di lottare contro gli sprechi e di donare gran parte del suo stipendio ai poveri. Per ultimo, la campagna contro l’eccessivo uso delle armi: a chi dà indietro un fucile, lo Stato garantisce una bicicletta e un computer. Strumento sempre più utilizzato e diffuso nelle scuole dell’Uruguay.Un consenso nei suoi confronti in grande ascesa, anche se non mancano critiche. Qualcuno lo accusa di aver fatto poco a livello socio-economico, di non aver contrastato fino in fondo le politiche liberiste e di non aver ancora attuato riforme strutturali (come la riforma agraria). Mujica ne è consapevole. Parla di “umanizzazione del capitalismo” e, nel suo definirsi ancora socialista e libertario, chiede tempo per attuare completamente quel cambiamento promesso e annunciato. Pragmatico, rappresenta nel governo un uomo di grande mediazione che però ha avuto il coraggio di non abbandonare mai l’utopia: «Chi non coltiva la memoria, non sfida il potere», le sue parole. «E’ questo lo strumento per costruire il futuro che, in ogni caso, è nostro perché non hanno potuto sconfiggerci». Non un modello esportabile. Né un esempio da seguire in maniera pedissequa. Ma dall’Uruguay ci giunge un laboratorio politico-sociale che dovremmo analizzare e studiare per riscoprire da noi le ragioni della sinistra e riaffilare gli strumenti per la lotta dal basso. Il libro di Angelucci e Tarquini è prezioso per tali motivi.(Giacomo Russo Spena, “Il coraggio di cambiare, il nuovo Uruguay di Pepe Mujica”, da “Micromega” del 1° agosto 2014. Il libro: Nadia Angelucci e Gianni Tarquini, “Il presidente impossibile”, Nova Delphi, 199 pagine, euro 12,50).Erri De Luca lo scrive nell’introduzione: «Pepe Mujica e il nuovo Uruguay democratico inaugurano insieme il tempo moderno e il futuro praticabile. A me lettore di queste pagine fa venire voglia urgente di andare a vederlo». Non un istant book su un personaggio in voga ora in Occidente, “Il presidente impossibile” – scritto a quattro mani da Nadia Angelucci e Gianni Tarquini – è un lavoro iniziato anni fa: una narrazione dettagliata e documentata di una piccola grande rivoluzione in un paese passato dal crack economico a rappresentare un interessante laboratorio socio-politico. Un profondo cambiamento che sta riguardando, tra anomalie e qualche contraddizione, l’intero continente latinamericano, dove una nuova leadership progressista – e populista, secondo le categorie dello studioso Ernesto Laclau – è stata capace di conquistare una egemonia culturale che passa attraverso la critica e l’opposizione al modello neoliberista.
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Meyssan: il Califfato Usa, le trame per rovesciare Putin
Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.«Già prima di questo annuncio – rileva Meyssan in un’analisi tradotta da “Megachip” – gli anglosassoni avevano messo in atto la loro risposta: la trasformazione della rete terroristica di Al-Qa’ida in un califfato». Per questo, gli Usa e i loro alleati hanno proseguito la loro offensiva in Siria, espandendola poi contemporaneamente sia in Iraq che in Libano, mentre hanno fallito nell’espulsione di una parte dei palestinesi verso l’Egitto e nel destabilizzare la regione ancor più profondamente. «Infine, si tengono lontani dall’Iran per dare la possibilità al presidente Hassan Rohani di indebolire la corrente anti-imperialista dei Khomeinisti». Due giorni dopo l’annuncio dei Brics, gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver abbattuto il volo Mh17 della Malaysia Airlines nel Donbass, uccidendo 298 persone. «Su questa base, puramente arbitraria, hanno imposto agli europei di intraprendere una guerra economica contro la Russia». Come fosse un tribunale, l’Ue ha processato e condannato Mosca, «senza alcuna prova e senza darle la possibilità di difendersi», promulgando “sanzioni” contro il sistema finanziario russo.«Consapevole del fatto che i governanti europei non lavorano nell’interesse dei propri popoli, ma di quello degli anglosassoni – prosegue Meyssan – la Russia ha morso il freno e si è trattenuta fino ad ora dall’entrare in guerra in Ucraina. Sostiene con armi e intelligence gli insorti, e accoglie più di 500.000 rifugiati, ma si astiene dall’inviare truppe e dall’entrare nell’ingranaggio. È probabile che non interverrà prima che la grande maggioranza degli ucraini si ribelli al presidente Poroshenko, a costo di entrare nel paese soltanto dopo la la caduta della Repubblica popolare di Donetsk». Di fronte alla guerra economica, aggiunge Meyssan, Mosca ha scelto di rispondere con misure analoghe, ma riguardanti l’agricoltura e non la finanza. «A breve termine, gli altri paesi Brics possono mitigare le conseguenze delle cosiddette “sanzioni”». Poi, a medio e lungo termine, «la Russia si prepara alla guerra e intende ricostruire completamente la sua agricoltura per poter vivere in autarchia».Intanto, Mosca dovrà vedersela con le trame Usa per destabilizzare il Cremlino, a cominciare dalla contestazione mediatica in occasione delle elezioni municipali del 14 settembre. «Considerevoli somme di denaro sono state fornite a tutti i candidati di opposizione nelle circa 30 grandi città interessate, mentre almeno 50.000 agitatori ucraini, mescolati ai rifugiati, si stanno raggruppando a San Pietroburgo». La maggior parte di loro ha doppia cittadinanza, ucraina e russa. «Si tratta chiaramente di replicare nella provincia le proteste che erano seguite alle elezioni a Mosca nel dicembre 2011 – aggiungendoci la violenza – e di impegnare il paese in un processo di “rivoluzione colorata”, al quale una parte dei funzionari e della classe dirigente è favorevole». Per fare questo, spiega Meyssan, Washington ha nominato un nuovo ambasciatore in Russia: John Tefft, lo stesso che aveva preparato la “rivoluzione delle rose” in Georgia e il colpo di stato in Ucraina. Per Putin sarà quindi fondamentale poter contare sul suo primo ministro, Dmitry Medvedev, «che Washington sperava di reclutare per rovesciarlo».Considerando l’imminenza del pericolo, sostiene Meyssan, Mosca sarebbe riuscita a convincere Pechino ad accettare l’adesione dell’India in cambio di quella dell’Iran (ma anche quelle di Pakistan e Mongolia) all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Mossa che «dovrebbe porre fine al conflitto che oppone da secoli India e Cina e impegnarle in una cooperazione militare». Un cambiamento che «metterebbe ugualmente fine alla luna di miele tra Nuova Delhi e Washington, che sperava di allontanare l’India dalla Russia dandole, com’è noto, accesso alle tecnologie nucleari». L’adesione di Nuova Delhi è anche una scommessa sulla sincerità del suo nuovo primo ministro, Narendra Modi. Inoltre, l’adesione dell’Iran – che per Washington è una provocazione – dovrebbe portare russi e cinesi a controllare finalmente i movimenti jihadisti, togliendo agli Usa una decisiva pedina terroristica. L’Iran di Rohani rinncerà dunque a «negoziare una tregua con il “Grande Satana”»? Sarebbe una scommessa sull’autorità del capo supremo della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei. Di fatto, dice Meyssan, queste gigantesche evoluzioni geopolitiche segnerebbero l’inizio di una spettacolare inversione di rotta, spostando verso Oriente il baricentro del mondo.Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.
