Archivio del Tag ‘Brancaccio’
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?
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Cremaschi: elezioni di regime, tutti allineati ai diktat Ue
Un anno fa la maggioranza del popolo italiano, con una partecipazione al voto largamente superiore a quella delle consultazioni politiche e amministrative, bocciava la riforma costituzionale di Renzi. Non era solo il leader del Pd ad essere duramente sconfitto. Il sistema finanziario, la Confindustria, la grande stampa, tutta la élite intellettuale, la Ue e Obama, che avevano sostenuto il cambiamento costituzionale, venivano battuti. Era un pronunciamento di popolo, simile ad altri che hanno sconvolto la politica europea; un pronunciamento che, partendo da posizioni molto diverse, esprimeva lo stesso intendimento: respingere la controriforma sociale e politica voluta dalle élite della globalizzazione liberista. Cosa è rimasto dopo un anno di quel voto nel sistema politico? Nulla. Il governo è in pura continuità con quello precedente e i principali schieramenti, neppure nelle battute, fanno rifermento a quel voto. Solo le forze a sinistra del Pd ogni tanto ricordano quel referendum e la Costituzione negata, salvo poi proporre la ricostituzione di un centrosinistra senza Renzi. Quelle forze rimpiangono proprio lo schieramento politico responsabile della devastazione dei diritti costituzionali, come e forse più della destra.Il movimento lanciato all’assemblea del Brancaccio aveva provato a richiamarsi con più forza al voto popolare di rottura di una anno fa, ma poi è rifluito nella politica tradizionale della sinistra. E per questo si è sciolto. Non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi, come pure ha detto uno dei suoi promotori. Nel frattempo l’Unione Europea ha già messo l’ipoteca sul risultato elettorale, quale che esso sia. La Ue ha già ottenuto da Gentiloni la piena conferma del folle meccanismo automatico di innalzamento dell’età pensionabile, il che ha portato ad un po’ di sceneggiate con Cgil, Cisl e Uil, nessuno dei quali aveva in realtà mai rivendicato l’abrogazione della legge Fornero. Inoltre la Ue ha già prenotato il mese di maggio per una nuova manovra di tagli, concedendo al governo ed alle principali forze politiche unicamente la possibilità di una campagna elettorale che faccia finta di niente. Da quel 5 agosto 2011 in cui Draghi e Trichet scrissero la lettera sulle cose da fare, tutti i governi italiani hanno adottato quel testo come programma. E se qualche impegno è saltato, ci pensa o ci penserà il pilota automatico, come il presidente della Bce ha chiamato le decisioni economiche che vengono imposte all’Italia e agli altri paesi della Ue sotto controllo della Troika.A fine anno si dovrebbe poi votare in Parlamento la conferma definitiva del Fiscal Compact, cioè di quel trattato, già recepito in Costituzione con la modifica (quasi unanime) dell’articolo 81, che cancella tutti i principi e i diritti sociali della nostra Carta, nel nome del pareggio di bilancio e della riduzione del debito. Insomma la rottura di popolo di un anno fa non ha avuto alcuna vera conseguenza negli indirizzi di fondo del sistema politico, dove tutte le principali forze sono alla ricerca di patenti di rispettabilità e approvazione proprio da quei poteri italiani, europei, americani, che avevano puntato sulla vittoria di Renzi al referendum. Il risultato di tutto questo è un sistema politico sempre più autoritario ed escludente, che non a caso registra un crollo vertiginoso della partecipazione al voto, che oramai riguarda la metà o meno ancora della popolazione. A cosa serve votare se chiunque vinca non cambia niente, al di là di chiacchiere urla o promesse, questa è la convinzione che si diffonde. E il ritorno di Berlusconi, ora sostenuto anche da Scalfari, è la più sfacciata conferma di questo sistema che non cambia.Il M5S raccoglie e probabilmente raccoglierà ancora il consenso genuino di chi rifiuta le tradizionali politiche del palazzo e chiede ben altro. Ma gli elogi a Rajoy, il viaggio negli Usa, la ricerca del dialogo con Macron da parte di Di Maio, dimostrano che la leadership di quel movimento cerca prima di tutto di legittimarsi con le élites liberiste, che non danno mai benedizioni gratuite. Non c’è alcuna corrispondenza tra il voto di un anno fa e il sistema politico: quest’ultimo si muove tutto dentro il quadro della controriforma liberista, proponendo unicamente alternative all’interno di essa. Chi rivendica lavoro e eguaglianza sociale. Chi vuole la scuola pubblica, lo stato sociale e l’intervento pubblico nell’economia contro il dominio del mercato. Chi vuole la difesa dell’ambiente contro l’incuria e la devastazione delle grandi opere. Chi rifiuta e combatte l’oppressione e la violenza di sesso, di razza, di classe. Chi rifiuta ed odia lo sfruttamento, il dominio della finanza, il capitalismo. Chi soffre e chi lotta sa o deve sapere che è necessaria una rottura di sistema.Solo la rottura con i vincoli Ue, con gli impegni militari Nato, con trent’anni di politiche liberiste sempre eguali a se stesse, solo la rottura con il sistema politico e culturale della controriforma crea un’alternativa, un’alternativa fondata su quei principi sociali della Costituzione che oggi sono brutalmente negati dal potere. La coraggiosa proposta elettorale di Je So Pazzo per me è su questo che deve misurarsi. Non si tratta di aggiungere altre parole al chiacchiericcio del palazzo, ma di dare voce e forza a chi rialza la testa e vuole ribellarsi. L’appuntamento elettorale può essere solo un passaggio, e neppure dei più importanti, di questa ribellione organizzata contro il sistema e contro tutte le sue finte alternative. Un passaggio che serva ad accumulare ed unire forze per tutti i conflitti che si aprono e si dovranno aprire. Noi di qua, voi di là, solo se si dice questo ha senso partecipare a queste elezioni, governate dal regime che ha perso il referendum un anno fa.(Giorgio Cremaschi, “Elezioni: noi di qua, voi di là”, da “Micromega” del 26 novembre 2017).Un anno fa la maggioranza del popolo italiano, con una partecipazione al voto largamente superiore a quella delle consultazioni politiche e amministrative, bocciava la riforma costituzionale di Renzi. