Archivio del Tag ‘Bibbia’
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Yahvè SpA: chi domina il mondo, oltre la geopolitica visibile
Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attenatatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare quel camion bianco, fermo da giorni sul lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.Fu l’Isis a rivendicare la strage di Nizza, ma le menti dello Stato Islamico sono altrove: Abu Bakr Al-Bahdadi, il sedicente Califfo, secondo Magaldi è affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha”, dominata dai Bush e responsabile del super-attentato del terzo millennio, quello dell’11 Settembre, comodamente attribuito al “barbaro jihadista” Bin Laden, in realtà massone, affiliato anch’esso alla medesima Ur-Lodge. La “Hathor Pentalpha”, sorta all’inizio degli anni ‘80 per volere di Bush padre, appena battuto da Reagan alle primarie repubblicane, raccolse il gotha dei golpisti del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano: George W. Bush e suo fratello Jeb Bush, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e la stessa Condoleezza Rice. Oltre a Bin Laden (Al-Qaeda) e Al-Baghdadi (Isis), la “Hathor” avrebbe reclutato un ideologo come Samuel Huntington (“La crisi della democrazia”), insieme a Donald e Robert Kagan, Douglas Freith, Irving e William Kristol, Dan Quayle. Con loro Richard Perle, Karl Rove, Bill Bennett e il politologo Michael Leeden. Una rete trasversale, con affiliati in Medio Oriente: Oman, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita e persino Iran (tra gli iraniani coinvolti, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani).Obiettivo: destabilizzare ferocemente il pianeta, creando a tavolino il presunto “scontro di civiltà” tra Occidente e mondo arabo. Punta di lancia dell’operazione: Israele (era il premier Ariel Sharon l’uomo della “Hathor” a Tel Aviv). Ma arabi e israeliani non dovevano essere acerrimi nemici, anziché compagni di merende e di avventure anche terroristiche? Certo, ma solo in teoria, spiega Magaldi: in realtà sono tutti massoni, nella cabina di regia. E la vera geopolitica – al di là della narrazione dei media – passa per i circoli come la “Hathor”, incarnazione infernale dell’ala più reazionaria della supermassoneria occulta, apolide e sovranazionale. Convergenze insospettabili: dirigenti sauditi in riunione con Sharon e col presidente turco, il “fratello” Recep Tayyip Erdogan, insieme a un bel po’ di potenti europei: l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder, l’allora primo ministro spagnolo José Maria Aznar, l’intramontabile Tony Blair, il polacco Aleksander Kwasniewski e il francese Nicolas Sarkozy – più un paio di italiani: l’allora presidente del Senato, Marcello Pera, nonché Antonio Martino, all’epoca ministro berlusconiano e già segretario della Mont Pelerin Society, vero e proprio tempio ideologico dell’ultra-destra economica europea, culla dell’oligarchia neoaristocratica che ha incubato, progettatto e imposto l’austerity per infliggere la camicia di forza a paesi come l’Italia, alle prese con la nascente globalizzazione.Il primo a parlarne in termini espliciti è stato Paolo Barnard, nel saggio “Il più grande crimine”, uscito prima ancora della crisi italiana del 2011. La tesi: si trattava, semplicemente, di cancellare la memoria della Presa del Bastiglia. Il mitico 14 luglio? Un incidente della storia: aprì l’Europa a qualcosa di mai prima sperimentato – la democrazia – spalancando le porte alla modernità del futuro: Stato di diritto, suffragio universale. Traduzione euro-atlantica successiva: economia sociale, conquiste civili e diritti del lavoro. Bene, tutto questo doveva finire. E in modo drammatico: col terrorismo stragista della strategia della tensione (Al-Qaeda, Isis) o col terrorismo finanziario (rigore europeo). Per volere di chi? Dei soliti noti, gli antichi baroni. O meglio: di quella che un tempo costuitiva il nerbo dell’Ancient Régime, cioè l’aristocrazia feudale più parassitaria. Le era toccato finire sfrattata dal potere (politico) dal 14 luglio in poi? Niente paura: si è ripresa tutto, e con gli interessi, mantenendo le grandi leve della finanza. Ha finanziarizzato l’economia e ridotto gli Stati in bolletta, senza più sovranità monetaria. Il gioco perfetto dei leggendari Rothschild, padroni d’Europa (e di un pezzo d’America) da tre secoli questa parte.Nei suoi libri, un ricercatore come Pietro Ratto ricostruisce il ruolo di casati ebraici come quello dei Warburg, in realtà di origine veneta, poi soci in affari con i Rothschild – di cui sempre Ratto prova anche l’apparentamento coi Rockefeller, mediante matrimoni strategici. Dettaglio inquietante: furono i grandi finanzieri ebrei a sovvenzionare Hitler all’alba della sua tragica epopea. Non solo: è stato accertato che proprio il Terzo Reich – al suo esordio – fu un poderoso sponsor occulto del sionismo, favorendo l’espatrio degli ebrei tedeschi verso la Palestina e finanziando il primo colonialismo ebraico in Terrasanta. Scioccante? Quasi quanto il libro “L’altra Europa”, pubblicato dal vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte primo ministro democristiano Mariano Rumor. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il padre dell’autore – Giacomo Rumor – agiva come 007 per conto di monsignor Montini, futuro Paolo VI, allora responsabile dell’intelligence vaticana. Gli Alleati già sapevano che avrebbero vinto, e volevano progettare in anticipo l’Europa del dopoguerra. Fin qui, tutto bene: logico che gli Usa si rivolgessero al Papa, visto che l’Italia era ancora in mano a Mussolini, e che l’antifascismo era largamente comunista. Ma un giorno l’esoterista francese Maurice Schumann, gollista e interlocutore di Rumor, svelò al cattolico italiano chi c’era veramente, dietro al piano: la Struttura. Una cupola esclusiva, ininterrottamente al potere, nel mondo, da quasi 12.000 anni.Follia? Non secondo l’archeologo Loris Bagnara, che ha verificato sul campo: le indicazioni di Rumor (cioè di Schumann) corrispondono in modo impressionante con la geografia e la toponomastica dei luoghi dove si sarebbe costituito quell’antico potere, nato in Mesopotamia e poi trasferitosi nell’Egitto dei faraoni prima di approdare in Palestina e quindi nel Mediterraneo fenicio e poi greco-romano. L’eminente politoligo Giorgio Galli, autore della prefazione del libro di Rumor, conferma: i nomi citati dal dossier-Schumann sono perfettamente coerenti con la mappa del vero potere, anche di quello euro-atlantico del Novecento. Politici, industriali e finanzieri: tutti esoteristi, vincolati al reciproco segreto sull’origine della Struttura, sostanzialmente iniziatica, risalente – a loro dire – attorno al 9.500 avanti Cristo, tra le rive del Tigri e quelle dell’Eufrate, cioè dove Zecharia Sitchin attribuisce agli Anunnaki, i misteriosi Figli delle Stelle, la “fabbricazione” dell’homo sapiens nella versione poi narrata dai Sumeri. Di quella storia – avverte Mauro Biglino, già traduttore ufficiale delle Edizioni San Paolo – la Bibbia non è che la fotocopia: la Genesi descrive la nascita di Eva mediante clonazione genetica, proprio come la pecora Dolly, ad opera degli Elohim come Yahvè, cioè i Figli delle Stelle palestinesi.Autore di culto in Italia, pubblicato anche da Mondadori (trecentomila copie vendute), a Biglino nessuno contesta la riscoperta letterale della Bibbia: l’interpretazione teologico-spiritualista del testo si rivela completamente infondata (Yahvè non era “Dio”, ma solo uno dei tanti Elohim citati). Semmai, la Bibbia – ammesso sia attendibile, visto che è stata riscritta ininterrottamente fino al medioevo – propone un’altra storia: la nascita dell’umanità attuale, così improvvisamente evoluta, sarebbe opera dell’ibridazione genetica dei Figli delle Stelle, che avrebbero immesso il loro Dna in quello dei primitivi ominidi. Biglino è rispettato anche ad Harvard, dove alla facoltà di medicina si raccomandano i suoi libri. E sulla sua ipotesi stanno convergendo decine di scienziati, che lo hanno messo a capo di un progetto di ricerca senza precedenti: studi interdisciplinari, anche archeologici, per verificare quel che la Bibbia racconta, alla lettera. E le religioni monoteiste? La prima, l’ebraismo, secondo Biglino sarebbe nata attorno al VI secolo avanti Cristo, quando Yahvè sparì di colpo, in seguito all’avvento dei babilonesi che sottomisero gli ebrei. Da allora, dice lo studioso, ad assumere la leadership del popolo ebraico furono i sacerdoti, cioè la casta degli ex “maggiordomi” di Yahvè: furono loro, manipolandola, a trasformare la Bibbia nel “libro sacro” che non era mai stato.Quando poi l’Impero Romano – oltre mezzo millennio dopo, nel 70 dopo Cristo – represse duramente gli ebrei distruggendo il Tempio di Salomone a Gerusalemme, gli stessi sacerdoti contrattarono il loro futuro con i nuovi padroni: cedettero ai romani il Tesoro del Tempio, in cambio di una vita agiatissima nella capitale imperiale, da cui poi – attraverso svariati passaggi – diedero vita alla nuova religione, il Cristianesimo cattolico, ufficialmente coniato da Costantino nel 325 al Concilio di Nicea. Lo stesso Paolo Rumor, attingendo al memoriale Schumann, sostiene che la mitica Struttura si sarebbe spezzata in due tronconi, a Gerusalemme, proprio attorno all’Anno Zero. Di recente, Biglino ha accennato a libri di prossima uscita, dal contenuto sconcertante: attraverso accurate analisi di fonti d’archivio, emerge una sbalorditiva continuità nel potere europeo attraverso i secoli, con in primo piano – da Gerusalemme a Roma, fino al Nord Europa – sempre le stesse famiglie. La sua tesi è nota: attraverso la Bibbia, siamo stati finora governati da un unico schema di potere, concepito sotto forma di dominio. Lo stesso sistema finanziario attuale, che regge il pianeta, è quello enunciato da Yahvè: potrai prestare denaro ma non richiederlo, perché chi riceve denaro in prestito ne diventa schiavo. E a proposito: dov’è finito, Yahvè? Sicuri che sia sparito per sempre dalla circolazione?Se un giorno si scoprisse che gli Elohim come quello che gestiva la famiglia di Giacobbe sono qui tra noi e controllano tutto – dice Biglino – certo non me ne stupirei: secondo la Bibbia potevano vivere anche 30.000 anni. Assurdo? Mica tanto: la distanza fra i loro 30 millenni e i nostri 90 anni è infinitamente più piccola di quella che separa una tartaruga gigante (200 anni) da una farfalla che viva solo 24 ore. Di giorno in giorno, si moltiplicano scoperte che sconquassano le vecchie certezze archeologiche: la Piramide di Cheope (vera datazione, 20.000 anni) è una potente “fabbrica di energia”: è presidiata dai fisici che vi osservano gli stranissimi fenomeni che ospita, come l’abbattimento di particelle subatomiche. A Visoko, in Bosnia, sono state scoperte le più grandi piramidi della Terra, risalenti a 30.000 anni fa. E al largo dell’India spuntano città sommerse – probabilmente dal maremoto di 11.500 anni fa (il Diluvo Universale?), scatenatosi proprio nel periodo in cui a Göbekli Tepe, in Turchia, fu costruito il tempio più antico della Terra, in un’area in cui gli scavi rivelano che la nascita dell’agricoltura risale addirittura al Mesolitico. Scoperte che costringono a retrodatare la nostra storia, cancellando quello che fino a ieri credevamo di sapere.Sotto certi aspetti, è come se le incredibili scoperte dell’archeologia odierna costringessero a ripensare la stessa geopolitica attuale. Si perde tempo, ripete Magaldi, se ci si ferma ancora a valutarla come scontro tra nazioni: c’è ben altro, dietro le quinte. Se lo domandava anche Barnard: vi siete mai chiesti come mai la politica non riesce mai a mantenere le sue promesse? E perché le cose vanno di male in peggio, nonostante il pianeta non sia mai stato così ricco, vista la nostra capacità esponenziale di produrre beni, grazie alla vertiginosa rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni? Colpa dell’élite neo-feudale, si risponde Barnard. Ed è un’élite non certo illuminata, aggiunge Magaldi: si tratta di un’oligarchia del denaro, reazionaria, neo-conservatrice, il cui massimo livello di potere – al di sopra delle entità paramassoniche come il Bilderberg – è rappresentato dalle 36 Ur-Lodges che dominano il globo. E se ci fosse dell’altro ancora, sopra le midiciali superlogge? Magari la “Yahvè SpA”, affidata a emissari collaudatissimi? E’ l’interrogativo che rilancia Biglino, convinto che gli Elohim (come gli Anunna sumeri, i Theoi greci, i Deva indiani) non siano affatto scomparsi, dimenticandosi delle loro “creature”. Anzi, aggiunge lo studioso: sarebbe perfettamente plausibile scoprire, un giorno, che dietro ai maggiori potentati terrestri vi siano proprio “quelli là”, i Figli delle Stelle, l’un contro l’altro armati: è uno schema ripetuto in tutti i libri antichi, compresa la Bibbia.Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attentatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare il suo camion bianco, fermo da giorni su quel lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.
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I fisici: energia dalle piramidi egizie. L’ombra di Atlantide?
Ma non dovevano essere gigantesche tombe, le piramidi egizie? Così almeno si racconta, ancora oggi, nei libri scolastici e non solo: persino l’egittologia ufficiale continua ad attribuire alle piramidi una funzione essenzialmente funeraria. Peccato che oggi i fisici abbiano scoperto che, in realtà, le grandi piramidi sono “macchine” in grado di concentrare energia. Al punto da spingerli a progettare in forma piramidale addirittura le celle solari del futuro. La piramide di Cheope «è stata studiata con i metodi della fisica», rivela l’agenzia Ansa, «ed è emerso che riesce a concentrare l’energia elettromagnetica, e precisamente le onde radio, sia nelle camere interne sia nella base». Si potrebbero così progettare nanoparticelle ispirate alla struttura di questo edificio, che siano in grado di riprodurre un effetto analogo nel campo dell’ottica, da utilizzare per ottenere celle solari più efficienti. Lo indica la ricerca pubblicata sul “Journal of Applied Physics”, condotta dai fisici russi della Itmo University di San Pietroburgo e dal tedesco Laser Zentrum di Hannover. I ricercatori hanno condotto lo studio perché interessati alla struttura della tomba del faraone Cheope dal punto di vista fisico. In particolare, «hanno voluto vedere come le onde radio si distribuiscono» nella complessa conformazione dell’edificio.Sulla base di queste ipotesi è stata messa a punto una simulazione matematica, che rivela come la Grande Piramide «può concentrare le onde radio nelle sue camere interne e sotto la base, un po’ come una parabola». Questo avviene perché «la lunghezza d’onda delle onde radio, compresa 200 e 600 metri, è in un certo rapporto rispetto alle dimensioni della piramide», spiega Tullio Scopigno, fisico della Sapienza di Roma. Significa che, per avere lo stesso effetto con altri tipi di radiazioni che hanno lunghezze d’onda diverse (come la luce) sono necessarie strutture di dimensioni differenti: precisamente, occorrono dispositivi in miniatura. «Ecco perché i ricercatori prevedono di progettare nanoparticelle, delle dimensioni di qualche milionesimo di millimetro, e a forma di piramide, in grado di riprodurre effetti simili nel campo ottico, da usare nelle celle solari». Della presenza di una «strana energia» parla anche l’antropologo bosniaco Semir Osmanagich, già docente a Houston, scopritore delle Piramidi di Visoko a due passi da Sarajevo. Sono 5 piramidi di dimensioni ragguardevoli, la maggiore delle quali – battezzata Piramide del Sole – è assai più grande di quella di Cheope. E attenzione: è costruita con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Ma l’aspetto più clamoroso è la datazione, confermata dal radiocarbonio: la piramide bosniaca risale al 29.000 avanti Cristo.Buio pesto: per l’ufficialità accademica, la nostra civiltà risalirebbe ad appena 6.000 anni fa, cioè all’epoca della scrittura cuneiforme mesopotamica. Più recente la scoperta della civiltà Arappa della valle dell’Indo, risalente a 11.000 anni fa. Quasi allo stesso periodo è attribuita la scrittura “danubiana” (di origine sconosciuta) identificata in Romania. Lo ricorda lo storico Nicola Bizzi, autore del volume “Da Eleusi a Firenze” nonché di un rivoluzionario saggio sull’Atlantide, basato su fonti antecedenti a quelle tradizionali, per lo più letterarie, attribuite a Platone. Utilizzando materiali inediti, custoditi in Toscana e riprodotti in epoca rinascimentale, Bizzi data l’origine della presunta “civiltà atlantidea” attorno al 19.000 avanti Cristo. Sarebbe stata letteralmente cancellata da due devastanti cataclismi, il primo attorno al 10.800 e il secondo nel 9.500, innescati entrambi da una pioggia di comete. Il livello dei mari si sarebbe alzato di 150 metri, cambiando la geografia del mondo. Le attuali isole Azzorre sarebbero quel che resta di En, la maggiore delle 7 entità macro-insulari di Atlantide: un continente oceanico esteso da Gibilterra al Golfo del Messico. Secondo i testi della tradizione sacerdotale eleusina – racconta Bizzi, intervistato a “Forme d’Onda” – la casta dominante del continente insulare chiamato En aveva adottato il simbolo del leone.Di recente, il giornalista ed etnografo Graham Hancock ha citato studi geologici che confermano che la Sfinge di Giza avrebbe almeno il doppio degli anni che le vengono attribuiti dall’egittologia. E’ stata erosa da millenni di piogge: secondo i climatologi, può essere avvenuto 10.000 anni fa, quando l’Egitto non era ancora un’area desertica e aveva un regime climatico tropicale, con precipitazioni quotidiane. Il guaio, dice Bizzi, è che l’archeologia si rifiuta di incrociare i suoi dati con le altre discipline, dalla mineralogia alla geologia, fondamentali per determinare le datazioni. L’ennesima conferma del fatto che la nostra storia sia da riscrivere proviene dal sito archeologico turco di Gobekli Tepe, risalente al 10.000 avanti Cristo: un monumentale complesso di culto con statue e templi, decorazioni e iscrizioni. Quanto a Giza, i ricercatori contemporanei sostengono che, in origine, la Sfinge avesse la testa di un leone. Era la “firma” dei signori di En, padroni dell’Atlantide? Dunque i faraoni se le ritrovarono già fatte, le piramidi, senza sapere chi le avesse costruite? Tuttora, l’egittologia non sa come possano esser state edificate. E i fisici russi e tedeschi adesso scoprono che sono “macchine” perfette per concentrare energia.Suggestioni: a livello simbologico, come ricorda l’esperto Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Summa Symbolica”, l’associazione tra il leone e l’acqua ha percorso millenni. Siamo pieni di fontane in cui l’acqua fuoriesce dalla bocca di un leone, che non è esattamente un animale acquatico. E a proposito: qual è la città più acquatica d’Italia? Venezia. Il cui simbolo è, guardacaso, il leone (alato). Carpeoro pensa soprattutto all’Egitto: gli egizi, spiega, ornarono con statue a forma di testa leonina le chiuse dei canali irrigui con cui sfruttavano le benefiche piene del Nilo. Nel cielo dell’Egitto, durante l’inondazione, campeggiava la costellazione del Leone. Ma al British Museum, aggiunge sempre Carpeoro, è custodita una statuetta antichissima e misteriosa, che raffigura un uomo dalla testa di leone. Indizio di una civiltà pre-diluviana? A leggere Bizzi, potrebbe essere. Il “grande diluivio” (citato in tutti i testi antichi, fino alla Bibbia) avrebbe sommerso vastissimi territori, inghiottendo intere civiltà costiere. Sarebbe stato originato dalla doppia “grandinata” di comete tra il 10.800 e il 9.500 avanti Cristo: la prima avrebbe colpito il Nord America, scatenando i vulcani fino a oscurare il sole, e generando così una glaciazione. La seconda avrebbe investito il Nord Atlantico, facendo sciogliere i ghiacci e innescano il gigantesco tsunami.A sconcertare, rilevano in molti, è il perdurante silenzio sulle scoperte acheologiche che si vanno susseguendo in questi anni, al punto da spingere i più critici a parlare di “storia proibita”. Tanto per dire: l’esistenza delle Piramidi di Visoko non è ancora stata “digerita” dall’intera comunità scientifica, nonostante i 1.500 giovani archeologi che le stanno esplorando, a turno, da anni. Lo stesso Osmanagich rivela che le piramidi, nel mondo, sono migliaia – ma è come se non se ne volesse parlare. Bizzi menziona qualcosa come 90 piramidi presenti addirittura in Europa, di cui almeno 15 in Italia. Una specie di tabù: le piramidi – non certo monumenti funerari, ora lo si è capito – rinviano inevitabilmente alla misteriosa identità dei loro costruttori, evidentemente in possesso di conoscenze (fisiche) molto avanzate. Credevamo di conoscerla bene, la Piramide di Cheope, ma ora sappiamo che così non è. Viene anch’essa da Atlantide, l’altro grande tabù della nostra archeologia? Per Bizzi, secondo la tradizione misterica eleusina – perseguitata dal Cristianesimo e costretta alla clandestinità dopo l’Editto di Tessalonica voluto da Teodosio nel 380 – veniva proprio da Atlantide-En la civiltà minoica che colonizzò il Mediterraneo. Era la cultura egea a saper innalzare le piramidi, che ancora oggi nessuno sa spiegare come furono costruite, né cosa fossero davvero e a cosa servissero?Ma non dovevano essere gigantesche tombe, le piramidi egizie? Così almeno si racconta, ancora oggi, nei libri scolastici e non solo: persino l’egittologia ufficiale continua ad attribuire alle piramidi una funzione essenzialmente funeraria. Peccato che oggi i fisici abbiano scoperto che, in realtà, le grandi piramidi sono “macchine” in grado di concentrare energia. Al punto da spingerli a progettare in forma piramidale addirittura le celle solari del futuro. La piramide di Cheope «è stata studiata con i metodi della fisica», rivela l’agenzia Ansa, «ed è emerso che riesce a concentrare l’energia elettromagnetica, e precisamente le onde radio, sia nelle camere interne sia nella base». Si potrebbero così progettare nanoparticelle ispirate alla struttura di questo edificio, che siano in grado di riprodurre un effetto analogo nel campo dell’ottica, da utilizzare per ottenere celle solari più efficienti. Lo indica la ricerca pubblicata sul “Journal of Applied Physics”, condotta dai fisici russi della Itmo University di San Pietroburgo e dal tedesco Laser Zentrum di Hannover. I ricercatori hanno condotto lo studio perché interessati alla struttura della tomba del faraone Cheope dal punto di vista fisico. In particolare, «hanno voluto vedere come le onde radio si distribuiscono» nella complessa conformazione dell’edificio.
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Perdo dunque esisto, senza futuro la fiction della Basilicata
“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.A questo è dunque servita l’ultima tornata regionale, a riesumare la memoria: il fiabesco invertebrato, riverniciato di fresco dal tenace carrozziere Zingaretti, un tempo ebbe vita propria almeno sul piano dell’apparenza mediatica, corroborato nei fatti dalla piccola geografia pensinsulare delle poltrone. Non che sia meno grottesca quella del volenteroso neo-presidente insediato a Potenza, l’ex generale della Guardia di Finanza scelto dall’omino della playstation: gli piacerebbe riunire in modo spettacolare, in una convention “made in Sud”, la famigliola dispersa – nonno Silvio e l’enfant terrible Matteo, insieme all’ornamentale Giorgia. Per fare cosa? Ovvio: per ricordare agli affezionati, agli appassionati cultori di storia patria (spazzatura inclusa), che un tempo esistette – regolarmente registrato all’anagrafe politica – anche il leggendario centrodestra, uscito dalle catacombe della Prima Repubblica e riformattato ad Arcore. L’esperimento vide la luce grazie a un prodigioso lifting, spettacolare e meno casereccio di quello del centrosinistra, l’animalone altrettanto tombale nato dalla clonazione di individui a loro volta ibernati, provenienti dalle retrovie delle parrocchie e dalla dirigenza transgenica del partito che aveva lasciato l’Urss, o almeno l’icona del comunismo storico, per transitare armi e bagagli nel peggior avamposto del campo nemico, ma senza dirlo ai propri elettori.Oltre che tra i Sassi di Matera (“perdo, dunque esisto”), il centrosinistra sembra sopravvivere – come venerata reliquia – almeno nello studio televisivo di Fabio Fazio, il conduttore che prima si genuflette di fronte al suo presidente (Macron) e poi celebra il party delle lacrime fondendo i giovanissimi Rami e Adam con i bravi carabinieri che li hanno salvati, nell’hinterland di Milano, dalla follia di un senegalese aspirante kamikaze. Nient’altro da segnalare, in fondo, eccetto il sontuoso video hollywoodiano (“citofonare Al Gore”, ha detto qualcuno) che mostra migliaia di giovanissimi intonare “Bella Ciao” in inglese, per la recita internazionale modellata sull’edificante storiella della piccola fiammiferaia Greta. Il resto è grisaglia: Cottarelli, Mattarella, l’ectoplasma di Tajani. Ce lo chiedeva l’Europa, eccetera. Guai a voi, anime prave: non isperate mai veder lo cielo. L’han ripetuto tutti, in questi anni, dalle divinità di Bankitalia a quelle della Bundesbank e della Bce, che poi in televisione sembrano avatar identici emanati dallo stesso pantheon. Apparizioni eteree, severissimi profeti dell’altrui sventura: qualcosa di amarissimo da somministrare, al volgo timorato, in virtù di misteriche conoscenze superiori, inaccessibili al comune mortale.Spenti i riflettori sull’inutile soap-opera lucana, in scena resta solo lo sceriffo Salvini, in compagnia del sorriso tirato e un po’ cinese di Di Maio. Niente di speciale, diranno i meno indulgenti – ma abbastanza, comunque, per convocare ad Aquisgrana il cast per uno spaghetti-western sul Sacro Romano Impero. Quanto ancora reggerà, il cerotto gialloverde, sulle piaghe di un’Italia deliberatamente retrocessa – con frode – dai numi dell’Olimpo tecno-totalitario? Non avrai altro Elohim all’infuori di me, tuonò la voce dal finto cielo. E così fu, per un buon quarto di secolo. Verità storica cercasi: c’è da riempire un cratere. Non ci sono alternative: un mantra bugiardo, spacciato per metafisico e durato venticinque anni. Il dogma nero, adottato da tutti – liberisti, sindacati, professori, anchorman – ha fatto morti e feriti, e ancora oggi diffonde rabbia e ostilità, innescando livide vendette. Il vero guaio, dicono voci eretiche come quelle di Gianfranco Carpeoro e Mauro Scardovelli, è che votiamo “contro”, ancora e sempre – contro qualcuno, non per qualcosa – senza capire che la nostra è l’animosità dei manzoniani capponi di Renzo, destinati ai fornelli.C’è da riempirlo di parole e idee, il vasto cratere spalancato dal meteorite neoliberale. Impresa estrema, alla portata di astronauti visionari. E il modulo spaziale chiamato Movimento Roosevelt sembra proiettato verso un altrove inafferrabile, in cerca di vita intelligente: a Londra, per esempio, dove il 30 marzo verrà allestita una stazione orbitale chiamata “New Deal per l’Europa”. A bordo saliranno gli economisti Rinaldi e Pisauro, Galloni e Grossi, la cosmonauta Ilaria Bifarini, lo start-upper Danilo Broggi, il fanta-imprenditore Fabio Zoffi. Missione: riempire il cratere, con istruzioni precise su come riacciuffare un futuro non virtuale, nel quale ci sia posto per tutti. E’ il futuro per il quale combatterono, e caddero, gli eroi che sempre il Movimento Roosevelt evocherà a Milano il 3 maggio: Carlo Rosselli e il sogno del socialismo liberale, Olof Palme e il sogno di un’Europa democratica e solidale, Thomas Sankara e il sogno di un’Africa libera e sovrana. Sono fondamentali, i sogni, per fabbricare qualcosa che non sia mediocre, scadente e deludente. “Sognai talmente forte”, cantava De André, “che mi uscì sangue dal naso”. Non si sogna più, oggi, in Italia e in Europa? Qualcuno, si sono detti gli astronauti, deve pur ricominciare a farlo. Perché tutto ciò che abbiamo, che abbiamo avuto, è venuto proprio da lì: dal coraggio dei sogni vissuti ad occhi aperti, che a volte finiscono per contagiare il mondo e liberarlo dal ciarpame che lo opprime. I sognatori questo credono: che un’alternativa ci sia sempre, in fondo al cuore di ognuno di noi, nessuno escluso.(Giorgio Cattaneo, “Perdo dunque esisto, l’inutile fiction preistorica della Basilicata e il viaggio nel futuro col Movimento Roosevelt a Londra, in cerca di vita intelligente”, dal blog del Movimento Roosevelt del 26 marzo 2019).“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.
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Ma Greta è antica come Malthus, l’infelice profeta dell’élite
Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, Malthus sostiene che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?Rigido pastore anglicano, Malthus raccomandava il controllo delle nascite, mediante il ricorso alla “castità”. Oggi la popolazione mondiale è esplosa: siamo sette miliardi e mezzo, eppure buttiamo via il 43% del cibo e dei beni che produciamo. Non siamo mai stati così ricchi, eppure ci stiamo impoverendo. Cosa manca? Non le risorse, ma la loro ragionevole distribuzione, se è vero che 800 milioni di persone soffrono la fame. Malthus non poteva sospettare che saremmo stati così abili nel rivoluzionare i mezzi di produzione con la tecnologia, riducendo in modo impensabile il consumo proporzionale delle materie prime. Dieci anni fa, l’allarmismo ecologista evocava l’incubo del “picco del petrolio”, di cui non si parla più dopo che sono stati scoperti immensi giacimenti. Scienziati russi sostengono che il petrolio non sia affatto una risorsa non rinnovabile, ma che si generi costantemente in tempi rapidi. Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica, avverte che la Terra negli ultimi anni si sta addirittura raffreddando. Quanto alla CO2, responsabile solo in minima parte dell’effetto serra, Rubbia propone di risolvere il problema attingendo alla nuovissima tecnologia che permette di usare il gas naturale a impatto zero, senza alcun residuo di anidride carbonica.La verità più scomoda di tutte, spiega l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, è che nel secolo scorso siamo definitivamente usciti dal paradigma della scarsità: al punto da svincolare la moneta dalla zavorra del “gold standard”, il valore dell’oro – metallo prezioso perché raro – imposto come limite per evitare l’inflazione, cioè l’eccesso di valuta circolante rispetto alla quantità di merci disponibili. «Si assaltavano i forni perché mancava il pane, non essendovi abbastanza grano. Scenari oggi impensabili, impossibili – dice Galloni, su “ByoBlu” – perché la scarsità è stata storicamente sconfitta». Tranne che per un aspetto: la moneta. E’ detenuta da pochi, ed elargita col contagocce per nutrire l’usura finanziaria, da cui derivano le attuali sofferenze sociali. Ecco il punto, sottolinea Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente: è sempre meglio pesare con cautela le parole di chi predica sciagure imminenti. Non che l’atmosfera terrestre non sia fortemente alterata, o che quella dell’ecologia non sia una reale emergenza. Ma siamo sicuri che la soluzione sia proprio il freno ai consumi (cioè il taglio del welfare e del benessere diffuso) anziché invece, anche qui, l’acceleratore esponenziale della tecnologia, che poi è quello che ci ha permesso – in barba a Malthus – di crescere dieci volte tanto, imparando a produrre a bassissimo costo quantità immense di beni e merci, che infatti finiamo per gettare nella spazzatura?Beninteso, sappiamo perfettamente che le risorse dell’ecosistema-Terra non sono illimitate, precisa Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Ma siamo certi che sia davvero la piccola Greta a doverci spiegare dove stia, esattamente, il punto di non ritorno, ammesso che esista? Un consiglio: la problematica ecologica, a partire dall’inquinamento generato dalle fonti energetiche “sporche” come il petrolio e il carbone, è materia complessa: «Forse è il caso di adottare un approccio un po’ più serio». Le manifestazioni di massa? «Fa piacere vedere l’impegno di tanti giovani». Ma il punto è un altro: c’è qualche proposta precisa, sul tappeto, che non sia la decrescita infelice del 99% dell’umanità, a fronte dell’imperterrita super-crescita (felicissima) dell’élite planetaria che ha innescato tutti i nostri disastrosi squilibri, sociali e ambientali, fino a imbarcare disperati su carrette del mare verso le nostre coste? Tutti migranti che poi scoprono, amaramente, che in Italia e in Europa oggi si vive molto peggio di vent’anni fa, essendo scomparsa la mobilità sociale su cui era basata la grande prosperità di un intero continente, alimentata anche dalla scandalosa razzia coloniale a spese della stessa Africa.Quello che Greta non sa, probabilmente, è che il baby-retropensiero di cui è imbevuta non è attuale, è addirittura antico. Un presupposto ideologico completamente sbagliato, smentito nel modo più clamoroso già nell’800 dal filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, che scrisse: «Affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, Malthus dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione». E’ per questo, in fondo, che siamo ancora qui, e che siamo così tanti. Vogliamo dichiararci sconfitti? Tornare indietro, come propone Greta? Il dibattito è vasto: persino l’invincibile Impero Romano un bel giorno crollò, ricorda Giuletto Chiesa, autore di saggi spesso basati sulle previsioni catastrofistiche dell’influente Club di Roma. Siamo sicuramente a un bivio, sostiene anche Magaldi: ma il problema non è se crescere o decrescere. Seriamente: siamo stati noi, negli ultimi decenni, a decidere le sorti del mondo? Ci siamo espressi con dei referendum per approvare questa globalizzazione forsennata e per mettere in piedi l’attuale, orrenda Disunione Europea? No, certo. E allora perché saltare l’ostacolo, fingendo di poter incidere sul destino climatico della Terra, senza prima essere riusciti a ristabilire innanzitutto la democrazia a casa nostra, dove persino i bilanci vengono imposti dalle “divinità” di Bruxelles, che nessuno ha mai eletto?Spiegate a Greta che il darwinismo sociale, quello che spinge il povero alla rassegnazione di fronte al potere “fisiologico” del ricco, è il più grande veleno mentale che sia stato immesso nella nostra società neoliberista, sintetizza Magaldi, che propone un antidoto chiamato John Maynard Keynes. Era il maggiore economista del ‘900, e ispirò il New Deal con il quale Roosevelt tirò fuori l’America dalla Grande Depressione, facendone la superpotenza mondiale che conosciamo. Come riuscì nella storica impresa? Tagliando le unghie alle banche speculative, padrone della “scarsità di moneta”, e spingendo lo Stato a investire fiumi di dollari, a deficit, per creare lavoro. Dai tempi di Nixon, la moneta – svincolata dall’oro – è tecnicamente illimitata, virtualmente a costo zero. Ma nel 1999 fu il “progressista” Bill Clinton a restituire a Wall Street l’antico potere, abrogando il Glass-Steagall Act, cioè la legge con la quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari da quelle al servizio dell’economia reale. Da allora, è esplosa la follia finanziaria: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, il debito finanziario (titoli tossici) è 54 volte il Pil mondiale. E facciamo le pulci all’Italia perché il suo debito pubblico è 1,3 volte il suo prodotto interno lordo?C’è scienza, in questo delirio. E ha un nome odioso: si chiama dominio. Ha idea, la piccola Greta, di come uscirne? O pensa che, schioccando le dita e cantando “Bella Ciao” in inglese, gli ex cittadini (e ora sudditi, italiani e non) possano davvero cambiare di una virgola il futuro del pianeta, addirittura nella certezza teologica che persino il clima – mutato più volte, catastroficamente, dall’età della pietra – dipenda davvero al 100% dalla demenziale comunità umana? Gioele Magaldi non teme neppure di misurarsi con la parola consumismo, distinguendo: perché mai condannare quello dei poveri, fingendo che non esista quello dei ricchissimi? Inoltre: se fin qui ci ha sospinto l’innovazione, per quale motivo dovremmo escludere che la tecnologia possa arginare sensibilmente anche i guai dell’effetto serra? Lo dicono economisti autorevoli: continuiamo a chiamare “rifiuti” quelle che sono risorse riciclabili. Il problema? L’economia circolare è abbondanza, distrugge l’idea di scarsità di moneta con cui il potere ci incatena tuttora. Ma Malthus sta per perdere un’altra volta, di fronte all’avvento della rivoluzione cibernetica: anziché strapparci i capelli perché i robot cancelleranno vecchi mestieri, dice Magaldi, perché non pensare che avremo più tempo per inventare nuovi lavori, meno pesanti e ripetitivi? A una condizione: prima, bisogna tornare sovrani. E non sarà una passeggiata. Ma non si scappa: senza la riconquista della democrazia, potremo solo intonare “Bella Ciao” insieme a Greta.Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, sostiene infatti che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?
