Archivio del Tag ‘asilo’
-
Ma non fuggono dalla fame, gli africani che sbarcano da noi
Gli immigrati che arrivano in Europa dall’Africa sono per lo più (oltre l’80%) giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli. Le coppie e le famiglie sono una minoranza. Provengono da una serie di paesi dell’Africa subsahariana, anche se quest’anno c’è stato un picco di emigranti tunisini, con una prevalenza dall’Africa centrale e occidentale, da paesi come Nigeria, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana. La loro condizione sociale? Non è facile dirlo, perché ci sono situazioni anche molto diverse tra loro. Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà. In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il paese. Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio: persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi. Un paio d’anni fa, in un’intervista, il ministro dei Senegalesi all’Estero ha detto: «Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più». L’idea diffusa in Africa è che basta arrivare in Europa per godere del benessere, senza considerare però che dietro la ricchezza prodotta ci sono dei sacrifici.Ad alimentare questa illusione sono vari fattori. Uno su tutti: i trafficanti, che come è noto gestiscono la gran parte dei viaggi verso l’Europa. Sono loro che rafforzano questa idea, lo fanno ovviamente per procurarsi clienti. È utile sottolineare che il 13 giugno è stato pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) un rapporto dal quale emerge che nel 2016 queste organizzazioni criminali hanno trasportato almeno 2,5 milioni di persone, delle quali quasi 400.000 verso l’Italia, ricavandone in tutto da 5,5 a 7 miliardi di dollari. Il rapporto spiega dettagliatamente come funziona l’avvicinamento ai clienti, l’opera di convincimento, nonché quali sono le varie tariffe. Chi arriva in Europa, per lo più, non fa altro che alimentare verso i propri parenti e amici in Africa l’idea che sia giunto ad un traguardo per cui vale la pena spendere e rischiare. La tendenza è quella di descrivere situazioni positive, anche quando non lo sono, per giustificare la propria scelta. Ma va detto che spesso, in effetti, chi arriva non ha nulla di cui lamentarsi: siccome quasi tutti chiedono e ottengono asilo, almeno nei primi anni godono di un sistema di protezione e di assistenza da far invidia a chi non è ancora partito.Le traversate nel deserto, i campi di detenzione libici, le tragedie nel Mediterraneo: non dovrebbero rappresentare un deterrente nei confronti di chi vuole partire? Il punto è che queste situazioni le conosciamo più noi che loro. L’accesso ai mezzi d’informazione degli africani, anche di coloro che vivono nelle città, è molto limitato. Detto ciò, molti conoscono i rischi e sono disposti ad accettarli, così come non si può escludere che molti altri, magari in un primo momento intenzionati a partire, desistano proprio alla luce di queste tragedie. A tal proposito vorrei sottolineare l’importanza del lavoro di controinformazione che stanno svolgendo alcuni soggetti in Africa. Alcuni governi, così come molte conferenze episcopali africane, si stanno spendendo per spiegare ai giovani quanto costa, quanto si rischia e quanto poco si ottiene, nel lungo periodo, ad emigrare in paesi dove non c’è occupazione né possibilità concreta di integrazione economica e sociale. Stanno svolgendo questo lavoro i governi del Senegal e del Niger – dal 2014 anche quello del Mali, il quale sta facendo una forte propaganda per dimostrare che un paese dal quale emigrano i suoi cittadini più giovani e forti non crescerà mai. E ancora: quello della Sierra Leone, a partire dall’anno scorso e in collaborazione con le autorità religiose, sia cristiane che islamiche. Sono piccoli passi in avanti che incoraggiano i giovani non a fuggire ma a restare, per migliorare il proprio paese.L’ultimo rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) parla di oltre 60 milioni di profughi in generale. Se poi parliamo di rifugiati, ovvero di persone che fuggono all’estero da guerre e persecuzioni, la cifra è di circa 20 milioni. Di questi, soltanto una minoranza esigua arriva in Italia, chiede asilo e lo ottiene: per quantificare, nel 2015 sono stati 3.555, nel 2016 4.940 e nel 2017 6.578. Perché sono così pochi? Perché la maggior parte di chi fugge da una guerra trova asilo appena varca il confine; del resto, la Convenzione di Ginevra prevede che il profugo chieda tempestivamente asilo nel primo paese che ha firmato la Convenzione in cui mette piede. C’è poi un secondo motivo: chi fugge sotto la minaccia di persecuzione e di guerra cerca di rimanere il più vicino a casa perché l’idea è quella di tornarci il prima possibile.Quanto incide sull’emigrazione anche lo sfruttamento delle risorse? C’è il land grabbing, ossia l’accaparramento delle terre da parte di paesi stranieri o industrie. Sicuramente sono fattori che hanno una loro incidenza. Le responsabilità vanno trovate anzitutto nei governi africani, i quali – per restare al tema del land grabbing – preferiscono vendere le terre ad industrie o a paesi che hanno fame di terre coltivabili (Cina, India, Arabia Saudita) incassando subito del denaro piuttosto che incentivare l’agricoltura locale anche tramite investimenti. L’Africa è ricca di risorse minerarie, penso al cobalto ma soprattutto al petrolio, il quale viene acquistato e pagato dalle compagnie, ma il problema è capire dove vanno a finire i soldi. Nel 2014, su 77 miliardi di dollari che avrebbe dovuto incassare l’ente nazionale del petrolio nigeriano, 14 non sono mai stati depositati. Sono finiti in qualche conto corrente, mentre sarebbero dovuti servire per lo sviluppo sociale del paese. La Nigeria, pur essendo il primo produttore di petrolio del continente, importa il greggio già raffinato dall’estero.L’Africa da oltre 20 anni registra una crescita economica notevole, e in prima fila ci sono i paesi da cui proviene la maggior parte dei migranti, solo che queste risorse vengono dilapidate o se ne giovano poche élite. Al recente Consiglio Europeo, gli Stati si sono impegnati a contribuire ulteriormente al Fondo Ue per l’Africa inviando altri 500 milioni. È un modo per “aiutarli a casa loro” o per alimentare la corruzione? Questi 500 milioni sono un ulteriore quantitativo, che si aggiunge ai miliardi che ogni anno vengono destinati all’Africa dalla cooperazione allo sviluppo di Stati Uniti ed Europa. Infatti quando sento invocare un “Piano Marshall per l’Africa” resto basita, perché di risorse ne vengono già inviate in modo ingente, ma i destinatari, cioè i governi, sono poco affidabili. Un esempio: in Somalia, che è uno dei paesi maggiormente assistiti, la Banca Mondiale qualche anno fa ha dimostrato che ogni 10 dollari che vengono elargiti al governo, 7 spariscono nel nulla.E’ possibile che, dove è forte la presenza del radicalismo islamico, quei soldi che spariscono nel nulla finiscano ad arricchire i gruppi jihadisti? Chi lo sa. Certo è che questi gruppi hanno fonti di reddito molto robuste e sponsor molto potenti. Inoltre sono spesso invischiati in traffici illegali: spaccio di droga, di armi, bracconaggio. Anni fa si è scoperto che gli Al Shabaad della Somalia ottengono circa il 40% dei proventi dalla vendita di zanne di elefante. Considerate che in Kenya c’è un detto: “Oggi è stato ucciso un elefante, domani sarà ucciso un uomo”, proprio per sottolineare la correlazione tra bracconaggio e terrorismo. Una ricerca delle Nazioni Unite rivela che nel 2050 ci sarà un’ulteriore crescita demografica dell’Africa e un declino dell’Occidente. L’immigrazione di massa come fenomeno sempre più ineluttabile? Anzitutto si tratta di proiezioni, non di dati certi. Non è affatto detto che tra trent’anni la situazione rimarrà la stessa di oggi, in termini demografici.Delle buone politiche familiari e un cambio culturale potrebbero invertire la tendenza demografica in Occidente, così come è possibile in primo luogo che la popolazione africana non aumenterà come l’Onu prevede (già si registra una piccola variazione verso il basso rispetto ai pronostici di pochi anni fa) e poi che l’Africa diventi finalmente un continente in grado di svilupparsi e di convincere i propri giovani a non fuggire alimentando i traffici clandestini di migranti. A mio avviso il modus operandi di molte Ong è molto discutibile, perché entrano in contatto diretto con i trafficanti e prevedono il trasbordo quasi in acque territoriali libiche per poi dirigersi verso l’Italia, anche se battono bandiera di un altro Stato e se il porto più vicino sarebbe altrove. Già il precedente governo, con il ministro Minniti, aveva sollevato il problema e aveva pensato di prendere provvedimenti. Il nuovo governo si sta dimostrando solo più determinato, ma l’intento è rimasto quello di far rispettare la sovranità nazionale e le leggi internazionali.Chiudere i porti significa smettere di “restare umani”? L’Europa in generale, ma nello specifico l’Italia, sono molto lontane dalla fase più prospera della loro storia: gli ultimi dati ci parlano di 5 milioni di italiani in povertà assoluta e centinaia di migliaia di italiani emigrano all’estero; l’Italia è 20esima tra i paesi di emigrazione. In questa situazione, è solo giusto impedire a delle persone di raggiungere un paese che può assisterli nel breve periodo, ma che non è in grado di garantire loro un futuro dignitoso. Chi arriva dall’Africa in Italia ha remotissime possibilità di costruirsi una vita: il più delle volte è destinato a vivere di espedienti, a lavorare in nero e in condizioni disumane magari in qualche campo di pomodori oppure ad ingrossare le fila della criminalità organizzata. Chiudere i porti può essere un modo per scoraggiare i viaggi clandestini. È importante che si alimenti il passaparola tra migranti stessi. Esistono tantissime testimonianze di giovani che hanno iniziato il viaggio verso l’Europa ma che non sono riusciti ad arrivare a destinazione, i quali affermano che se lo avessero saputo non avrebbero speso soldi e sprecato anni della propria vita per un’impresa così aleatoria. L’unico modo per scoraggiare questi progetti senza futuro è proprio quello di dimostrare che il viaggio della speranza è un’illusione, che a destinazione non si arriva: e chiudere i porti è il messaggio più netto che possa giungere.(Anna Bono, dichiarazioni rilasciate a Federico Cenci per l’intervista “Bisogna scoraggiare gli africani a emigrare, ecco perché”, pubblicata da “In Terris” l’11 luglio 2018. Africanista dell’università di Torino, la professoressa Bono ha pubblicato importanti studi sul fenomeno dell’immigrazione di origine africana).Gli immigrati che arrivano in Europa dall’Africa sono per lo più (oltre l’80%) giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli. Le coppie e le famiglie sono una minoranza. Provengono da una serie di paesi dell’Africa subsahariana, anche se quest’anno c’è stato un picco di emigranti tunisini, con una prevalenza dall’Africa centrale e occidentale, da paesi come Nigeria, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana. La loro condizione sociale? Non è facile dirlo, perché ci sono situazioni anche molto diverse tra loro. Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà. In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il paese. Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio: persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi. Un paio d’anni fa, in un’intervista, il ministro dei Senegalesi all’Estero ha detto: «Qui non parte gente che non ha nulla, parte gente che vuole di più». L’idea diffusa in Africa è che basta arrivare in Europa per godere del benessere, senza considerare però che dietro la ricchezza prodotta ci sono dei sacrifici.
