Archivio del Tag ‘atlantismo’
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Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta
Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
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Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi
Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
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Sisci: prima la Brexit, il nostro futuro si deciderà a Londra
Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è eplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.Comunque, spiega Sisci, alla Brexit si è arrivati per errore: David Cameron voleva solo rinegoziare, con Bruxelles, per trasformare il Regno Unito in un ponte europeo tra Usa e Cina. E come sappiamo, non ci è riuscito. La minaccia della Brexit, ricorda l’analista, è stata un’idea di Cameron per strappare più concessioni dall’Ue nel 2016. «Il piano di Cameron non era quello di uscire dall’Ue, ma di mostrare la consistenza, che si supponeva ingente ma non maggioritaria, dei pro-Brexit. Il referendum sarebbe fallito con un piccolo margine, e questo avrebbe dato a Cameron la possibilità di negoziare con Bruxelles da una posizione rafforzata». Un azzardo pericoloso, come si è visto. Ma perché rischiare? Qual era l’obiettivo? «Dietro c’era un altro piano, ammirevole per la sua ambizione e visione: trasformare la Gran Bretagna nel prossimo crocevia di scambi tra Stati Uniti, Ue e Cina. Per realizzarlo – spiega Sisci – Cameron aveva bisogno di ottenere più diritti speciali dall’Ue. Il Regno Unito avrebbe fatto da facilitatore su ogni lato del triangolo». Invece, il referendum del 23 giugno 2016 ha cambiato tutto.«Il piano è fallito miseramente, e non solo per il referendum. Un altro lato del triangolo è franato: i legami Usa-Cina stavano peggiorando. Nel 2016, l’America stava diventando molto nervosa con la Cina su questioni commerciali, ma anche strategiche e di diritti umani, e Donald Trump è arrivato al potere alla fine del 2016 giurando di rinegoziare il commercio con Pechino». Ma senza un risultato positivo sulla Brexit, riassume Tedesco sul “Sussidiario”, Londra non aveva più un ruolo speciale per discutere migliori accordi tra Cina, Ue e Stati Uniti. «L’ambizioso piano britannico aveva bisogno di rapporti scorrevoli su ogni lato dell’architettura di comunicazioni economico-commerciali tra Regno Unito, Ue, Stati Uniti e Cina», conferma Sisci. E quei rapporti «si erano ormai incrinati su più lati». Da quel momento in poi, continua l’analista, «la Gran Bretagna ha proseguito il suo progetto per uscire dall’Ue, ma senza un piano chiaro». E cioè: «Senza sapere molto bene cosa avrebbe ottenuto, lasciando l’Unione». Era tuttavia molto chiaro ciò che il Regno Unito, lasciando l’Ue, avrebbe perduto. E questo dilemma «ha provocato l’attuale, profonda spaccatura nella politica britannica».Molti parlamentari inglesi oggi «vorrebbero trovare un modo per uscire dal pasticcio, evitare la Brexit vera senza perdere troppo la faccia», aggiunge Sisci. «Johnson, evidentemente, lo percepisce e lo sa, e sente che l’unico modo per arrivare alla Brexit è aggirare il Parlamento». Ci riuscirà? «Non lo sappiamo. Ma questa decisione è un duro doppio colpo per l’architettura politica del Regno Unito e dell’Unione Europea». I due sistemi come accuseranno la botta? E cosa farà il resto del mondo? Finora è rimasto sconvolto davanti al duello commerciale tra Cina e Stati Uniti. In che modo il dramma britannico interferirà con esso? Alla luce di tiutto questo, continua Sisci, «si capisce bene perché gli Stati Uniti e l’Ue hanno visto con preoccupazione l’attuale crisi politica italiana, che stava conducendo il paese a caotiche elezioni anticipate: preferirebbero che l’Italia si stabilizzasse con una certa parvenza di governo, come lo è il nuovo governo di coalizione possibile tra M5S e Pd». Insomma, l’ultima cosa che gli Stati Uniti e l’Unione Europea volevano, mentre si trovavano di fronte al dramma britannico, era «impantanarsi in un incomprensibile complotto italiano con riverberi europei e globali», anche se Salvini rappresentava pur sempre, almeno virtualmente, una spina nel fianco del sistema di potere oligarchico che si ripara dietro l’Ue, imponendo il massimo rigore a paesi come l’Italia. E ora?«Sicuramente – ragiona Sisci – anche un euroscettico americano vede che la leadership franco-tedesca in Europa sarebbe rafforzata dall’uscita frenetica e indisciplinata della Gran Bretagna dall’Ue, e ciò rappresenterebbe un forte freno contro qualsiasi paese dell’Unione che aspettasse il momento giusto per lasciarla». In passato, gli Usa «sostenevano la Brexit per indebolire la Ue», e questo «è comprensibile», ma il caos britannico di questi giorni «nei fatti rafforza l’Unione», e ciò «pone gli Usa davanti a un bivio». Ovvero: «Se gli Stati Uniti guidassero una qualche forma di riconciliazione tra Regno Unito e Ue, Washington dimostrerebbe a Bruxelles che ancora una volta l’Unione Europea ha bisogno dell’America e che gli europei da soli non sanno badare a se stessi». Per Sisci, «potrebbe essere un’occasione d’oro per Trump di riscattare un importante punto d’appoggio politico in Europa». E se invece gli Stati Uniti sosterranno la Hard Brexit, che oggi forse è una posizione minoritaria nel Regno Unito? Una simile scelta «potrebbe minare ulteriormente il ruolo americano nel vecchio continente». E questo, avverte Sisci, «a sua volta potrebbe avere conseguenze enormi anche con la Cina, poiché Pechino potrebbe vedere una debolezza degli Stati Uniti in Europa e forse trarne vantaggio». Dopotutto, la “Belt and Road Initiative” termina in Europa.E in questo contesto terremotato, che potrebbe accrescere l’egemonia Usa sull’Europa, che fine farà l’Italia? «Con i suoi intrighi incomprensibili», il Belpaese «non deve rompere le scatole». E’ meglio che si rassegni a «fare la legge di bilancio». Poi «se ne riparla a fine anno o all’inizio del 2020, quando la questione Brexit si sarà chiarita». Il tweet di Trump come endorsement a Conte? «E’ chiaro che c’è un interesse americano e franco-tedesco a non avere i pasticci italiani fra i piedi», afferma Sisci, secondo cui non c’è un vero sostegno per Conte. Semmai c’è una debolezza di Salvini, «che non si è reso conto di come certe sue azioni e agende “sovraniste” andassero contro interessi molto generali, in Europa e oltre Atlantico». In questa fase, aggiunge l’analista, gli Stati Uniti e l’Ue vedono Pd e 5 Stelle come l’ultimo dei problemi: «In questo momento, il mondo non vuole dall’Italia controversie incomprensibili». Se però il Pd rappresenta il vecchio establishment europeista, anti-italiano e dunque “affidabile” per i dominatori di Bruxelles, la stampa internazionale appare molto confusa sui 5 Stelle: «È concorde solo nel vederne la debolezza intellettuale e progettuale». E comunque, attenzione: «Ricordiamoci che l’obiettivo era non avere elezioni e una crisi politica italiana in coincidenza con la Hard Brexit».Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è esplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.