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Pensate davvero che la conoscenza stia nella mela di Eva?
Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?Questo è l’anello mancante, per essere “Dio di se stessi” – non Dio degli altri, che è potere e prevaricazione. Dio di se stessi, Re di se stessi. Esiste una regalità del sé, che non è la prepotenza del sé, una sopraffazione. Ed esiste una libertà del sé, una dignità del sé. E soprattutto esiste l’auto-consapevolezza, la proprietà del sé. Questa cosa, che è l’anello che ci manca nella maggior parte dei giorni, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte delle nostre azioni, la possiamo lentamente modificare e riquilibrare quotidianamente, perché il guinzaglio a cui San Bernardo tiene legato il diavolo, il “barboncino con le corna”, non si adopera solo nei giorni pari o nei giorni dispari: è quotidiano. Ogni giorno abbiamo un avversario, dentro di noi, da sottomettere. E questo lavoro quotidiano, per il quale abbiamo il pieno controllo di noi stessi, ci può portare alla consapevolezza – che è sempre provvisoria (ora per ora, minuto per minuto) – di quello che veramente vogliamo.E’ legato ai tarocchi anche lo schema simbolico del giardino proibito. Qualcuno dice, ad Adamo ed Eva, che da un certo albero non devono mangiare. Quello, però, è l’albero della conoscenza – non del sesso: della conoscenza. Cioè, c’è un Dio che dice a un uomo: tu non devi mangiare dall’albero della conoscenza (il che dà un certo valore, alla disobbedienza, anche secondo buon senso). Ma il contenuto implicito di quell’ordine è che la conoscenza non è un frutto appeso a un albero. La disposizione contiene un concetto sottostante: stabilire cos’è veramente la conoscenza. Il bene e il male sono cose appese a un albero? Il bene il male li facciamo noi. Non so se sarebbe piacevole, mangiare una mela e poi conoscere tutto. La conoscenza è un’appropriazione interiore. Quindi, in realtà, nel compiere il loro gesto, Adamo ed Eva sembrano volere una cosa, e invece ne vogliono un’altra. Il significato di quella simbologia è questo: noi attribuiamo con grande facilità a un albero la possibilità di erogare conoscenza, senza riuscire a definire che cos’è veramente la conoscenza.Quella di oggi, io la chiamo “la società della magia”, perché è dominata dal pensiero magico, che è molto elementare. I bambini, fino a una certa età, il pensiero magico non lo possiedono. Sapete da cosa si distingue, il pensiero magico, da quello che io chiamo pensiero simbolico? Dalla domanda che ti fai. Se ti chiedi perché, sei nel pensiero simbolico; se ti chiedi solo come, sei nel pensiero magico. I bambini cosa chiedono, sempre? Perché. E quando diventiamo grandi, cosa ci chiediamo sempre? Ci chiediamo perché comprare una macchina, o come comprarla? Ci chiediamo perché fare qualcosa, o come farlo? La libertà non è fare o avere, la libertà è sapere. Sant’Agostino ci lascia una frase bellissima: fatti sapiente, e sarai libero. Noi italiani post-latini abbiamo tradotto male: la conoscenza rende l’uomo libero. Non è la conoscenza, a rendere l’uomo libero. E’ l’uomo che conosce, a diventare libero. La conoscenza, in senso astratto, non esiste. E’ per quello che l’albero e la mela del giardino proibito sono una cretinata anche loro. Non esiste una conoscenza astratta; esiste una conoscenza concreta che si costruisce giorno per giorno, tamite un percorso. Non è qualcosa che si può astrarre: la conoscenza è un concetto concreto, che si esplica e si auto-asserisce di giorno in giorno.La frase di Sant’Agostino è fondamentale: fa’ in modo di sapere, e sarai libero. Invece, fin dalla patristica cristiana, è stata tradotta male: la conoscenza vi rende liberi. E sapete qual è la differenza, tra le due cose? La prima è pensiero simbolico (fa’ in modo di conoscere, e sarai libero), mentre la seconda è pensiero magico (sarà la conoscenza e renderti libero: come una magia, un incantesimo). Sapete, l’amore è una forza straordinaria. Tu ami una donna e lei ancora non ti ricambia? Hai due strade: o fai in modo di acquisire e mostrare quelle caratteristiche per cui lei si possa innamorare di te, o vai dalla zingara e ti fai preparare una pozione. Indipendentemente dal fatto che la pozione funzioni o meno, è la costruzione che è diversa. Perché poi ti potrei chiedere: ma, tramite la pozione, ammesso che funzioni, lei si innamora di te? Perché quello dovresti volere: che ti ami – non solo che ti sposi, o che passi un po’ di notti con te. Di nuovo: devi sapere quello che veramente vuoi.Questo percorso, che io sottolineo anche con i tarocchi, fa la differenza, rispetto a chi ti mette seduto e ti dice “usa la mano sinistra, piglia sei carte e disponile a ruota”. Perché i tarocchi sono altro, sono proprio un altro pianeta. Hanno ancora tante cose da dire, ammesso che noi siamo in grado di chiedergliele. Se girate in un museo, quelle cose parlano. Ma non è un atto magico: parlano perché c’è un nostro impegno nel ricostruire da dove vengono, come ha operato la mano che ha assemblato quel manufatto. In questo modo parlano. Ma se invece non facciamo un percorso di comprensione per capire cosa sono, non parlano. Il 99% dei simboli che ci circondano non lo vediamo nemmeno: non gli diamo alcun peso, alcun significato. Per noi non parlano, perché non esistono. E i tarocchi sono questo: se abbiamo attrezzato i sensi giusti, sono delle porte che ci conducono in mondi. Non parlo di dimensioni parallele o viaggi astrali: intendo i viaggi che facciamo con la nostra mente. E la costruzione di questi percorsi è anche la scoperta che il vero valore sono proprio i percorsi.Scoprirai che l’obiettivo è sempre diverso da quello prefissato: e questa è l’evoluzione. Sappiamo che l’avventura di Colombo, per come ci è stata raccontata, non è vera, storicamente. Ma in quello schema – per cui Colombo scopre l’America cercando l’India – c’è la forma evolutiva principale dell’essere umano. Fra’ Luca Pacioli, personaggio assolutamente geniale, nel secondo capitolo del “De Divina Proportione” scrive che “li errori” sono “la prova della divinità dell’omo”, perché solo tramite gli errori si può arrivare a fare “le cose juste”. Io la trovo una premessa straordinaria. E’ per questo che il labirinto è la prova del libero arbitrio: perché là dentro puoi sbagliare. Se ti avessi dato un percorso perfetto – la spirale, per esempio – non ci sarebbe più libero arbitrio: sarebbe un percorso obbligato, unico. E quando un percorso è unico, diventa inesorabilmente anche un arbitrio non libero.(Gianfranco Carpeoro, estratto della conferenza “Il vero significato dei tarocchi”; video pubblicato su YouTube nel febbraio 2019).Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginiamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?
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Scuola di golpe: è nato in Serbia l’oscuro progetto Guaidò
Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il paese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».Al contempo il Canada, numerose nazioni europee, Israele e il blocco dei governi latinoamericani di destra, conosciuti come il Gruppo di Lima, hanno riconosciuto Guaidó come il leader legittimo del Venezuela. Mentre Guaidó sembra essersi materializzato dal nulla, è in realtà il prodotto di oltre un decennio di coltivazione attenta da parte delle “fabbriche di cambio di regime” del governo degli Stati Uniti. Accanto a un gruppo di attivisti studenteschi di destra, Guaidó è stato coltivato per minare il governo socialista, destabilizzare il paese e un giorno prendere il potere. Sebbene sia stato una figura minore nella politica venezuelana, ha passato anni a dimostrare la sua “dignità” nelle sale del potere di Washington. «Juan Guaidó è un personaggio creato per questa circostanza», ha detto a “Grayzone” Marco Teruggi, sociologo argentino e tra i principali cronisti della politica venezuelana. «È la logica di laboratorio: Guaidó è come una miscela di diversi elementi che creano un personaggio che, in tutta onestà, oscilla tra il risibile e il preoccupante».Diego Sequera, giornalista e scrittore venezuelano per l’agenzia investigativa “Mision Verdad”, concorda: «Guaidó è più popolare fuori dal Venezuela che dentro, specialmente nelle élite Ivy League e nei circoli di Washington. È un personaggio conosciuto lì, è prevedibilmente di destra ed è considerato fedele al programma». Mentre Guaidó è oggi venduto come il volto della restaurazione democratica, ha trascorso la sua carriera nella fazione più violenta del partito di opposizione più radicale del Venezuela, posizionandosi in prima linea in una campagna di destabilizzazione dopo l’altra. Il suo partito è stato ampiamente screditato in Venezuela, ed è ritenuto in parte responsabile della frammentazione di un’opposizione fortemente indebolita. «Questi leader radicali non hanno più del 20% nei sondaggi d’opinione», scrive Luis Vicente León, il principale sondaggista del Venezuela. Secondo Leon, il partito di Guaidó rimane isolato perché la maggioranza della popolazione non vuole la guerra: «Quello che vogliono è una soluzione».Ma questo è precisamente il motivo per cui Guaidó è stato scelto da Washington: non è previsto che guidi il Venezuela verso la democrazia, ma che faccia collassare un paese che negli ultimi due decenni è stato un baluardo di resistenza all’egemonia degli Stati Uniti. La sua improbabile ascesa segna il culmine di un progetto durato due decenni per distruggere un solido esperimento socialista. Dall’elezione del 1998 di Hugo Chavez, gli Stati Uniti hanno combattuto per ripristinare il controllo sul Venezuela e le sue vaste riserve petrolifere. I programmi socialisti di Chavez hanno in parte ridistribuito la ricchezza del paese e aiutato a sollevare milioni dalla povertà, ma gli hanno anche dipinto un bersaglio sulle spalle. Nel 2002, l’opposizione di destra venezuelana lo depose con un colpo di Stato che aveva il sostegno e il riconoscimento degli Stati Uniti, ma l’esercito ripristinò la sua presidenza dopo una mobilitazione popolare di massa. Durante le amministrazioni dei presidenti degli Stati Uniti George W. Bush e Barack Obama, Chavez è sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio, prima di soccombere al cancro nel 2013. Il suo successore, Nicolás Maduro, è sopravvissuto a tre attentati.L’amministrazione Trump ha immediatamente elevato il Venezuela al vertice della lista dei cambi di regime di Washington, dandogli il marchio di leader di una “troika della tirannia”. L’anno scorso, la squadra di sicurezza nazionale di Trump ha cercato di reclutare membri dell’esercito venezuelano per istaurare una giunta militare, ma questo sforzo è fallito. Secondo il governo venezuelano, gli Stati Uniti erano anche coinvolti in una trama chiamata “Operazione Costituzione” per catturare Maduro nel palazzo presidenziale di Miraflores, e un’altra chiamata “Operazione Armageddon” per assassinarlo a una parata militare nel luglio 2017. Poco più di un anno dopo, i leader dell’opposizione esiliata hanno cercato di uccidere Maduro, usando droni-bomba durante una parata militare a Caracas. Più di un decennio prima di questi intrighi, un gruppo di studenti dell’opposizione di destra fu selezionato e curato da un’accademia di formazione d’élite per il cambio di regimi, finanziata dagli Stati Uniti per rovesciare il governo venezuelano e ripristinare l’ordine neoliberista.Il 5 ottobre 2005, con la popolarità di Chavez al suo apice e il suo governo che pianifica vasti programmi socialisti, cinque “leader studenteschi” venezuelani arrivarono a Belgrado, in Serbia, per iniziare l’addestramento per un’insurrezione. Gli studenti erano arrivati dal Venezuela per gentile concessione del Centro per le azioni e strategie nonviolente applicate, o Canvas. Questo gruppo è finanziato in gran parte attraverso il National Endowment for Democracy, un cut-out della Cia che funziona come il braccio principale del governo degli Stati Uniti per promuovere i cambi di regime, e propaggini come l’International Republican Institute e il National Democratic Institute for International Affairs. Secondo le e-mail interne trapelate da Stratfor, una società di intelligence nota come “la Cia-ombra”, «Canvas potrebbe aver ricevuto finanziamenti e addestramento dalla Cia durante la lotta anti-Milosevic del 1999-2000».Canvas è uno spin-off di Otpor, un gruppo di protesta serbo fondato da Srdja Popovic nel 1998 all’Università di Belgrado. Otpor, che significa “resistenza” in serbo, è stato il gruppo studentesco che ha guadagnato fama internazionale – e la pubblicità di Hollywood – mobilitando le proteste che alla fine hanno fatto cadere Slobodan Milosevic. Questa piccola cellula di specialisti del cambio di regime operava secondo le teorie del defunto Gene Sharp, “il Von Clausewitz della lotta non violenta”. Sharp aveva lavorato con un ex analista della Defense Intelligence Agency, il colonnello Robert Helvey, per ideare le linee guida per l’utilizzo della protesta come una forma di guerra ibrida, mirata agli Stati che resistevano alla dominazione unipolare di Washington. Otpor è stato sostenuto dal National Endowment for Democracy, dall’Usaid e dall’Istituto Albert Einstein di Sharp. Sinisa Sikman, uno dei creatori di Otpor, una volta ha detto che il gruppo ha persino ricevuto finanziamenti diretti della Cia.Secondo un’e-mail trapelata dallo staff di Stratfor, dopo aver eliminato Milosevic dal potere, «i ragazzi che gestivano Otpor sono cresciuti, si sono vestiti bene e hanno progettato Canvas, o in altre parole un gruppo “export-a-revolution” che ha gettato i semi delle varie altre “rivoluzioni colorate”. Sono ancora legati ai finanziamenti degli Stati Uniti e fondamentalmente vanno in giro per il mondo cercando di rovesciare dittatori e governi autocratici (quelli che agli Usa non piacciono)». Stratfor ha rivelato che Canvas «ha rivolto la sua attenzione al Venezuela» nel 2005, dopo aver addestrato i movimenti di opposizione che hanno portato le operazioni di cambio di regime pro-Nato in tutta l’Europa orientale. Mentre monitorava il programma di formazione Canvas, Stratfor ha delineato il suo programma insurrezionalista in un linguaggio straordinariamente chiaro: «Il successo non è affatto garantito, e i movimenti studenteschi sono solo l’inizio di quello che potrebbe essere uno sforzo di anni per innescare una rivoluzione in Venezuela, ma i formatori sono le persone che si sono fatte le ossa col “Macellaio dei Balcani”. Hanno delle abilità pazzesche. Quando vedrete studenti in cinque università venezuelane tenere dimostrazioni simultanee, saprete che la formazione è finita e il vero lavoro è iniziato».Il “vero lavoro” è iniziato due anni dopo, nel 2007, quando Guaidó si è laureato presso l’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas. Si è trasferito a Washington per iscriversi al corso di governance e gestione politica presso la George Washington University sotto la guida dell’economista venezuelano Luis Enrique Berrizbeitia, uno dei principali economisti neoliberali latinoamericani. Berrizbeitia è un ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, che ha trascorso oltre un decennio lavorando nel settore energetico venezuelano sotto il vecchio regime oligarchico poi estromesso da Chavez. Quell’anno, Guaidó contribuì a guidare i raduni anti-governativi dopo che il governo venezuelano rifiutò di rinnovare la licenza di “Radio Caracas Televisión” (Rctv). Questa stazione privata svolse un ruolo di primo piano nel colpo di Stato del 2002 contro Hugo Chavez. “Rctv” aiutò a mobilitare i manifestanti anti-governativi, diffondendo informazioni false che incolpavano i sostenitori del governo di atti di violenza, compiuti in realtà dai membri dell’opposizione, e censurò tutte le dichiarazioni pro-governative in occasione del colpo di Stato.Il ruolo di “Rctv” e di altre stazioni di proprietà degli oligarchi nel guidare il fallito tentativo di colpo di Stato è stato ben descritto nell’acclamato documentario “La rivoluzione non sarà trasmessa”. Nello stesso anno, gli studenti rivendicarono il merito di aver soffocato il referendum costituzionale di Chavez per “un socialismo del XXI secolo” che prometteva di «impostare il quadro legale per la riorganizzazione politica e sociale del paese, dando un potere diretto alle comunità organizzate come prerequisito per lo sviluppo di un nuovo sistema economico». Dalle proteste su “Rctv” e referendum, nacque un gruppo specializzato di attivisti del cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti. Si sono definiti “Generation 2007”. I formatori di Stratfor e Canvas di questa cellula hanno identificato un organizzatore chiamato Yon Goicoechea, alleato di Guaidó – quale “fattore chiave” nel soffocamento del referendum costituzionale. L’anno seguente, Goicochea fu ricompensato per i suoi sforzi con il Milton Friedman Prize for Advancing Liberty del Cato Institute, insieme a un premio di 500.000 dollari, che investì prontamente nella costruzione della sua rete politica “Prima la Libertà” (Primero Justicia).Friedman, naturalmente, era il padrino del famigerato think-tank neoliberista dei Chicago Boys che fu importato in Cile dal leader della giunta dittatoriale Augusto Pinochet per attuare politiche di radicale austerità fiscale in stile “shock-doctrine”. E il Cato Institute è il think-tank neoliberista di Washington, fondato dai fratelli Koch, due grandi donatori del partito repubblicano che sono diventati aggressivi sostenitori della destra in tutta l’America Latina. WikiLeaks ha pubblicato un’e-mail del 2007 che l’ambasciatore americano in Venezuela William Brownfield ha inviato al Dipartimento di Stato, al Consiglio di sicurezza nazionale e al Comando meridionale del Dipartimento della difesa elogiando «la Generazione del ‘07» per aver «costretto il presidente venezuelano, abituato a fissare l’agenda politica, a reagire spropositatamente». Tra i «leader emergenti» identificati da Brownfield c’erano Freddy Guevara e Yon Goicoechea. Ha applaudito quest’ultima figura come «uno dei difensori più articolati delle libertà civili». Riempiti di denaro dagli oligarchi neoliberali, i quadri radicali venezuelani hanno portato le loro tattiche Otpor nelle strade, insieme a una loro particolare versione del logo del gruppo.Nel 2009, gli attivisti giovanili di “Generation 2007” hanno messo in scena la loro dimostrazione più provocatoria, calandosi i pantaloni nelle strade e scimmiottando le “scandalose” tattiche di “guerrilla” delineate da Gene Sharp nei suoi manuali sul cambio di regime. I manifestanti si erano mobilitati contro l’arresto di un alleato di un altro gruppo giovanile, chiamato Javu. Questo gruppo di estrema destra «raccolse fondi da una varietà di fonti governative degli Stati Uniti, che gli permisero di acquisire rapida notorietà come l’ala più dura dei movimenti di opposizione», secondo il libro dell’accademico George Ciccariello-Maher, “Building the Commune”. Mentre i video della protesta non sono disponibili, molti venezuelani hanno identificato Guaidó come uno dei suoi partecipanti chiave. Sebbene l’accusa non sia confermata, è certamente plausibile; i manifestanti con le natiche nude erano membri del nucleo interno di “Generazione 2007” a cui apparteneva Guaidó e indossavano le T-shirt col loro marchio di fabbrica “Resistencia!”.Quell’anno, Guaidó si espose al pubblico in un altro modo, fondando un partito politico per catturare l’energia anti-Chavez che la sua “Generazione 2007” aveva coltivato. Il partito, chiamato “Volontà popolare”, fu guidato da Leopoldo López, un purosangue di destra educato a Princeton, pesantemente coinvolto nei programmi del National Endowment for Democracy ed eletto sindaco di un distretto di Caracas tra i più ricchi del paese. Lopez era un ritratto dell’aristocrazia venezuelana, direttamente discendente dal primo presidente del suo paese. È anche cugino di Thor Halvorssen, fondatore della Human Rights Foundation, con sede negli Stati Uniti, che funge da facciata pubblicitaria per gli attivisti anti-governativi sostenuti dagli Stati Uniti in paesi presi di mira da Washington. Sebbene gli interessi di Lopez fossero allineati perfettamente con quelli di Washington, i documenti diplomatici statunitensi pubblicati da WikiLeaks mettevano in luce le tendenze fanatiche che avrebbero portato alla marginalizzazione dal consenso popolare.Un comunicato identificava Lopez come «una figura di divisione all’interno dell’opposizione, spesso descritta come arrogante, vendicativa e assetata di potere». Altri hanno evidenziato la sua ossessione per gli scontri e il suo «approccio intransigente» come fonte di tensione con altri leader dell’opposizione, che davano priorità all’unità e alla partecipazione alle istituzioni democratiche del paese. Nel 2010 “Volontà Popolare” e i suoi sostenitori stranieri si sono mossi per sfruttare la peggiore siccità che avesse colpito il Venezuela, da decenni. La grande carenza di energia elettrica aveva colpito il paese a causa della scarsità d’acqua, necessaria per alimentare le centrali idroelettriche. La recessione economica globale e un calo dei prezzi del petrolio aggravarono la crisi, provocando il malcontento pubblico. Stratfor e Canvas – i principali consiglieri di Guaidó e dei suoi quadri anti-governativi – escogitarono un piano scandalosamente cinico per pugnalare al cuore la rivoluzione bolivariana. Il piano prevedeva un crollo del 70% del sistema elettrico del paese già nell’aprile 2010.«Questo potrebbe essere l’evento spartiacque, poiché c’è poco che Chavez possa fare per proteggere i poveri dal fallimento di quel sistema», dichiara il memorandum interno di Stratfor. «Questo avrà probabilmente l’effetto di galvanizzare i disordini pubblici in un modo che nessun gruppo di opposizione potrebbe mai sperare di generare. A quel punto, un gruppo di opposizione potrebbe servirsene per approfittare della situazione e scagliare l’opinione pubblica contro Chavez». In quel momento l’opposizione venezuelana riceveva 40-50 milioni di dollari l’anno da organizzazioni governative statunitensi come Usaid e National Endowment for Democracy, secondo un rapporto di un think-tank spagnolo, l’Istituto Frude. Aveva anche una grande ricchezza da attingere dai suoi conti, che erano per lo più al di fuori del paese. Ma lo scenario immaginato da Statfor non si realizzò, gli attivisti del partito “Volontà Popolare” e i loro alleati misero quindi da parte ogni pretesa di non violenza e si unirono in un piano radicale di destabilizzazione del paese.Nel novembre 2010, secondo le e-mail ottenute dai servizi di sicurezza venezuelani e presentate dall’ex ministro della giustizia Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea e diversi altri attivisti studenteschi hanno partecipato ad un corso di formazione segreto di cinque giorni presso l’hotel Fiesta Mexicana di Città del Messico. Le sessioni sono state condotte da Otpor, i formatori del cambio regime a Belgrado appoggiati dal governo degli Stati Uniti. Secondo quanto riferito, l’incontro aveva ricevuto la benedizione di Otto Reich, un esiliato cubano fanaticamente anticastrista che lavorava nel Dipartimento di Stato di George W. Bush, e dall’ex presidente colombiano di destra Alvaro Uribe. All’hotel Fiesta Mexicana, Guaidó e i suoi compagni attivisti hanno ordito un piano per rovesciare Hugo Chavez generando il caos attraverso spasmi prolungati di violenza di strada.Tre personaggi dell’industria petrolifera – Gustavo Tovar, Eligio Cedeño e Pedro Burelli – hanno a quanto pare pagato il conto di 52.000 dollari dell’albergo. Torrar è un autoproclamato “attivista per i diritti umani” e “intellettuale”, il cui fratello minore Reynaldo Tovar Arroyo è il rappresentante in Venezuela della società petrolifera messicana privata Petroquimica del Golfo, che ha un contratto con lo Stato venezuelano. Cedeño, da parte sua, è un fuggitivo uomo d’affari venezuelano che ha chiesto asilo negli Stati Uniti, e Pedro Burelli un ex dirigente della Jp Morgan ed ex direttore della compagnia petrolifera nazionale venezuelana Petroleum of Venezuela (Pdvsa). Lasciò la Pdvsa nel 1998 mentre Hugo Chavez prendeva il potere, e faceva parte del comitato consultivo del programma di leadership in America Latina della Georgetown University. Burelli ha insistito sul fatto che le e-mail che dettagliavano la sua partecipazione erano state inventate, e ha persino assunto un investigatore privato per dimostrarlo. L’investigatore dichiarò che i registri di Google mostravano che le e-mail che si presumeva fossero sue non vennero mai trasmesse.Eppure oggi Burelli non fa mistero del suo desiderio di vedere deposto l’attuale presidente venezuelano, Nicolás Maduro, e anche di volerlo «trascinato per le strade e sodomizzato con una baionetta», come accaduto al capo libico Muhammar Gheddafi, così trattato dai miliziani sostenuti dalla Nato. La presunta trama di Fiesta Mexicana è confluita in un altro piano di destabilizzazione, rivelato in una serie di documenti mostrati dal governo venezuelano. Nel maggio 2014, Caracas ha rilasciato documenti che descrivono un complotto di omicidio contro il presidente Nicolás Maduro. Le fughe di notizie hanno identificato Maria Corina Machado, con sede a Miami, come leader del piano. Estremista con un debole per la retorica estrema, Machado ha funto da collegamento internazionale per l’opposizione, incontrando addirittura il presidente George W. Bush nel 2005. «Penso che sia tempo di raccogliere gli sforzi; fai le chiamate necessarie e ottieni finanziamenti per annientare Maduro e il resto andrà in pezzi», ha scritto Maria Corina Machado in una e-mail all’ex diplomatico venezuelano Diego Arria nel 2014.In un’altra email, la Machado sosteneva che la trama violenta aveva la benedizione dell’ambasciatore statunitense in Colombia, Kevin Whitaker. «Ho già deciso, e questa lotta continuerà fino a quando questo regime non sarà rovesciato e consegneremo il risultato ai nostri amici nel mondo. Se sono andata a San Cristobal e mi sono esposta all’Oas, non ho paura di nulla. Kevin Whitaker ha già riconfermato il suo sostegno e ha sottolineato i nuovi passaggi. Abbiamo un libretto degli assegni più forte di quello del regime per rompere l’anello di sicurezza internazionale». Nel febbraio 2014, i manifestanti studenteschi che agivano come truppe d’assalto per l’oligarchia in esilio eressero barricate in tutto il paese, trasformando quartieri controllati dall’opposizione in fortezze violente, note come “guarimbas”. Mentre i media internazionali ritraevano lo sconvolgimento come una protesta spontanea contro la regola del pugno di ferro di Maduro, ci sono molte prove che fosse “Volontà Popolare” ad orchestrare lo spettacolo.«I manifestanti delle università non indossavano le loro magliette, tutti indossavano magliette di “Volontà Popolare” o “Justice First”», ha detto un partecipante alla “guarimba”, all’epoca. «Potrebbero essere stati gruppi di studenti, ma i consigli studenteschi sono affiliati ai partiti politici di opposizione e sono responsabili nei loro confronti». Alla domanda su chi fossero i capobanda, il partecipante alla “guarimba” ha dichiarato: «Beh, ad essere onesti, quei ragazzi ora sono in Parlamento». Circa 43 sono stati i morti durante le “guarimbas” del 2014. Le stesse violenze eruttarono di nuovo tre anni dopo, causando grandi distruzioni di infrastrutture pubbliche, l’assassinio di sostenitori del governo e la morte di 126 persone, molte delle quali erano chaviste. In diversi casi, i sostenitori del governo sono stati bruciati vivi da bande armate. Guaidó è stato direttamente coinvolto nelle “guarimbas” del 2014. Infatti, ha twittato un video in cui si mostrava vestito con un elmetto e una maschera antigas, circondato da elementi mascherati e armati che avevano bloccato un’autostrada e che si stavano impegnando in uno scontro violento con la polizia. Alludendo alla sua partecipazione alla “Generazione 2007”, proclamava: «Ricordo che nel 2007, abbiamo proclamato, “Studenti!”