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Ledeen, l’amico americano che tiene al guinzaglio il Pd
Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.In un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, Ali evoca una lobby come il “Gruppo di Georgetown”, capitanato da quel Kissinger che definì Napolitano «il mio comunista preferito», corretto immediatamente da Napolitano (ex comunista, prego). «E Renzi. Matteo Renzi con la sua rete di amicizie internazionali, attraverso Marco Carrai. Davide Serra (con forti interessi in Israele e che porta in dote i legami con la Morgan Stanley), Marco Bernabè (sempre con Tel Aviv con il fondo Wadi Ventures e il padre, Franco, e le sue dorsali telefoniche Italia-Israele), Yoram Gutgeld (israeliano e suo consulente economico – porta in anche dote l’esperienza McKinsey di cui era socio anziano fino al marzo 2013)». Ma sopratutto Ledeen, cioè «la figura più inquietante», che «si allunga dietro tutte le stragi, tutti i depistaggi che hanno attraversato l’Italia e non solo». L’ammiraglio Fulvio Martini, all’epoca capo del Sismi, lo definì «non gradito all’Italia». Ledeen, racconta Ali, fu «sdoganato da Berlusconi appena giunto al potere», e così «imperversò nelle sue televisioni sotto la forma di “commentatore politico internazionale”».Secondo Ali, Ledeen è stato in grado di «ordinare a Matteo Renzi» la cessione degli aeroporti toscani al magnate argentino Eduardo Eurnekian. Secondo il blogger, «Henry Kissinger, Michael Ledeen e le strutture israeliane sono di nuovo (e da sempre) i padroni della scena». C’è chi dice che il Pd è la nuova Dc? Peggio: il partito fondato da Veltroni «ha ormai da tempo tradito le origini, ma con il binomio Renzi-Napolitano è diventato l’antitesi della storia della sinistra». Secondo Stefano Ali, «è l’erede di tutto quel fronte anticomunista che si asservì e asservì l’Italia alla destra conservatrice Usa di Kissinger e Ledeen e del Mossad». Il “muro di gomma” delle stragi impunite? Frutto del blocco di potere «“garante” della subalternità e della sottomissione dello Stato italiano agli interessi del “Gruppo di Georgetown”». Linea diretta coi rottamatori? «Per le referenze su Federica Mogherini, Renzi dice: “Chiedete a John Kerry”». L’esponente Pd fu «ammessa agli incontri segreti con agenti Usa sin dal 2006», scrive Ali, che illumina il retroterra del presunto potere occulto di ieri e di oggi basandosi anche sul testimonianze come quelle del senatore Giovanni Pellegrino, fino al 2001 presidente della Commissione Stragi, autore del libro-denuncia “Segreto di Stato”.«Ciò che può sembrare intreccio di fantascienza complottistica è solo il frutto di un lavoro certosino fatto dalla Commissione Stragi», avverte Ali. «Teniamolo sempre a mente, anche quando sembra di precipitare nelle allucinazioni ansiogene». Nella sua analisi, Pellegrino parte da una premessa ancora attuale: l’Italia non è mai stata una democrazia “normale”, perché – dal Trattato di Yalta – è stata sempre considerata “marca di frontiera”, al doppio crocevia est-ovest e nord-sud. Sovranità limitata: «Una specie di portaerei Nato nel Mediterraneo». A questo, oltre alla pesante presenza del Vaticano, si aggiunga «una spaccatura verticale interna, determinata da post-fascismo e post-Resistenza», tra italiani «anticomunisti» e italiani «antifascisti». Tutta la storia del dopoguerra, secondo Pellegrino, va interpretata in quest’ottica. E’ per questo che certi fili non si spezzano: l’attuale capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia e allora giornalista dell’“Espresso”, secondo un report del Sisde risalente al lontano 1984 ebbe «rapporti molto stretti» con Ledeen, dopodiché fu promosso consigliere di amministrazione dell’“Editoriale L’Espresso” e ricoprì l’incarico di addetto stampa di Francesco Cossiga durante il sequestro Moro. Stefano Ali parla di connessioni sotterranee con la P2, che faceva da tramite col super-potere Usa, di cui il Mossad israeliano sarebbe stato un braccio operativo nella stagione della strategia della tensione, fra attentati e depistaggi.Se la stagione della guerra fredda aveva permesso lo sviluppo della cosiddetta “Gladio Rossa”, formata da “Lotta Continua”, “Potere Operaio” e le prime Brigate Rosse, fino cioè all’arresto di Curcio e Franceschini, «con la svolta parlamentare del Pci, l’isolamento di Secchia e soprattutto la morte di Feltrinelli», di fatto l’eversione “rossa” «si dissolse, per confluire nelle Brigate Rosse», che però finirono sotto il controllo di Mario Moretti, scampato alla retata che fruttò la cattura dei fondatori grazie a Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, un classico infiltrato. Da quel momento, scrive Ali, al di là della facciata “di sinistra” delle Br di Moretti, «connotazione ideologica utilizzata solo per fomentare i militanti», i vertici delle strutture “eversive” passarono – tutti – sotto il controllo «degli ambienti della destra repubblicana Usa». Versione controversa: secondo altri analisti, rimase forte anche l’influenza dell’Urss, attraverso la Stasi, l’intelligence della Germania Est. L’Italia, in ogni caso, era un campo di battaglia. E gli attori – sulla sponda occidentale – sono ormai noti. La notizia? Un vecchio arnese come Ledeen, molto «vicino» a Zanda in quegli anni secondo il Sisde, è un super-consigliere di Renzi.«Mossad e destra repubblicana Usa – continua Ali – erano già riusciti a instaurare (in Grecia, Spagna e Portogallo) regimi fascisti». Le stragi italiane, fino al 1969 dovevano quindi servire «affinché, nel dicembre del 1969, Mariano Rumor dichiarasse lo “stato d’emergenza” che ne consentisse l’instaurazione anche in Italia». Rumor, però, non dichiarò lo stato d’emergenza. E il tentato “golpe Borghese” del 1970 fu l’ultimo tentativo, anche quello andato a vuoto. «Da notare che già dagli anni ‘60 la P2 di Gelli era molto attiva: con la sua rete di iscritti soprattutto nelle forze armate e nei servizi segreti, era nelle condizioni di garantire tutta la copertura necessaria». Secondo Ali, da vari documenti risulta che Kissinger e Ledeen «fossero iscritti alla P2 nel “Comitato di Montecarlo” (o “Superloggia”)», un “braccio” della P2 «che si occupava di traffico internazionale di armi e al quale venne fatta risalire in modo diretto l’organizzazione della strage di Bologna». Se Gelli era «solo una sorta di segretario», significa che «le “menti” stavano altrove». Il vero leader? Rimasto nell’ombra, fino ad oggi. In compenso, conclude Ali, molti nomi di allora sono rimasti al loro posto. E qualcuno, oggi, è vicinissimo al governo Renzi. Pronti a tutto, nel caso gli eventi precipitassero in Ucraina con l’offensiva Usa contro la Russia di Putin?Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.