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Terrore e menzogne: tutto, purché l’Italia non rialzi la testa
Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.Dopo 18 anni, tuttavia, a tener banco è ancora la verità ufficiale: aerei dirottati da fanatici islamisti ispirati da Osama Bin Laden, l’ex socio dei Bush ed ex fiduciario della Cia che poi il signor Obama ha raccontato al mondo di aver fatto assassinare il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, da un reparto speciale di Navy Seals poi stranamente morti a loro volta, abbattuti da fuoco amico a Kabul. Spesso si evita di mettere in relazione l’11 Settembre, e quindi la conseguente devastazione del mondo tuttora in corso a suon di guerre, con l’evento quasi altrettanto simbolico che lo precedette: l’inaudito delirio di violenza esploso al G8 di Genova, due mesi prima. A indicare la connessione è Wayne Madsen, all’epoca dirigente della Nsa: Madsen sostiene che la strategia della tensione affidata ai misteriosi black bloc, accuratamente preparata dalla National Security Agency, doveva servire a stroncare una volta per tutte il caotico movimento NoGlobal, di cui l’élite finanziaria pare avesse una gran paura.Fu casuale la scelta di provocare quella mattanza proprio in Italia? Il nostro paese era già stato durissimamente colpito dal terrorismo, incluso quello delle stragi nelle piazze, fino all’epilogo del sequestro Moro: fu allora immolato un politico grigio ma tenace, che in fondo incarnava l’irriducibile diversità italiana, inconciliabile con il progetto turbo-mercantile in cantiere, truccato da europeismo. Non doveva sopravvivere, l’anomalia italiana, con la sua economia-boom sorretta dal decisivo volano pubblico dell’Iri, il complesso industriale più grande d’Europa. Nel romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale Francesco Cossiga si complimentò con l’autore, Giuseppe Genna, si mette in luce un dettaglio inquietante: il nesso tra i “sacrifici rituali di bambini” e l’omicidio politico. Oscura “firma” di sapore occulto, contro-iniziatico, a marcare il ricorso al terrorismo come “instrumentum regni”, in particolare contro l’Italia, dai tempi di Enrico Mattei.Quella dell’11 Settembre fu una strage immane: 3.000 morti nel crollo delle torri, più altre 12.000 vittime accertate nei giorni e mesi seguenti, a causa della nube d’amianto che avvolse i quartieri circostanti. E’ umanamente concepibile, un ipotetico auto-attentato di quelle proporzioni? Purtroppo sì, dicono i dietrologi: viceversa, il clan Bush non sarebbe mai riuscito a mobilitare l’opinione pubblica americana a supporto della “guerra infinita” scatenata in Afghanistan e in Iraq, che ha aperto le porte dell’attuale inferno quotidiano, estesosi in paesi come la Libia e la Siria. A Palazzo Chigi, dal 2001, si sono alternati Berlusconi e Prodi, quindi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. Tutti governi che si sono mossi al di sotto della politica, all’ombra di tabù intoccabili: l’insindacabilità del Sacro Romano Impero franco-tedesco e l’altrettanto indicibile verità-ombra che sembra annidarsi dietro i sinistri eventi che aprirono il millennio, la follia di Genova e la mostruosa carneficina andata in scena a New York.Oggi l’Italia è alle prese con le consuete, deprimenti cronachette politiche, affidate all’estro di statisti del calibro di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti. Nelle retrovie della tifoseria svettano Giorgia Meloni e Alessandro Di Battista, mentre a Matteo Salvini viene imputato l’assurdo crimine di aver aperto una crisi politica insensata, tale da mandare a casa il glorioso, formidabile governo gialloverde. Eppure, anche se sembra impossibile, tutta l’Europa guarda all’Italia. L’Europa e non solo: se la Russia di Putin è stata tirata in ballo in modo tragicomico dall’improbabilissimo Russiagate, proprio il Belpaese è conteso da Usa e Cina, ad esempio per le implicazioni anche geo-strategiche dell’affare Huawei inerente la rete wireless 5G. Più in generale, l’Italia politica aveva comunque fatto notizia, a livello internazionale, un anno fa, varando l’unico governo europeo teoricamente all’opposizione di Bruxelles, dopo l’opaco terrorismo casalingo dell’Isis nel vecchio continente, e prima ancora della quasi-insurrezione francese dei Gilet Gialli.Tanta preoccupazione per gli sviluppi nazionali italiani suggerisce l’idea, solo in apparenza stravagante, che il nostro disastrato e meraviglioso paese sia in qualche mondo centrale, per il futuro del mondo, secondo una drastica linea di discrimine: la verità, una volta per tutte, oppure la menzogna, ancora e sempre. Quando l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del pianeta, con Craxi a Palazzo Chigi, lo Stato era ancora sostanzialmente catto-consociativo, governato largamente dalla Dc ma co-gestito dal Pci. Forte della maggior presenza industriale pubblica del continente, il nostro era il paese più strano d’Europa: prospero e risparmiatore, politicamente stabile nonostante l’enorme instabilità dei singoli governi, lealmente atlantista ma non ostile all’Urss, apertamente filo-arabo senza però mai essere anti-israeliano. Il paese dei record, nonostante le sue piaghe storiche: divario Nord-Sud, elevata corruzione, mafia, dilagante evasione fiscale. Un paese pericoloso, per i concorrenti: resiliente, pieno di contraddizioni e di eccellenze, virtualmente indistruttibile. Dunque una nazione da piegare, da sottomettere, possibilmente con l’immancabile complicità dell’establishment nazionale.C’era quasi riuscito Mario Monti: iper-tassazione, Fiscal Compact, tagli al welfare, legge Fornero sulle pensioni e pareggio di bilancio in Costituzione. Tutte norme ammazza-Italia, scrupolosamente votate dal Pd di Pierluigi Bersani, che oggi – come se niente fosse accaduto, in questi anni – cinguetta soavemente, sostenendo che i mali italici si risolverebbero semplicemente debellando l’evasione, come se (a monte) non esistessero il macigno chiamato Unione Europea e il suo braccio armato, l’Eurozona, cui la Germania aderì su pressione della Francia solo a patto di ottenere in cambio lo scalpo industriale