. Ora gridiamo: “Resistenza! Resistenza”». Guaidó ha poi cancellato il tweet, dimostrando un’apparente preoccupazione per la sua immagine di paladino della democrazia.Il 12 febbraio 2014, durante il culmine delle “guarimbas” di quell’anno, Guaidó si è unito a Lopez sul palco di una manifestazione di “Volontà Popolare” e “Prima la Giustizia”. Con un lungo discorso contro il governo, Lopez esortò la folla a marciare verso l’ufficio del procuratore generale Luisa Ortega Diaz. Poco dopo, l’ufficio di Diaz venne attaccato da bande armate che tentarono di bruciarlo. La Diaz ha definito l’episodio come «violenza programmata e premeditata». In un’apparizione televisiva del 2016, Guaidó ha liquidato come “mito” le morti risultanti da “guayas” – una tattica di “guarimba” che consiste nel piazzare filo spinato su una strada ad altezza della testa per ferire o uccidere motociclisti. I suoi commenti hanno minimizzato una tattica micidiale che aveva ucciso civili disarmati come Santiago Pedroza e decapitato un uomo di nome Elvis Durán, tra molti altri. Questo insensibile disprezzo per la vita umana definisce “Volontà Popolare” agli occhi di gran parte del pubblico, compresi molti avversari di Maduro.Con l’intensificarsi della violenza e della polarizzazione politica in tutto il paese, il governo ha iniziato ad agire contro i leader di “Volontà Popolare”. Freddy Guevara, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e secondo in comando di “Volontà Popolare”, è stato il principale leader delle rivolte di strada del 2017. Di fronte a un processo per il suo ruolo nelle violenze, Guevara si è rifugiato nell’ambasciata cilena, dove rimane. Lester Toledo, un legislatore di “Volontà Popolare” dello Stato di Zulia, è stato ricercato dal governo venezuelano nel settembre 2016 con l’accusa di finanziamento del terrorismo e di complotto a fini di omicidio. Si dice che i piani siano stati preparati insieme all’ex presidente colombiano Álavaro Uribe. Toledo è fuggito dal Venezuela e ha fatto diverse tournée con Human Rights Watch, la Freedom House, il Congresso spagnolo e il Parlamento Europeo, sostenuto dal governo degli Stati Uniti.Carlos Graffe è un altro membro della “Generazione 2007” addestrata da Otpor, che ha guidato Volontà Popolare. E’ stato arrestato nel luglio 2017. Secondo la polizia, era in possesso di una borsa piena di chiodi, esplosivo C4 e un detonatore. È stato rilasciato il 27 dicembre 2017. Leopoldo Lopez, il leader di lunga data di “Volontà Popolare”, è oggi agli arresti domiciliari, accusato di aver avuto un ruolo chiave nella morte di 13 persone durante le “guarimbas” nel 2014. Amnesty International ha elogiato Lopez come «prigioniero di coscienza». Nel frattempo, i familiari delle vittime di “guarimba” hanno presentato una petizione per ulteriori accuse contro Lopez. Goicoechea, il poster-boy dei fratelli Koch e fondatore di “Prima la Giustizia”, sostenuto dagli Stati Uniti, è stato arrestato nel 2016 dalle forze di sicurezza, che hanno affermato di aver trovato un chilo di esplosivo nel suo veicolo. In un editoriale del “New York Times”, Goicoechea ha protestato contro le accuse (che definisce false) e ha affermato di essere stato imprigionato semplicemente per il suo «sogno di una società democratica, libera dal comunismo». È stato liberato nel novembre 2017.David Smolansky, anche lui membro dell’originale “Generation 2007” di Otpor, è diventato il più giovane sindaco venezuelano quando è stato eletto nel 2013 nel ricco sobborgo di El Hatillo. Ma è stato spogliato della sua posizione e condannato a 15 mesi di prigione dalla Corte Suprema dopo essere stato trovato colpevole di aver fomentato le violenze delle “guarimbas”. Prima dell’arresto, Smolansky si rasò la barba, indossò occhiali da sole e scivolò in Brasile travestito da prete con una Bibbia in mano e il rosario al collo. Ora vive a Washington, dove è stato scelto dal segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani Luis Almagro per guidare il gruppo di lavoro sulla crisi dei migranti e dei rifugiati venezuelani. Lo scorso 26 luglio, Smolansky ha tenuto quella che ha definito una «riunione cordiale» con Elliot Abrams, il criminale condannato nel processo Iran-Contra, ora mandato da Trump come inviato speciale degli Stati Uniti in Venezuela. Abrams è noto per aver supervisionato la politica segreta degli Stati Uniti di armare gli squadroni della morte di destra durante gli anni ‘80 in Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Il suo ruolo principale nel colpo di Stato venezuelano ha alimentato i timori che un’altra guerra per procura potrebbe essere in arrivo. Quattro giorni prima, Machado aveva urlato un’altra violenta minaccia contro Maduro, dichiarando che «se vuole salvarsi la vita, dovrebbe capire che il suo tempo è scaduto».Il collasso di “Volontà Popolare”, sotto il peso della violenta campagna di destabilizzazione che aveva avviato, ha alienato il consenso di ampi settori dell’opinione pubblica e ha costretto gran parte della sua leadership in esilio o in carcere. Guaidó è sempre rimasto una figura relativamente minore, ha infatti trascorso gran parte della sua carriera di nove anni all’Assemblea Nazionale come sostituto. Originario di uno degli Stati meno popolati del Venezuela, Guaidó arrivò secondo alle elezioni parlamentari del 2015, assicurandosi il posto in Assemblea con appena il 26% dei voti. In effetti, si può dire che il suo sedere fosse più conosciuto della sua faccia. Guaidó è noto come il presidente dell’Assemblea Nazionale, dominata dall’opposizione, ma non è mai stato eletto. I quattro partiti di opposizione che comprendevano il Tavolo di Unità Democratica dell’Assemblea avevano deciso di istituire una presidenza a rotazione. La svolta di “Volontà Popolare” era in arrivo, ma il suo fondatore, Lopez, era agli arresti domiciliari. Nel frattempo, il suo secondo incaricato, Guevara, si era rifugiato nell’ambasciata cilena. Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto occupare la presidenza dell’Assemblea, ma per ragioni che ora sono maggiormente chiare, gli fu preferito Juan Guaidò.«C’è un ragionamento di classe che spiega l’ascesa di Guaidó», osserva Sequera, l’analista venezuelano. «Mejía è di classe alta, ha studiato in una delle università private più costose del Venezuela e non poteva essere facilmente venduto al pubblico come Guaidó. Guaidó ha caratteristiche meticce comuni alla maggior parte dei venezuelani, e sembra più un uomo della gente. Inoltre, non era stato sovraesposto nei media, quindi poteva essere presentato in praticamente qualsiasi salsa». Nel dicembre 2018, Guaidó si è recato a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare la preparazione di manifestazioni di massa durante l’inaugurazione della presidenza Maduro. La notte prima della cerimonia di giuramento di Maduro, sia il vicepresidente Mike Pence che il ministro degli esteri canadese Chrystia Freeland hanno chiamato Guaidó per confermare il loro sostegno. Una settimana dopo, il senatore Marco Rubio, il senatore Rick Scott e il rappresentante Mario Diaz-Balart – tutti i legislatori della base della destra della lobby di esilio cubano di destra – si sono uniti al presidente Trump e al vicepresidente Pence alla Casa Bianca. Su loro richiesta, Trump dichiarò che se Guaidó si fosse dichiarato presidente, lo avrebbe sostenuto.Il segretario di Stato Mike Pompeo ha incontrato personalmente Guaidó il 10 gennaio, secondo il “Wall Street Journal”. Tuttavia, Pompeo non riusci a pronunciare correttamente il nome di Guaidó quando lo menzionò in una conferenza stampa il 25 gennaio, riferendosi a lui come a “Juan Guido”. L’11 gennaio, la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata modificata per 37 volte, mettendo in evidenza la lotta per modellare l’immagine di una figura precedentemente anonima che ora era un tableau per le ambizioni del cambio di regime di Washington. Alla fine, la supervisione editoriale della sua pagina è stata consegnata al consiglio d’élite dei “bibliotecari” di Wikipedia, che lo ha definito presidente «conteso» del Venezuela. Guaidó sarà anche una mezza figura, ma la sua combinazione di radicalismo e opportunismo soddisfa i bisogni di Washington. «Quel pezzo interno era mancante», ha detto di Guaidó un funzionario dell’amministrazione Trump. «Era il pezzo di cui avevamo bisogno perché la nostra strategia fosse coerente e completa». Brownfield, l’ex ambasciatore americano in Venezuela, ha dichiarato al “New York Times”: «Per la prima volta abbiamo un leader dell’opposizione che sta chiaramente segnalando alle forze armate e alle forze dell’ordine che vuole tenerle dalla parte degli angeli e dei bravi ragazzi».Ma è stata “Volontà Popolare” di Guaidó a formare le truppe d’assalto delle “guarimbas” che hanno causato la morte di agenti di polizia e comuni cittadini. Si era persino vantato della propria partecipazione alle rivolte di strada. E ora, per conquistare i cuori e le menti dei militari e della polizia, Guaidò ha dovuto cancellare questa storia intrisa di sangue. Il 21 gennaio, un giorno prima che il colpo di Stato iniziasse sul serio, la moglie di Guaidó ha presentato un video che invitava i militari a insorgere contro Maduro. La sua esibizione è stata legnosa e poco accattivante, e sottolinea le limitate prospettive politiche del marito. In una conferenza stampa di fronte ai suoi sostenitori, quattro giorni dopo, Guaidó ha annunciato la sua soluzione alla crisi: «Autorizzare un intervento umanitario!». Mentre attende l’assistenza diretta, Guaidó rimane quello che è sempre stato – una marionetta, frutto del progetto di ciniche forze esterne. «Non importa se si brucerà dopo tutte queste disavventure», dice Sequera del fantoccio del colpo di Stato. «Per gli americani, è sacrificabile».(Dan Cohen e Max Blumenthal, “The making of Juan Guaidó – Il fantoccio creato in laboratorio per il colpo di Stato in Venezuela”, da “Consortium News” del 29 gennaio 2019: reportage tradotto da Enrico Carotenuto per “Coscienze in Rete”. Max Blumenthal è un giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri, tra cui “Gomorra Repubblicana”, “Golia”, “La guerra dei cinquanta giorni” e “La gestione della ferocia”. Ha prodotto articoli per numerose pubblicazioni, molti video report e diversi documentari, tra cui “Killing Gaza”. Blumenthal ha fondato “The Grayzone” nel 2015 per puntare un faro giornalistico sullo stato di guerra perpetua dell’America e le sue pericolose ripercussioni domestiche. Dan Cohen è un giornalista e regista. Ha prodotto reportage video ampiamente distribuiti e materiale cartaceo da tutta Israele-Palestina. E’ un corrispondente di “Rt America”).Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il paese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Il debito frena la crescita? Fake news, ma targata Harvard
E’ il nuovo tormentone, l’ultima trovata – in realtà per niente originale – per far fronte all’irrompere dei populismi e sovranismi, tanto temuti dall’attuale e tenace compagine di potere: l’apologia della “competenza”. Per salvare il sistema da temibili e minacciosi sovvertimenti occorre che il potere consultivo e decisionale su ogni ambito della vita individuale e collettiva venga demandato a una cerchia ben selezionata di “competenti”. Ma chi sono questi individui eletti? In teoria, persone la cui elevata conoscenza tecnica in materie specifiche li eleva a massimi esperti, e dunque portatori indiscussi di verità assolute e inconfutabili, sottratte a ogni critica. In pratica, gli stessi che hanno già ricoperto ruoli di prestigio in istituzioni che ci hanno governato finora, con i risultati – più o meno disastrosi – che sono sotto gli occhi di tutti. Il concetto di competenza, tanto in voga tra gli economisti, perde così ogni riferimento alla misurazione dei risultati raggiunti dalle azioni e dagli strumenti messi in atto: l’efficacia delle politiche adottate non ha alcuna rilevanza. Ciò che conta è la legittimità delle azioni e degli attori, l’autorevolezza che gli viene tributata da enti e istituzioni universalmente riconosciuti.Secondo un meccanismo autoreferenziale e capace di autoriprodurre il proprio pensiero senza interruzione critica, nell’ambito della ricerca scientifica vengono premiati e incentivati coloro che sono in grado di portare prove a sostegno di un modello universalmente riconosciuto. Una sorta di esaltazione della “mediocrità”, dove per mediocre intendiamo quell’individuo che annulla il proprio spirito critico, in virtù di un’adesione e un sostegno preconcetti a un modello già esistente. In un simile contesto, il lavoro di analisi e confutazione di teorie già esistenti e acclamate viene scoraggiato e marginalizzato. Pensiamo al clamoroso errore nel 2010 di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, due docenti della prestigiosa Università di Harvard e con ruoli nel Fmi, che con la loro pubblicazione “Growth in a Time of Debt”, forniscono la prova “scientifica” che qualora il debito pubblico di una nazione raggiunga la soglia del 90% del Pil diventerebbe un ostacolo insuperabile alla crescita.Il paper diventa la Bibbia dei paladini dell’austerity: quel 90% fornisce una cifra precisa, capace di esercitare quella fascinazione sull’opinione pubblica che la “scienza esatta” è in grado di suscitare. Tre anni dopo accade che dei professori dell’università di Amherst affidano a uno studente il compito di scegliere una ricerca e replicarne il risultato. La scelta del giovane Herndon ricade proprio sull’osannato paper di Reinhart e Rogoff e l’esito della sua analisi è sconvolgente: lo studio è compromesso da gravi problemi metodologici e addirittura da un banale errore nel foglio Excel, alcuni calcoli sono sbagliati e viene omesso di includere tra le nazioni esaminate tre casi rilevanti. Gli stessi economisti di Harvard sono costretti a riconoscere l’errore, sebbene cercando di sminuirne la portata. Ma la credenza che l’aumento del debito pubblico sia dannoso alla crescita non solo non viene scalfita, ma anzi si rafforza e le politiche dell’austerity continuano a seminare sempre più vittime, in Europa come nel resto del mondo.Intanto Reinhart e Rogoff hanno continuato a essere protetti dalla loro aura sacrale conferitagli dalla “competenza”, sono stati insigniti di importanti premi e riconoscimenti, e a collaborare con organizzazioni che esercitano la governance mondiale. Gli errori sono umani e non si possono certo stigmatizzare due economisti che sicuramente hanno dedicato la loro vita agli studi, ma di ridimensionare il potere assoluto e dispotico della scienza, di riportarla al suo ruolo di strumento funzionale al benessere e allo sviluppo umano.(Ilaria Bifarini, “La chiamano competenza, invece è mediocrità”, dal blog della Bifarini del 4 febbraio 2019).E’ il nuovo tormentone, l’ultima trovata – in realtà per niente originale – per far fronte all’irrompere dei populismi e sovranismi, tanto temuti dall’attuale e tenace compagine di potere: l’apologia della “competenza”. Per salvare il sistema da temibili e minacciosi sovvertimenti occorre che il potere consultivo e decisionale su ogni ambito della vita individuale e collettiva venga demandato a una cerchia ben selezionata di “competenti”. Ma chi sono questi individui eletti? In teoria, persone la cui elevata conoscenza tecnica in materie specifiche li eleva a massimi esperti, e dunque portatori indiscussi di verità assolute e inconfutabili, sottratte a ogni critica. In pratica, gli stessi che hanno già ricoperto ruoli di prestigio in istituzioni che ci hanno governato finora, con i risultati – più o meno disastrosi – che sono sotto gli occhi di tutti. Il concetto di competenza, tanto in voga tra gli economisti, perde così ogni riferimento alla misurazione dei risultati raggiunti dalle azioni e dagli strumenti messi in atto: l’efficacia delle politiche adottate non ha alcuna rilevanza. Ciò che conta è la legittimità delle azioni e degli attori, l’autorevolezza che gli viene tributata da enti e istituzioni universalmente riconosciuti.