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Sicilia, futura Wall Street (ma la mafia non lo capisce)
La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.Bene, la Sicilia dove sta? Proprio sulle soglie della più grande ricchezza del futuro, fra l’Africa e l’Occidente, al confine marittimo. Saranno decine di migliaia di aziende mondiali che nei prossimi 200 anni si accavalleranno disperatamente per arrivare nel business Africa. Ok, la Mafia la pianta di vivere di puzzette come prostitute, armi, droga e appalti da Topolino, e si mette la cravatta, manda i suoi alla Bocconi, e infine fa della Sicilia la Wall Street più importante del mondo. Cioè…. Fa banche! Fa servizi finanziari! Fa ponti finanziari fra l’Europa e il megabusiness dell’Africa. Cioè, la piantate di fare le puzze di capra a Roma coi puzzoni di Palazzo Chigi, e fate i veri soldi. Come dire… fate a Palermo o a Messina delle Goldman Sachs che invece di avere come Ceo Lloyd Blankfein e altri, hanno un tal Ciro Roccomanno, o una Rosanna Maniscalco. E pagate le vostre tasse, e date da lavorare a TUTTA LA SCILIA, e la Dia non vi rompe più i coglioni, e fate 30.000 (trentamila) volte i soldi che fate oggi coi vostri traffici di armi, puzze, pizzini, prostitute, barconi di disperati, e appalti dei Puffi. Lo capite o no, stolti mafiosi? E’ quello che fece la malavita inglese negli anni ‘50, passando dalla puzza di cui sopra alla City di Londra. La City, sapete cos’è?B) Investite nella bellezza della Sicilia. Per il turismo di tutto il mondo le Maldive diventerebbero un laghetto di pesca sportiva confronto alla Sicilia, che se abbellita, curata, attrezzata, sarebbe il Paradiso delle vacanze del Pianeta. E voi, coi vostri soldi puliti – senza prostitute, armi vendute a psicopatici in giro per il mondo, senza pizzo alle vedove, senza puzze di questo genere – investirete nella più bella isola del mondo. E il Roe (il “return on equities”) sarà 2.000 volte quello che avete oggi dalla puzza in cui sguazzate, senza avere la Dia, la polizia, e ogni sorta di scocciatura alle calcagna. Senza dare, come dovete fare adesso, alle griffe di moda internazionali 400 milioni di cui vi riciclano 200 e gli altri li buttate al cesso aprendo un megastore a Singapore (in cui non compra nessuno). Cara Mafia, sveglia. E’ tempo che i vostri rampolli mandino in pensione le prostate di capra di 70 anni che ancora vi governano e che facciate… BUSINESS. E Wall Street guarderà a Palermo o a Catania con un metro di lingua fuori dalla bocca.Non avete mai capito nulla, signori capi mandamento. I soldi, quelli tanti e veri e tranquilli, si fanno in finanza, con la faccia alla luce del sole, con tante bella fondazioni e ASSICURAZIONI (tipo Carisbo? o Monte dei Paschi? Unipol?) e con la sicurezza che né lo Stato né il pubblico, vi obiettino nulla. Anzi, con la certezza che, se le cose vi vanno male, lo Stato e la Bce interverranno per salvarvi il deretano. Con la certezza che l’Europa manderebbe a puttane centinaia di milioni di famiglie e aziende – CON UN BEL TRATTATO LEGALE – per salvarvi il deretano. Non so se voi, capi mandamento puzzoni, avete mai sentito parlare di Ltro per le banche o di Tremonti? Voi oggi ci smenate la paghetta, confronto a quello che Draghi farebbe per voi se diventaste banche, puliti, con la cravatta, come Unicredit? Intesa? Ubi? Lo sapete che alle banche Usa e Ue dal 2007 sono stati regalati 14.000 miliardi di dollari? Quanto fate voi, Camorra, Mafia, ‘Ndrangheta e altre puzze messe assieme all’anno? 100 miliardi? Dai, siete agli spiccioli del caffè, ma dai… Cristo, mafiosi, ma siete proprio idioti. Non avete capito un cazzo di soldi. Ma c’è un p.s. (Ps: Mafia, rimani quello che sei, perché come sei fai diecimila volte meno danni della finanza che ho descritto, e del Pd, di De Benedetti, di Saviano, di Benigni, o di Renzi – i paggi del Vero Potere qui da noi. Dammi un pizzo tutti i giorni, piuttosto che un Padoan o un Marco Buti).(Paolo Barnard, “Lettera alla Mafia: per favore, rimani Mafia”, dal blog di Barnard del 6 agosto 2014).La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.