dell’Italia. In questi mesi turbolenti e mediocri, gli estimatori dei tanti Bersani d’Italia (i Saviano, i Fazio, gli Scalfari) non hanno trovano di meglio che dare del fascista a Salvini, tifando per il nemico di turno dell’Italia (Macron) nella speranza che riuscisse a disarcionare il puzzone, l’orco, l’usurpatore del potere regio. Nemmeno Salvini si è elevato, peraltro: agitando crocifissi nei comizi non è riuscito a sovrastare gli infimi avversari, l’ipocrita congrega finto-buonista che friggeva all’idea di aver perso le antiche poltrone, regalate (al barbarico leghista e all’indecente scolaresca dei grillini) da elettori semplicemente esasperati, traditi e abbandonati a se stessi, nauseati dalla sedicente sinistra.Campioni del mondo nell’arte della truffa, i 5 Stelle hanno evitato accuratamente di indicare la causa del problema-Italia. Salvini l’ha fatto, fermandosi però alle parole: questo è bastato, comunque, a trasformarlo in un bersaglio. Il capo della Lega è l’unico a non aver barato: Berlusconi aveva solo finto di voler avviare una grande riforma liberale, e Prodi – peggio ancora – aveva venduto agli italiani le meravigliose sorti e progressive di Eurolandia, cioè la condanna al rigore eterno. Salvini almeno evita di raccontare bugie, ma non è sufficiente. E la verità – tutta la verità – richiede una statura speciale, perché non può che passare per gli infami snodi irrisolti che stanno alla base dell’infausto esordio del terzo millennio: a partire dalla madre di tutte le menzogne, la versione ufficiale sull’11 Settembre. In parte, gli economisti progressisti reclutati dalla Lega – Bagnai, Rinaldi – hanno sdoganato intere parti della verità più imbarazzante, come il divorzio Tesoro-Bankitalia che trasformò di colpo il virtuoso debito pubblico italiano in tragedia nazionale. Ma è come se all’Italia, oggi, si chiedesse altro: la capacità di rialzare la testa, con un atto di coraggio che smonti l’unica vera arma – la paura – su cui si basano le oscure forze che hanno progettato l’11 Settembre e le sue guerre, l’Isis e la cosiddetta crisi, ben orchestrata dall’attuale regime finanziario e antisociale che si nasconde dietro il profilo istituzionale dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Terrore, ricatti e menzogne: purché l’Italia non rialzi la testa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 agosto 2019).Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.
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Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.
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Italia contesa: Macron e Merkel (Pd-M5S) contro Usa (Lega)
Una crisi di governo che ha anche il sapore di uno scontro internazionale. Il voto sulla nomina del nuovo presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva già chiarito quale fosse la linea di faglia tra Lega e Movimento Cinque Stelle in campo internazionale. Da una parte il partito di Matteo Salvini, profondamente incastonato su posizioni atlantiche e orientato all’asse con l’amministrazione Trump in un’ottica anti-europea e legato allo schieramento sovranista mondiale. Dall’altra parte il Movimento 5 Stelle, che sposa invece la linea della moderazione, incentrata sul sostegno alla von der Leyen e che ha ribadito, proprio con il discorso di Giuseppe Conte in Senato, la concezione dei due pilastri su cui si fonda la linea internazionale pentastellata: Europa e alleanza atlantica. Due visioni non per forza contrapposte, ma che in questo periodo si sono sempre più polarizzate. All’ombra della crisi di governo, si staglia infatti uno scontro di rilevanza internazionale che nella contesa del Senato si è manifestata in tutte le sue forme. Con l’Unione Europea, questa Unione Europea, a esser l’epicentro di una crisi nazionale che ha il sapore di un redde rationem di matrice internazionale. E non a caso è proprio dagli Stati Uniti che è arrivato il placet a Salvini per scatenare una crisi di governo che nasce da questioni interne ma che ha profonde motivazioni strategiche.Come spiegato più volte in queste settimane, Washington è apparsa molto delusa dal governo gialloverde. E il voto finale sulla von der Leyen è stata una sorta di dichiarazione di voto generale sulla direzione che avrebbe intrapreso questo esecutivo nel prossimo futuro. Nel momento in cui l’amministrazione Trump ha chiesto una netta presa di posizione nei confronti dell’asse franco-tedesco, Conte ha scelto un’altra strada: quella promossa proprio da Angela Merkel e Emmanuel Macron. Un cambiamento rispetto ad alcune battaglie pentastellate che è stato confermato dallo scontro frontale a Palazzo Madama, dove il premier ha ribadito quella scelta mentre il leader della Lega, ricordando punti tipici di tutti i programmi sovranisti europei (su cui Trump è pienamente concorde), ha parlato di un’Italia libera dai vincoli dell’Europa sia sul fronte migratorio sia su quello economico e finanziario. Solo alcuni passaggi, che però hanno chiarito come una delle grandi questioni su cui è nata questa crisi agostana è stata proprio Bruxelles, sul cui trono c’è una Ursula von der Leyen che ha già fatto capire in tutti i modi di discostarsi completamente dal fronte sovranista e che di fatto ha sconfessato pienamente la Lega all’interno dell’esecutivo italiano.Il richiamo all’alleanza “Ursula” non è semplicemente una definizione giornalistica sul possibile nuovo governo giallorosso Pd-5 Stelle. C’è qualcosa di più profondo in quella terminologia: è proprio il “sistema Ursula” a essere in gioco, che significa l’Unione Europea a trazione franco-tedesca e gli interessi della Cina. Da una parte c’è la Lega filo-atlantica cui è arrivata la condanna di Macron e Merkel, la benedizione di Trump e la ridondante accusa di legami con il Cremlino fissata nello schema del Russiagate. Il Carroccio guidato da Salvini rappresenta quel blocco che si oppone a una certa logica europeista che si basa al contrario sul rafforzamento dell’alleanza tra Parigi e Berlino quali nuclei dell’Ue, sul fronte comune anti-Trump e anti-Putin, e che strizza l’occhio alla Cina con investimenti che però mirano ad arricchire solo una parte del vecchio continente. In questo fronte si è unito anche il Movimento 5 Stelle, che ha palesato la condivisione di questa strategia con due mosse: il memorandum per la Nuova Via della Seta e il voto a favore della von der Leyen. Due mosse apprezzate e condivise proprio dal Partito Democratico, visto che quando era al governo ha fatto il possibile per includere Roma nel progetto cinese della One Belt One Road, che ha contrastato in tutti i modi l’attuale amministrazione americana e russa e che, infine, ha pienamente sostenuto nell’ambito del Partito Socialista Europeo, il voto alla von der Leyen. Di fatto, in politica estera, l’alleanza Ursula è già un realtà. Pd e Cinque Stelle si trovano già sulla stessa barricata e hanno già isolato la Lega per convergere nel grande gioco europeo.