-
Crisi-migranti: fratture e minacce, ora l’Ue può esplodere
I paesi di Visegrad le voltano la schiena. Il falco di Baviera Horst Seehoofer è pronto a scavarle la fossa sotto i piedi. L’Italia per la prima volta prova a rivoltarlesi contro. E il Trattato di Schengen sembra a un passo dalla rottamazione. Insomma, «la cancelliera Angela Merkel e l’Europa disegnata a sua immagine e somiglianza tremano, traballano e si sgretolano». Il tutto, scrive Gian Micalessin sul “Giornale”, a meno di una settimana da un Consiglio Europeo in cui l’Unione «dovrà decidere come uscire da quella crisi dei migranti che rischia di distruggerla». Ma la resa dei conti, aggiunge Micalessin, inizia dal peccato originale: anzi, dalla “peccatrice”, cioè «da quella Angela Merkel colpevole di aver spalancato le porte a un fenomeno migratorio di cui non comprese la devastante portata». Tre anni dopo, la prima a subirne le conseguenze è proprio lei: Seehofer attacca a muso duro una cancelliera pronta a licenziarlo pur di frenare il “masterplan” anti-immigrazione con cui il falco della Csu bavarese vorrebbe respingere alla frontiera chiunque si è visto rifiutare l’asilo in un altro paese o non è in grado di esibire un documento. «Sarebbe la prima volta al mondo che uno licenzia un ministro soltanto perché si preoccupa e si prende cura della sicurezza e dell’ordine del suo paese», dichiara Seehofer.«Io sono presidente della Csu, uno dei tre partiti della coalizione di governo, e guido il mio partito con totale sostegno», aggiunge Seehofer: «Se qualcuno nella cancelleria è insoddisfatto del lavoro del ministro dell’interno, allora deve porre fine alla coalizione». Ma mentre la cancelliera si arrovellava per tenere in piedi la sua stessa casa, osserva Micalessin, a oriente veniva giù un altro pezzo d’Europa: i paesi del blocco di Visegrad, Ungheria in testa, guidavano la rivolta contro il vertice preparatorio tra Italia, Spagna, Francia, Germania e Austria (ma forse anche Bulgaria, Olanda e Belgio) che domenica dovrebbe segnare le tappe d’avvicinamento al Consiglio d’Europa del 28 giugno sul tema migranti. Il pomo della discordia capace d’innescare la sollevazione di Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca è come sempre la ripartizione dei richiedenti asilo. Un argomento considerato una sorta d’inviolabile tabù dai quattro paesi dell’Est europeo. «Apprendiamo che ci sarà un mini-summit, ma noi non vi parteciperemo perché questo è contrario alle abitudini dell’Ue», annuncia il premier ungherese Viktor Orban, spiegando che il responsabile dell’organizzazione dei summit «è il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk e non la Commissione Europea».Prima ancora che succedesse tutto questo, annota sempre il “Giornale”, le linee guida della Merkel erano state messe in dubbio anche da un Giuseppe Conte «costretto a confrontarsi con l’ignobile bozza di lavoro sottopostaci in vista dello stesso vertice preparatorio». Una bozza che ribadiva l’obbligo di riprenderci, con tante scuse, i migranti sbarcati sulle nostre coste e poi «acciuffati al confine di altri paesi dopo esser sgusciati tra le maglie dei controlli». Non illudiamoci, insiste Micalessin: la rivolta di Conte, «prontissimo nel rispedire al mittente la bozza minacciando il ritiro dell’Italia», è una nota più che positiva ma «non è certamente una vittoria definitiva». Lo scontro tra Seehofer e la cancelliera? «Dimostra inequivocabilmente come dietro la sopravvivenza di quella clausola iniqua ci fosse il tentativo della Merkel d’abbassare il livello dello scontro con il proprio ministro dell’interno». E la reazione dell’Italia, con la cancellazione della clausola? «Ha dato fuoco alle polveri – chiosa Micalessin – ma anche messo a nudo lo stato di decomposizione in cui versa ormai l’Unione».I paesi di Visegrad le voltano la schiena. Il falco di Baviera Horst Seehoofer è pronto a scavarle la fossa sotto i piedi. L’Italia per la prima volta prova a rivoltarlesi contro. E il Trattato di Schengen sembra a un passo dalla rottamazione. Insomma, «la cancelliera Angela Merkel e l’Europa disegnata a sua immagine e somiglianza tremano, traballano e si sgretolano». Il tutto, scrive Gian Micalessin sul “Giornale”, a meno di una settimana da un Consiglio Europeo in cui l’Unione «dovrà decidere come uscire da quella crisi dei migranti che rischia di distruggerla». Ma la resa dei conti, aggiunge Micalessin, inizia dal peccato originale: anzi, dalla “peccatrice”, cioè «da quella Angela Merkel colpevole di aver spalancato le porte a un fenomeno migratorio di cui non comprese la devastante portata». Tre anni dopo, la prima a subirne le conseguenze è proprio lei: Seehofer attacca a muso duro una cancelliera pronta a licenziarlo pur di frenare il “masterplan” anti-immigrazione con cui il falco della Csu bavarese vorrebbe respingere alla frontiera chiunque si è visto rifiutare l’asilo in un altro paese o non è in grado di esibire un documento. «Sarebbe la prima volta al mondo che uno licenzia un ministro soltanto perché si preoccupa e si prende cura della sicurezza e dell’ordine del suo paese», dichiara Seehofer.
-
Cabras: l’Era dell’Aquarius e l’ipocrisia dei Buonisti Mannari
È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.Quel che è in atto è “solo” un braccio di ferro politico sulla destinazione di questo segmento del viaggio. Come ogni questione politica, la decisione è da ritenersi un argomento controverso, ma quel che è certo è che non sussiste una minaccia diretta e grave all’esistenza delle persone che stanno dentro l’Aquarius. Chi definisce la decisione del governo (che nega l’approdo in porti italiani della nave proveniente dalle acque libiche) come un’operazione spietata di gente “senza cuore”, e invita nel frattempo a guardare in faccia “gli occhi dei bambini”, punta a un importante lato emotivo che tuttavia è fuorviante se si considera che non è affatto in questione il loro salvataggio, bensì la forma che assumerà la loro accoglienza e le decisioni su chi abbia diritto a restare. Le forze politiche che hanno composto la maggioranza parlamentare e firmato il “Contratto di governo” condividono questi elementi essenziali in materia di migrazioni: il sistema di accoglienza deve essere autenticamente europeo, non nazionale; chi richiede asilo deve farlo direttamente dai paesi di provenienza o transito e chi ne ha diritto, direttamente da lì, deve essere già ripartito obbligatoriamente presso i 27 Stati membri dell’Unione europea e quindi integrato negli stessi.Un problema gigantesco come le migrazioni contemporanee, in particolare nelle sue forme irregolari e illegali, non deve essere gestito solo dalla Repubblica Italiana intanto che gli altri membri della Ue blindano da decenni le frontiere e i porti, inclusi quelli retti da governi sedicenti “progressisti”. Veltroni in questi giorni ha paventato un ritorno agli anni trenta, ma ha dimenticato cosa faceva il suo governo negli anni novanta. Proprio mentre dal centrosinistra si urla alla disumanità del caso Aquarius, possiamo compulsare pagine ancora non sbiadite delle azioni di governo di quella parte, come il blocco navale anti immigrazione deciso dal governo Prodi, con “disposizioni rigide sul respingimento” in mare degli albanesi. Nell’album di famiglia della sinistra italiana c’è un’iniziativa molto più drastica di quel che accade oggi. Certo, non lo ricorda il solito Roberto Saviano, quando intima al ministro dei trasporti di aprire i porti e twitta: «#umanitàperta #apriteiporti #Aquarius». È lo stesso Saviano che non fa una piega su come Israele gestisce le questioni di #umanitàaperta alle sue frontiere e su come bombarda i porticcioli dei pescatori palestinesi. Omissioni umanitarie.In questo quadro mi colpisce un’osservazione del giornalista Sebastiano Caputo, che chiama in causa una delle critiche rivolte alla chiusura dei porti, ossia il fatto che si concentri sui soggetti più deboli. Dice Caputo che chiudere i porti «è un atto politico, non razzista, che mira a fermare questa orrenda tratta di esseri umani. Ora però aspettiamo da Matteo Salvini, e dai suoi colleghi al governo, un gesto altrettanto forte quando i vertici della Nato ci chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare paesi sovrani e appoggiare guerre “umanitarie” che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. Forti coi forti, senza doppi standard». Le risposte sono scritte nel futuro, e dovranno contrastare le pressioni di quelle stesse parti politiche che oggi ci accusano di razzismo ma si sono schierate con tutte le guerre imperialistiche che hanno devastato Africa e Asia negli ultimi venticinque anni. Non mi è congeniale la postura mediatica di Salvini su questa materia, troppo attenta al possibile risvolto elettorale, come d’altro canto, sul fronte opposto, lo è quella del sindaco di Napoli De Magistris. Tuttavia le cose vanno viste nell’insieme, senza pregiudizi, e senza sconti per i signori delle pagliuzze e delle travi.Faccio un esempio che sconcerterà qualche lettore. Ricordo di aver assistito a un dibattito in Tv del 2011, quando si stava per fare la guerra alla Libia. Sino a quel giorno Salvini lo conoscevo solo di viso, non lo avevo mai seguito in un confronto. Praticamente vinse a mani basse su esponenti della sinistra che si spendevano per la guerra a Gheddafi, ai quali diceva in sostanza: “Ma vi rendete conto che, devastando questo paese, oltre a fare decine di migliaia di morti, causerete una catastrofe migratoria dai costi umani esagerati?”. E concluse con “Povera sinistra, come si è ridotta, povera sinistra”. Mi colpì moltissimo perché aveva ragionato e concluso con lucidità prevedendo gli esiti di quel disastro criminale, al quale la sinistra si consegnò totalmente, in parte complicemente e in parte stupidamente. Ricordo l’odio sparso dagli organi di informazione vicini alla sinistra: una totale demonizzazione di Gheddafi, una campagna isterica e guerrafondaia, un delirio che accompagnava le stragi, lo sterminio dei dirigenti dello Stato libico, la distruzione dei potabilizzatori e delle infrastrutture, e infine l’espulsione di due milioni di africani che lavoravano in Libia. Non mi piace il frasario del Salvini di oggi, lo ribadisco, ma la sinistra è ancora incapace di un’autocritica sulle sue grandi colpe storiche di anni recenti, non imputabili a Salvini.Le classi dirigenti francesi e britanniche negli ultimi sette anni hanno scatenato guerre che oltre ai lutti e oltre alla distruzione di interi Stati con cui noi avevamo relazioni convenienti, hanno provocato un drastico peggioramento nella gestione dei flussi migratori, e ora dicono che gestirli non è affar loro ma solo affar nostro. Non siamo di fronte a casuale o banale egoismo. Stanno invece ridisegnando la gerarchia europea, trasformando il fianco sud dell’Europa in un mondo troppo debole per farsi valere, troppo ripiegato sui suoi problemi per esigere che più a nord si paghi il prezzo delle spietate politiche di potenza. Le classi dirigenti di Parigi e Londra hanno scelto cosa voler fare dell’Italia: il paraurti per le tragedie della globalizzazione; così come a Francoforte, Bruxelles e Berlino avevano deciso cosa fare della Grecia: il laboratorio dove sperimentare la futura ‘mezzogiornificazione’ di mezza Europa. È l’autodemolizione del sogno europeo in vista di un ordine che toglie già, ancora una volta, il velo che nascondeva ciò che non è mai venuto meno: i soliti brutali rapporti di forza guidati dalle grandi capitali dei grandi capitali. In questa particolare congiuntura è giusto richiamare l’Europa ai suoi doveri, in tempi rapidi. L’estate è lunga.(Pino Cabras, “L’era dell’Aquarius”, dal blog “Vietato Parlare” dell’11 giugno 2018. L’intervento è ripreso dalla pagina Facebook di Cabras, neo-deputato 5 Stelle).È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.