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Hey Joe, indifferente al Male (proprio come il Mercato)
Sono anni che ci penso. Ma come prima cosa va capita la differenza fra amorale e immorale. L’immorale è un depravato (dicono), l’immoralità è una depravazione che viola un codice che in qualche maniera è stato stabilito (da chissà chi) come giusto, probo. Invece l’amorale è chi si astiene dai codici, non va né di qua, né di là, sta sospeso nel vuoto del giudizio. Hendrix scrive “Hey Joe”, forse la canzone dal contenuto più amorale che il rock abbia mai prodotto. L’ascolto sempre, a volte in modo ossessivo, particolarmente nella versione che ne hanno fatto Slash e Steve Winwood (Slash mozzafiato). Tu hai questo tizio che presumibilmente se ne sta ad un angolo di strada di Harlem, New York, e che vede un amico, Joe, con la pistola in mano che va spedito da qualche parte. Uno che se ne va spedito con una pistola in mano non è proprio una cosa comune. Ma il tizio gli dice solo un piatto «dove vai con quella pistola?». L’altro gli risponde che va ad uccidere una donna, una donna che non ha fatto null’altro di male se non tradirlo.Il tizio non dice nulla, non lo ferma, non chiama la polizia, niente. Sa che una donna morirà, una donna che non ha fatto nulla di terribile, ma non si muove. La lascia morire. Non dice «fermati!», ma attenti, non dice neppure «fai bene!». Il testo non ci dice questo, Jimi non ci dice cosa passa per la mente del tizio all’angolo della strada di Harlem, Jimi non prende posizione. Amoralità pura. Tutto sto maledetto testo rimbomba di questo distillato di assenza di giudizio, ma talmente forte che spacca il cranio, e io sto male tutte le volte. Joe uccide, e ripassa per quell’angolo di Harlem dove lo stesso tipo adesso si preoccupa di sapere cosa farà, ora, che ha ucciso. Joe gli dice che col cazzo che si farà mettere una corda attorno al collo, e scapperà in Messico. Fine. Tutto qui.Jimi non dedica alla donna uccisa una singola parola, né una nota. Né dedica una singola parola o nota di approvazione o di condanna dell’assassino. Nulla. Amoralità pura. Perché uno come lui ha pensato a un testo così? Perché? Jimi aveva unmistakable eyes, occhi che non si possono confondere, gli occhi di quei “vascelli troppo fragili” che De André ha così magistralmente descritto. E ne è morto infatti. Perché un’anima così scrive un testo del genere? Gli fu mai chiesto? Se qualcuno lo sa me lo dica. L’amoralità mi terrorizza, non ho mezzi per affrontarla. Il Mercato è “Hey Joe” ogni singolo minuto della sua esistenza. E’ amorale, distillato, ed è per questo che le sue note sono immortali. Come lo si affronta? Hey Joe…(Paolo Barnard, “Amoralità, Hey Joe, Mercato”, dal blog di Barnard del 26 luglio 2014).Sono anni che ci penso. Ma come prima cosa va capita la differenza fra amorale e immorale. L’immorale è un depravato (dicono), l’immoralità è una depravazione che viola un codice che in qualche maniera è stato stabilito (da chissà chi) come giusto, probo. Invece l’amorale è chi si astiene dai codici, non va né di qua, né di là, sta sospeso nel vuoto del giudizio. Hendrix scrive “Hey Joe”, forse la canzone dal contenuto più amorale che il rock abbia mai prodotto. L’ascolto sempre, a volte in modo ossessivo, particolarmente nella versione che ne hanno fatto Slash e Steve Winwood (Slash mozzafiato). Tu hai questo tizio che presumibilmente se ne sta ad un angolo di strada di Harlem, New York, e che vede un amico, Joe, con la pistola in mano che va spedito da qualche parte. Uno che se ne va spedito con una pistola in mano non è proprio una cosa comune. Ma il tizio gli dice solo un piatto «dove vai con quella pistola?». L’altro gli risponde che va ad uccidere una donna, una donna che non ha fatto null’altro di male se non tradirlo.
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Israele, uno Stato inventato (a insaputa degli ebrei)
La guerra, che continua ininterrottamente da 66 anni in Palestina, ha conosciuto una nuova svolta con le operazioni israeliane “Guardiani dei nostri fratelli”, e poi “Roccia inamovibile” (stranamente tradotta dalla stampa occidentale con l’espressione “Margine protettivo”). Chiaramente, Tel Aviv – che aveva scelto di strumentalizzare la scomparsa di tre giovani israeliani per lanciare queste operazioni e «sradicare Hamas» al fine di sfruttare il gas naturale di Gaza, secondo il piano enunciato nel 2007 dall’attuale ministro della difesa – è stata spiazzata dalla reazione della Resistenza. Il Jihad islamico ha risposto inviando razzi di media gittata molto difficili da intercettare, che si aggiungono a quelli lanciati da Hamas. La violenza degli eventi che hanno già ucciso oltre 1.500 palestinesi e 62 israeliani (ma le cifre israeliane sono soggette a censura militare e sono probabilmente minimizzate) ha sollevato un’ondata di proteste in tutto il mondo.Oltre ai 15 membri del Consiglio di Sicurezza, riunitosi il 22 luglio, l’Onu ha dato la parola ad altri 40 Stati che intendevano esprimere il loro sdegno per il comportamento di Tel Aviv e la sua «cultura dell’impunità». La sessione, anziché durare le solite 2 ore, si è protratta per 9 ore. Simbolicamente, la Bolivia ha dichiarato Israele uno «Stato terrorista» e ha abrogato l’accordo sulla libera circolazione che lo riguardava. Ma in generale, le dichiarazioni di protesta non sono state seguite da un aiuto militare, ad eccezione di quelle dell’Iran e simbolicamente della Siria. Entrambi sostengono la popolazione palestinese attraverso il Jihad islamico, l’ala militare di Hamas (ma non la sua ala politica, membro dei Fratelli Musulmani), e tramite il