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Maometto e l’Arca dell’Alleanza sepolta dai russi in Antartide
Un’oscura strage alla Mecca e una strana spedizione navale russa in Antartide, con tappa a Gedda in Arabia Saudita. Vox populi, dal web: i russi, attraverso il patriarca ortodosso Kirill, avrebbero preso in custodia nientemeno che la leggendaria “Arca di Gabriele”, risalente a Maometto, per metterla al sicuro dalle parti del Polo Sud, in una base militare. Succedeva alla fine del 2015. Pochi giorni dopo, Putin scatenava l’offensiva dell’aviazione di Mosca contro l’Isis in Siria. E la misteriosa Arca dell’Alleanza? Sarebbe stata portata alla luce il 12 settembre nei sotterranei della Grande Moschea della Mecca. I 15 operai impegnati nell’operazione sarebbero morti, folgorati dall’imprecisata “energia” emanata dal manufatto. L’esplosione sarebbe stata così violenta da uccidere anche 107 pellegrini, al piano superiore. Le vittime sono reali, anche se le autorità saudite le hanno attribuite a cause accidentali: un incidente cantieristico nel sottosuolo avrebbe scatenato il panico in superficie, provocando il fuggi-fuggi culminato nella carneficina. Verificata anche l’anomala “visita di lavoro” della delegazione russa in Arabia Saudita, con la nave da ricerca “Admiral Vladimirsky” ormeggiata nel porto saudita di Gedda, a due passi dalla Mecca.La nave è poi ripartita diretta proprio in Antartide, scortata da una potente flotta capitanata dall’incrociatore lanciamissili “Varyag” e dalla nave da battaglia “Bystry”. Poche settimane dopo, lo stesso patriarca Kirill si è fatto fotografare tra i pinguini, in Antartide. Motivo ufficiale della missione religiosa: benedire una chiesa ortodossa. La notizia non poteva passare inosservata e, come annota l’inglese “Daily Star”, non poteva non eccitare i dietrologi di mezzo pianeta. La tesi: una volta scatenatosi il potere energetico dell’Arca, i sauditi si sono immediatamente rivolti ai russi per un motivo preciso, storico. Nel remoto 1204, all’epoca della Quarta Crociata, sarebbe stato proprio il clero ortodosso a mettere in salvo un documento cruciale, fino a quel tempo custodito nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, saccheggiata dai crociati. Per mille anni sarebbero quindi state custodite dagli ortodossi slavi le “Istruzioni di Gabriele a Maometto”, vale a dire il “vademecum” per l’utilizzo dell’Arca che “l’arcangelo” avrebbe consegnato al profeta dell’Islam. Un’Arca diversa, quella di Gabriele, rispetto a quella che – secondo la Bibbia – Yahvè ordinò a Mosè di costruire, per riporvi le Tavole della Legge?Il Libro dell’Esodo la descrive come una cassa in legno d’acacia rivestita d’oro, lunga 110 centimetri, alta 66 e profonda altrettanto, sigillata da un coperchio di oro puro. Solo un oggetto di culto o anche un potente generatore energetico? Così la interpreta Mauro Biglino, a lungo traduttore della Bibbia per le Edizioni San Paolo: quell’Arca era pericolosa, al punto che gli addetti alla sua manutenzione – accuratamente prescelti – dovevano indossare esclusivamente panni di lino, materiale notoriamente “neutro”, adatto a proteggere il corpo dall’elettricità. Una specie di “ordigno energetico” temibile, esattamente come quello che – esplodendo – travolge i nemici di Harrison Ford (Indiana Jones) nel kolossal “I predatori dell’Arca perduta”, diretto da Spielberg nel 1981. Molto suggestiva, ovviamente, l’inconsueta triangolazione che – alla vigilia della guerra di Putin contro l’Isis – mette insieme Mosca, la Mecca e il continente antartico, “blindato” come zona militare off limits. Tra i blog propensi ad accreditare la versione “segreta” della vicenda si distingue “Segnali dal cielo”, che cita un dispaccio del ministero della difesa russo datato 6 dicembre 2015. La squadra navale sarebbe salpata l’8 dicembre 2015 da Gedda, alla volta dell’Antartide, con a bordo «un misterioso artefatto dall’Arabia Saudita».Si sarebbe trattato di «uno dei più strani trasporti mai organizzati dal Cremlino». La spedizione sarebbe stata espressamente richiesta dal leader della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill di Mosca, il quale «si è incontrato in Antartide con l’armata navale della Federazione Russa», incaricata di trasportare e scortare la mitica “Arca di Gabriele”. Dall’Arabia Saudita, l’Arca sarebbe giunta in Antartide «per essere affidata nelle mani del Custode delle due Sacre Moschee, in modo da propiziare un “antico rito” attraverso la lettura di un “testo segreto”». E attenzione: il misterioso “testo segreto” sarebbe stato fornito che da Papa Francesco, che ha incontrato Kirill a Cuba nello storico meeting interreligioso del 12 febbraio 2016. A mietere vittime alla Mecca, mesi prima, sarebbe stata una potente emissione di “energia-plasma” scaturita dall’Arca di Gabriele.Anche se il citato rapporto del ministero della difesa russo «non dice praticamente nulla sulle conversazioni tenute tra sua santità il patriarca Kirill e gli emissari della Grande Moschea, con riferimento a questa misteriosa “arma-dispositivo”», scrive il sito “Intermatrix”, colpisce l’automatismo in base al quale Putin, «informato di questa grave situazione», il 27 settembre 2015 «ha immediatamente ordinato la missione in Antartide per la nave “Vladimirsky”», la cui missione sarebbe stata ulteriomente protetta da satelliti militari. Tra le fonti russe, il sito “Imbf” conferma: la nave “Vladimirsky” ha fatto davvero scalo nel porto di Gedda, anche se «non c’è stata una spiegazione ufficiale dei motivi della chiamata» (i media si sono limitati a parlare di “visite di lavoro”. Secondo il newsmagazine moscovita, il 17 febbraio 2016, il patriarca Kirill avrebbe davvero eseguito “l’antico rituale” sulla cosiddetta Arca di Gabriele. Dove? «Nella chiesa ortodossa russa della Santissima Trinità, l’unica chiesa presente in Antartide», con l’aiuto di quel “testo segreto” «datogli da Papa Francesco». Subito dopo, il “misterioso artefatto” sarebbe stato «trasportato in profondità, in quel vasto e freddo continente, da un’unità di forze speciali».Pochi mesi dopo, l’11 novembre 2016, l’allora segretario di Stato americano John Kerry è volato a sua volta in Antartide, dove – ricorda sempre “Imbf” – ha avuto luogo una discussione, a porte chiuse, per la firma del «nuovo trattato intergovernativo, secondo cui le visite private in Antartide, senza previo consenso, sono state chiuse per 35 anni». Domande: cosa avrebbe comunicato il Papa cattolico al patriarca Cirillo all’Avana? E perché il sovrano saudita avrebbe precipitosamente chiesto a Putin di trasportare tra i ghiacci antartici l’ipotetica Arca trovata nel sottosuolo della Mecca? E poi: in cosa si differenzia, la cosiddetta Arca di Gabriele, da quella più celebre in Occidente, cioè l’Arca dell’Alleanza biblica tra Yahvè e la famiglia israelita di Giacobbe? Secondo la tradizione copta, quell’Arca sarebbe custodita in Etiopia, nella cattedrale di Nostra Signora Maria di Sion, ad Axum. Si tratterebbe di «una delle reliquie più antiche e misteriose della storia», sottolinea il newsmagazine “Si Viaggia”. Si trova davvero lì, l’Arca di Yahvè? «Nessuno può dirlo con certezza. La cattedrale che la custodisce infatti è sorvegliata da un sacerdote, che ha l’ordine di non lasciare la cappella dove si trova il manufatto per nessuna ragione al mondo».Secondo la Bibbia, da quello strano arnese «scaturivano aloni di luce e lampi “divini”, che colpivano chiunque vi si avvicinasse». E come sarebbe finita in Africa, l’Arca dell’Alleanza? Il mito – spiega sempre “Si Viaggia” – prende spunto dal testo sacro etiope Kebra Nagast (“Gloria dei Re”), secondo il quale Re Salomone l’avrebbe donata a Menelik I, il figlio avuto dalla regina di Saba, leggendaria fondatrice dell’Etiopia. «Da allora, l’Arca sarebbe custodita nella cattedrale di Axum, e ancora oggi i religiosi copti sostengono che si trovi lì». Nel 2009, l’allora patriarca etiopico Abuna Paulos dichiarò che l’Arca dell’Alleanza «si trova da tremila anni in Etiopia, e con la volontà di Dio continuerà ad essere lì». Nella cattedrale di Axum, meta di pellegrinaggi da ogni parte del pianeta, «possono entrare soltanto i monaci, e uno di loro è il guardiano dell’Arca: l’unico al mondo che può vederla». E la pericolosa Arca di Gabriele? E’ ancora Mauro Biglino a inquadrare sotto un’altra luce le notizie di origine biblica, attraverso la traduzione letterale del testo: quelle narrate dalla Bibbia (libro senza fonti, costantemente rimaneggiato fino all’epoca medievale di Carlo Magno) sono notizie essenzialmente storiche, politiche e militari, ma non religiose.Il nome Gabriele (Jibril, in arabo) non designa un individuo, ma una categoria di persone: in ebraico antico, Ghever-El significa “plenipotenziario di un El”. E nella Bibbia – aggiunge Biglino – l’espressione El (comandante) è il plurale di Elohim, termine che indica quegli individui che, come Yahvè, esercitavano il loro potere “coloniale” sugli umani. La Bibbia ne cita una ventina: sono analoghi agli Anunnaki sumeri, agli Netheru egizi, ai Theoi greci e ai Deva indiani. Extraterrestri, successivamente divinizzati – dopo millenni – con la nascita dei monoteismi? Non stupiscono le voci sulla presunta pericolosità dell’Arca della Mecca, che avrebbe costretto i sauditi a mobilitare la flotta militare russa: anche l’Arca di Yahvè, sottolinea Biglino, era un dispositivo da maneggiare con cura. Era guardato a vista nella dimora di Yahvè da personale altamente specializzato. E dal locale che la ospitava si udiva l’incessante ronzio dei “serafini”, simile a quello emanato dalle turbine dei generatori elettrici. Per Biglino, ovviamente, la Bibbia non parla di Dio: l’alleanza tra il governatore Yahvè e gli israeliti non aveva carattere mistico, ma militare. E proprio quell’Arca poteva essere una sorta di arma letale. Quella della Mecca – che secondo la tradizione fu consegnata a Maometto da un Ghever-El, a sua volta spiritualizzato e trasformato in “arcangelo” – era un esemplare gemello di quello di Gerusalemme, che ora sarebbe custodito ad Axum? Difficile sperare in conferme, tantomeno ufficiali. Specie se c’è di mezzo l’Antartide.Un’oscura strage alla Mecca e una strana spedizione navale russa in Antartide, con tappa a Gedda in Arabia Saudita. Vox populi, dal web: i russi, attraverso il patriarca ortodosso Kirill, avrebbero preso in custodia nientemeno che la leggendaria “Arca di Gabriele”, risalente a Maometto, per metterla al sicuro dalle parti del Polo Sud, in una base militare. Succedeva alla fine del 2015. Pochi giorni dopo, Putin scatenava l’offensiva dell’aviazione di Mosca contro l’Isis in Siria. E la misteriosa Arca dell’Alleanza? Sarebbe stata portata alla luce il 12 settembre nei sotterranei della Grande Moschea della Mecca. I 15 operai impegnati nell’operazione sarebbero morti, folgorati dall’imprecisata “energia” emanata dal manufatto. L’esplosione sarebbe stata così violenta da uccidere anche 107 pellegrini, al piano superiore. Le vittime sono reali, anche se le autorità saudite le hanno attribuite a cause accidentali: un incidente cantieristico nel sottosuolo avrebbe scatenato il panico in superficie, provocando il fuggi-fuggi culminato nella carneficina. Verificata anche l’anomala “visita di lavoro” della delegazione russa in Arabia Saudita, con la nave da ricerca “Admiral Vladimirsky” ormeggiata nel porto saudita di Gedda, a due passi dalla Mecca.
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Chavez fu ucciso, ma ora è Maduro a uccidere il Venezuela
Hugo Chavez è stato assassinato: la notizia è pressoché certa. Poi ci ha pensato l’indegno Maduro, a “terminare” il Venezuela. Ma non da solo: è stato aiutato, nell’opera di devastazione del paese, dai vizi capitali del “bolivarismo” venezuelano. La giusta crociata contro il latifondo ha finito per affidare le terre a cooperative gestite da incapaci, scelti per la loro fedeltà politica. Idem le imprese, simbolo dell’odiata borghesia “coloniale” e parassitaria, alleata dagli Usa: troppe aziende sono state consegnate ai militari, che le hanno fatte fallire. Risultato: il Pil è franato, togliendo al paese la capacità di produrre beni diversi dal petrolio. E quando il prezzo del greggio è crollato, si è spalancato il baratro. La tragedia? Ad affrontarla non c’era più il popolarissimo Chavez, ma l’incolore Maduro. Che poi, di fronte alle proteste, non ha trovato di meglio che forzare la Costituzione, sospendere la democrazia e far sparare sulla folla, salvo poi accusare gli yankee di aver strangolato il Venezuela. Chi oggi si ostina a difendere Maduro – scrive Giuseppe Angiuli, su “L’Intellettuale Dissidente” – dimostra la stessa cecità del potere imperiale neoliberista che ha fatto la guerra a Chavez fin dal primo giorno, cercando anche di deporlo con il golpe del 2002, neutralizzato dal popolo venezuelano che si strinse attorno al suo leader – l’unico che in tanti anni abbia davvero lavorato, giorno e notte, per il benessere della sua gente.Rifiutarsi di leggere con lucidità la storia recente del Venezuela, scrive Angiuli nella sua accurata ricostruzione, significa innanzitutto fare un torto ai venezuelani, oggi alla fame. Un affronto alla memoria dello stesso Chavez, strenuo difensore del suo popolo. E’ stato grande, Chavez, ma inevitabilmente imperfetto: proprio i suoi errori ottici, secondo Angiuli, hanno creato le premesse di una crisi spaventosa, che oggi – senza più il carisma e l’onestà di fondo del leader – stanno mettendo in pericolo il Venezuela. Il paese perde milioni di cittadini, ridotti a profughi. Mancano cibo e medicinali, e c’è anche il rischio concreto che le sue frontiere vengano violate da un intervento militare ispirato dagli Usa e condotto da paesi come la Colombia e l’inquietante Brasile di Bolsonaro. La domanda che sfugge, nel derby delle opposte tifoserie italiane ed europee, è la seguente: com’è possibile che sia finito nella disperazione di massa uno dei paesi virtualmente più ricchi del mondo? Quella del Venezuela è considerata la prima riserva petrolifera del pianeta: e da parte degli Usa, certamente ostili al regime chiavista, non c’è però mai stato nessun embargo del greggio venezuelano. Al contrario: proprio grazie all’export dell’oro nero, a Caracas negli ultimi vent’anni sono circolati fiumi di petrodollari. Che fine hanno fatto?All’inizio, miliardi di dollari sono serviti a finanziare il grandioso welfare ideato da Chavez per allievare le storiche sofferenze dei poveri. Ma non un soldo è stato investito nell’economia non-petrolifera. In compenso, grazie al controllo centralizzato della gestione dei cambi, è fiorito il contrabbando di valuta estera. E oggi si mangia acquistando alla borsa nera i generi alimentari che i gerarchi di Maduro – che controllano i petrodollari – fanno sparire all’ingresso del paese, prima che possano raggiungere i supermercati, dove i prezzi sarebbero calmierati per legge. Ma l’attuale tragedia del Venezuela – umanitaria, sociale, politica – non può impedire di guardare col necessario distacco (e col rispetto che merita) a quello che è stato il più clamoroso fenomeno sudamericano degli ultimi decenni: la “rivoluzione bolivariana” di Chavez, per 14 anni alla guida del paese caraibico. Un quasi-capolavoro, fondato su una scommessa di tipo socialista: nazionalizzare il petrolio per finanziare grandiosi programmi di assistenza e liberare la popolazione della piaga cronica della povertà, generata dallo spietato sfruttamento delle multinazionali occidentali.Nella sua meticolosa ricostruzione sulla crisi venezuelana pubblicata da “L’Intellettuale Dissidente”, Angiuli scrive che la morte di Chavez, nel marzo 2013, è «quasi certamente avvenuta per avvelenamento radioattivo, messo in atto da non ben identificati servizi segreti di qualche paese nemico». Magari gli Usa, che a Chavez non avevano mai perdonato il coraggio e l’indipendenza politica. O qualche entità sudamericana allineata alla Dottrina Monroe, secondo cui l’America Latina deve restare sottomessa a Washington. Il Venezuela di Chavez – poi letteralmente tradito da Maduro – ha rappresentato una grande speranza per tutto il Sud del mondo. Ma sarebbe sbagliato trasformarlo in un culto, osserva Angiuli: perché Chavez ha commesso l’errore (fatale) di basare il riscatto economico nazionale solo sul petrolio, mortificando l’industria e l’agricoltura. Ancora oggi, ridotto alla fame, il Venezuela continua a dividere: da una parte le destre neoliberiste che hanno sempre criminalizzato il chavismo fin dall’inizio, e dall’altra la vecchia sinistra terzomondista, che arriva a perdonare un dittatore come Maduro pur di non ammettere i gravi errori della politica venezuelana, che hanno messo nei guai il paese ben prima che scattasse l’accerchiamento geopolitico neoliberista che ha isolato il governo di Caracas.Il pensiero unico mainstream «tende a demonizzare alla radice l’intera vicenda del socialismo venezuelano, relegandola nell’ambito del caudillismo alla sudamericana». Per contro, gli epigoni delle residuali correnti marxiste-leniniste si erano illusi di poter finalmente riscattare, in Venezuela, «la tragica sconfitta del comunismo novecentesco», seppellito dalle macerie del Muro di Berlino. All’intera vicenda del “socialismo bolivariano” inaugurato da Hugo Chavez, Angiuli ammette di essersi accostato con emozione, sperando di trovarvi «un nuovo laboratorio politico capace di ripensare l’idea stessa e la pratica del socialismo». Angiuli è stato spesso in Venezuela, a stretto contatto con la società e con gli ambienti filogovernativi. Dopo l’entusiasmo, però, è subentrata l’amara disillusione. Beninteso: a prescindere dall’orrendo regime militare di Maduro, «resta in ogni caso intangibile – precisa Angiuli, a scanso di equivoci – il diritto del popolo venezuelano di costruire il suo futuro in condizioni di libertà, sovranità e autonomia rispetto a qualsiasi intervento di destabilizzazione esterna, a cominciare dalle esplicite minacce di invasione che ultimamente provengono dai governi dell’ultradestra insediatisi al potere delle nazioni vicine, con lo scontato supporto degli Usa che da sempre considerano quella parte del mondo come il proprio cortile di casa».Detto questo, ammette Angiuli, «è triste giungere alla conclusione di dover affermare che il socialismo venezuelano ha purtroppo tradito una buona parte dei suoi propositi, e oggi non può più costituire un modello positivo di giustizia e di benessere per i popoli oppressi di tutto il mondo». Cionondimeno, il “bolivarismo” di Chavez era partito con le migliori intenzioni. Analizzarne i difetti è indispensabile: provare a capire «cosa non ha funzionato in Venezuela» è fondamentale, per tentare di spiegarsi la drammatica situazione in cui oggi versa il paese che dette i natali al “libertador” Simon Bolivar, «un personaggio passato alla storia quale nemico giurato del colonialismo ispanico». Anche Hugo Chavez ha fatto la storia: la sua presa del potere a Caracas, a cavallo tra il 1998 e il 1999, ha simboleggiato per l’intero continente di Neruda e Garcia Marquez «la più grande sfida di discontinuità storico-politica rispetto alla lunga notte neoliberista, vissuta per alcuni decenni dall’America Latina». Micidiali le dittature militari filo-Usa degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Per questo, è naturale che il chavismo abbia suscitato «una grande ondata di legittime speranze fra tutti i popoli».Ex ufficiale paracadutista dell’esercito venezuelano, tradizionalmente “popolare” anche nei suoi ranghi più alti, Hugo Chavez – autore di un fallito tentativo di colpo di Stato del 1992 ai