-
Barcellona spacca l’Ue, e l’esercito tedesco teme il peggio
La Catalogna? «Sono pazzi se pensano di cavarsela in questo modo», cioè lavandosene le mani. «Immaginate che il Belgio “ceda” Puidgemont, l’uomo il cui movimento ha portato la nonviolenza a un livello nuovo e moderno, e immaginate che Rajoy lo condanni a 30 anni di carcere, e che lo stesso individuo il giorno dopo sieda a qualche meeting a Bruxelles. Che quadro verrebbe dipinto davanti agli occhi di 500 milioni di cittadini europei?». Per Raul Ilargi Meijer, semplicemente, l’Unione Europea sta per collassare. Lo scrive in un post su “The Automatic Earth”, ripreso da “Zero Hedge” e tradotto da “Voci dall’Estero”, che osserva: «La situazione attuale non fa altro che esporre per l’ennesima volta la totale inettitudine delle istituzioni unioniste di Bruxelles», mentre nel frattempo «il paese più potente, il vero egemone, la Germania, lascia fare». Ma attenzione: «Le forze armate tedesche si preparano al “caso peggiore”, quello di crollo della Ue». Secondo lo “Spiegel”, infatti, gli strateghi militari della Bundeswehr, per la prima volta, ritengono possibile la fine dell’euro-sistema. E cominciano a preparare piani per proteggere la Germania da un ipotetico collasso dell’Unione Europea.«Se c’è una cosa che la diatriba tra Spagna e Catalogna può servire a ricordare è la Turchia», scrive Raul Ilargi Meijer. «Per la Ue si tratta di un problema molto più grosso di quanto si pensi». Innanzitutto, premette, Bruxelles non può più continuare a insistere sul fatto che si tratti di un problema interno della Spagna – almeno, non da quanto il presidente catalano Puidgemont è… a Bruxelles, dove si trovano anche altri quattro membri del suo governo. «Questa situazione sposta le decisioni dal sistema giudiziario spagnolo alla sua controparte belga. E le due parti non sono esattamente gemelle, nonostante si tratti di due paesi che fanno parte della Ue. Questo – prosegue l’analista – porta alla luce un problema europeo piuttosto importante: la mancanza di omogeneità nei sistemi giudiziari. I cittadini dei paesi Ue sono liberi di spostarsi e di lavorare in tutti i paesi della Ue, ma sono comunque soggetti a diversi sistemi legislativi e a diverse costituzioni». E il modo in cui il governo spagnolo sta cercando di mettere le mani su Puidgemont, scrive Meijer, «è esattamente lo stesso in cui il presidente turco Erdogan sta cercando di catturare il suo presunto arcinemico, Fethullah Gülen, che da tempo è residente in Pennsylvania».Come noto, gli Usa non sono disposti a estradare Gülen, «nemmeno ora che la Turchia mette sotto arresto il personale delle ambasciate statunitensi». E’ evidente: «Gli americani ne hanno avuto abbastanza di Erdogan». L’autocrate turco accusa Gülen di aver organizzato un colpo di Stato? «Il primo ministro spagnolo Rajoy accusa il governo catalano esattamente della stessa cosa». Non si tratta, però, dello stesso tipo di colpo di Stato: «Quello turco è stato caratterizzato da violenza e morte. Quello spagnolo invece non lo è stato, o almeno non lo è stato da parte di chi oggi viene accusato di aver condotto questa azione». Secondo Raul Ilargi Meijer, «Bruxelles avrebbe dovuto intervenire nel caos catalano già da molto tempo, invocando un incontro e una composizione pacifica, anziché insistere sul fatto che tutto questo non avesse a che vedere con la Ue, come invece è stato vigliaccamente e facilmente affermato». Logico: «O sei un’Unione oppure non lo sei. Se lo sei, allora è tua responsabilità garantire il benessere di tutti i tuoi cittadini. Non puoi fare distinzioni e preferenze, devi essere coerente».Il giornale belga “De Standaard” ha fatto una curiosa distinzione: ha detto che al sistema giudiziario belga non è stato chiesto di “estradare” (uitlevering) Puidgemont in Spagna, ma di cederlo (overlevering). È questo l’assurdo lessico del “legalese”. L’articolo ha anche affermato che il caso sarà portato davanti a tre diverse corti giudiziarie, ciascuna delle quali avrà 15 giorni per annunciare una propria decisione. Per questo motivo Puidgemont è al sicuro per almeno un mese e mezzo. Poi, per il 21 dicembre, Rajoy ha indetto le elezioni in Catalogna. In vista di queste, si dice che voglia bandire come illegali diversi partiti: «Non sorprendetevi se tra questi ci sarà il partito di Puidgemont», scrive Raul Ilargi Meijer. «Peraltro, se anche il presidente catalano democraticamente eletto dovesse perdere tutti i ricorsi a sua disposizione, potrebbe sempre chiedere asilo politico al Belgio (a quanto pare il Belgio è l’unico paese Ue a cui i cittadini Ue possano chiedere asilo politico). A quel punto ci troveremmo in una situazione giudiziaria alquanto caotica, che vedrà la Spagna contro il Belgio contro la Ue. In un certo senso questo sarebbe un fatto positivo, perché metterebbe alla prova un sistema che non è affatto preparato a tutte queste divergenze».Per l’Unione Europea, però, sarebbe l’ennesimo disastro: la Ue «ha già mostrato zero capacità di leadership in questo caso politico, sia da parte dei suoi vertici come il capo della Commissione Europea, Juncker, sia da parte di Angela Merkel, il suo capo di Stato più potente». E quindi, aggiunge Meijer, come potremmo non pensare che l’Unione Europea sia completamente alla deriva? «Da questo punto di vista si tratta di una situazione non meno grave della crisi dei rifugiati o della decapitazione dell’economia greca». Francamente, «la minaccia di infliggere condanne a 30 anni di prigione a persone che hanno solamente organizzato un’elezione pacifica non è esattamente ciò per cui la Ue dovrebbe battersi», aggiunge l’analista. «E adesso che sta avvenendo, questo minaccia la sua stessa sopravvivenza». E’ un fatto: «L’Europa non può essere la terra di Francisco Franco o di Erdogan. Non può voltarsi dall’altra parte e pretendere di andare avanti». Potrebbe essere questo il motivo per il quale le forze armate tedesche, la Bundeswehr, hanno preparato un rapporto che considera gli scenari futuri per l’Europa, inclusi i peggiori.Gli strateghi tedeschi, secondo “Der Spiegel”, ammettono di prendere in considerazione anche gli scenari più catastrofici. «La Bundeswehr – scrive il giornale tedesco – ritiene che la fine dell’Occidente nella sua forma attuale sia una possibilità che potrebbe verificarsi entro i prossimi decenni». Lo si afferma in un documento redatto a febbraio dalla difesa, “Prospettive strategiche 2040”, finora passato sotto silenzio. «Per la prima volta nella storia, questo documento di 102 pagine della Bundeswehr mostra come le tendenze nella società e i conflitti internazionali possano influenzare le politiche di sicurezza tedesche dei decenni a venire». Lo studio quindi «definisce il quadro entro il quale la Bundeswehr dovrà probabilmente muoversi nel prossimo futuro». In uno degli scenari (“La disintegrazione della Ue e la Germania in modalità reattiva”) gli autori ipotizzano una serie di “contrapposizioni multiple”. «Le proiezioni future descrivono un mondo nel quale l’ordine internazionale sarà eroso dopo “decenni di instabilità”, e dove i sistemi di valori globali divergeranno e la globalizzazione avrà termine».«L’ampliamento della Ue è stato un obiettivo per lo più abbandonato, già altri paesi hanno lasciato il blocco Ue e l’Europa ha perso la sua competitività globale», scrive uno stratega della Bundeswehr. «Un mondo sempre più caotico e propenso al conflitto ha mutato drasticamente il contesto della difesa per la Germania e l’Europa». Nel quinto scenario esaminato (“Oriente contro Occidente”), alcuni paesi della Ue orientale bloccano il processo di integrazione europea mentre altri hanno già «aderito al blocco orientale». Nel quarto scenario (“competizione multipolare”) l’estremismo è in crescita e ci sono paesi Ue che «occasionalmente sembrano avvicinarsi al modello russo» di capitalismo statale. Il documento non fa espressamente alcuna previsione, ma tutti gli scenari sembrano «verosimili entro il 2040», scrivono gli autori. «E’ abbastanza divertente notare – chiosa Raul Ilargi Meijer – che le “proiezioni future” assomigliano proprio alla Ue di oggi, almeno per come la vedo io, non a quella del 2040». Angela Merkel «può anche passare tutto il suo tempo a pronunciare discorsi pro-Ue», come gli altri leader europei, «ma il suo esercito ha dei seri dubbi su tutto ciò: e di fronte alla palude che si è aperta col caso catalano, chi potrebbe più dubitare che abbiano ragione ad avere dubbi?».Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca perseguono obiettivi completamente diversi da quelli dei Paesi Bassi e della Germania, osserva l’analista. E in Francia, Macron si sta rendendo conto che potrà farà solo quello la Merkel gli permetterà di fare. «E ora ecco che arriva la Spagna e cerca di comminare leggi franchiste e violenza ai suoi cittadini. Bruxelles non fa nulla, Berlino non fa nulla. I rifugiati possono restarsene a marcire sulle isole greche se i paesi dell’Est non li vogliono, e le nonne catalane vengono massacrate dalle truppe franchiste mentre Bruxelles non trova proprio niente da ridire». La Bruxelles di oggi, anota Meijer, è il culmine di 50-60 anni di progressiva istituzionalizzazione: non è cosa che si possa cambiare con un’elezione qua o là. «La Catalogna sarà la fine dei giochi per Bruxelles? O lo sarà invece la crisi dei rifugiati? Lo sarà la Brexit? E’ impossibile dirlo, ma ciò che è sicuro è che allo stato attuale l’Unione non ha futuro, e al tempo stesso non c’è alcuna soluzione in vista». I poteri di Bruxelles sono ben radicati, «e non hanno alcuna intenzione di abdicare solo perché lo vuole qualche paese, o parte di qualche paese, o qualche partito politico, o qualche gruppo di elettori». E’ la dura realtà: «L’Ue è profondamente antidemocratica e ha tutta l’intenzione di rimanerlo».La Catalogna? «Sono pazzi se pensano di cavarsela in questo modo», cioè lavandosene le mani. «Immaginate che il Belgio “ceda” Puidgemont, l’uomo il cui movimento ha portato la nonviolenza a un livello nuovo e moderno, e immaginate che Rajoy lo condanni a 30 anni di carcere, e che lo stesso individuo il giorno dopo sieda a qualche meeting a Bruxelles. Che quadro verrebbe dipinto davanti agli occhi di 500 milioni di cittadini europei?». Per Raul Ilargi Meijer, semplicemente, l’Unione Europea sta per collassare. Lo scrive in un post su “The Automatic Earth”, ripreso da “Zero Hedge” e tradotto da “Voci dall’Estero”, che osserva: «La situazione attuale non fa altro che esporre per l’ennesima volta la totale inettitudine delle istituzioni unioniste di Bruxelles», mentre nel frattempo «il paese più potente, il vero egemone, la Germania, lascia fare». Ma attenzione: «Le forze armate tedesche si preparano al “caso peggiore”, quello di crollo della Ue». Secondo lo “Spiegel”, infatti, gli strateghi militari della Bundeswehr, per la prima volta, ritengono possibile la fine dell’euro-sistema. E cominciano a preparare piani per proteggere la Germania da un ipotetico collasso dell’Unione Europea.