Fplp-Cg.A differenza dei casi precedenti (operazioni “Piombo fuso” nel 2008 e “Colonna di nuvola” nel 2012), i due Stati che proteggono Israele presso il Consiglio (Stati Uniti e Regno Unito) hanno favorito l’elaborazione di una dichiarazione del presidente del Consiglio di Sicurezza che sottolineava gli obblighi umanitari di Israele. In realtà, al di là della questione di fondo di un conflitto che dura dal 1948, si assiste a un consenso per condannare almeno il ricorso da parte di Israele di un uso sproporzionato della forza. Tuttavia, questo consenso apparente maschera analisi assai diverse: alcuni autori interpretano il conflitto come una guerra di religione tra ebrei e musulmani; altri lo vedono al contrario come una guerra politica secondo uno schema coloniale classico. Che cosa dobbiamo pensarne?SIONISMO Che cos’è il sionismo? A metà del XVII secolo, i calvinisti britannici si riunirono intorno a Oliver Cromwell e rimisero in questione la fede e la gerarchia del regime. Dopo aver rovesciato la monarchia anglicana, il “Lord Protettore” pretese di consentire al popolo inglese di raggiungere la purezza morale necessaria ad attraversare una tribolazione di sette anni, dare il benvenuto al ritorno del Cristo e vivere in pace con lui per mille anni (il “Millennium”). Per far ciò, secondo la sua interpretazione della Bibbia, gli ebrei dovevano essere dispersi fino agli estremi confini della terra, poi raggruppati in Palestina, dove ricostruire il tempio di Salomone. Su questa base, instaurò un regime puritano, levò nel 1656 il divieto che era stato fatto agli ebrei di stabilirsi in Inghilterra e annunciò che il suo paese s’impegnava a creare in Palestina lo Stato di Israele.Poiché la setta di Cromwell fu a sua volta rovesciata alla fine della “Prima Guerra civile inglese”, i suoi sostenitori uccisi o esiliati, e poiché la monarchia anglicana fu restaurata, il sionismo (cioè il progetto della creazione di uno Stato per gli ebrei) fu abbandonato. Riapparve nel XVIII secolo con la “Seconda guerra civile inglese” (secondo il nome dei manuali di storia delle scuole secondarie nel Regno Unito) che il resto del mondo conosce come la “Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti” (1775-1783). Contrariamente alla credenza popolare, essa non fu intrapresa in nome degli ideali dell’Illuminismo che animarono pochi anni dopo la Rivoluzione Francese, ma fu finanziata dal re di Francia e condotta per motivi religiosi al grido di «Il nostro re è Gesù!». George Washington, Thomas Jefferson e Benjamin Franklin, per citarne alcuni, si sono presentati come i successori dei sostenitori esiliati di Oliver Cromwell. Gli Stati Uniti hanno dunque logicamente ripreso il suo progetto sionista.Nel 1868, in Inghilterra, la regina Victoria nominò primo ministro l’ebreo Benjamin Disraeli. Questi propose di concedere una parte di democrazia ai discendenti dei sostenitori di Cromwell, in modo da poter contare su tutto il popolo per estendere il potere della Corona nel mondo. Soprattutto, propose di allearsi alla diaspora ebraica per condurre una politica imperialista di cui essa sarebbe stata l’avanguardia. Nel 1878, fece iscrivere «la restaurazione di Israele» all’ordine del giorno del Congresso di Berlino sulla nuova spartizione del mondo. È su questa base sionista che il Regno Unito ristabilì i suoi buoni rapporti con le sue ex colonie, divenute nel frattempo gli Stati Uniti alla fine della “Terza guerra civile inglese” – nota negli Stati Uniti come la “guerra civile americana” e nell’Europa continentale come la “guerra di Secessione” (1861-1865) – che vide la vittoria dei successori dei sostenitori del Cromwell, gli Wasp (White Anglo-Saxon Puritans). Anche in questo caso, è del tutto sbagliato che si presenti questo conflitto come una lotta contro la schiavitù, intanto che cinque stati del nord la praticavano ancora.Fino quasi alla fine del XIX secolo, il sionismo è solo un progetto puritano anglo-sassone al quale solo un’élite ebraica aderisce. È fortemente condannato dai rabbini che interpretano la Torah come un’allegoria e non come un piano politico. Tra le conseguenze attuali di questi fatti storici, dobbiamo ammettere che se il sionismo mira alla creazione di uno Stato per gli ebrei, è anche il fondamento degli Stati Uniti. Pertanto, la questione se le decisioni politiche d’insieme siano prese a Washington o a Tel Aviv ha solo interesse relativo. È la stessa ideologia ad essere al potere in entrambi i paesi. Inoltre, poiché il sionismo ha permesso la riconciliazione tra Londra e Washington, il fatto di sfidarlo significa affrontare questa alleanza, la più potente del mondo.POPOLO EBRAICO L’adesione del popolo ebraico al sionismo anglosassone. Nella storia ufficiale attuale, è consuetudine ignorare il periodo dal XVII al XIX secolo e presentare Theodor Herzl come il fondatore del sionismo. Tuttavia, secondo le pubblicazioni interne dell’Organizzazione Sionista Mondiale, anche questo punto è falso. Il vero fondatore del sionismo contemporaneo non era ebreo, bensì cristiano dispenzionalista. Il reverendo William E. Blackstone era un predicatore americano per il quale i veri cristiani non avrebbero dovuto partecipare alle prove della fine del tempo. Basava l’insegnamento su coloro che sarebbero stati elevati al cielo durante la battaglia finale (il “rapimento della Chiesa”, in inglese “the rapture”). Nella sua visione, gli ebrei avrebbero combattuto questa battaglia e ne sarebbero usciti allo stesso tempo convertiti a Cristo e vittoriosi.