danni dell’allora presidente in carica Carlos Andres Perez – era riuscito in pochi anni a far coagulare attorno a sé «i migliori sentimenti e le aspirazioni di riscatto delle fasce sociali medio-basse del suo paese, fino a quel momento escluse dal godimento dei profitti della “Venezuela Saudita”». L’ideologia di Chavez? Un mix originale e composito, «che attinge tanto al panamericanismo di Simon Bolivar quanto all’umanesimo socialista di ispirazione massonica caro a Giuseppe Garibaldi e a Salvador Allende». Innegabili le influenze esercitate dal pensiero di Antonio Gramsci e dalla prassi rivoluzionaria di Ernesto Che Guevara e Fidel Castro. «Cuba rivoluzionaria, la piccola isola che da decenni resiste ad un crudele embargo degli Usa, per Chavez costituiva un esempio di dignità e un prototipo da emulare, soprattutto sotto il profilo dell’indipendenza nazionale e della lotta all’imperialismo a stelle e strisce». E proprio a partire dagli accordi di mutua assistenza con la Cuba di Fidel – petrolio in cambio di medici – Hugo Chavez, appena insediatosi alla presidenza, iniziò a «costruire sapientemente il suo modello di integrazione politica latinoamericana attorno ai principi generali di cooperazione, equità e solidarietà».Lo stesso Che Guevara, nei suoi scritti, aveva ben individuato la “maledizione” dei paesi dell’America Latina, «storicamente condannati a programmare le loro economie non in base ai propri bisogni interni, bensì in rapporto agli appetiti famelici dei loro paesi dominanti». Fin dall’epoca del colonialismo ispano-portoghese, gli europei avevano imposto a quei territori un modello “rentista” o monoculturale, «tutto basato sull’estrazione a costo zero di materie prime»: un “prelievo forzoso” grazie a cui sarebbero state edificate le basi dell’impero industriale e capitalistico dell’Occidente. A partire dal suo esordio, ricorda Angiuli, «uno dei principali meriti politici di Hugo Chavez è stato quello di sottrarre il controllo dell’oro nero del Venezuela a quella ristretta borghesia “compradora” fortemente compromessa col capitalismo a stelle e strisce». Una borghesia che «per decenni, dopo essersi appropriata della rendita petrolifera, era stata abituata a delocalizzare sistematicamente i suoi profitti a Miami, umiliando il paese estrattore con delle infime royalties e con dei contratti-capestro». Fino a quel momento, gli immensi giacimenti petroliferi non avevano mai consentito al Venezuela di trarre risorse per investimenti sociali. A questo ha provveduto proprio Chavez, all’inizio del suo mandato, con una nossa clamorosa: nazionalizzare la compagnia petrolifera Pdvsa, per poi tenere alto il prezzo del greggio premendo sull’Opec – insieme all’Iraq di Saddam e alla Libia di Gheddafi – al fine di contenere i volumi di estrazione.Destinare la rendita petrolifera alla spesa assistenziale finalizzata ad appianare le gravi diseguaglianze sociali del suo popolo – prosegue Angiuli – ha costituito indubbiamente l’atto più rivoluzionario compiuto da Hugo Chavez. Interventi imponenti, per garantire servizi sanitari anche nei “barrios” più poveri e alfabetizzare milioni di venezuelani, compresi i gruppi indigeni. Diritti: la nuova Costituzione varata da Chavez nel 1999 «contiene sulla carta alcuni principi inediti che possono fare da insegnamento anche alle democrazie più avanzate». E’ fondata su una netta separazione fra i poteri e contempla molteplici strumenti di democrazia diretta: c’è anche l’istituto del “referendum revocatorio”, che consente perfino di far dimettere il presidente a metà mandato, mediante una consultazione popolare indetta dal basso. La nuova Carta, poi, decreta l’intangibilità di Madre Natura quale soggetto titolare di diritti. E in più tutela l’identità etnoculturale delle comunità dei nativi amerindi, «facendosi così portatrice di un generale messaggio di rinascita dell’orgoglio indigeno», dopo secoli di sottomissione ai “conquistadores” e ai “gringos”.Il primo decennio del chavismo, riconosce Giuseppe Angiuli, è stato contrassegnato «da un risveglio delle coscienze del popolo venezuelano e da una straordinaria voglia di partecipare a riscrivere la storia del proprio paese da parte di milioni di persone, fino ad allora del tutto escluse dalla scena politica e incapaci perfino di intendere lo stesso concetto di cittadinanza». Solo gli osservatori più prevenuti, sottolinea l’analista, possono avere finto di non accorgersi della reale genuinità che ha connotato i primi anni del processo politico “bolivariano”, contraddistinti da un fermento rivoluzionario autentico, addirittura emozionante. E contro l’imperialismo mercantile “yankee”, Chavez s’è mosso anche a livello geopolitico: ha dato vita all’Alba (Alianza Bolivariana para los pueblos de nuestra America), reclutando Cuba, la Bolivia del leader sindacale Evo Morales, l’Ecuador dell’economista Rafael Correa, il Nicaragua sandinista, l’Honduras di Manuel Zelaya e vari piccoli Stati insulari caraibici. Checché ne dicessero i media occidentali, sottolinea Angiuli, il governo di Chavez – fino alla sua rielezione nel 2012 – è sempre stato largamente supportato dal popolo venezuelano. Ma oggi, ribadisce, il Venezuela non sarebbe in crisi nera, se lo stesso Chavez non avesse commesso clamorose ingenuità sul piano economico.Dopo aver distribuito soldi a pioggia per «contrastare la povertà più estrema di una parte significativa della popolazione», il chavismo ha mancato l’appuntamento con lo sviluppo, nonostante la felice congiuntura petrolifera, col prezzo del barile rimasto sopra gli 80 dollari fino al novembre 2014. Nonostante il fiume di valuta forte, piovuto su Caracas per almeno un decennio, il governo «non ha mai messo in campo alcuna seria misura per provare a debellare il vero cancro comune a tutti quei paesi la cui economia, come quella del Venezuela, si basa su un modello “rentista”», ovvero: «La dipendenza dalla estrazione della materia prima quale unica risorsa del proprio modello di sviluppo». Nonostante i tanti proclami, non è mai riuscito a diversificare le attività produttive: anzi, i governi chavisti hanno attuato «una massiccia politica di disincentivo al lavoro delle piccole e medie imprese», determinando così una contrazione drammatica del Pil, in quei settori, «con la conseguenza che la classe media è progressivamente scomparsa». Paradossale: «Oggi i venezuelani conducono in media un tenore di vita clamorosamente più basso di quello che si ricordi anche negli anni più bui della notte neoliberista dell’America Latina». E scontano «una diffusa scarsità di prodotti di prima necessità che oggi forse non si riscontra nemmeno a Cuba, paese ininterrottamente sotto embargo da più di mezzo secolo».Pessimo il bilancio dall’agricoltura: buona l’idea di una riforma agraria per smantellare i latifondi improduttivi. Ma poi è subentrata «una deriva ideologica di tipo estremistico velleitario, che ha condotto ad una espropriazione generalizzata delle terre anche di media dimensione». Terre assegnate «a improvvisate cooperative di lavoratori che non si sono mai realmente dimostrate all’altezza del loro compito», e con incarichi direzionali «troppo spesso affidati obbedendo unicamente a meri criteri di fedeltà politica». Risultato: la produzione agricola è crollata, ricorda Angiuli, persino per i più tipici prodotti alla base della dieta venezuelana: riso e farina di mais, frutta e verdura, polli d’allevamento, uova e caffè. Stessa sorte ha colpito l’industria: «Una analoga degenerazione demagogica del chavismo, nel segno del collettivismo spinto – scrive Angiuli – ha condotto negli anni a una diffusa e capillare occupazione delle fabbriche», da parte di «settori disinvolti delle forze armate». I militari, «arrogandosi il diritto di agire sempre e comunque nell’interesse del “pueblo” e contro l’odiata borghesia nazionale», si sono spesso impadroniti «con modalità arbitrarie e violente» dei mezzi di produzione, «lasciandoli cadere quasi sempre e molto presto in malora e facendo così crollare la produzione anche in quei settori nei quali – prima del chavismo – il Venezuela riusciva tranquillamente a soddisfare il suo fabbisogno interno, raggiungendo perfino l’obiettivo di esportare una discreta quantità di merci all’estero: ferro, acciaio, automobili, caffè».L’aspetto più inquietante di questo fallimento economico di dimensioni catastrofiche, scrive Angiuli, non risiede neppure nella pianificazione centralistica stile Urss e Cina maoista: il paradosso sta nella pessima gestione dell’oceano di petrodollari. Fino al 2013, il petrolio rappresentava ancora il 95% dell’export. Anziché sfruttare quell’enorme massa di denaro per rendere il Venezuela più autonomo economicamente, i governi socialisti «hanno finito per accentuare oltre ogni limite il tradizionale carattere “rentista” dell’economia venezuelana, legandone le sorti in modo irreversibile alla ciclicità dell’andamento del prezzo degli idrocarburi». Gli effetti di questa politica sono esplosi a partire dal 2015, con il crollo della quotazione del greggio: di colpo, il Venezuela ha incassato meno soldi, sia per il welfare che per pagare l’enorme volume di importazioni, cresciuto negli anni col progressivo calo della produzione interna di beni primari. Risultato: «La scarsità di prodotti sugli scaffali dei supermercati si è manifestata in modo crescente e irrimediabile». Ecco perché, osserva Angiuli, sta semplicemente mentendo, Maduro, quando si sforza ogni giorno di attribuire l’odierna crisi alla guerra economica orchestrata dall’odiato imperialismo yankee. Le sanzioni americane – varate da Obama e inasprite da Trump – non bastano a spiegare la catastrofica penuria di generi di prima necessità.Le stesse sanzioni, peraltro, non hanno impedito alle grandi banche d’affari statunitensi, prima fra tutte la Goldman Sachs, di investire copiose somme nell’acquisto di buoni obbligazionari emessi dalla compagnia petrolifera Pdvsa: «Un elemento che smaschera tanto l’ipocrisia del capitalismo a stelle e strisce quanto quella della retorica antimperialista così tanto sbandierata dal governo di Caracas». Inoltre, sebbene Trump abbia proibito nel 2018 l’acquisto di titoli del colosso petrolifero venezuelano, «nessun embargo commerciale petrolifero è mai stato decretato da Washington verso Caracas». Lo confermano i numeri delle esportazioni, che ora – non a caso – Maduro ha addirittura proibito di diffondere, roprio per non compromettere il suo vittimismo retorico che attribuisce al nemico imperialista la causa di ogni male. L’altra verità che Maduro nasconde, continua Angiuli, è che il suo Venezuela ha affidato a una ristretta oligarchia – società riconducibili all’establishment militare – l’intera gestione del cambio dei dollari necessari per accedere al mercato delle importazioni di beni dall’estero. Sono questi privilegiati ad accedere ai dollari, e in modo truffaldino, cioè con un cambio alterato sopravvalutando il bolivar: se la moneta venezuelana era stimata 1.000 a 1, rispetto al dollaro, l’élite governativa monopolista ha invece intascato 10 bolivar per ogni dollaro destinato ad acquistare beni dall’estero.Una volta che gli importatori della ristretta cerchia governativa hanno acquisito i dollari ad un cambio preferenziale e privilegiato, quella valuta forte, «ufficialmente necessaria per pagare le merci che si dovrebbero importare dall’estero», ha finito in realtà per alimentare «un circuito vorticoso e perverso, con cui gli stessi importatori filogovernativi sono troppo spesso riusciti ad occultare clandestinamente sia la valuta che le stesse merci importate». Una colossale frode valutaria, insomma, «che ogni giorno sottrae ricchezza al paese caraibico», e oggi costringe i venezuelani a lasciare le loro case. Elementare: «Se la moneta venezuelana viene scambiata sui mercati ad un valore reale spesso anche di 100 volte inferiore a quello con cui viene scambiata dagli organismi governativi, tutti coloro i quali sono nelle condizioni di mettere le mani sulla rendita petrolifera, una volta ottenuti i dollari col sistema del cambio preferenziale, ne investono effettivamente solo una parte nell’attività di importazione». E al contempo, aiutandosi con sovrafatturazioni fittizie (di merci mai effettivamente acquistate) occultano facilmente grandi quantità di valuta forte, trasferendole dei paradisi fiscali, «ovvero alimentando il mercato nero del dollaro all’interno degli stessi confini del Venezuela». Lo si capisce già all’aeroporto, appena si sbarca a Caracas: si viene assaliti da “agenti del cambio in nero” che offrono disinvoltamente i bolivar in cambio di dollari (o euro) secondo un rapporto di cambio molto distante da quello ufficiale.Per questo, aggiunge Angiuli, da quando si è diffusa la pratica governativa di sopravvalutare artificiosamente il bolivar, «il traffico di valuta è diventato di gran lunga il business più redditizio per chiunque riesca a venire in possesso di una certa quota della rendita petrolifera incamerata dal Venezuela». Negli anni, il fenomeno ha acquisito dimensioni impressionanti e incontrollabili. E il suo principale effetto nefasto sull’economia del paese è il generale disincentivo verso l’avvio di qualsiasi genere di attività produttiva. L’ex ministro per la pianificazione economica Jorge Giordani, grande amico di Chavez (dimessosi nel 2014 da ogni incarico governativo in polemica con Maduro) ha pubblicamente denunciato il furto, attraverso questo meccanismo fraudolento, di qualcosa come 25 miliardi di dollari dall’organismo governativo addetto alle operazioni di cambio su larga scala. E oltre al mercato nero di valuta, c’è anche la piaga che colpisce gli approvvigionamenti: il cibo, i medicinali e i prodotti manifatturieri che dovrebbero entrare in Venezuela a prezzo calmierato vengono in gran parte intercettati e rivenduti clandestinamente. Borsa nera: «Un formidabile, gigantesco contrabbando di merci vendute al mercato nero a prezzi molto più alti di quelli che il governo si sforza inutilmente di imporre nelle catene dei supermercati popolari», nei quali ormai scarseggia di tutto, dallo shampoo al dentifricio, dal sapone alla carta igienica.Giuseppe Angiuli lo descrive come «il disastro di una economia nazionale ormai strutturalmente e capillarmente fondata sul malaffare, sulla frode valutaria e sulla speculazione parassitaria, con un sistema di complicità e protezioni che purtroppo investe anche le sfere più alte del potere centrale». A questo si aggiunge l’iper-inflazione scatenata irresponsabilmente dalla banca centrale del Venezuela, «ricorsa in questi anni in misura sempre più massiccia alla stampa di cartamoneta priva di ogni copertura e valore reale». Tra il 1999 e il 2016, la massa monetaria circolante nel paese è cresciuta di circa il 33.000%. Inflazione folle: nel 2017 si è attestata al’830%, per poi raggiungere l’anno seguente il 4.684,3 percento, vero e proprio record mondiale. Secondo il Fmi, si viaggia ormai verso il “milione per cento” su base annua. Una catastrofe: paralisi economico-produttiva, l’iper-inflazione, crollo del valore reale dei salari. Generale impossibilità di procurarsi da vivere lavorando. Collasso del sistema sanitario nazionale, scarsità di viveri e medicinali, drammatico aumento della mortalità neonatale e della denutrizione infantile. Tutto questo sta oggi facendo vivere al Venezuela «un esodo di proporzioni bibliche dei suoi cittadini verso l’estero, come non si era mai visto nella storia recente del paese».Un fallimento così apocalittico, osserva Angiuli, avrebbe dovuto obbligare da tempo il governo Maduro ad adottare misure radicali, in forte discontinuità rispetto alle politiche suicide fin qui condotte. Di fronte all’esperazione popolare, sfociata in drammatiche proteste, Maduro ha risposto violando la Costituzione, truccando le elezioni e ordinando all’esercito di sparare sulla folla. Hugo Chavez non l’avrebbe mai fatto. Anzi: il “comandante” accettò lealmente il verdetto del referendum perduto, attraverso cui i venezuelani avevano bocciato la sua proposta di riforma costituzionale in senso presidenzialista. Maduro è solo, spelleggiato esclusivamente dai militari. Diversi dirigenti chavisti storici della prima ora – come l’ex ministro dell’ambiente Ana Elisa Osorio, l’ex ministro dell’economia Jorge Giordani, lo storico presidente della Pdvsa Rafael Ramirez e l’ex procuratrice generale Luisa Ortega Diaz – sono stati delegittimati ed emarginati. Qualcuno è riparato all’estero «per sottrarsi alla furia vendicatrice della cricca di potere vicina a Maduro».Non sappiamo quale futuro attende il Venezuela, conclude Angiuli, ma dopo vent’anni di chavismo «i risultati dell’economia del paese parlano un linguaggio implacabile, che non ammette repliche». Un fallimento di dimensioni così catastrofiche dimostra «l’evidente sconfitta politica del gruppo dirigente cresciuto all’ombra di Chavez, che non si è dimostrato all’altezza dei propri compiti storici». I meriti dell’azione ispiratrice dei primi anni del chavismo «andrebbero rivalorizzati e recuperati», ripensando le radici dottrinali del socialismo “bolivariano”, «che andrebbero rinforzate e vivificate». Attenzione: a livello geopolitico, il Venezuela resta «un attore decisivo per la possibile formazione di un nuovo mondo multipolare». E infatti, sottolinea Angiuli, «attorno alla tenuta dell’indipendenza del paese da eventuali aggressioni militari esterne si gioca gran parte del suo futuro». Certo, la catastrofe sociale potrebbe sfociare in esiti terribili. E se il Venezuela «dovesse progressivamente subire delle aggressioni militari da parte degli Usa o di paesi vicini governati dall’ultradestra, come la Colombia o il Brasile», secondo Angiuli occorrerà battersi «a difesa della sacrosanta intangibilità dei suoi confini e della sua legittima sovranità». Quello che non serve, per aiutare il Venezuela a uscire dall’incubo, è continuare a «fornire un sostegno acritico e fideistico al governo di Maduro». Meglio rileggere con onestà la grande storia di Hugo Chavez e anche i suoi limiti, onde avviare al più presto «quegli interventi indifferibili e vitali che il popolo venezuelano si attende, e di cui oggi non può più fare a meno».Hugo Chavez è stato assassinato: la notizia è pressoché certa. Poi ci ha pensato l’indegno Maduro, a “terminare” il Venezuela. Ma non da solo: è stato aiutato, nell’opera di devastazione del paese, dai vizi capitali del “bolivarismo” venezuelano. La giusta crociata contro il latifondo ha finito per affidare le terre a cooperative gestite da incapaci, scelti per la loro fedeltà politica. Idem le imprese, simbolo dell’odiata borghesia “coloniale” e parassitaria, alleata dagli Usa: troppe aziende sono state consegnate ai militari, che le hanno fatte fallire. Risultato: il paese ha perso la capacità di produrre beni diversi dal petrolio. E quando il prezzo del greggio è crollato, si è spalancato il baratro. La tragedia? Ad affrontarla non c’era più il popolarissimo Chavez, ma l’incolore Maduro. Che poi, di fronte alle proteste, non ha trovato di meglio che forzare la Costituzione, sospendere la democrazia e far sparare sulla folla, salvo poi accusare gli yankee di aver strangolato il Venezuela. Chi oggi si ostina a difendere Maduro – scrive Giuseppe Angiuli, su “L’Intellettuale Dissidente” – dimostra la stessa cecità del potere imperiale neoliberista che ha fatto la guerra a Chavez fin dal primo giorno, cercando anche di deporlo con il golpe del 2002, neutralizzato dal popolo venezuelano che si strinse attorno al suo leader – l’unico che in tanti anni abbia davvero lavorato, giorno e notte, per il benessere della sua gente.