(Lorenzo Vita, “Con Trump o con l’Ue, la vera crisi di governo”, dal “Giornale” del 21 agosto 2019).Una crisi di governo che ha anche il sapore di uno scontro internazionale. Il voto sulla nomina del nuovo presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva già chiarito quale fosse la linea di faglia tra Lega e Movimento Cinque Stelle in campo internazionale. Da una parte il partito di Matteo Salvini, profondamente incastonato su posizioni atlantiche e orientato all’asse con l’amministrazione Trump in un’ottica anti-europea e legato allo schieramento sovranista mondiale. Dall’altra parte il Movimento 5 Stelle, che sposa invece la linea della moderazione, incentrata sul sostegno alla von der Leyen e che ha ribadito, proprio con il discorso di Giuseppe Conte in Senato, la concezione dei due pilastri su cui si fonda la linea internazionale pentastellata: Europa e alleanza atlantica. Due visioni non per forza contrapposte, ma che in questo periodo si sono sempre più polarizzate. All’ombra della crisi di governo, si staglia infatti uno scontro di rilevanza internazionale che nella contesa del Senato si è manifestata in tutte le sue forme. Con l’Unione Europea, questa Unione Europea, a esser l’epicentro di una crisi nazionale che ha il sapore di un redde rationem di matrice internazionale. E non a caso è proprio dagli Stati Uniti che è arrivato il placet a Salvini per scatenare una crisi di governo che nasce da questioni interne ma che ha profonde motivazioni strategiche.
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Buone ragioni per fare la crisi, con la benedizione degli Usa
L’analisi delle vicende politiche è analisi della rete e dell’interazione dei rapporti tra forze e interessi internazionali e intranazionali, non di gusti morali dei soggetti decisori. La politica è l’arte del possibile e l’elaborazione delle scelte politiche si basa sulla stima del fattibile alla luce di informazioni incomplete e con molte variabili. Al popolo però si dirà: I have a dream, Yes we can, I care, Change! L’Italia è un paese militarmente occupato dal 1945 ad opera degli Usa con 134 basi; il Pentagono ha vasti mezzi (“slush fund”) per tenere a libro paga i vertici militari dei paesi sottomessi onde assicurarsi la loro “compliance” (i militari di professione combattono per chi li paga). Inoltre l’Italia non controlla la propria moneta legale e riceve gran parte della sua legislazione e delle regole per il bilancio da organismi esterni europei, esponenziali di interessi franco-tedeschi. E’ una sorta di protettorato, di fatto e di diritto. Credere che possa fare una politica interna sovrana è come credere che i bambini siano portati dalla cicogna.Salvini, che ho conosciuto personalmente, non è pazzo né stolto né avventato né privo di consiglieri. Se ora ha deciso di far cadere il governo, presumibilmente ha prima ricevuto assicurazioni precise che le cose andranno in un modo accettabile e non disastroso, ossia non verso un nuovo colpo di Stato e un nuovo governo tecnico di saccheggio guidato da un Reichskommissar. Tali assicurazioni (“Matteo, sta’ sereno!”) possono essere venute solamente da Washington, dalla potenza egemone e militarmente controllante, anche sul Quirinale; esse sono state rese possibili dalla virata atlantista fatta dalla Lega quando Trump lo ha richiesto – virata peraltro senza alternative, stante la soggezione dell’Italia agli Usa e al sistema del dollaro.È abbastanza verosimile che, negli ultimi tempi, Salvini, soprattutto tramite Giorgetti, abbia negoziato un accordo con Washington e con l’asse franco-tedesco nel senso di togliere dal governo il M5S, siccome forza ritenuta socialistoide, antiamericana, pasticciona e velleitaria in economia, inidonea a trovare un modus vivendi col sistema dato di potere, essenzialmente finanziario con orientamento non espansivo. Si tratta, insomma, di liberarsi dai grillini e fare un nuovo governo più compatibile col contesto internazionale, che permetta la tranquillità e la stabilità necessarie ai ceti produttivi che sostengono la Lega e – non dimentichiamo – il reddito nazionale. Vedremo presto se quest’ipotesi sarà confermata o no.Concordo con la valutazione di Diego Fusaro, ossia che dalla combinazione dei programmi di Lega e M5S poteva venire l’innovatività necessaria per un cambiamento contro il sistema dato (un cambiamento non strutturale, però, perché i capi del M5S avevano già da anni silenziato la questione monetaria); ma il sistema dato è una controparte troppo forte per il governo gialloverde e per la stessa Italia, quand’anche fosse unita in quella impresa. Perciò bisogna scendere a compromessi, applicare l’arte del fattibile e la scelta del minore dei mali. Ad ogni modo, la compagine proprietaria del M5S ha, per ora, esaurito la sua missione inespressa, quella di raccogliere e indirizzare la protesta antisistema di sinistra. Infatti è venuta allo scoperto e ha fatto eleggere Ursula von der Leyen.(Marco Della Luna, “Matteodicea, buone ragioni per fare la crisi”, dal blog di Della Luna del 10 agosto 2013).L’analisi delle vicende politiche è analisi della rete e dell’interazione dei rapporti tra forze e interessi internazionali e intranazionali, non di gusti morali dei soggetti decisori. La politica è l’arte del possibile e l’elaborazione delle scelte politiche si basa sulla stima del fattibile alla luce di informazioni incomplete e con molte variabili. Al popolo però si dirà: I have a dream, Yes we can, I care, Change! L’Italia è un paese militarmente occupato dal 1945 ad opera degli Usa con 134 basi; il Pentagono ha vasti mezzi (“slush fund”) per tenere a libro paga i vertici militari dei paesi sottomessi onde assicurarsi la loro “compliance” (i militari di professione combattono per chi li paga). Inoltre l’Italia non controlla la propria moneta legale e riceve gran parte della sua legislazione e delle regole per il bilancio da organismi esterni europei, esponenziali di interessi franco-tedeschi. E’ una sorta di protettorato, di fatto e di diritto. Credere che possa fare una politica interna sovrana è come credere che i bambini siano portati dalla cicogna.