È la teologia del reverendo Blackstone che è servita da base per il sostegno immancabile di Washington alla creazione di Israele. E questo, molto prima che l’Aipac (la lobby pro-Israele) venisse creata e prendesse il controllo del Congresso. In realtà, il potere della lobby non risiede tanto nel suo denaro e la sua capacità di finanziare le campagne elettorali, quanto in questa ideologia ancora presente negli Stati Uniti. La teologia del rapimento, per quanto stupida possa sembrare, è oggi molto potente negli Stati Uniti. Rappresenta un fenomeno nel mercato dei libri e nel cinema (si veda il film “Left Behind”, con Nicolas Cage, che uscirà ad ottobre). Theodor Herzl era un ammiratore del magnate dei diamanti Cecil Rhodes, teorico dell’imperialismo britannico e fondatore del Sudafrica, della Rhodesia (cui diede il suo nome) e dello Zambia (ex Rhodesia del Nord).Herzl non era israelita praticante né aveva circonciso suo figlio. Ateo come molti borghesi europei del suo tempo, si batté all’inizio per assimilare gli ebrei convertendoli al cristianesimo. Tuttavia, riprendendo la teoria di Benjamin Disraeli, giunse alla conclusione che la soluzione migliore fosse quella di farli partecipare al colonialismo britannico creando uno Stato ebraico, collocato nell’attuale Uganda o in Argentina. Seguì l’esempio di Rhodes nella maniera di acquistare terreni e di costruire l’Agenzia Ebraica. Blackstone riuscì a convincere Herzl a unire le preoccupazioni dei dispenzionalisti a quelle dei colonialisti. Era sufficiente per tutto questo considerare di stabilire Israele in Palestina e di moltiplicare i riferimenti biblici. Grazie a questa idea assai semplice, giunsero a far aderire la maggioranza degli ebrei europei al loro progetto. Oggi Herzl è sepolto in Israele (sul monte Herzl) e lo Stato ha posto nella sua bara la Bibbia annotata che Blackstone gli aveva offerto.Il sionismo non ha dunque mai avuto come obiettivo quello di «salvare il popolo ebraico dandogli una patria», bensì quello di far trionfare l’imperialismo anglosassone associandovi gli ebrei. Inoltre, non solo il sionismo non è un prodotto della cultura ebraica, ma la maggior parte dei sionisti non è mai stata ebrea, mentre la maggioranza dei sionisti ebrei non sono israeliti dal punto di vista religioso. I riferimenti biblici, onnipresenti nel discorso pubblico israeliano, rispecchiano il pensiero solo della parte credente del paese e sono destinati principalmente a convincere la popolazione statunitense.IL PATTO Il patto anglosassone per la creazione di Israele in Palestina. La decisione di creare uno Stato ebraico in Palestina è stata presa congiuntamente dai governi britannico e statunitense. È stata negoziata dal primo giudice ebreo della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, sotto gli auspici del reverendo Blackstone, e fu approvata sia dal presidente Woodrow Wilson sia dal primo ministro David Lloyd George, sulla scia degli accordi franco-britannici Sykes-Picot sulla spartizione del “Vicino Oriente”. Questo accordo fu progressivamente reso pubblico. Il futuro Segretario di Stato per le Colonie, Leo Amery, ebbe l’incarico di inquadrare gli anziani del “Corpo dei mulattieri di Sion” per creare, con i due agenti britannici Ze’ev Jabotinsky e Chaim Weizmann, la “Legione ebraica” in seno all’esercito britannico. Il ministro degli esteri Lord Balfour inviò una lettera aperta a Lord Walter Rothschild per impegnarsi a creare un «focolare nazionale ebraico» in Palestina (2 novembre 1917). Il presidente Wilson annoverò tra i suoi obiettivi di guerra ufficiali (il 12° dei 14 punti presentati al Congresso l’8 gennaio 1918) la creazione di Israele.Pertanto, la decisione di creare Israele non ha nulla a che fare con la distruzione degli ebrei d’Europa sopravvenuta due decenni più tardi, durante la Seconda Guerra Mondiale. Durante la Conferenza di pace di Parigi, l’emiro Faisal (figlio dello Sharif della Mecca e futuro re dell’Iraq britannico) firmò, in data 3 gennaio 1919, un accordo con l’Organizzazione Sionista, impegnandosi a sostenere la decisione anglosassone. La creazione dello Stato di Israele, realizzata contro la popolazione della Palestina, era quindi fatta anche con l’accordo dei monarchi arabi. Inoltre, all’epoca, lo Sharif della Mecca, Hussein bin Ali, non interpretava il Corano alla maniera di Hamas. Non pensava che «una terra musulmana non può essere governata da non-musulmani»ISRAELE La creazione giuridica dello Stato d’Israele. Nel maggio 1942, le organizzazioni sioniste tennero il loro congresso al Biltmore Hotel di New York. I partecipanti decisero di trasformare il «focolare nazionale ebraico» della Palestina in «Commonwealth ebraico» (riferendosi al Commonwealth con cui Cromwell aveva brevemente sostituito la monarchia britannica) e di autorizzare l’immigrazione di massa degli ebrei verso la Palestina. In un documento segreto, venivano precisati tre obiettivi: «(1) lo Stato ebraico avrebbe abbracciato l’intera Palestina e probabilmente la Transgiordania; (2) il trasferimento delle popolazioni arabe in Iraq; (3) la presa in mano da parte degli ebrei dei settori dello sviluppo e del controllo dell’economia in tutto il Medio Oriente». Quasi tutti i partecipanti ignoravano allora che la «soluzione finale della questione ebraica» (die Endlösung der Judenfrage) aveva appena preso inizio segretamente in Europa.In definitiva, mentre i britannici non sapevano più come soddisfare sia gli ebrei sia gli arabi, le Nazioni Unite (che a quel tempo annoveravano appena 46 Stati membri) proposero un piano per spartire la Palestina a partire dalle indicazioni che gli fornirono i britannici. Uno Stato bi-nazionale doveva essere creato, comprendente uno Stato ebraico, uno Stato arabo e una zona