Archivio del Tag ‘bipartisan’
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Avevamo Olof Palme, poi sull’Europa hanno spento la luce
Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Di chi è il turno? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in paticolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono politici: c’è il Fiscal Compact, c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.Gli italiani votano No al referendum, e prontamente viene sistemato a Palazzo Chigi l’ectoplasma del governo appena battuto, inutilmente bocciato dagli elettori. Nel frattempo un calendario provvidenziale scatena le tempestive bufere giudiziarie che scuotono le due città più importanti, dirompenti e chiassose, quasi come gli attentati dinamitardi che insanguinano la tenebrosa Turchia di Erdogan, sponsor Nato dell’Isis, o le bombe russe e siriane cadute su Aleppo, dove giornali e televisioni scoprono che una guerra devastante si è trasformata in un martirio di popolazioni, ma si guardano bene dal ricordare al pubblico chi l’ha iniziata, quella guerra, chi l’ha finanziata e armata, chi – dalla Casa Bianca – l’ha protetta con la menzogna quotidiana, con l’intelligence e i missili, con la disinformazione più cieca. L’Italia (governo) ha tifato per Hillary e Obama, ha fatto la òla per il Ttip, ha approvato le sanzioni alla Russia, ha belato ininterrottamente a Bruxelles, ha lasciato che la Germania macellasse la Grecia. E alla fine ha provato persino a recitare il copione della diversità, invocando – ma solo per finta, per scherzo – un allenamento dell’austerity, cioè della norma fisiologica adottata dal regime Ue per depotenziare l’Europa, riducendola a comparsa internazionale, nel momento in cui – caduto il Muro di Berlino – poteva finalmente giocare la protagonista.Il peccato originale? Fu commesso trent’anni fa, il 1° marzo 1986, con l’assassinio di Olof Palme in Svezia. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Nella sua ricostruzione, Palme fu ucciso da un complotto rimasto oscuro, del quale però alcune tracce – anche scritte – portano a un certo Licio Gelli e al suo “principale”, il politologo americano Michael Ledeen, ancora in circolazione e più che mai influente, anche nel retrobottega del governo Renzi. Olof Palme, leader socialdemocratico, era il padre del moderno welfare europeo, il massimo profeta della filosofia politica dell’interesse pubblico, la promozione del benessere diffuso, l’estensione dei diritti, la democrazia avanzata in cui si coniugano libertà e socialismo, lavoro e dignità, pari opportunità per tutti. Era il prototipo, Olof Palme, di un’Europa diversa: un’Europa amica, autorevole, giusta. Un’Europa che non abbiamo mai visto, che mai avrebbe sprofondato gli Stati nella catastrofe della crisi, lasciandoli in balìa di incursoni e predoni, con mano libera nei palazzi del potere locale grazie a una piccola casta di governatori asserviti, di vassalli obbedienti, di mediocri traditori travestiti da algidi burocrati o, all’occorrenza, da sulfurei masanielli dal roboante eloquio (ma dall’innocuo agire). L’infima Italia del 2016, il paese dove nessuno propone vere vie d’uscita, sembra la fotografia perfetta di questa Europa pericolosamente in avaria.Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in particolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono più politici: c’è il Fiscal Compact, ormai; c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.
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Salvini è perfetto per far sembrare Renzi il meno peggio
Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.E’ una buona mossa, soltanto un po’ rischiosa. Intanto perché vista la rapidità con cui Renzi perde pezzi di elettorato le cose possono cambiare velocemente (si veda l’ingresso al Nazzareno dalla porta posteriore, essendo quella principale presidiata da ex elettori infuriati, insegnanti nella fattispecie). E poi perché per indicare un avversario bisogna in qualche modo mettersi sul suo piano, accettarne almeno il gioco, sfidarlo sullo stesso campo. Si ricorda per esempio en passant che mentre il Salvini gigioneggia in giro parlando di ruspe e pogrom, le ruspe sono state usate a Roma, alla favela di Ponte Mammolo, per cacciare senza preavviso gente che ci abitava da anni, senza soluzioni alternative accettabili. Risultato: in una città dove si discute fittamente se gli affari sulla pelle dei migranti si possano o no chiamare “mafia” (una mafia decisamente bipartisan, tra fascisti conclamati, coop rosse e esponenti Pd), c’è ancora gente che dorme per strada davanti alla sua baracca spianata dalle ruspe.Eroiche associazioni di volontari e persone civili chiedono aiuto sui social: servono medicine, cibo, acqua, carta igienica. Qualche tenda l’ha fornita una nota (e a questo punto: meritoria) catena di articoli sportivi, mentre le istituzioni si accapigliano sui giornali a proposito di inchieste e mandati di cattura. Il salvinismo teorico di Salvini, insomma, si contrappone a un salvinismo reale, che le ruspe le usa davvero, ma si circonda di una narrazione umanitaria, confortevole pietosa. C’è chi dice che l’onnipresenza di Salvini in tivù (è quello, non il brillante eloquio da seconda media, che gli procura consensi) sia incoraggiata e agevolata proprio a questo scopo: trasformare una dialettica politica complessa in un derby tra buoni e cattivi, o almeno tra peggio e meno peggio.E’ una dietrologia complottista e quindi non le daremo peso. Ma è certo che anche i media tifano per quella soluzione da pensiero binario: o il Matteo buono (?) o il Matteo cattivo (!), e non ci sarà altra scelta. Sanno tutti che non è così, ma per il momento la cosa sembra funzionare: è una semplificazione, una caricatura, uno schema facile, e dunque – in tempi di distrazione di massa – conveniente. Il giochetto non durerà a lungo: tra uno che straparla di ruspe e uno che dice “Ok, discutiamo” puntando la pistola, sarà inevitabile una qualche terza via. Perché il trucchetto di scegliersi il nemico ha questa controindicazione: qualcuno potrebbe pensare che sono nemici entrambi, e finiscono per somigliarsi.(Alessandro Robecchi, “Ti piace vincere facile? Basta scegliere l’avversario”, da “Micromega” del 13 giugno 2015).Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.
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Revelli: larghe intese per manomettere la democrazia
Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.In una condizione economica di assoluta emergenza, di spoliazione del patrimonio produttivo, di conti in disordine, l’Europa aveva intimato le larghe intese nel cui programma, fin dall’origine, stava la sospensione del nostro assetto istituzionale – manomettendo la Costituzione – in nome di emergenze peraltro non affrontate, ma costantemente dilazionate. Le scelte intraprese da Berlusconi e dalla sua corte di servitori – il Pdl non è un partito – in tutti questi mesi di partnership, prima ancora dei terremoti istituzionali che vediamo in diretta, hanno provocato danni gravissimi e irreversibili allo stato mentale del paese e alla sua classe politica. Per mesi al Cavaliere in precario equilibrio sul suo cavallo è stata data una “golden share” governativa che ha costantemente usato per ricattare e minacciare, e far apparire come normale l’inaccettabile. E che ora continua a usare, vedremo se per far saltare tutto, o per tentare di prolungare ancora il proprio gioco personale.Un governo di scopo – capeggiato da una figura di alto profilo giuridico-morale ed esterna all’attuale scenario politico – che ci conduca a nuove elezioni in pochi mesi, andava già fatto a maggio scorso. Un esecutivo con due-tre punti chiave: nuova legge elettorale, in primis, e provvedimenti per tamponare il dramma dei cassintegrati e la crisi sociale nel paese. Chi ipotizzerei a capo di questo governo di cambiamento? Rodotà andrebbe benissimo. Con le larghe intese, andiamo peggio di 150 giorni fa. E bisognava pensarci allora. Vero, anche la Germania va verso le larghe intese, ma in Germania non esiste una figura come Berlusconi né un partito come il Pdl: sono larghe intese ben differenti dalle nostre. Detto questo, bisogna aggiungere che quello delle larghe intese è, per l’Europa, un paradigma totalizzante che caratterizza gli attuali assetti e non tollera deviazioni: le loro ricette aumentano le disuguaglianze, impoveriscono le fasce popolari ed erodono la coesione sociale.C’è un’estrema e disperata domanda di rappresentanza. Sarebbe cieco ridurre tutto agli orfani della sinistra radicale. Esistono milioni di esodati dalla politica indecisi su chi votare e se votare. L’astensionismo è in crescita, molti si rifugiano nel M5S, altri nei frammenti della sinistra radicale. C’è ancora chi – turandosi il naso – dà la preferenza al Pd. Tra poco lo scenario sarà molto diverso. Avremo una nuova Forza Italia trasformata in lugubre macchina da guerra del suo capo, una formazione eversiva in rivolta contro l’ordinamento giudiziario. Il Pd avrà presumibilmente come leader Matteo Renzi, il quale ha tessuto pubblicamente l’elogio della disuguaglianza e le cui idee sul lavoro sono vicine al più radicale neoliberismo (alla Ichino, per intenderci). Il M5S, intorno al 20-25 per cento, non sarà in grado di imprimere un sostanziale cambiamento. Dobbiamo capire fin da subito come porci in questo futuro scenario. C’è il rischio concreto che la cultura democratica radicale e costituzionale sia fuori dalla scena, con danni enormi per la democrazia.(Marco Revelli, dichiarazione rilasciate a Giacomo Russa Spena per l’intervista “12 ottobre, una piazza aperta alle voci sofferenti della società”, pubblicata da “Micromega” il 30 settembre 2013).Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.