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Salvini pedina anti-Eni, 5 Stelle anti-Italia. Arriverà Cairo?
L’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica. Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila. E in Italia? “La7”, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica. Chi è stato a raccogliere la registrazione al Metropol? Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi? Nel ’92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale, che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm. Questo comporta una lotta senza esclusione di colpi. Anche il grande capitalismo finanziario, che aveva le sue cuspidi nelle grandi logge scozzesi, adesso è diviso: tutti fanno quello che vogliono, dalle massonerie francesi a quelle tedesche. L’Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro. Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono. Mi riferisco ai 5 Stelle: alcuni sono manovrabili, altri no. E questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito. Qual era? Continuare il lavoro di Monti. L’esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l’accanimento sull’Ilva. Indebolire la seconda potenza industriale europea, già fiaccata dalle privatizzazioni modello Eltsin-Menem-Prodi, fa gola a molti. Non ci vuole un genio per capirlo.Parlo del modello delle privatizzazioni che hanno distrutto i grandi gruppi statali attraverso gli spezzatini finanziari. Eltsin distrusse il patrimonio russo dandone una parte al notabilato vecchio e nuovo, una parte all’ex burocrazia comunista e un’altra parte ai grandi investitori stranieri. Ha fatto scuola. L’Ilva? Siamo arrivati al colpo finale: se chiudono l’Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito. A quel punto, il M5S non serve più. All’Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall’interno del Ppe. Finora, Salvini ha dato allo Stato il compito di regolare le migrazioni sottraendole al mercato. Farebbe ancora meglio se di tanto in tanto concedesse di più alla misericordia. Però non basta. La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori. Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l’industria e le Pmi, la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell’imperialismo cinese e salvando così il paese.Quello che è successo al Metropol va attribuito alla superficialità o a una trappola? Le trappole per funzionare hanno bisogno della leggerezza delle loro vittime. Se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida. Fa bene la Lega a intrattenere rapporti così stretti con la Russia? La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. La Dc, da posizioni atlantiste, ha sempre parlato con Mosca. Oggi la Russia ha rispolverato la teoria di Primakov, maestro di Lavrov: il ritorno nei mari caldi. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera. In concreto che cosa significa? Il vassallo ha un suo ruolo: può fare cose che non può fare l’imperatore. Gli Usa non possono avere un rapporto scoperto e destabilizzante con la Russia di Putin, ma è evidentemente interesse dell’America tirare la Russia dalla propria parte contro la Cina. L’Italia deve elaborare e difendere il proprio “interesse prevalente”, come avrebbe detto Dino Grandi. Facendo in modo intelligente da ponte, e combattendo isterismi e ideologie.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Salvini è la pedina di un attacco all’Eni”, pubblicata dal “Sussidiario” il 17 luglio 2019, prima che la crisi gialloverde precipitasse).L’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica. Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila. E in Italia? “La7”, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica. Chi è stato a raccogliere la registrazione al Metropol? Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.
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Magaldi: soldi alla Lega? Ma Putin tifa per quest’orrenda Ue
Ma ve lo vedete Vladimir Putin, cioè l’amicone segreto di Angela Merkel, finanziare sottobanco qualcuno che cerca di smontare quest’Europa – orrenda – messa in piedi proprio dalla cancelliera, con cui il presidente russo condivide l’esclusivo salotto massonico sovranazionale della superloggia Golden Eurasia, non certo progressista? E chi sarebbe, il terribile nemico dell’Unione Europea? Quello stesso Matteo Salvini rassegnato a rinunciare a Paolo Savona e poi a ingoiare il misero 2% di deficit concesso al governo gialloverde? Suvvia: si è rimbecillito, Putin, per promettere 65 milioni di dollari a un politico italiano irrilevante nel gioco europeo, che infatti ora assiste impotente all’ennesimo trionfo dell’asse franco-tedesco che impone ai massimi vertici due gran dame della massoneria reazionaria, Christine Lagarde alla Bce e Ursula Von der Leyen alla Commissione Europea? Se la ride, Gioele Magaldi, di fronte all’impazzimento mediatico tutto italico (e forse anche un po’ francese) per la non-notizia del fantomatico soccorso elettorale russo – in realtà mai avvenuto – che ha l’aria di essere più che altro «una polpetta avvelenata per l’Eni, che insieme all’Enel è rimasto l’unico avamposto nazionale a fare un po’ di politica estera per l’Italia, gestendo grandi interessi, vista la latitanza fantasmatica dei ministri succedutisi alla Farnesina, dove con Moavero Milanesi abbiamo toccato il fondo».
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Da Bossi in poi, i “guerrieri” li sceglie il potere. E li votiamo
La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.In cosa consiste il progetto della sovragestione? Partiamo dall’89, anche se la storia inizia molto, molto prima. Dopo il crollo del Muro di Berlino lo scenario geopolitico internazionale è mutato e il network dei poteri forti ha favorito ufficialmente, e non più sottotraccia, il vento delle nuove destre, ora tecnofinanziarie, ora populiste, ora di centrodestra, ora di centrosinistra, trasversali e apolidi. In Italia Tangentopoli è stato lo spartiacque tra il vecchio sistema oramai in putrefazione e la nuova classe dirigente, è stata l’occasione di aggiornare il sistema in termini dispotici, seguendo un paradigma liberista neocon, neo-aristocratico, di austerity, di svuotamento dell’apparato statale, di destrutturazione dello Stato Sociale, di impoverimento progressivo delle classi sociali; modello perseguito da tutto l’arco politico costituzionale, trasversalmente e senza distinzioni degne di nota. La Sovragestione del progetto di quella che sarebbe diventata la cosiddetta 2° Repubblica nasce molto prima, già prevista alcuni decenni fa; ed era facile previsione, perché dopo 20 anni di future austerity e di politiche economiche anti-statali, anti-sovraniste, di impoverimento del ceto medio, gli elettori si sarebbero naturalmente spostati negli anni verso contenitori populisti.E infatti, e per tempo, è corsa ai ripari, plasmando fin da subito negli anni ‘80 una forza che sarebbe cresciuta negli anni a venire: la Lega Nord, “pensata” dall’ideologo Miglio in contrapposizione proprio a quello statalismo italico, nata come formazione secessionista, anticipando su scala nazionale quell’Europa su due livelli, oggi cruda realtà, quindi cresciuta in un’ottica ed in una visione anti-sovranista, anti-statale e filogermanica. Quello fu il primo baluardo, il primo virus introdotto nel corpo morente italico. Contemporaneamente, fu la volta di Berlusconi che è stato il primo vero populista vincente e aggiornatore del palinsesto culturale, mentre il Pd si occupò della svendita del Belpaese e di inseguire anch’esso politiche liberiste neocon; fino alla creazione dei 5 Stelle, nati come contenitore moderno e di passaggio del dissenso popolare, oggi in crisi e forse al termine di un percorso che li ha visti utili idioti di una Sovragestione che li ha strumentalizzati, utilizzati e poi scaricati.Trent’anni di malapolitica imposta dalla Sovragestione hanno quindi favorito la pancia e la rabbia dell’elettorato che, anche a suon di propaganda divisoria, basata sulla paura e sull’odio, ha premiato oggi partiti come Lega e Fdi. Nessuna sorpresa, è andato tutto come doveva andare, in maniera assolutamente naturale e pacifica, senza alcuna sbavatura. Prossimo passo sarà quello di alzare finalmente l’asticella del consentito, ovvero l’affermazione sempre più ampia delle nuove destre in Europa e in tutti gli Stati che la compongono, diventando la longa manus di quella Sovragestione che da decenni manovra e favorisce mutazioni genetiche, per implementare politiche repressive, avviare la militarizzazione del territorio e aggiornare il sistema proprio in direzione di quell’Ordine Mondiale globalista che alcuni, forse, si sono scordati esista.Il centrosinistra e il centrodestra sono stati utilizzati in questi anni per implementare politiche liberiste e cambiare i connotati culturali, economici e sociali del paese; oggi il macro-potere della Sovragestione conclude il progetto proprio attraverso gli apparenti nemici di sempre, in realtà le sue inconsapevoli sentinelle, oggi preposte ad aggiornare lo stesso sistema di ieri e a renderlo sempre più elitario, sofisticato e potente. E’ la coda che si ricongiunge con la bocca della serpe, i contenitori del dissenso finto-rivoluzionari creati dalla testa per sostituirla e rendere eterno lo schema del potere. Un po’ come tirare una pietra dalla cima di un monte e lasciare che essa crei l’effetto domino della valanga; così funziona la Sovragestione…(Simone Galgano, “Le affinità elettive della sovragestione”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 27 maggio 2019).La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.