-
Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti
Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niail Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steym, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».«Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steym. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Europea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). «Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
-
Goldman Sachs: troppi migranti, l’Italia sta per scoppiare
L’Italia scoppia: non può reggere la pressione dei migranti. E ormai, chiusa la rotta balcanica grazie all’accordo tra Germania e Turchia, che ha bloccato il flusso dei profughi dal Medio Oriente, è l’Italia ad accogliere la stragrande maggioranza di persone, per lo più provenienti dal Nordafrica, via Libia. Nel 2017 sono finora stati quasi 200.000, ma il loro numero continua a salire vertiginosamente. E l’Italia, lasciata sola dall’Unione Europea, è il paese più fragile e meno adatto a reggere l’urto. Lo afferma nientemeno che la Goldman Sachs, preoccupata che la situazione possa condizionare le elezioni politiche del maggio 2018. Lo riferisce “Zero Hedge”, in un post tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Il Belpaese, secondo la grande banca speculativa di Wall Street, è in crisi economica e sociale, nonché alle prese con politiche inefficaci. Come la Spagna e l’Ungheria, afferma la Goldman, l’Italia ha un altissimo tasso di disoccupazione, tale da tendere impossibile l’integrazione economica dei nuovi arrivati, verso i quali si starebbe intesificando una certa insofferenza sociale, anche a fronte delle politiche per l’immigrazione, giudicate inefficienti.Principale punto dolente, la capacità di assimilazione dei migranti nel mercato del lavoro. «Spagna e Grecia hanno il livello più basso di integrazione, indicato dal più ampio gap immigrati/nativi. L’Italia e l’Ungheria hanno invece il più basso tasso di integrazione economica, con i migranti di seconda generazione in condizioni mediamente peggiori dei loro genitori». Questi quattro paesi, secondo Golman Sachs, «hanno anche i tassi di disoccupazione più alti tra la popolazione totale». Il punto è che, in questi paesi, «la disoccupazione colpisce in modo sproporzionato la popolazione immigrata, e la seconda generazione chiaramente non riesce a recuperare lo svantaggio». Di conseguenza, se si vuole sperare in un’integrazione economica dei rifugiati, «l’Italia è l’ultimo paese in cui portarli». Quanto all’integrazione sociale, le indagini attuali rilevano «la discriminazione contro i migranti» e il basso grado di accettazione degli immigranti da parte del paese ospitante. Dai dati, «appare subito evidente come l’Ungheria sia il paese socialmente più ostile ai migranti, seguita da Italia e Grecia».In tutti questi paesi, «l’ostilità dell’opinione pubblica è stata causata dalla crisi migratoria». Ma attenzione, scrive “Zero Hedge” citando lo studio della Goldman: «Mentre i flussi di migranti verso Ungheria e Grecia hanno subito un rallentamento, in Italia stanno intensificandosi». Secondo il ministero dell’interno italiano, il numero di arrivi in Italia ha quasi superato il record annuale di 181.000 immigrati del 2016, e i disordini diffusi in Libia hanno causato un incremento del 44% nel numero di richiedenti asilo che attraversano il Mediterraneo rispetto allo stesso periodo l’anno scorso. «Attualmente l’Italia – insieme all’Ungheria – sembra quindi la nazione più inospitale d’Europa in relazione a due delle coordinate principali: economica e sociale». Grecia e Ungheria sono invece i paesi meno politicamente efficaci nell’integrazione dei migranti. Nel 2013 Atene ha approvato una legge che impedisce agli immigrati di votare alle elezioni nazionali, mentre l’abrogazione dello “ius soli”, la cittadinanza automatica per i nati sul territorio, «ha lasciato diversi bambini nati in Grecia in un limbo legislativo». L’Italia invece punta all’integrazione legale e all’uguaglianza dei diritti, ma fatica a trovare e risorse.«Complessivamente – conclude la banca – l’Italia ha una minore capacità di assorbimento dei migranti rispetto ad altri stati europei». Sulla base degli indicatori presi in considerazione, il nostro «sembra il paese meno integrato economicamente e socialmente». Determinante, in questo giudizio, «l’incremento annuale dell’immigrazione verso l’Italia attraverso il Mediterraneo», insieme alle «fragili finanze pubbliche del paese», letteralente devastato dall’euro-austerity. «L’attuale gestione della crisi migratoria in Italia – aggiunge la Goldman – sarà inoltre un punto centrale durante le prossime elezioni politiche di maggio, soprattutto per il suo ruolo determinante sul sostegno di cui godono i partiti populisti di opposizione». La banca ribadisce il classico vecchio dogma per cui «l’arrivo di migranti in Italia potrebbe apportare benefici economici nel lungo periodo», compensando il declino demografico (nel 2017 la popolazione italiana si è ridotta per il secondo anno consecutivo), ma non può esimersi dal riconoscere che «per poter sfruttare tali benefici è necessaria un’efficace integrazione economica e sociale». Precondizione abbastanza improbabile, perché «le analisi evidenziano dubbi circa la capacità dell’Italia di raggiungere questo risultato e suggeriscono piuttosto l’approssimarsi di una “tempesta perfetta” all’orizzonte».L’Italia scoppia: non può reggere la pressione dei migranti. E ormai, chiusa la rotta balcanica grazie all’accordo tra Germania e Turchia, che ha bloccato il flusso dei profughi dal Medio Oriente, è l’Italia ad accogliere la stragrande maggioranza di persone, per lo più provenienti dal Nordafrica, via Libia. Nel 2017 sono finora stati quasi 200.000, ma il loro numero continua a salire vertiginosamente. E l’Italia, lasciata sola dall’Unione Europea, è il paese più fragile e meno adatto a reggere l’urto. Lo afferma nientemeno che la Goldman Sachs, preoccupata che la situazione possa condizionare le elezioni politiche del maggio 2018. Lo riferisce “Zero Hedge”, in un post tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Il Belpaese, secondo la grande banca speculativa di Wall Street, è in crisi economica e sociale, nonché alle prese con politiche inefficaci. Come la Spagna e l’Ungheria, afferma la Goldman, l’Italia ha un altissimo tasso di disoccupazione, tale da tendere impossibile l’integrazione economica dei nuovi arrivati, verso i quali si starebbe intesificando una certa insofferenza sociale, anche a fronte delle politiche per l’immigrazione, giudicate inefficienti.