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Scalea: soldi facili, così la finanza ha rovinato l’economia
Il problema è che la finanza, da strumento dell’economia, ne è divenuta il cuore. La banca, a sua volta, da strumento dell’impresa ne è diventata proprietaria. E la Borsa non è più lo strumento degli investitori, ma il tempio degli speculatori. Così la speculazione ha superato l’investimento, e la rendita i profitti: questo, riassume Daniele Scalea, è il problema a monte che rende qualsiasi ripresa fragile, e il sistema economico globale squilibrato e instabile. Difficile, per il sistema politico mondiale, porre un freno al disastro. Ci ha provato la Russia al G-20 di San Pietroburgo, fissando come priorità «lo sviluppo di una serie di misure volte a promuovere una crescita sostenibile, inclusiva ed equilibrata, e la creazione di posti di lavoro nel mondo». Secondo Putin, il benessere va ottenuto tramite investimenti in posti di lavoro di qualità, condizioni di trasparenza e fiducia, nonché un’efficace regolamentazione: cioè una retromarcia completa rispetto allo spettacolo messo in scena dall’Occidente negli ultimi trent’anni.«La deregulation, parola d’ordine lanciata negli anni ‘70, ha rappresentato un mantra del neoliberalismo, almeno finché non è divenuto evidente il ruolo da essa avuto nel provocare la crisi finanziaria del 2008», scrive su “Huffington Post” lo stesso Scalea, condirettore della rivista “Geopolitica” e direttore dell’Isag di Roma, istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie. «L’episodio più importante fu rappresentato, negli Usa, dal Gramm-Leach-Bliley Act, proposto dai tre parlamentari repubblicani eponimi ma approvato nel 1999 con un’ampia maggioranza bipartisan». Fine delle regole: «La legge era nata per rispondere all’esigenza creatasi con la nascita di Citigroup, l’anno precedente, e abolì una parte del Glass-Steagall Act del 1933», la famosa legge varata dopo la Grande Depressione del ’29, che aveva separato le banche d’investimento dalle banche commerciali, impedendo alle prime – impegnate nelle speculazioni più rischiose – di raccogliere depositi dai risparmiatori.Dal fatidico ’99, dunque, anche i risparmi delle famiglie sono finiti nelle speculazioni a più alto rischio, in particolare quelle legate alle cartolarizzazioni, fattesi sempre più sofisticate dagli anni ‘80 in poi. «La cartolarizzazione – spiega Scalea – altro non è che la cessione di crediti o attività di una società tramite l’emissione di titoli obbligazionari». Nei primi anni ‘90 divennero popolari i famigerati derivati: titoli il cui prezzo è legato al valore di mercato di uno o più beni, e la cui ratio è la copertura da un rischio finanziario connesso a quei beni stessi. Proprio i derivati «sono divenuti lo strumento prediletto della speculazione, in particolare tramite le vendite allo scoperto», cioè l’impegno a vendere, in una certa data, un determinato bene che ancora non si possiede nel momento in cui si sigla il contratto. Tuttavia, aggiunge Scalea, la deregolamentazione e i “fantasiosi” nuovi strumenti finanziari (creati non da economisti, ma da matematici) rappresentano «solo il corso finale d’una più grande problematica che scorre a monte: quella della finanziarizzazione dell’economia».Quando la finanza prende il sopravvento, sottolinea il condirettore di “Geopolitica”, l’economia reale finisce sempre per risentirne. Accadde così anche nel ’29: «Nel primo dopoguerra, l’economia mondiale era ripartita grazie a uno schema triangolare tra Usa, Germania e altri paesi dell’Europa Occidentale. Washington garantiva alla Germania gl’investimenti per ricostruirne l’economia (non a caso, la tensione postbellica tra Parigi e Berlino fu risolta dal Piano Dawes, che deve il suo nome non a un abile diplomatico bensì a un ricco banchiere); la Germania poteva così pagare le riparazioni