soggetta a un “regime internazionale speciale” per amministrare i luoghi santi (Gerusalemme e Betlemme). Questo progetto fu adottato attraverso la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale. Senza attendere il seguito dei negoziati, il presidente dell’Agenzia Ebraica, David Ben Gurion, proclamò unilateralmente lo Stato di Israele, subito riconosciuto dagli Stati Uniti. Gli arabi del territorio israeliano furono sottoposti alla legge marziale, i loro movimenti furono limitati, i loro passaporti confiscati. I paesi arabi di recente indipendenza intervennero. Ma senza eserciti ancora costituiti, furono rapidamente sconfitti. Durante questa guerra, Israele procedette a una pulizia etnica e costrinse almeno 700.000 arabi a fuggire.L’Onu inviò un mediatore, il conte Folke Bernadotte, un diplomatico svedese che aveva salvato migliaia di ebrei durante la guerra. Constatò che i dati demografici trasmessi dalle autorità britanniche erano falsi e pretese la piena attuazione del piano di spartizione della Palestina. Al dunque, la risoluzione 181 implica il ritorno dei 700.000 arabi espulsi, la creazione di uno Stato arabo e l’internazionalizzazione di Gerusalemme. L’inviato speciale delle Nazioni Unite fu assassinato, il 17 settembre 1948, su ordine del futuro primo ministro Yitzhak Shamir. Furibonda, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 194, che riafferma i principi della risoluzione 181 e, inoltre, proclama il diritto inalienabile dei palestinesi a tornare alle loro case e ad essere risarciti per il danno che avevano appena subito. Tuttavia, poiché Israele aveva arrestato gli assassini di Bernadotte, e poi li processò e condannò, fu accolto in seno all’Onu con la promessa di onorare le risoluzioni. Ma erano nient’altro che bugie. Subito dopo gli assassini furono graziati e lo sparatore divenne la guardia del corpo personale del primo ministro David Ben Gurion.Fin dalla sua adesione all’Onu, Israele non ha mai smesso di violare le risoluzioni che si sono accumulate all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza. I suoi legami organici con due membri del Consiglio che dispongono del diritto di veto lo hanno collocato di fuori del diritto internazionale. È diventato uno Stato off-shore che permette agli Stati Uniti e al Regno Unito di fingere di rispettare anche loro il diritto internazionale, mentre lo violano dietro questo pseudo-Stato. È assolutamente sbagliato ritenere che il problema posto da Israele riguardi solo il Medio Oriente. Oggi Israele agisce militarmente in tutto il mondo a copertura dell’imperialismo anglosassone. In America Latina, ci furono agenti israeliani che organizzarono la repressione durante il colpo di stato contro Hugo Chávez (2002) o il rovesciamento di Manuel Zelaya (2009). In Africa, erano ovunque presenti durante la guerra dei Grandi Laghi e hanno organizzato l’arresto di Muammar el-Gheddafi. In Asia, hanno condotto l’assalto e il massacro delle Tigri Tamil (2009), ecc. Ogni volta, Londra e Washington giurano che non c’entrano per nulla. Inoltre, Israele controlla numerose istituzioni mediatiche e finanziarie (come la Federal Reserve statunitense).IMPERIALISMO La lotta contro l’imperialismo. Fino alla dissoluzione dell’Urss, era evidente a tutti che la questione israeliana scaturisse dalla lotta contro l’imperialismo. I palestinesi erano sostenuti da tutti gli anti-imperialisti del mondo – perfino dai membri dell’Armata Rossa giapponese – che venivano a combattere al loro fianco. Oggi, la globalizzazione della società dei consumi e la perdita di valori che ne è seguita hanno fatto perdere coscienza del carattere coloniale dello Stato ebraico. Solo arabi e musulmani si sentono coinvolti. Essi mostrano empatia per la condizione dei palestinesi, ma ignorano i crimini israeliani nel resto del mondo e non reagiscono ad altri crimini imperialisti. Tuttavia, nel 1979, l’ayatollah Ruhollah Khomeini spiegò ai suoi fedeli iraniani che Israele era solo una bambola nelle mani degli imperialisti e che l’unico vero nemico era l’alleanza degli Stati Uniti e del Regno Unito. Per il fatto di affermare questa semplice verità, Khomeini fu caricaturizzato in Occidente e gli sciiti furono presentati come eretici in Oriente. Oggi l’Iran è l’unico paese al mondo ad inviare grandi quantità di armi e consiglieri per aiutare la Resistenza palestinese, mentre i regimi sionisti arabi se ne stanno a discutere amabilmente in videoconferenza con il presidente israeliano durante le riunioni del Consiglio di sicurezza del Golfo.(Thierry Meyssan, “Chi è il nemico?”, articolo apparso il 3 agosto 2014 su diversi giornali internazionali e tradotto da “Megachip”).La guerra, che continua ininterrottamente da 66 anni in Palestina, ha conosciuto una nuova svolta con le operazioni israeliane “Guardiani dei nostri fratelli”, e poi “Roccia inamovibile” (stranamente tradotta dalla stampa occidentale con l’espressione “Margine protettivo”). Chiaramente, Tel Aviv – che aveva scelto di strumentalizzare la scomparsa di tre giovani israeliani per lanciare queste operazioni e «sradicare Hamas» al fine di sfruttare il gas naturale di Gaza, secondo il piano enunciato nel 2007 dall’attuale ministro della difesa – è stata spiazzata dalla reazione della Resistenza. Il Jihad islamico ha risposto inviando razzi di media gittata molto difficili da intercettare, che si aggiungono a quelli lanciati da Hamas. La violenza degli eventi che hanno già ucciso oltre 1.500 palestinesi e 62 israeliani (ma le cifre israeliane sono soggette a censura militare e sono probabilmente minimizzate) ha sollevato un’ondata di proteste in tutto il mondo.