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Sapelli: i giudici, Conte e gli omini-Lego comandati da fuori
«Perché a volte abbiamo la sensazione che chi comanda nel governo è Salvini?». «Se all’esterno o a voi stranieri richiama di più l’attenzione il ruolo o l’immagine di Salvini, che ha una grande capacità comunicativa, e credete che nel governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Alla guida del governo ci sono io. E Salvini, come Di Maio, è vicepresidente e leader di una delle due forze politiche». Giuseppe Conte ha risposto così alla domanda di “El País”. Chi comanda politicamente in Italia? Sì, politicamente e basta. Perché la grande innovazione dei sistemi poliarchici con alto gradiente di classi politiche eterodirette, com’è nel caso italico, è quella di autonomizzare sempre più fortemente le classi politiche medesime dalla società civile hegelianamente intesa. Per Hegel – e per Ferguson – la società civile costituisce lo spazio sociale di formazione della proprietà di qualsivoglia forma e dei mercati. Le classi politiche tradizionalmente intese mantenevano e mantengono con la società civile un rapporto costante, che è l’essenza del sistema poliarchico costruito dalle volizioni elettorali che si compongono in un parallelogramma di forze con la logica delle lobby e dei soft power che promanano dalla società civile.La politica economica ordoliberista (Fiscal Compact, deflazione, pilota automatico, debito come peccato irredimibile, distruzione dello Stato sociale) disgrega la società civile ed esalta il ruolo dell’eterodirezione delle classi politiche in qualche modo sempre presente in qualsivoglia sistema politico. La specificità italiana risiede nella frantumazione e debolezza della società civile, colpita dalla bassa dimensione dell’impresa in forma dominante e quindi con scarsissima capacità lobbistica, che tracima nell’aumento di potere delle classi politiche. Ma esse, le classi politiche, non hanno più potere proprio. Donde lo traggono, allora, se vogliono preformare in modo compulsivo, tramite la macchina parlamentare, la società secondo i loro fini? Non lo traggono solo dall’eterodirezione internazionale, com’è tipico del movimento pentastellato, ma altresì dalle vertebre statali rimaste attive.Nel caso italico, se si escludono le forze armate e i servizi segreti (tra i migliori al mondo e per questo estranei al gioco politico), l’unico potere vertebrato è quello giurisprudenziale, sempre più manifesto e attivo, soprattutto in prossimità delle prove elettorali. Pizzorno fu buon profeta, preconizzando lo strapotere compulsivo della magistratura come elemento attivo del parallelogramma delle forze poliarchiche. Accanto a esso vige il soft power internazionale. Nel governo italiano vi è a riguardo uno sbilanciamento delle forze. Il ruolo anglo-cinese è fortissimo e minaccia lo stesso profilo atlantico, che deve essere invece proprio del nostro storico interesse prevalente. Per questo l’intervista del premier Conte a “El País” è disarmante nella sua chiarezza. Esprime non il ruolo dominante di un mediatore, ma il certificato dello sbilanciamento del parallelogramma delle forze di ciò che rimane della società civile e il nuovo profilo delle forze politiche prevalentemente eterodirette. Ciò che rimane della società civile, ossia il lavoro dipendente e soprattutto le imprese piccole e medie, è sempre più escluso dall’azione di governo.Del resto, una classe politica peristaltica senza base sociale, ma con segmenti di relazione elettronica istantanea e volatile e molto limitata numericamente nei processi selettivi, non può condurre a termine nessun processo decisionale complesso. I gradi di libertà che questo segmento della classe politica eterodiretta una volta eletta detiene in misura rilevante (e questo è il dato democratico liberale che ancora pervade questo nuovo sistema del comando sociale italico) alimentano la fibrillazione continua di ciò che rimane del potere: nulla infatti si decide. L’altro segmento delle classi politiche con gradienti di eterodirezione assai minori, tanto al governo quanto all’opposizione, si trova incapace di esprimere un potere condizionante dinanzi all’attivismo eterodiretto. La follia shakespeariana domina così le italiche terre che son tornate al tempo dei goti, visigoti e longobardi. Dove sono i Boezio?«Perché a volte abbiamo la sensazione che chi comanda nel governo è Salvini?». «Se all’esterno o a voi stranieri richiama di più l’attenzione il ruolo o l’immagine di Salvini, che ha una grande capacità comunicativa, e credete che nel governo comandi lui, è una vostra illusione ottica. Alla guida del governo ci sono io. E Salvini, come Di Maio, è vicepresidente e leader di una delle due forze politiche». Giuseppe Conte ha risposto così alla domanda di “El País”. Chi comanda politicamente in Italia? Sì, politicamente e basta. Perché la grande innovazione dei sistemi poliarchici con alto gradiente di classi politiche eterodirette, com’è nel caso italico, è quella di autonomizzare sempre più fortemente le classi politiche medesime dalla società civile hegelianamente intesa. Per Hegel – e per Ferguson – la società civile costituisce lo spazio sociale di formazione della proprietà di qualsivoglia forma e dei mercati. Le classi politiche tradizionalmente intese mantenevano e mantengono con la società civile un rapporto costante, che è l’essenza del sistema poliarchico costruito dalle volizioni elettorali che si compongono in un parallelogramma di forze con la logica delle lobby e dei soft power che promanano dalla società civile.
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Magaldi: giù le mani da Armando Siri (e dai suoi giudici)
Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».Cattiva politica, made in Italy, inaugurata da Tangentopoli: quello fu un golpe bianco, in cui finiva sul rogo qualsiasi politico colpito da un semplice avviso di garanzia. La vittima veniva isolata «dai colleghi di partito, pusillanimi, che si illudevano di farla franca», senza capire che quel sistema «sarebbe crollato per la sua stessa fragilità». Mani Pulite ha spazzato via la Prima Repubblica fondata sul patto atlantico: fare da argine rispetto all’Urss. Ma nella Seconda Repubblica – a lungo dominata da Berlusconi – quel male oscuro è rimasto: l’ombra dell’uso politico della giustizia. «Io non voglio nemmeno essere sfiorato dal sospetto che un’indagine, anziché essere mirata ad accertare la verità, persegua invece finalità improprie», dice Magaldi: «Questi dubbi sono perniciosi per lo stesso prestigio della magistratura, che resta uno dei cardini della democrazia». In altre parole: si deve poter indagare tranquillamente Armando Siri, per appurare se è innocente o