di guerra ai paesi europei vincitori del conflitto, e quest’ultimi acquistavano grosse quantità di beni di consumo dagli Usa». La macchina, continua Scalea, s’inceppò proprio quando i profitti a Wall Street divennero così elevati che risparmiatori, imprenditori e banchieri americani cominciarono a trovare più profittevole speculare tutto in Borsa, piuttosto che investire qualcosa nell’economia reale europea. «Quest’ultima rallentò, facendo calare bruscamente gli ordinativi di beni dagli Usa, con conseguente crisi di sovrapproduzione e successivo crollo della Borsa».Analogamente, anche la crisi del 2008 trova la sua genesi nella supremazia della finanza sull’economia reale. Dopo la “stagflazione” degli anni ‘70, ricorda Scalea, la ripresa della crescita economica ha visto quest’ultima concentrarsi sempre più nel segmento finanziario, con parallelo esplodere però anche dei debiti pubblici e il fabbisogno statale crescentemente affidato ai mercati per la sua copertura. Crescita che è stata alimentata da una serie di bolle: prima quella dell’information technology (2000-2001), poi quella dei mutui immobiliari Usa (2007). «L’esigenza di immettere sul mercato titoli da negoziare ha spinto a trascurare la solidità dei sottostanti (vedi mutui subprime): il derivato finanziario è divenuto la ragion d’essere, l’economia reale un semplice strumento». Idem la Borsa: era «il luogo ideale in cui far incontrare i risparmiatori desiderosi d’investire i loro capitali e gl’imprenditori capaci di farli fruttare», quindi in un orizzonte fatto di economia reale, e invece è divenuta una realtà a sé stante: «Le azioni non si comprano più per partecipare dell’impresa e dei suoi utili, ma per speculare sulle variazioni del prezzo di mercato dei titoli stessi».La Borsa, scrive Scalea, ha preso a pullulare di strumenti finanziari, come i derivati, solo debolmente connessi alla realtà economica: «Gli azionisti non guardano più al bene a lungo termine dell’azienda, ma alla possibilità a breve termine di realizzare plusvalenze uscendo dall’azionariato». Complici di questo gioco, i manager: «Per compiacere gli azionisti, hanno indugiato nella pratica di distribuire generosi dividendi anche quando i conti della società non erano positivi, col semplice fine di rendere le azioni più appetibili e dunque farne crescere il valore di mercato a breve, anche se questo minava la solidità aziendale sul lungo periodo». Fenomeno aggravato dall’abitudine di concedere ai manager bonus in azioni della società. Pratiche state denunciate anche dai media all’indomani del crollo borsistico del 2008, eppure continuano ad essere messe in atto. Se fino a ieri la finanza era un mezzo per supportare l’economia, ora è l’unico vero fine a cui mira chi dovrebbe occuparsi del benessere generale, a cominciare dai posti di lavoro.Il problema è che la finanza, da strumento dell’economia, ne è divenuta il cuore. La banca, a sua volta, da strumento dell’impresa ne è diventata proprietaria. E la Borsa non è più lo strumento degli investitori, ma il tempio degli speculatori. Così la speculazione ha superato l’investimento, e la rendita i profitti: questo, riassume Daniele Scalea, è il problema a monte che rende qualsiasi ripresa fragile, e il sistema economico globale squilibrato e instabile. Difficile, per il sistema politico mondiale, porre un freno al disastro. Ci ha provato la Russia al G-20 di San Pietroburgo, fissando come priorità «lo sviluppo di una serie di misure volte a promuovere una crescita sostenibile, inclusiva ed equilibrata, e la creazione di posti di lavoro nel mondo». Secondo Putin, il benessere va ottenuto tramite investimenti in posti di lavoro di qualità, condizioni di trasparenza e fiducia, nonché un’efficace regolamentazione: cioè una retromarcia completa rispetto allo spettacolo messo in scena dall’Occidente negli ultimi trent’anni.