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Fortezza Europa: vendiamo armi e anneghiamo profughi
Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.«I rifugiati sono oggi il prodotto su scala industriale di quella grande guerra, immateriale e non dichiarata, che è la guerra contro i poveri, dove un confine netto separa chi ha diritto di muoversi da chi quel diritto si vede negato», e di trova di trova di fronte un’Europa trasformata in filo spinato, scrivono Spinelli, Padoan e Viale, nella petizione sottoscritta da Alexis Tsipras e Nichi Vendola e da autorevoli personalità come Stefano Rodotà, Luigi Manconi, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Curzio Maltese, Moni Ovadia, Erri De Luca, Gad Lerner, Marco Revelli, Ermanno Rea, Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky. Imperativo morale: garantire il diritto di fuga e fermare i “respingimenti”. Nel 2013, il numero dei migranti forzati è aumentato di ben 6 milioni, complice la carneficina siriana che in tre anni ha sfrattato due milioni e mezzo di civili. Si scappa anche dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dalla Libia gettata nel caos dalla guerra occidentale; si fugge dalla Somalia e dal Maghreb.Uomini, donne e bambini che giungono alle nostre coste «in cerca non solo della nuda vita, ma di libertà e di giustizia: di quell’inclusione nel concetto di umanità senza il quale ogni discorso sui diritti perde significato, rimanendo appannaggio di un ceto di privilegiati». Chi non muore durante il viaggio, che trasforma il Mediterraneo in un cimitero, viene accolto come un fuorilegge, subendo una «inferiorizzazione giuridica, economica e sociale», oltre alla privazione della libertà. Così, a naufragare è «quello stesso pensiero di eguaglianza e solidarietà che fonda le nostre democrazie». Sicché, «i cittadini europei non possono più assistere passivamente alla strage che giorno dopo giorno si svolge davanti ai loro occhi». Tuttavia, l’Unione Europea – che dal 2000 dichiara di voler prevenire e combattere il traffico di esseri umani – sta, di fatto, permettendo che profughi e migranti attraversino il Mediterraneo «mettendo la propria vita nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, perché è stato lasciato loro il monopolio del trasporto in mare».La cosa, aggiungono i firmatari della petizione, è tanto più grave in quanto il Trattato sul Funzionamento dell’Unione prevede una responsabilità diretta in materia di gestione integrata delle frontiere, gestione di tutte le fasi del processo migratorio, accoglienza delle persone e condivisione degli oneri, non solo finanziari, tra tutti i paesi membri. Tutte norme rimaste quasi lettera morta: questo «conferma l’assenza di volontà politica da parte degli Stati membri e la pusillanimità della Commissione», data anche l’incapacità di predisporre soluzioni pratiche come la creazione di corridoi umanitari. L’Ue preferisce restare «nascosta dalla retorica del Consiglio Europeo o dalla valanga di documenti, incontri e conferenze», tra agenzie europee che dovrebbero «applicare le politiche europee, e non nel fare da schermo alla loro assenza». Massima ipocrisia, i respingimenti: presentati come misure per salvare i profughi, sono esattamente la loro condanna all’annegamento. Sono gli Stati, per primi, a violare le norme su diritto d’asilo, integrazione e solidarietà: «L’ossessione della lotta contro l’immigrazione clandestina e la chiusura dei canali di accesso regolari hanno concretamente operato per accrescere, come strumento di dissuasione, il rischio patito da tutti coloro che cercano di attraversare i confini della “fortezza Europa”».Come ogni altra legge varata dall’autocrazia tecnocratica di Bruxelles che infligge le politiche di austerity, anche lo “scudo” europeo anti-immigrazione, Frontex, non è mai stato votato dai cittadini. «L’Europa che ha creduto di potersi barricare in una fortezza, ha fallito», scrivono Spinelli, Padoan e Viale, ricordando il cartello esposto a Bruxelles da un migrante: “Non siamo noi ad attraversare i confini, sono i confini ad attraversare noi”. Servono nuove leggi, da applicare prontamente per fermare la strage. Oggi ci sono soltanto «iniziative su base volontaria, approcci diplomatici poco credibili e strumenti operativi con risorse limitate, come Frontex», praticamente «fumo negli occhi». I firmatari chiedono a Bruxelles di esaminare seriamente la situazione e produrre risposte. Nel frattempo, «si tratta di prevedere d’urgenza l’apertura di percorsi autorizzati e sicuri per chi lascia il territorio di nascita, di cittadinanza o di residenza – in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali, climatiche o economiche». Un corridoio umanitario tra Africa e Ue, sotto tutela Onu, per scongiurare nuove tragedie. Del resto, l’Europa è già presente in Libia: perché non fa niente per contrastare il traffico di esseri umani?Spinelli, Padoan e Viale chiedono «canali di ingresso legale», in cui «un sistema di traghetti e voli charter sostituisca le carrette del mare», e in cui l’Onu e l’Ue presidino ogni snodo di partenza e di transito per «identificare, tutelare e dotare i profughi di visti provvisori», per poi «smistare gli arrivi fra i vari porti e aeroporti attrezzati per l’accoglienza, così da governare razionalmente la distribuzione sul territorio europeo dei singoli e delle famiglie», mettendo fine all’assedio degli abitanti di Lampedusa, costretti a supplire, con grande generosità, «l’abissale assenza dello Stato e dell’Unione Europea». Più in generale, «l’Italia e tutti i popoli del Sud Europa non possono più essere lasciati soli nel gravoso compito dei soccorsi in mare». Poi occorre assicurare libertà di movimento, garantire ai profughi «la libertà di scegliere dove vivere e la libertà di riannodare i propri affetti». Serve anche il “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo: «Chiunque si trovi nello spazio europeo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, deve poter godere del pieno esercizio di pari diritti». Per questo, i firmatari chiedono «la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti e profughi, comunque si chiamino, che configurano una forma di detenzione extra ordinem».Barbara Spinelli, Daniela Padoan, Guido Viale e chiedono che l’Ue si impegni a facilitare richieste e visti, «per chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione o di rischio per la vita», grazie a una normativa «capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati», a cominciare dalla protezione del diritto di transito. Problema ancor più drammatico per i minori non accompagnati, quasi 6.000 in Italia negli ultimi 18 mesi: «Molti di loro sono trattenuti da mesi in strutture inadeguate, che non prevedono percorsi di formazione né di integrazione». Poi, l’istituzione dello “ius soli”, per assicurare la cittadinanza europea ai figli dei migranti nati nei nostri paesi. Obiettivo finale: una “pax mediterranea”, dopo la “guerra infinita” prodotta dall’attuale geopolitica occidentale, prima responsabile delle crisi che determinano il flusso dei rifugiati. Servono nuovi strumenti politici per governare l’esodo: «Basti pensare al fatto che se accogliessimo davvero i profughi, dando loro possibilità di avere voce e diritti, si creerebbe forse in Europa una “terza forza” in grado di rappresentare il rispettivo paese – per esempio la Siria, la Repubblica Centrafricana, l’Eritrea e tutti i paesi del Corno d’Africa – in un eventuale negoziato, più e meglio dei cosiddetti governi in esilio, che talvolta sono puri fantocci».La crisi migratoria, concludono i firmatari, mostra quanto sia urgente una politica estera europea, «attualmente impedita non solo da sterili sovranità nazionali gelosamente custodite, ma anche dalla sudditanza dell’Unione Europea alla Nato e agli Usa, che sono spesso all’origine dei conflitti che deflagrano nel mondo e soprattutto ai nostri confini». L’Europa è tutt’altro che innocente: tra i primi dieci esportatori mondiali di armi figurano Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Svezia. «Partner di questo lucroso commercio sono in gran parte proprio i paesi dai quali le persone sono costrette a fuggire per mettersi al riparo da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e soppressione delle libertà democratiche. Poiché i rifugiati sono il prodotto della guerra, noi, cittadini d’Europa, chiediamo che la nostra pace non sia una retorica né un privilegio di asserragliati, ma si declini in politiche solidali capaci di includere i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e l’Africa».Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.