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Noi, fabbricati dagli alieni: Barbara Negri e il vita-forming
Non siamo soli, nello spazio? Contro-domanda: e come potremmo esserlo, se fossimo noi stessi il prodotto di una “creazione aliena”, cioè di un esperimento di “vita forming”? Lo ha affermato, clamorosamente, una scienziata come Barbara Negri, dirigente dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana. Secondo Mauro Biglino, che ha tradotto 19 libri biblici per le Edizioni San Paolo, la Genesi lo racconterebbe chiaramente: l’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim, gli individui come Yahvè (la Bibbia ne cita una ventina, chiamandoli per nome) che “fabbricarono” gli adamiti nel Gan, centro sperimentale per l’agricoltura e l’allevamento impiantato nella regione di Eden, fra la Turchia e il Mar Caspio. Da dove venivano, gli Elohim come Yahvè? «Ci sono forme di vita intelligenti, là fuori. E dobbiamo essere cauti nel riferirne, se non altro fino a quando non ne sapremo di più». Lo disse nientemeno che Stephen Hawking, cioè il fisico teorico, cosmologo, fisico matematico e astrofisico più importante dell’ultimo secolo. Si moltiplicano segnali inquietanti, come per prepararci a qualcosa che ricorda i fantascientifici “incontri ravvicinati”: non esiteremmo a battezzare gli eventuali “fratelli dello spazio”, dicono i gesuiti, che gestiscono sul Mount Graham in Arizona un potente centro di osservazione astronomica vocato all’indagine sull’esobiologia, cioè la vita extraterrestre.«Tra le varie tesi per spiegare l’origine e la provenienza degli Ufo, nel caso in cui si accertasse in modo inequivocabile la loro matrice extraterrestre intelligente e tecnologica», scrive “Blasting News”, gli ufologi hanno da sempre sostenuto che la specie umana «sia stata creata da creature provenienti da “altrove”, in grado di manipolare il Dna e capaci di “giocare” facilmente con la genetica, sperimentando nuove specie intelligenti e, quanto meno, simili ai loro “creatori”». Lo scopo, da parte di questi esseri ipoteticamente extraterrestri, sarebbe quello di «produrre manovalanza su vari corpi celesti, con obiettivi al momento ignoti». Lo racconta, in dettaglio, la mitologia dei Sumeri: gli Anunnaki (cioè gli equivalenti degli Elohim biblici) dovettero fronteggiare una pericolosa rivolta da parte dei loro lavoratori, costretti a faticare nelle miniere d’oro. A uno di loro venne in mente c’era una soluzione: per sostituire i lavoratori Anunna non restava che “fabbricare” lavoratori terrestri, ibridando gli ominidi (homo erectus, homo habilis) mediante l’innesto di Dna alieno. Sono dunque loro i nostri veri “fabbricatori”?«Si tratta ovviamente di tesi non comprovate – aggiunge “Blasting News” – ma che hanno avuto, col tempo, lo scopo di provare ad abbattere quel muro di scetticismo che ancora vige all’interno della comunità scientifica nazionale e internazionale nel campo delle origini della vita e, in special modo, in quello dell’apparizione “improvvisa” della specie umana sulla Terra». E a quanto pare, finalmente, quell’abbattimento è accaduto per davvero. La “rivelazione”, se così dobbiamo definirla, è stata fatta in diretta nel corso di una puntata della trasmissione televisiva “C’è Spazio”, andata in onda il 23 marzo 2017 su “Tv2000”, il canale televisivo dei vescovi italiani. Nella puntata intitolata “Primo Contatto”, condotta da Letizia Davoli (astrofisica, oltre che giornalista), Barbara Negri si è espressa in modo inconsueto, sulla possibilità di incontrare vita extraterrestre. Responsabile dell’unità dell’Asi che si occupa di esplorazione e osservazione dell’universo, la dirigente dell’Agenzia Spaziale Italiana ha risposto in questo modo: più che fare incontri sorprendenti, potremmo semplicemente accorgerci, un giorno, di essere stati “originati”, come homo sapiens, da esseri non terrestri. In termini scientifici: «Potremmo essere un esperimento di “vita-forming” di qualcun altro».E’ una delle ipotesi, precisa Barbara Negri, che invita a osservare lo sviluppo dell’uomo: la nostra capacità anche intellettuale, cerebrale, è “esplosa” in brevissimo tempo, quasi di colpo, «quasi come se ci fosse stata, diciamo, una “programmazione” a questa evoluzione, che sta veramente procedendo in maniera veloce». Quindi, insiste la Negri, secondo questa teoria «potremmo essere stati un esperimento di civiltà superiori, che hanno impiantato sulla Terra, proprio perché c’erano delle condizioni ambientali particolari, l’Esperimento Uomo». E quindi, «prima o poi potremmo essere anche visitati, per vedere a che punto è la nostra evoluzione». Fantascienza? «È una teoria», ribadisce la scienziata. La stessa Letizia Davoli aggiunge che, del resto, «la scienza non esclude niente». Tutto questo, conclude “Blasting News”, conferma che, da qualche tempo, «è in atto nell’ambiente scientifico un “cambio di paradigma” che ci porterà, probabilmente tra qualche decennio, a rispondere a quella domanda», ovvero: non siamo soli, nell’universo? Civiltà extraterrestri intelligenti e tecnologiche ci visitano? Ci hanno visitato anche nel passato storico? E addirittura hanno influito, in un modo o nell’altro, sull’evoluzione biologica e intellettuale della specie umana?Non siamo soli, nello spazio? Contro-domanda: e come potremmo esserlo, se fossimo noi stessi il prodotto di una “creazione aliena”, cioè di un esperimento di “vita forming”? Lo ha affermato, clamorosamente, una scienziata come Barbara Negri, dirigente dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana. Secondo Mauro Biglino, che ha tradotto 19 libri biblici per le Edizioni San Paolo, la Genesi lo racconterebbe chiaramente: l’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim, gli individui come Yahvè (la Bibbia ne cita una ventina, chiamandoli per nome) che “fabbricarono” gli adamiti nel Gan, centro sperimentale per l’agricoltura e l’allevamento impiantato nella regione di Eden, fra la Turchia e il Mar Caspio. Da dove venivano, gli Elohim come Yahvè? «Ci sono forme di vita intelligenti, là fuori. E dobbiamo essere cauti nel riferirne, se non altro fino a quando non ne sapremo di più». Lo disse nientemeno che Stephen Hawking, cioè il fisico teorico, cosmologo, fisico matematico e astrofisico più importante dell’ultimo secolo. Si moltiplicano segnali inquietanti, come per prepararci a qualcosa che ricorda i fantascientifici “incontri ravvicinati”: non esiteremmo a battezzare gli eventuali “fratelli dello spazio”, dicono i gesuiti, che gestiscono sul Mount Graham in Arizona un potente centro di osservazione astronomica vocato all’indagine sull’esobiologia, cioè la vita extraterrestre.
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Hellyer: “L’alieno è tra noi” (e lo dicono anche i testi ’sacri’)
L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono tra noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.A dire il vero sarebbero i nostri effettivi “genitori”: lo sostiene Zecharia Sitchin, lo studioso azero naturalizzato statunitense, secondo cui gli antichi testi sumeri raccontano la “fabbricazione” dell’homo sapiens da parte degli Anunnaki, gli “dei” venuti dallo spazio. Secondo Mauro Biglino, a lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, l’Antico Testamento riproduce fedelmente i testi sumeri: la Genesi racconta la clonazione del maschio (l’Adàm) per dare origine alla femmina (Hawà, Eva). Figli delle Stelle, Anunna o Elohim biblici? Erano sempre loro: i testi antichi, poi trasformati in “libri sacri” con la successiva divinizzazione dei “theoi” operata dal pensiero greco-ellenistico, non fanno che parlare di loro. Le grandi religioni? «Sono nate, tutte insieme e in tutto il mondo, attorno al V secolo avanti Cristo, cioè quando questi personaggi – prima visibili, come Yahvè che parlava “faccia a faccia” con Mosè – sono improvvisamente scomparsi dalla circolazione». Biglino cita un padre della Chiesa vissuto nel III secolo, Eusebio di Cesarea. Nella sua “Praeparatio Evangelica”, Eusebio attinge al greco Filone di Biblos, che a sua volta riprende gli studi di Sanchuniaton, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Il fenicio racconta di aver rinvenuto, in un tempio egizio dedicato ad Amon-Ra, un memoriale sconcertante, secondo cui gli “dei” antichi – poi trasformati in oggetto di culto – erano in realtà individui in carne e ossa.Uno di loro, il babilonese Nergal, si narra che sganciò dal cielo armi micidiali, annientando intere città e provocando l’improvvisa desertificazione della Mesopotamia. Anche in questo caso la Bibbia fornisce una sorta di “fotocopia”, narrando la distruzione, mediante l’impiego dell’“arma del terrore”, di Sodoma, Gomorra e le altre città della Pentapoli sulle rive del Mar Morto. Armi in realtà descritte con precisione nei Veda indiani: Enrico Baccarini, appassionato ricercatore, rivela che le “tejas astras” (armi a energia) fuorono impiegate dai Deva (i “theoi” asiatici) nelle loro guerre stellari combattute anche sulla Terra. Un bombardamento di quel genere avrebbe raso al suolo la grande citttà di Mohenjo Daro, nella valle dell’Indo, scoperta dagli inglesi solo a metà dell’800. L’intera civiltà Arappa, spiega Baccarini, costringe gli archeologi a riconsiderare datazioni e sequenze storiche: fiorì infatti 11.000 anni fa. E rivela indizi che portano alla misteriosa presenza di paleo-astronauti. Per la verità, gli stessi Veda sostengono che l’universo sia abitato da 400.000 specie umanoidi. C’è da credere, a quegli antichi testi in sanscrito? Sulle “istruzuioni” dei Veda si sono basati scienziati aerospaziali indiani per realizzare un modellino di astronave (curiosamente, a forma di pagoda). E sempre i Veda, scritti migliaia di anni fa, indicano – con sconcertante precisione – la misura della circonferenza terrestre e la stessa velocità della luce.Ha ragione il fenicio Sanchuniaton, secondo cui il pensiero magico-religioso non sarebbe stato che un colossale depistaggio, organizzato dalla casta sacerdotale per tentare di mantenere i propri antichi privilegi? Ex dignitari di corte si trasformarono in clero, sostituendo (con l’adorazione di “divinità” invisibili) l’antica obbedienza a “theoi” un tempo visibilissimi, e tutti giunti sulla Terra – pare – dalle Pleiadi e dalla costellazione di Orione? Suggestioni sempre più insistenti, man mano che le istituzioni cominciano ad ammettere la possibilità di forme di vita extraterrestre. Roberto Pinotti (fondatore del Cun, centro ufologico nazionale) è uno degli ufologi più importanti al mondo, storico collaboratore dell’aeronautica militare italiana. Sostiene che gli avvistamenti anomali registrati negli ultimi decenni sono stati un milione, di cui il 40% (ben 400.000) classificati dalle autorità come “non terrestri”. Sembra che da più parti si stia lavorando per preparare l’umanità a rivelazioni clamorose riguardo ai “fratelli dello spazio”, come li chiama il gesuita Gabriel José Funes, argentino come Papa Francesco.Padre Funes è il direttore del potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham in Arizona. A che serve, ai gesuiti, un centro astrofisico come quello? Dichiaratamente: a indagare proprio sull’esobiologia, cioè sulla “vita extraterrestre”, a quanto pare sempre meno ipotetica: per il canadese Hellyer, a nostra insaputa, vivremmo già in compagnia dei “biondi nordici” (o anche “bianchi alti”), da non confondere con i “bassi grigi”, alti appena un metro e 20 – più o meno come la creatura che si racconta sia apparsa nel 1858 nella grotta di Lourdes alla giovanissima Bernadette Soubirous, che la chiamava “aquerò” (in occitano, “quella là”). «Se vedeste un grigio, vi rendereste subito conto di vedere qualcosa che non avete mai visto prima», dice Hellyer. «Se invece vedeste una delle “bionde nordiche”, allora potreste pensare di aver incontrato una donna della Danimarca». I “grigi”, aggiunge l’ex vicepremier canadese, sono piccini. Hanno braccia e gambe sottili, testa grossa e grandi occhi marroni. «Sono quelli che si vedono nella maggior parte dei film». A proposito: sicuri che la fantascienza non contenga precisi messaggi, come per abituarci progressivamente all’idea degli inevitabili incontri ravvicinati?Biglino ricorda che erano ebrei gli ideatori di un supereroe dei fumetti come Flash Gordon, proveniente dal pianeta Krypton (nascosto). Creato negli anni Trenta, Flash Gordon è l’antenato di Superman. Nome originario, in ebraico: Kal-El, cioè “El rapido e leggero”. La presunta “divinità” con la quale viene in contatto Abramo si presenta con il nome di El Shaddai. La traduzione in italiano (“Dio l’onnipotente”) è totalmente inventata: lo dice la Bibbia di Gerusalemme curata dagli autorevoli biblisti domenicani, secondo cui “El Shaddai” vuol dire, semplicemente, “signore della steppa”, laddove “El” è la radice di Elohim, vocabolo convenzionalmente tradotto con “Dio” ma in modo arbitrario, «visto che nessun traduttore al mondo – sottolinea Biglino – è tuttora in grado di spiegare il significato della parola “Elohim”». La Bibbia? Dibattito infinito: bisogna però sapere, ribadisce Biglino, che quell’insieme di testi è stato incessantemente manipolato a partire dal II secolo avanti Cristo, e la manipolazione è terminata solo con la vocalizzazione introdotta dai Masoreti. Un lavoro di revisione proseguito fino all’epoca di Carlomagno. Risultato: dall’Antico Testamento “masoretico” sono spariti 11 libri, ripetutamente citati in vari passi della Bibbia stessa. Uno di questi riguarda “le guerre di Yahvè”.Il teologo cattolico Ermis Segatti conferma che la Bibbia non racconta la “creazione” dell’uomo: dice solo che «siamo stati fatti», cioè “fabbricati”, utilizzando materia preesistente. Corrado Malanga, ricercatore universitario a Pisa, sottolinea l’abisso che separa l’australopiteco dagli ominidi successivi: gli stessi genetisti, oggi, convergono sull’opportunità di riconsiderare i testi antichi come “libri di storia” ante litteram, capaci di spiegare il “missing link” tra uomo e scimmia. Un analogo “anello mancante” differenzia la patata commestibile dal tubero suo progenitore, e lo stesso grano dal farro selvatico: tutte specie comparse sulla Terra all’improvviso, grossomodo nel periodo che la Genesi indica come quello in cui erano in corso le sperimentazioni genetiche del Gan, in “giardino protetto e recintato” posto nella regione geografica di Eden, fra Turchia e Mar Caspio. In antica lingua persiana, è il termine “pairidaēza” a indicare il giardino recintato (da cui il greco “parádeisos”, fino al nostro “paradiso”). Se il pensiero “essoterico” ha fondato religioni, quello esoterico tende a fidarsi solo dei simboli: conterrebbero le tracce degli archetipi, cioè gli “eventi, materiali e immateriali” all’origine della nostra storia. Un corpus sapienziale che gli esoteristi riconducono a quella che chiamano “tradizione unica primordiale”. La sua provenienza? Ignota.Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor (nipote del più volte premier Mariano Rumor) racconta di un’unica dinastia di potere che reggerebbe il mondo da 12.000 anni. Sarebbe nata in Mesopotamia per poi trasferirsi in Egitto, quindi in Grecia e nel resto del Mediterraneo, dando vita a tutte le civiltà di cui si occupano gli storici. La chiama, semplicemente, “la Struttura”. Fonte: i diari del padre, Giacomo Rumor, che nel dopoguerra fu messo a parte di questo ipotetico grande segreto dall’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo. Mesopotamia, Anunnaki: chi erano, in realtà, i Sumeri? Possibile che tuttora non si conoscano le origini di una fiorentissima civiltà nata dal nulla ma in possesso di conoscenze avanzatissime – agricoltura, architettura, diritto, astronomia – proprio sulle rive dell’Eufrate, cioè non lontano da quel Gan-Eden da cui, secondo la Genesi, fu cacciato Caino? Lo scozzese Graham Hancock suggerisce di rileggerle con occhi nuovi, le “impronte degli dei”, perché potrebbero riservarci grosse sorprese. Lo stanno già facendo: le piramidi scoperte a Visoko, in Bosnia, hanno 28.000 anni. E l’ipotetica metropoli appena rinvenuta in Sudafrica, a due passi dalle più antiche miniere d’oro del pianeta, ne avrebbe addirittura 160.000. Notizie, spunti, segnalazioni e ricerche al cui confronto, forse, rimpiccioliscono un po’ anche gli alieni di canedesi di Paul Hellyer.L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono con noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.