-
Erri De Luca: manca un partito che dia voce a noi italiani
Gianluca Di Candia è un avvocato che ha criticato il decreto Minniti-Orlando in toni civili e argomentati. È appunto un avvocato. Io non lo sono, e considero il decreto una infamia, perché toglie il diritto di appello alla persona richiedente asilo che si vede respingere la sua istanza in prima battuta. A una persona che ha perso in vita sua tutto quello che si può perdere e che si trova costretta a cercare riparo lontano dalla sua terra, si toglie anche questa garanzia. La sua pratica passa in Cassazione dove non potrà difenderla con la sua persona. E perché questo decreto si accanisce contro un diritto garantito dalla Costituzione? Perché il 70% delle sentenze di appello sono favorevoli al richiedente asilo. E’ una volontà di persecuzione e perciò una infamia. Se questa convinzione è un reato, me ne assumo la responsabilità. Il reato articolo 290 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate) è stato utilizzato soprattutto negli anni ‘70. Come mi spiego questo suo ritorno, tra l’altro, nei confronti di un avvocato che era presente ad una mobilitazione totalmente pacifica e dai toni bassi? Volontà di censura nei confronti di chi si adopera per offrire aiuto e sostegno ai casi di estrema necessità.Le navi dei volontari che salvano naufraghi dall’annegamento sono state bersaglio di calunnie e diffamazioni lasciate poi cadere senza neanche chiedere scusa. Oggi il ministero del decreto infame stila nuove misure per intralciare il loro intervento di soccorso. C’è volontà di ostacolare i salvataggi e c’è volontà di censura contro il diritto di critica. Mentre aumentano povertà e diseguaglianze sociali, diminuiscono gli spazi di partecipazione tanto che cresce la disaffezione dei cittadini nei confronti della res publica come dimostra anche il tasso di astensionismo alle recenti elezioni amministrative. Non so cosa vuol dire post-democrazia, noi siamo in una democrazia che possiede una carta costituzionale spesso calpestata, aggirata, ignorata. Noi siamo nel tempo della legittima e necessaria difesa di quella Carta e della sua attuazione. Vedo la condizione di cittadino degradata a quella di cliente. Lo Stato – da garante del diritto alla salute, alla istruzione, alla giustizia – diventa erogatore di servizi alla clientela.Il cliente è valutato in base al suo potere di acquisto: se ha denaro può accedere a una buona difesa in tribunale, a una buona istruzione, a un buon trattamento sanitario. Lo Stato diventa azienda, questa è la bestemmia in corso contro la quale si deve rianimare la condizione opposta di cittadino di una comunità di uguali. Manca una rappresentanza politica dell’enorme potenziale civile del nostro paese. Non si tratta di protesta, ma di dare valore aggiunto all’innumerevole attività di volontari e di piccole amministrazioni impegnate a governare bene con pochissimi mezzi. Esiste un’Italia eccellente che aspetta una proposta politica per raccogliersi.(Erri De Luca, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Decreto Minniti, vogliono censurare il diritto di critica”, pubblicata su “Micromega” il 19 luglio 2017. Lo scrittore della “parola contraria” si schiera col giovane avvocato denunciato con l’accusa di vilipendio per aver constestato pubblicamente il decreto Minniti-Orlando durante un pacifico flash-mob al Pantheon, a Roma).Gianluca Di Candia è un avvocato che ha criticato il decreto Minniti-Orlando in toni civili e argomentati. È appunto un avvocato. Io non lo sono, e considero il decreto una infamia, perché toglie il diritto di appello alla persona richiedente asilo che si vede respingere la sua istanza in prima battuta. A una persona che ha perso in vita sua tutto quello che si può perdere e che si trova costretta a cercare riparo lontano dalla sua terra, si toglie anche questa garanzia. La sua pratica passa in Cassazione dove non potrà difenderla con la sua persona. E perché questo decreto si accanisce contro un diritto garantito dalla Costituzione? Perché il 70% delle sentenze di appello sono favorevoli al richiedente asilo. E’ una volontà di persecuzione e perciò una infamia. Se questa convinzione è un reato, me ne assumo la responsabilità. Il reato articolo 290 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate) è stato utilizzato soprattutto negli anni ‘70. Come mi spiego questo suo ritorno, tra l’altro, nei confronti di un avvocato che era presente ad una mobilitazione totalmente pacifica e dai toni bassi? Volontà di censura nei confronti di chi si adopera per offrire aiuto e sostegno ai casi di estrema necessità.
-
Migranti, Erri De Luca: sinistra morta, 5 Stelle invotabili
Migranti: in Europa siamo di fronte ad un’emergenza da fronteggiare? Non si può usare il termine emergenza per un fenomeno che dura in continuità da venti anni. Emergenza è un terremoto, un’alluvione, una siccità. Qui si tratta di incompetenza, di volontario affidamento dei flussi migratori ai trafficanti, di passiva gestione di chi comunque arriva. Nel caso dei flussi migratori registriamo una percezione ingigantita che istiga l’allarme di invasione. È vero il contrario, le poche decine di migliaia di nuovi arrivi non compensano l’esodo di italiani verso residenze all’estero. Passivo è anche il saldo tra nascite e decessi, in parte compensato dalla natalità dei nuovi arrivi. L’Italia è un paese in via di disabitazione. Una percezione sobria della realtà dovrebbe rallegrarsi del rabbocco di nuovi residenti. Si sparge invece artificialmente l’allarme per giustificare la parola emergenza, che a sua volta giustifica assegnazioni senza gara di appalti e di denaro pubblico a imprenditori legati ai partiti.L’Italia e i paesi di confine sud si sono danneggiati da soli firmando il trattato di Dublino, che assegna al paese di primo arrivo l’intero onere di identificazione e trattenimento. Il governo d’Europa invece lascia che i flussi migratori se la sbrighino da soli. Ogni tanto l’Europa impone il blocco alle frontiere, sospendendo il trattato di Schengen. Va sospeso invece quello di Dublino. La polemica sulle Ong generata dalle frasi del grillino Luigi Di Maio? Un atto di autolesionismo politico e morale: se c’è un calcolo nel ripetere a pappagallo la diffamazione contro i salvatori di vite umane in mare, è calcolo sbagliato. Potrà incassare qualche voto, ma produce di più un’emorragia di consensi. Con questa posizione sono diventati non più votabili per chi era uscito dall’astensionismo. Il Movimento aveva raccolto quell’area di astenuti, che ora ha restituito al vento.Quali le responsabilità della politica? Di infischiarsene, di lasciare che l’economia selvaggia lucri sulla vita, il lavoro, il bisogno di chi ha solo la forza e la gioventù come merce di scambio. Il recente ignobile decreto Minniti toglie al richiedente asilo il diritto di appello in caso di prima sentenza di respingimento della sua domanda. A chi ha perso tutto quello che si può perdere nella vita, viene tolto anche il ricorso in appello. È un provvedimento incostituzionale e il ministro lo sa, ma che importa? Basta sbattere sul tavolo di una perpetua campagna elettorale l’accanimento contro il più debole. Il decreto è stato preceduto dal ridicolo e certamente costoso accordo con un caporione libico, uno fra i tanti, per trattenere i profughi più a lungo. E in tutto questo, la sinistra dov’è, esiste ancora? E’ stata amputata dopo lunga cancrena. Come gli arti amputati, ogni tanto continua a far male in assenza.Il centrosinistra ha introdotto i campi di detenzione abusiva per stranieri colpevoli di viaggio non autorizzato. Ha esordito con il governo Prodi-Veltroni affondando il barcone albanese Kater i Rades nella Pasqua del ‘97 per imporre un blocco navale illegale. Invece l’accoglienza economica esiste, eccome: manodopera sottopagata, senza limiti di orario di lavoro, sistemata in alloggi degradati. Succedeva già a Torino negli anni ‘60 e ‘70, gli operai meridionali vivevano in soffitte, dividendosi in due la stessa branda, secondo i turni di lavoro in fabbrica. Il sistema economico tende a ridurre al minimo il costo della manodopera e la nuova disponibilità di stranieri senza diritti sindacali è la pacchia del profitto. L’accoglienza economica avviene sopra e sotto banco. Nella questione dei flussi migratori è in discussione la semplice appartenenza alla specie umana e alla civiltà del Mediterraneo.(Erri De Luca, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Io sto con le Ong, e il M5S è diventato invotabile”, pubblicata da “Micromega” il 17 maggio 2017).Migranti: in Europa siamo di fronte ad un’emergenza da fronteggiare? Non si può usare il termine emergenza per un fenomeno che dura in continuità da venti anni. Emergenza è un terremoto, un’alluvione, una siccità. Qui si tratta di incompetenza, di volontario affidamento dei flussi migratori ai trafficanti, di passiva gestione di chi comunque arriva. Nel caso dei flussi migratori registriamo una percezione ingigantita che istiga l’allarme di invasione. È vero il contrario, le poche decine di migliaia di nuovi arrivi non compensano l’esodo di italiani verso residenze all’estero. Passivo è anche il saldo tra nascite e decessi, in parte compensato dalla natalità dei nuovi arrivi. L’Italia è un paese in via di disabitazione. Una percezione sobria della realtà dovrebbe rallegrarsi del rabbocco di nuovi residenti. Si sparge invece artificialmente l’allarme per giustificare la parola emergenza, che a sua volta giustifica assegnazioni senza gara di appalti e di denaro pubblico a imprenditori legati ai partiti.
-
Gender a scuola, i bambini e l’orco. Ma la famiglia dov’è?