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Pepino: resistere è un dovere, il Tav umilia la democrazia
Eversivi non sono i No-Tav, ma i politici che vogliono imporre una grande opera calpestando la Costituzione. «Fino a ieri dicevano che il problema non era il movimento No Tav ma le sue frange estremiste e violente. Fino a ieri. Oggi la maschera è caduta. Con la criminalizzazione politica e mediatica finanche di Stefano Rodotà, con la riesumazione dei reati di opinione, con la perquisizione domiciliare nei confronti di Alberto Perino (leader storico del movimento) tutto è diventato più chiaro». Così parla Livio Pepino, già membro del Csm e magistrato della Corte di Cassazione, schierandosi in difesa della causa No-Tav, bersaglio di una autentica “crociata” da parte dei media e dei partiti, e ora al centro dell’azione repressiva della Procura di Torino. Il nemico da battere, evidentemente, «è il movimento di opposizione all’alta velocità in val Susa».
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Grazie a Putin e al Papa, benché meno intelligenti di Letta
Se un dubbio poteva essere rimasto, a dissiparlo ha provveduto il presidente del Consiglio Enrico Letta. Prima ha schierato l’Italia, senza chiedere nemmeno uno straccio di autorizzazione al Parlamento, tra gli otto paesi (altri dieci, tra i venti riuniti a San Pietroburgo, si sono rifiutati) che si candidano a sostenere acriticamente l’azione che Stati Uniti e Francia preparano ai danni della Siria. Poi, con quella sua aria da professorino, concentrato e salvifico, se n’è uscito con una dichiarazione dal grande significato rivelatore: «Una cosa è certa: l’Italia starà sempre dalla parte di chi considera l’utilizzo delle armi chimiche come un crimine contro l’umanità». E meno male, viene da dire. Le altre armi, da quelle all’uranio impoverito alle bombe a grappolo, dai missili “intelligenti” a quelli chirurgici (delle quali i “liberatori” della Siria, gli stessi che hanno recentemente regalato un presente di grande serenità e democrazia a Egitto, Libia e Tunisia, faranno presto largo uso), sono invece equiparabili alle caramelle in vendita nelle bancarelle della festa paesana.
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La Fiat suicida l’auto ma vuole il Corriere, cioè il potere
Inaugurando per l’ennesima volta lo stabilimento Sevel in Abruzzo, Sergio Marchionne ha dichiarato che quegli investimenti saranno gli ultimi in Italia, se resterà ancora in vigore la Costituzione e ancor di più se ci sarà chi la fa applicare. Il criptofascismo dell’amministratore delegato Fiat non è una novità, ma in questo caso la minaccia contiene anche una bugia perché la sua azienda e già impegnata in un nuovo investimento nel nostro paese, l’acquisto del controllo sul “Corriere della Sera”. Immaginate la Ford all’assalto del “New York Times”, o la Peugeot che vuol controllare “Le Monde”, o la Volkswagen che spende per la “Frankfurter Zeitung”… Solo da noi questo avviene senza scandalo, e con il servilismo del governo e di chi lo sostiene. Ma perché una multinazionale dell’auto prevalentemente americana considera strategico il controllo della Rcs?
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Travaglio: il golpetto di Napolitano sugli inutili caccia F-35
Com’è noto i cacciabombardieri F-35 sono inutili, ma sarebbero uno spreco anche se fossero utili. Pare infatti che queste carcasse volanti cappòttino da ferme. Tant’è che Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Australia e Turchia hanno già rimesso in discussione il progetto. Noi no, anzi. L’8 aprile 2009, due giorni dopo il terremoto in Abruzzo, mentre si raccoglievano 300 vittime, si soccorrevano migliaia di feriti e il governo Berlusconi faceva passerella sulle macerie senza trovare un euro per ricostruire L’Aquila, le commissioni difesa di Camera e Senato votavano il via libera per l’acquisto di 131 F-35 (poi ridotti a 90) al modico costo di 15 miliardi. Nessun voto contrario: l’impavido Pd, anziché opporsi, uscì dalla stanza e non partecipò al voto, in linea con il suo programma scritto direttamente da Ponzio Pilato (a parte la senatrice Negri che, in un soprassalto di coraggio, restò dentro e si astenne).