colpevole, lasciando però che nel frattempo svolga il suo ruolo di sottosegretario. Se così fosse, nessuno a quel punto penserebbe più che ti mandano un avviso di garanzia perché c’è qualcosa di losco nel tuo operato: la magistratura farebbe semplicemente il suo dovere, senza che questo possa turbare l’agenda politica.Con un simile approccio, nessuno avrebbe più il minimo interesse a tentare di usare la carta giudiziaria per far fuori i rivali. E invece «si è creato un clima improprio, corrotto moralmente e politicamente, da quando l’opportunità politica e morale si è opposta allo Stato di diritto». Era la famosa “questione morale”, agitata innanzitutto da Berlinguer: «Come si fa ad anteporre una presunta morale allo Stato di diritto? La moralità pubblica è proprio quella che promana dallo Stato di diritto», sottolinea Magaldi, che denuncia lo «stile inappropriato», usato da Di Maio e anche dal ministro Toninelli, che ha tolto le deleghe a Siri: «Un atto improprio, becero e inopportuno, in un momento così delicato nei rapporti tra 5 Stelle e Lega». Pur critico sull’operato del governo Conte, troppo timido con Bruxelles, il presidente del Movimento Roosevelt apprezza l’impegno di Siri: ha dato più spessore e più maturità all’ex Carroccio, ispirando la scuola politica del partito e lanciando l’idea della Flat Tax. Una misura – il taglio della pressione fiscale – che va nella direzione giusta: «Non sarà risolutiva, ma contribuisce comunque ad aggredire la malattia socio-economica dell’Italia, che è il rigore imposto dal neoliberismo».Coincidenze: si attacca Siri proprio ora che si riparla di Flat Tax. Un modo per colpire Salvini e affondare il governo, in un momento così delicato per il precario “matrimonio” gialloverde? «Dobbiamo liberare i magistrati da qualunque ombra», insiste Magaldi. «E quindi bisogna che il ceto politico la smetta di pensare che si possa sovrapporre una seconda morale alla morale pubblica, già garantita per principio dalla presunzione di innocenza». Per Magaldi, si tratta di «metodologia costituzionale in ambito democratico, in uno Stato di diritto». Come tutelarsi dal sospetto che vi possa essere una giustizia eterodiretta o deviata verso finalità politiche improprie? «Basta mantenere il presupposto – tipico dell’ordinamento democratico e liberale – che ciascuno di noi è innocente fino a prova contraria». Purtroppo, aggiunge Magaldi, da Tangentopoli in poi «abbiamo vissuto un rigurgito di cultura inquisitoriale – di tempi bui, antichi e pre-moderni», in un’Italia «vessata per secoli da una cultura clericale, da una brutta versione del cristianesimo: quella che considera tutti peccatori, in attesa di redenzione».Meglio partire invece dall’idea di dignità umana come riflesso divino, «rilanciata da un grande cristiano come Giovanni Pico della Mirandola». Le democrazie hanno raccolto proprio questa idea: siamo dotati di dignità e di innocenza presunta, e il potere «appartiene agli uomini, non a un dio interpretato da caste sacerdotali o da aristocrazie laiche». Se è così, «si resta innocenti anche di fronte a una condanna non definitiva». Applicare questa regola, sottolinea Magaldi, sarebbe la migliore salvaguardia, sul piano politico, da qualunque sospetto di interferenza impropria della magistratura. Tutti innocenti fino a prova contraria, dunque, incluso Armando Siri: «Qualunque giurista democratico non potrebbe che sottoscrivere questo principio, che invece è stato pervertito dagli anni di Tangentopoli». Aggiunge Magaldi: «Dobbiamo liberarci di questa immoralità istituzionale. La cultura del sospetto appartiene ai regimi liberticidi. In democrazia invece i magistrati fanno il loro dovere, svolgono inchieste in modo libero e senza essere sospettati di lavorare a orologeria, sapendo che il ceto politico non metterà in discussione un soggetto solo perché è sottoposto a indagine».In questa vicenda emergono «ostilità e doppiopesismo», continua Magaldi: «Giustamente Salvini ha fatto notare che anche Virginia Raggi è stata ed è nuovamente indagata, e nessuno – nella Lega – si è sognato di chiedere le sue dimissioni. Semmai la Raggi dovrebbe dimettersi per la sua conclamata incapacità di governare Roma». Per Magaldi ci sono molti motivi per criticare lo scarso coraggio politico del governo, che anziché puntare al cambiamento «tira a campare, con pannicelli caldi per curare una malattia – quella economico-sociale dell’Italia – che ha bisogno di ben altre cure». Quello che non è accettabile, però, è che si strumentalizzi il lavoro della magistratura per colpire Salvini e seminare zizzania tra 5 Stelle e Lega». In questo, svetta il cinismo di Di Maio: «Un ipocrita, che tuona pubblicamente contro la massoneria ma poi fa il giro delle sette chiese per chiedere in segreto di essere accolto nei peggiori circuiti massonici sovranazionali, di segno neo-aristocratico, fingendo anche di non sapere che il governo Conte è affollato di massoni, sia tra i ministri che fra i sottosegretari». E ora si mette a far la morale ad Armando Siri, “colpevole” di aver trasmesso al governo le istanze di alcuni imprenditori?Decisamente sconcertante, l’harakiri gialloverde imposto da Di Maio: anziché serrare i ranghi per fronteggiare l’avversario comune, l’oligarchia di Bruxelles che impedisce all’Italia di crescere, il leader dei 5 Stelle preferisce “speronare” l’alleato leghista in vista delle europee, traguardo temutissimo dai grillini. Anche in questo, Di Maio ha brillato per doppiezza: prima ha omaggiato in modo clamoroso e irrituale i Gilet Gialli facendo infuriare Macron, poi s’è genuflesso davanti ad Angela Merkel, che di Macron è l’interfaccia in salsa prussiana. Una manfrina indecorosa, secondo Magaldi, per sperare di essere accolto nella Golden Eurasia, la superloggia massonica della Cancelliera. A che gioco sta giocando, Di Maio? Il presidente del Movimento Roosevelt, massone progressista, ha le idee chiare: il capo dei pentastellati ha ormai capito che il governo Conte ha fallito l’obiettivo del cambiamento, e spera – con l’aiuto delle superlogge – di sopravvivere politicamente al declino del Movimento 5 Stelle. Comunque la si veda, il risultato non cambia: la guerra intestina indebolisce l’Italia, cioè il paese che avrebbe dovuto sfidare la “dittatura” tecnocratica di Bruxelles. I guai per il Belpaese – aggredito dai poteri forti europei, con la complicità del Deep State italico – cominciarono con Tangentopoli: uso politico della giustizia. Non è un caso, forse, che dopo un quarto di secolo sia lo stesso Di Maio a ricorrere, ancora e sempre, al giustizialismo sommario che ha “suicidato” l’economia italiana, trasformando il paese in terra di conquista per le potenze straniere.Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».