Gender: tutti diversi, tutti uguali. Bellissimo, ma se poi la faccenda scappa di mano e la scuola diventa il paradiso degli orchi? A rimetterci sarebbero loro, i minori. A meno che non entri in scena un soggetto troppo spesso assente: la famiglia, con le sue responsabilità educative. «Quando sentii parlare di questa teoria e della sua diffusione nelle scuole, lì per lì pensai a una bufala perché veniva proposta come una specie di invito esplicito alla masturbazione e all’omosessualità anche per i bambini delle elementari e dell’asilo». L’ideologia Gender in classe? Superficialmente, scrive Paolo Franceschetti, si potrebbe credere che tutta la questione si riduca a un derby tra gay e omofobi, sinistra progressista e Vaticano conservatore. Già il governo Letta invitava gli insegnanti a educare alla diversità (“Rosa e i suoi due papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar; se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”). «La necessità di approfondire la questione – ammette Franceschetti – mi è venuta quando ho letto che il ministro dell’istruzione minacciava querele contro chi osasse sostenere che la riforma Renzi introducesse la teoria Gender».A livello teorico, tutto nasce dagli studi di Margareth Mead, che dimostrano che i ruoli possono benissimo ribaltarsi, come in certe società tribali dell’Oceania: le donne a caccia, gli uomini a casa a farsi belli. Succede anche da noi, scrive Franceschetti nel suo blog: c’è l’amico Maurizio, «che fa il supermacho superscopatore, ma in privato mi confessa che gli piacciono le gonne e i vestiti femminili e quando è solo si veste con le scarpe coi tacchi della moglie». E all’opposto c’è l’amica Ambra, a cui domandi “cosa facciamo stasera?” e ti risponde “andiamo a tirare col fucile”, e al poligono «fa cento colpi e cento centri, una cosa mai vista in vita mia». Autore di clamorose denunce sul “lato oscuro del potere” (gli omcidi rituali, il Mostro di Firenze, la misteriosa setta criminale denominata Ordine della Rosa Rossa), l’ex avvocato Franceschetti, autore di un recentissimo libro, “Le Religioni”, che indaga sulla comune matrice spirituale delle grandi confessioni religiose del pianeta, si è anche distinto per i ripetuti allarmi lanciati in favore dei minori: ne spariscono troppi, anche in Italia. Centinaia, ogni anno. Dove finiscono? Nel traffico di organi e nelle reti potentissime dei pedofili d’alto bordo.Di fronte alle istanze “Gender”, Franceschetti riconosce che «la rigida divisione tra sessi che per secoli ha dominato la società ha portato, e porta tuttora, a degli squilibri». Una donna in carriera è considerata “poco femminile” e temuta dagli uomini, mentre un uomo “casalingo” «è visto con sospetto, come un parassita nullafacente». L’uomo che va con molte donne «è guardato con ammirazione», mentre la donna che ha molti uomini «è quasi sempre una troia». La divisione in sessi? Ha penalizzato chiunque, uomo o donna, rifiutasse gli obblighi sociali. «Non parliamo poi delle problematiche che sorgono se una persona vuole cambiare sesso, o se durante il matrimonio scopre di avere tendenze omosessuali». La teoria Gender vuole sicuramente «porre rimedio a questo stato di cose, introducendo una nuova mentalità, rispettosa delle differenze individuali, per educare la popolazione a una nuova concezione della sessualità e delle differenze di genere». E fin qui, tutto bene. Si prefigura «un meraviglioso mondo, dove l’uomo che voglia andare in giro con i tacchi a spillo e il rossetto venga rispettato, così come una donna che si metta a ruttare e fare a braccio di ferro bestemmiando al bar».Idem per i piccoli: «Nessun trauma arrivi a un bambino che sia allevato da due papà o due mamme, perchè la salute psichica del bambino si misurerà in funzione dell’affetto e degli insegnamenti che riceve, e non dal fatto che abbia necessariamente un padre maschio e una mamma femmina». Ma le ricadute pratiche? Utile leggere il dossier “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, commissionato dall’Oms, per capire cosa si vuole fare nelle scuole. Rispetto, equilibrio, attenzione: un documento “amorevole”. Ma «il bello viene da pagina 37 in poi, dove ci sono le direttive sintetiche che gli insegnanti di educazione sessuale dovrebbero applicare sui bambini di varie fasce di età». Sono 144 disposizioni: «Il problema sorge per solo una ventina di direttive in tutto, sparse qua e là quasi innocentemente», specie quelle rivolte ai bambini dai 9 ai 12 anni. L’educatore deve «mettere il bambino in grado di decidere se avere esperienze sessuali o no, effettuare una scelta del contraccettivo e utilizzarlo correttamente, esprimere amicizia e amore in modi diversi, distinguere tra la sessualità nella vita reale e quella rappresentata dai media». E deve «aiutare il bambino a sviluppare l’accettazione della sessualità (baciarsi, toccarsi, accarezzarsi)», nonché «trasmettere informazioni su masturbazione, piacere e orgasmo».Amarcord inevitabile: «Il pensiero corre ai miei professori del liceo», dice Franceschetti. «Quello di matematica che toccava sempre i seni alle ragazze, tranquillo dell’impunità del preside, tanto che quando fu denunciato da una ragazza fu la ragazza a dover cambiare istituto, non il professore». O quello di storia e filosofia, che sprecava intere lezioni «coi suoi racconti tesi a dimostrare che il sesso è peccato». Già alle elementari fioccavano ceffoni: rudi maestre, anziché «improvvisati educatori sessuali protetti dallo scudo delle direttive europee». L’idea Gender? «Meravigliosa e auspicabile se fossimo in un mondo ideale, e se chi la dovesse applicare fosse un essere umano ideale». Ovvero: un educatore «equilibrato, centrato, e amorevole», capace di «saper amare davvero l’altro e il prossimo e saperlo rispettare», dopo «essersi confrontato con la propria parte omosessuale ed essersi interrogato, ove tale parte sussista, su come viverla».L’insegnante-modello, inoltre, dovrebbe essere «monogamo per scelta, convinto che la fedeltà sia un dono, non un obbligo», dunque «una persona sessualmente attiva», che desidera altri partner ma si trattiene, e inoltre è «disposta ad accettare la poligamia del proprio». Di fronte al tradimento subito, massima comprensione: «Caro/a, ho scoperto che mi tradisci; è evidente che ho sbagliato in qualcosa». E poi dev’essere «uno che, scoperta l’omosessualità del figlio, anziché preoccuparsi, veda questo come un’opportunità di crescere insieme e apprendere di più dalla vita e da se stessi». E ancora, scoprendo l’omosessualità del partner, gli dovrebbe dire: «Ti amo, e per rispetto vorrei che tu vivessi appieno questa tua esperienza, finché non deciderai in che ruolo collocare il nostro rapporto». Tutto bene, «se esistesse un essere umano che ha raggiunto un tale grado di consapevolezza». Quanti ne conosciamo, nella vita quotidiana? Ovviamente, «questo ritratto di essere umano quasi perfetto è praticamente introvabile».La realtà, infatti, è desolatamente opposta: «Dal punto di vista sessuale, la maggior parte delle persone non solo non è affatto equilibrata, ma ha quelle che in psicologia sono considerate devianze o problemi: eiaculazione precoce, impotenza, anorgasmia, sadomasochismo, feticismo». E poi le “stranezze”, «come l’eccitarsi solo in determinate condizioni ambientali», magari con l’impiego di “oggetti particolari”, «per non parlare della percentuale, altissima, di coloro che hanno delle vere e proprie perversioni criminali». Morale: «Il problema dell’ideologia Gender è, molto semplicemente, che non esiste un numero sufficiente di educatori che abbia l’equilibrio tale da poter insegnare ai bambini il rispetto di genere (altrui e proprio) per il semplice motivo che ancora non hanno raggiunto tale equilibrio in loro stessi». Che medico sei, se non sai nemmeno curare te stesso?Sicché, le «demenziali 20 regole» indicate da Franceschetti «porteranno a una conseguenza inevitabile nelle scuole: abusi, facilitazioni della pedofilia e traumi vari ai bambini». Quindi, anche se «l’obiettivo teorico della riforma è lodevole e teoricamente condivisibile», visto che propone che i bambini devono essere educati al rispetto di genere, di fatto «la riforma conseguirà (volutamente, è il caso di dirlo) l’obiettivo opposto: aumenterà gli abusi sui minori nel lungo termine, e nel breve termine creerà la falsa contrapposizione tra progressisti e conservatori omofobi». Una riforma di questo tipo, «in mano a insegnanti e politici inconsapevoli e non in grado di gestire una problematica come quella del genere», secondo Franceschetti produrrà scontri, tensioni e cause legali: «Cattolici contro omosessuali, omosessuali contro eterosessuali, politici contro politici, genitori contro insegnanti, magistrati contro cittadini». Tutto questo, «in un clima in cui a risentirne e a restarne traumatizzati saranno soprattutto i bambini».Tradotto: anche questa del Gender «si inquadra in quel contesto di riforme volute dal Parlamento Europeo in tutti i campi (economico, politico, finanziario, sociale, scolastico) per distruggere i fondamenti della società e ricostruirne una nuova, basata sul Nwo, creando caos sociale ad ogni livello». Nuovo ordine mondiale? «La tecnica è nota», insiste Franceschetti: «Si parte da una premessa giusta (educare al rispetto delle diversità) e si fa una legge in parte giusta (educare i bambini alla sessualità) con qualche appiglio per ribaltare completamente il risultato e creare più caos di quanto già non ce ne sia (dando mano libera ai pedofili e ai pervertiti di poter agire liberamente nelle scuole)». E i primi frutti dell’introduzione dell’ideologia Gender si vedono già: «Alcuni sindaci hanno ritirato alcuni libri ispirati all’ideologia Gender dalle scuole. Una maestra è stata denunciata da un rappresentante dell’Arcigay e linciata mediaticamente, su tutti i giornali, per aver detto a scuola che l’omosessualità è una malattia (salvo poi essere scagionata dagli allievi, che hanno detto “ma no, veramente ha detto tutt’altro”)».Stefania Giannini, ministro dell’istruzione, minaccia denunce contro chi sostiene che la riforma Renzi della “buona scuola” obblighi a educare sessualmente i giovani secondo le teorie Gender: la riforma imporrebbe solo di “educare al rispetto della diversità”. «Ogni tanto sui giornali escono notizie di genitori preoccupati per i vibratori a scuola. Una preside ha inviato una lettera al ministero per denunciare l’introduzione della teoria Gender nelle scuola, e il ministero ha mandato gli ispettori (sic!) ritenendo inaccettabile il comportamento della preside». E ancora: «In una scuola sono state denunciate delle suore che, stando ai giornali, avevano fatto educazione alla masturbazione a bambini di 10 anni». In alcuni Comuni già si raccolgono firme “contro”. Ma attezione: «La maggior parte delle notizie sono false e volutamente distorte, per poter essere interpretate come uno preferisce. Come è falso che questa teoria sia “imposta” dall’Ue», che in realtà «impone solo, con vari regolamenti, direttive e indicazioni, di abolire le differenze di genere tra uomo e donna in tutti gli ambiti, il che è sacrosanto».Le teorie Gender a scuola sono già applicate in diversi paesi europei, «ma la situazione è di estremo caos». La confusione impazza, anche nel privato: «Solo per fare un esempio personale – racconta Franceschetti – ho postato sulla mia pagina Facebook un video dell’avvocato Amato, di tendenza dichiaratamente cattolica. Una ragazza omosessuale mi ha ritirato l’amicizia sentendosi profondamente ferita dal video (sue parole testuali). Un altro mi ha dato del fascista, dicendo in aggiunta che probabilmente poi di nascosto vado a trans». Tutto questo, «a riprova che non si può discutere serenamente di Gender senza creare conflitti: se sei contro questa nuova tendenza, sei omofobo e retrogrado; se sei a favore, sei un pedofilo o un frocio». Dobbiamo quindi preoccuparci, gridare allo scandalo e arroccarci sulle vecchie posizioni, o sposare le teorie Gender? «Nulla di tutto ciò. C’è invece la possibilità di trasformare la questione Gender in un’occasione favorevole per la crescita dei nostri figli e di noi stessi». E come? Mobilitando – per la prima volta, in molti casi – la cara, vecchia famiglia, troppo spesso assente, o peggio.