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Zagrebelsky: questa oligarchia manipola la Costituzione
Scavalcata dal Trattato di Lisbona, già compromessa dal Trattato di Maastricht che revoca la sovranità finanziaria nazionale senza offrire contropartite. E infine umiliata dal Fiscal Compact, che col pareggio di bilancio affonda la Repubblica “fondata sul lavoro”, cancellando diritti con la pretesa secondo la quale “non ci sono più soldi”. Quel che resta dell’ultimo argine a difesa dell’integrità italiana, la Costituzione democratica nata dalla Resistenza antifascista, viene ora minacciato dalla Convenzione bipartisan attraverso cui Pd e Pdl intendono smantellare le residue quote di democrazia nel paese. Timori che non si nasconde il giurista Gustavo Zagrebelsky, che si prepara alla manifestazione indetta il 2 giugno a Bologna, insieme a Stefano Rodotà: giù le mani dalla Costituzione. Il pericolo? Evidente: accentrare ulteriormente il potere decisionale e confiscare quel che rimane di ancora democratico, nell’Italia che l’Eurozona sta letteralmente rottamando.
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La voce del padrone, da Bava Beccaris a Bini Smaghi
Galileo? Un cretino: in effetti non è la Terra a orbitare nello spazio, ma il Sole. Ergo, «l’austerità non è una scelta dettata dalla Banca Centrale Europea». Del resto, lo sanno tutti: Bruxelles e Francoforte sono istituzioni umanitarie. Se ora si è passati alla frusta, la responsabilità è tutta dei governi e della loro incapacità di «introdurre le riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita delle loro economie». A sostenenerlo non è un umorista, ma il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, banchiere centrale europeo fino al 2011 e ora “visiting scholar” ad Harvard e presidente di Snam Rete Gas, nel libro “Morire d’austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”. Come dire: Tolomeo rivisitato nel 2013 e doppiato dalla voce del mitico generale Fiorenzo Bava Beccaris, l’uomo che a Milano nel 1898 non esitò a sparare sulla folla degli affamati, facendo a pezzi più di 500 persone. Colpa loro, probabilmente, anche in quel caso.
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Il “folle” sparatore di Roma e i cannibali della disperazione
Mezzogiorno di fuoco a Palazzo Chigi: due carabinieri feriti, uno in modo grave, proprio nel momento in cui il nuovo governo al Quirinale giura fedeltà alla Costituzione. Il gesto eclatante e isolato di un disoccupato stanco della vita e sommerso dai debiti, a cui manca solo un’ultima pallottola per darsi il colpo di grazia? «I piccoli gnomi bipartisan, gli insignificanti uscieri di palazzo, i falchi e le anatre Pd-Pdl gareggiano nell’additare, senza fare nomi sia chiaro, il movimento di Beppe Grillo quale mandante indiretto, o quantomeno responsabile morale, del gesto disperato di Luigi Preiti, un “calabrese” di Rosarno (fosse stato un lombardo o un veneto la provenienza regionale non sarebbe stata specificata)», protesta Anna Lami su “Megachip”. «Ecco, è colpa di Beppe Grillo. Se Beppe Grillo la smettesse di ribadire quello che pensano un po’ tutti, ossia che abbiamo una classe politica meschina – dato di fatto di reale larghissima intesa nazionale – i ministri del governo Letta-Napolitano potrebbero fare le foto ricordo in tutta tranquillità».
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Attenti: il regime Napolitano-Berlusconi durerà a lungo
Se tanto mi dà tanto, qui è stato il (presunto) tonno ad aprirci come una scatoletta (di ventresca). Infatti, tra maldestri rivoluzionari a fumetti e rinnovatori intermittenti, quanto infine ha prevalso è stata la determinazione proterva e inaffondabile della corporazione trasversale del Potere. Sotto l’accorta regia di Giorgio Napolitano, il dato per morto Silvio Berlusconi è rifiorito a nuova vita, per farsi finalmente tutti gli affaracci suoi e – al tempo stesso – fornire l’abituale alto contributo all’interminabile esproprio di democrazia e decenza; esproprio che perdura dal momento lontano in cui lo strappo di Tangentopoli fu ricucito grazie alla chiamata dell’intero arco costituzionale, da allora allargato ai neo fascisti, a difesa della politica politicante e alla contestuale rimozione della “questione morale” (intorno al 1993). Vent’anni esatti, che minacciano di proseguire ancora a lungo.