«Lo sfascio del sistema in cui viviamo è inevitabile, e questa ideologia porterà, col tempo, allo sfascio della famiglia tradizionale e dei valori tradizionali», insiste Franceschetti. «I bambini saranno spesso abusati e traumatizzati. Ma purtroppo, occorre dirlo, i bambini sono da sempre stati abusati e traumatizzati perché – in questo ha ragione l’ideologia Gender – l’imposizione rigida dei ruoli ha provocato da sempre una serie di problemi psicologici». Il bambino è inoltre traumatizzato su vari fronti, non solo quello sessuale, e peraltro in tutte le epoche, «perché la maggior parte dei genitori riversa inevitabilmente i propri disturbi personali sul bambino stesso, che fin da piccolo è costretto a subire limitazioni prive di senso, ad essere sgridato senza criterio, talvolta picchiato, costretto a subire le urla dei genitori tra di loro, gli abbandoni, la violenza verbale e fisica che a volte sussiste nella coppia». Basta rileggere gli studi di Alice Miller: “Il dramma del bambino dotato”, “Il bambino inascoltato”, “La fiducia tradita”, “La chiave abbandonata”.Niente di nuovo sotto il sole: i bambini «saranno “solo” costretti a un ulteriore abuso, oltre a quelli che quotidianamente subiscono dagli ignari genitori», spesso convinti di essere impeccabili. «Questa situazione di caos e ulteriore abuso, però, potrà avere effetti positivi qualora le famiglie si riappropriassero del proprio ruolo, senza delegare alla scuola l’educazione dei bambini», sostiene Franceschetti. «Se fino ad oggi, a casa, di sesso non se ne parlava, o se ne parlava male», a questo punto «per arginare l’effetto traumatico della riforma Gender l’unica possibilità è che i genitori si sforzino sempre di più di dialogare con i figli, di accettare davvero le diversità e di spiegare loro che se l’insegnante si masturba in classe è solo un pervertito, non un educatore». E a fronte di un insegnante che vorrà “far provare nuove esperienze” al bambino di 9-12 anni, come da protocollo, «gli si spieghi che forse, a quell’età, tali esperienze potrebbero provocargli un trauma: sarà meglio rimandarle magari a quando sarà adulto e in grado di decidere da solo quali esperienze diverse provare».E di fronte a un insegnante che magari «esalterà l’omosessualità dicendo che è normale, invitando i bambini di 9 anni a farne esperienza», il genitore dirà: «Sì tesoro, in effetti è normale, ma statisticamente l’80% delle persone è ancora eterosessuale, quindi direi che potrai fare queste prove più in là, magari dopo i vent’anni». Così, «invece di portarli al doposcuola, forse sarà la volta buona che un genitore anaffettivo trovi una buona scusa per portare i figli con sé e passarci più tempo insieme», conclude Franceschetti. In pratica, proprio perché la riforma Gender è arrivata nel momento in cui l’istituzione familiare «si era deresponsabilizzata dal suo ruolo educativo», forse «è proprio questo il momento buono affinché l’educazione sessuale dei figli venga riportata nel luogo principale dove dovrebbe essere effettuata: la famiglia».Gender: tutti diversi, tutti uguali. Bellissimo, ma se poi la faccenda scappa di mano e la scuola diventa il paradiso degli orchi? A rimetterci sarebbero loro, i minori. A meno che non entri in scena un soggetto troppo spesso assente: la famiglia, con le sue responsabilità educative. «Quando sentii parlare di questa teoria e della sua diffusione nelle scuole, lì per lì pensai a una bufala perché veniva proposta come una specie di invito esplicito alla masturbazione e all’omosessualità anche per i bambini delle elementari e dell’asilo». L’ideologia Gender in classe? Superficialmente, scrive Paolo Franceschetti, si potrebbe credere che tutta la questione si riduca a un derby tra gay e omofobi, sinistra progressista e Vaticano conservatore. Già il governo Letta invitava gli insegnanti a educare alla diversità (“Rosa e i suoi due papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar; se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”). «La necessità di approfondire la questione – ammette Franceschetti – mi è venuta quando ho letto che il ministro dell’istruzione minacciava querele contro chi osasse sostenere che la riforma Renzi introducesse la teoria Gender».
-
Fortezza Europa: vendiamo armi e anneghiamo profughi
Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.«I rifugiati sono oggi il prodotto su scala industriale di quella grande guerra, immateriale e non dichiarata, che è la guerra contro i poveri, dove un confine netto separa chi ha diritto di muoversi da chi quel diritto si vede negato», e di trova di trova di fronte un’Europa trasformata in filo spinato, scrivono Spinelli, Padoan e Viale, nella petizione sottoscritta da Alexis Tsipras e Nichi Vendola e da autorevoli personalità come Stefano Rodotà, Luigi Manconi, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Curzio Maltese, Moni Ovadia, Erri De Luca, Gad Lerner, Marco Revelli, Ermanno Rea, Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky. Imperativo morale: garantire il diritto di fuga e fermare i “respingimenti”. Nel 2013, il numero dei migranti forzati è aumentato di ben 6 milioni, complice la carneficina siriana che in tre anni ha sfrattato due milioni e mezzo di civili. Si scappa anche dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dalla Libia gettata nel caos dalla guerra occidentale; si fugge dalla Somalia e dal Maghreb.Uomini, donne e bambini che giungono alle nostre coste «in cerca non solo della nuda vita, ma di libertà e di giustizia: di quell’inclusione nel concetto di umanità senza il quale ogni discorso sui diritti perde significato, rimanendo appannaggio di un ceto di privilegiati». Chi non muore durante il viaggio, che trasforma il Mediterraneo in un cimitero, viene accolto come un fuorilegge, subendo una «inferiorizzazione giuridica, economica e sociale», oltre alla privazione della libertà. Così, a naufragare è «quello stesso pensiero di eguaglianza e solidarietà che fonda le nostre democrazie». Sicché, «i cittadini europei non possono più assistere passivamente alla strage che giorno dopo giorno si svolge davanti ai loro occhi». Tuttavia, l’Unione Europea – che dal 2000 dichiara di voler prevenire e combattere il traffico di esseri umani – sta, di fatto, permettendo che profughi e migranti attraversino il Mediterraneo «mettendo la propria vita nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, perché è stato lasciato loro il monopolio del trasporto in mare».La cosa, aggiungono i firmatari della petizione, è tanto più grave in quanto il Trattato sul Funzionamento dell’Unione prevede una responsabilità diretta in materia di gestione integrata delle frontiere, gestione di tutte le fasi del processo migratorio, accoglienza delle persone e condivisione degli oneri, non solo finanziari, tra tutti i paesi membri. Tutte norme rimaste quasi lettera morta: questo «conferma l’assenza di volontà politica da parte degli Stati membri e la pusillanimità della Commissione», data anche l’incapacità di predisporre soluzioni pratiche come la creazione di corridoi umanitari. L’Ue preferisce restare «nascosta dalla retorica del Consiglio Europeo o dalla valanga di documenti, incontri e conferenze», tra agenzie europee che dovrebbero «applicare le politiche europee, e non nel fare da schermo alla loro assenza». Massima ipocrisia, i respingimenti: presentati come misure per salvare i profughi, sono esattamente la loro condanna all’annegamento. Sono gli Stati, per primi, a violare le norme su diritto d’asilo, integrazione e solidarietà: «L’ossessione della lotta contro l’immigrazione clandestina e la chiusura dei canali di accesso regolari hanno concretamente operato per accrescere, come strumento di dissuasione, il rischio patito da tutti coloro che cercano di attraversare i confini della “fortezza Europa”».Come ogni altra legge varata dall’autocrazia tecnocratica di Bruxelles che infligge le politiche di austerity, anche lo “scudo” europeo anti-immigrazione, Frontex, non è mai stato votato dai cittadini. «L’Europa che ha creduto di potersi barricare in una fortezza, ha fallito», scrivono Spinelli, Padoan e Viale, ricordando il cartello esposto a Bruxelles da un migrante: “Non siamo noi ad attraversare i confini, sono i confini ad attraversare noi”. Servono nuove leggi, da applicare prontamente per fermare la strage. Oggi ci sono soltanto «iniziative su base volontaria, approcci diplomatici poco credibili e strumenti operativi con risorse limitate, come Frontex», praticamente «fumo negli occhi». I firmatari chiedono a Bruxelles di esaminare seriamente la situazione e produrre risposte. Nel frattempo, «si tratta di prevedere d’urgenza l’apertura di percorsi autorizzati e sicuri per chi lascia il territorio di nascita, di cittadinanza o di residenza – in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali, climatiche o economiche». Un corridoio umanitario tra Africa e Ue, sotto tutela Onu, per scongiurare nuove tragedie. Del resto, l’Europa è già presente in Libia: perché non fa niente per contrastare il traffico di esseri umani?Spinelli, Padoan e Viale chiedono «canali di ingresso legale», in cui «un sistema di traghetti e voli charter sostituisca le carrette del mare», e in cui l’Onu e l’Ue presidino ogni snodo di partenza e di transito per «identificare, tutelare e dotare i profughi di visti provvisori», per poi «smistare gli arrivi fra i vari porti e aeroporti attrezzati per l’accoglienza, così da governare razionalmente la distribuzione sul territorio europeo dei singoli e delle famiglie», mettendo fine all’assedio degli abitanti di Lampedusa, costretti a supplire, con grande generosità, «l’abissale assenza dello Stato e dell’Unione Europea». Più in generale, «l’Italia e tutti i popoli del Sud Europa non possono più essere lasciati soli nel gravoso compito dei soccorsi in mare». Poi occorre assicurare libertà di movimento, garantire ai profughi «la libertà di scegliere dove vivere e la libertà di riannodare i propri affetti». Serve anche il “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo: «Chiunque si trovi nello spazio europeo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, deve poter godere del pieno esercizio di pari diritti». Per questo, i firmatari chiedono «la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti e profughi, comunque si chiamino, che configurano una forma di detenzione extra ordinem».Barbara Spinelli, Daniela Padoan, Guido Viale e chiedono che l’Ue si impegni a facilitare richieste e visti, «per chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione o di rischio per la vita», grazie a una normativa «capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati», a cominciare dalla protezione del diritto di transito. Problema ancor più drammatico per i minori non accompagnati, quasi 6.000 in Italia negli ultimi 18 mesi: «Molti di loro sono trattenuti da mesi in strutture inadeguate, che non prevedono percorsi di formazione né di integrazione». Poi, l’istituzione dello “ius soli”, per assicurare la cittadinanza europea ai figli dei migranti nati nei nostri paesi. Obiettivo finale: una “pax mediterranea”, dopo la “guerra infinita” prodotta dall’attuale geopolitica occidentale, prima responsabile delle crisi che determinano il flusso dei rifugiati. Servono nuovi strumenti politici per governare l’esodo: «Basti pensare al fatto che se accogliessimo davvero i profughi, dando loro possibilità di avere voce e diritti, si creerebbe forse in Europa una “terza forza” in grado di rappresentare il rispettivo paese – per esempio la Siria, la Repubblica Centrafricana, l’Eritrea e tutti i paesi del Corno d’Africa – in un eventuale negoziato, più e meglio dei cosiddetti governi in esilio, che talvolta sono puri fantocci».La crisi migratoria, concludono i firmatari, mostra quanto sia urgente una politica estera europea, «attualmente impedita non solo da sterili sovranità nazionali gelosamente custodite, ma anche dalla sudditanza dell’Unione Europea alla Nato e agli Usa, che sono spesso all’origine dei conflitti che deflagrano nel mondo e soprattutto ai nostri confini». L’Europa è tutt’altro che innocente: tra i primi dieci esportatori mondiali di armi figurano Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Svezia. «Partner di questo lucroso commercio sono in gran parte proprio i paesi dai quali le persone sono costrette a fuggire per mettersi al riparo da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e soppressione delle libertà democratiche. Poiché i rifugiati sono il prodotto della guerra, noi, cittadini d’Europa, chiediamo che la nostra pace non sia una retorica né un privilegio di asserragliati, ma si declini in politiche solidali capaci di includere i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e l’Africa».Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.
-
Ai vertici dell’Ue una banda di criminali: processateli
Le politiche di austerità, gli aggiustamenti strutturali, le privatizzazioni imposte agli Stati membri dai vertici Ue, ovvero dalla cosiddetta Troika (Bce, Fmi e Commissione) stanno infliggendo privazioni insostenibili a milioni di cittadini. In Italia, non meno che in Grecia, Spagna e Portogallo, la disoccupazione è alle stelle. Il Pil ha perso oltre 10 punti rispetto al 2007. La combinazione di micidiali indicatori come la deflazione (crollo dei prezzi), la domanda stagnante e la crescita-zero sta portando le rispettive economie, a cominciare dalla nostra, verso il disastro. Errori? No: crimini. Lo sostiene un gruppo di giornalisti e politici greci, che a fine 2012 ha inoltrato alla Corte Penale Internazionale dell’Aja una denuncia per “sospetti crimini contro l’umanità” a carico dei vertici della Troika: il presidente della Commissione Europea, Barroso, la direttrice del Fmi, Lagarde, del presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, nonché della cancelliera Angela Merkel e del suo ministro delle finanze Wolfgang Schäuble.A sua volta, aggiunge Luciano Gallino in un intervento su “Repubblica” ripreso da “Micromega”, un’attivista tedesca nel campo dei diritti umani, Sarah Luzia Hassel, appoggiava la denuncia con una documentatissima relazione circa le azioni compiute dalle citate istituzioni a danno sia della Grecia che di altri paesi, europei e no. «Tutte azioni suscettibili di venir configurate addirittura come crimini contro l’umanità, ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale dell’Aja». Si va dalla liquidazione della sanità pubblica alle politiche agricole che hanno affamato milioni di persone, dalla salvaguardia del sistema finanziario a danno dei cittadini ordinari alle ristrette élite che influenzano le decisioni delle istituzioni stesse, fino agli interventi nel campo del lavoro e della previdenza atti a ledere basilari diritti umani. Un terzo documento, infine, che accusa i vertici Ue di gravi forme d’illegalità, è stato pubblicato a fine 2013 dal centro studi di politiche del diritto europeo di Brema, su richiesta della Camera del Lavoro di Vienna.Documenti che «giacciono tuttora nei cassetti dei destinatari», benché rinverditi da clamorose denunce come quella della rivista medica “Lancet” «circa i danni che sta infliggendo alla popolazione la crisi della sanità in Grecia per via delle misure di austerità imposte dalle istituzioni Ue». In pratica, «chi soffre di cancro non riesce più a procurarsi le medicine necessarie, divenute troppo costose», e «la quota di bambini a rischio povertà supera il 30%». In Grecia sono ricomparse, dopo quarant’anni, malaria e tubercolosi, mentre i suicidi sono aumentati del 45% e chi fa uso di droga non dispone più di siringhe sterili distribuite dal sistema sanitario, per cui utilizza più volte la stessa siringa. Risultato: i casi di infezione Hiv rilevati sono ormai centinaia. Attenzione: «L’Italia, insieme con Spagna, Portogallo e Irlanda, appare avviata sulla stessa strada della Grecia», avverte Gallino.Il sistema sanitario nazionale italiano è alle corde: «Anche da noi i tempi di attesa per le visite specialistiche si sono allungati sovente di molti mesi perché i medici che vanno in pensione non sono rimpiazzati». Inoltre, le prestazioni sono sempre più costose, al punto che molti rinviano le analisi o «rinunciano a visite mediche o esami clinici perché i ticket hanno subito forti aumenti e non riescono più a pagarli». Paradossale: «Coloro che vanno in un laboratorio convenzionato si sentono dire che se scelgono la tariffa privata spendono meno del ticket». Senza contare che «molte famiglie non riescono più a mandare i bimbi all’asilo o alla scuola materna perché i posti sono stati ridotti, o la retta è aumentata al punto che non possono farvi fronte».La Grecia è vicina, ammonisce il rapporto di “Lancet”: «Se le politiche adottate avessero effettivamente migliorato l’economia, allora le conseguenze per la salute potrebbero essere un prezzo che val la pena di pagare. Per contro, i profondi tagli hanno avuto in realtà effetti economici negativi, come ha riconosciuto perfino il Fmi». In altre parole, riassume Gallino, non soltanto i vertici Ue hanno dato prova, con le politiche economiche e sociali che hanno imposto, di una «scandalosa indifferenza per le persone che vi erano soggette», ma queste sciagurate politiche «si sono pure dimostrate clamorosamente sbagliate». Nel 2008, diversi giuristi americani ed europei parlarono di “crimini economici contro l’umanità”, commessi dai dirigenti dei maggiori gruppi finanziari. Ma nel caso della crisi europea non si tratta più di attori privati (banchieri-pirati), bensì dei massimi esponenti della dirigenza pubblica della Ue, cui è stato affidato l’oneroso impegno di presiedere ai destini di 450 milioni di persone ai tempi della crisi.I vertici dell’Ue «hanno mostrato anzitutto una clamorosa incompetenza della gestione della crisi», e hanno scelto di «favorire gli interessi dei grandi gruppi finanziari andando contro agli interessi vitali delle popolazioni». Di fatto, «hanno dato largo ascolto alle maggiori élite europee, e in più di un caso ne fanno parte». Soprattutto, «hanno mostrato di non tenere in alcun conto le sorti delle persone cui si dirigevano le loro politiche». Stando al documento di Brema, le violazioni dei diritti umani compiute dai vertici Ue, in spregio agli stessi trattati dell’Unione, potrebbero essere portate davanti a varie corti e istituzioni europee, nonché davanti a organizzazioni internazionali quali l’Onu e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Domanda: «È mai possibile che non siano chiamati a rispondere per nulla delle illegalità non meno che degli errori che hanno commesso, e delle sofferenze che hanno causato con l’indifferenza se non addirittura il disprezzo dimostrato verso le popolazioni colpite?».Le politiche di austerità, gli aggiustamenti strutturali, le privatizzazioni imposte agli Stati membri dai vertici Ue, ovvero dalla cosiddetta Troika (Bce, Fmi e Commissione) stanno infliggendo privazioni insostenibili a milioni di cittadini. In Italia, non meno che in Grecia, Spagna e Portogallo, la disoccupazione è alle stelle. Il Pil ha perso oltre 10 punti rispetto al 2007. La combinazione di micidiali indicatori come la deflazione (crollo dei prezzi), la domanda stagnante e la crescita-zero sta portando le rispettive economie, a cominciare dalla nostra, verso il disastro. Errori? No: crimini. Lo sostiene un gruppo di giornalisti e politici greci, che a fine 2012 ha inoltrato alla Corte Penale Internazionale dell’Aja una denuncia per “sospetti crimini contro l’umanità” a carico dei vertici della Troika: il presidente della Commissione Europea, Barroso, la direttrice del Fmi, Lagarde, del presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, nonché della cancelliera Angela Merkel e del suo ministro delle finanze Wolfgang Schäuble.
-
Bombe e stragi: così Israele spiega la prossima guerra
Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.Non è il tema di un war-game apocalittico. Sono parole autentiche, pronunciate l’11 ottobre 2013 dal capo supremo delle Israel Defence Forces, il luogotenente generale Benny Gantz. Il generale spiega così le modalità della “prossima guerra” che attende lo Stato ebraico, e lo fa di fronte agli studenti assiepati nel centro di studi strategici Begin-Sadat, ospitato nel campus dell’università Bar Ilan, vicino a Tel Aviv. Ha parlato a braccio, riferisce Roy Tov su “The Truth Seeker”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Avvertimento all’opinione pubblica: non rilassatevi, il nemico ci minaccia sempre e oggi dispone di nuove capacità operative, niente più scontri frontali tra eserciti ma insidiose azioni di guerriglia, con combattenti mescolati ai civili. Per Israele, conterà «la prova delle azioni», cioè – tanto per cambiare – la capacità di colpire duro e senza esitazioni. Il generale anticipa lo scenario studiato dai suoi strateghi: Hezbollah sparerà salve di razzi sulla Galilea, colpendo le città, mentre le milizie jihadiste «proveranno ad annientare i posti di blocco al confine con Gaza». Forti contraccolpi anche nelle retrovie: una vasta guerra cibernetica coinvolgerà i sistemi militari e anche quelli civili.Il capo di stato maggiore di Israele ammette di temere molto le insidie dell’informatica, che potrebbero paralizzare sistemi di difesa e persino i grossi carri armati Merkava, dotati di sofisticate tecnologie. Degno di nota, secondo “Truth Seeker”, il fatto che egli abbia completamente ignorato il ruolo dell’Iran: un “problema” in più, dopo la crescita della difesa missilistica di Teheran, o è solo diplomazia dopo i primi storici contatti tra Obama e Rohani? Resta, in ogni caso, la vergogna incancellabile della guerra sporca, cioè di ogni vera guerra: «In certi casi – ammette il generale – la potenza di fuoco che affronteremo non ci permetterà di distinguere appieno tra civili e terroristi, e questa confusione si esprimerà operativamente con risultati indesiderabili, che purtroppo costituiscono un elemento integrante della guerra». I famosi “danni collaterali”: la solita macelleria di civili, donne e bambini. Il generale Gantz ha annunciato tranquillamente che continuerà a permettere l’attacco militare contro civili disarmati. «A un generale serbo che avesse rilasciato una simile dichiarazione sarebbe stata mostrata la strada per la Corte internazionale di giustizia», rileva Roy Tov. Ma, evidentemente, «Israele è al di sopra della legge».Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.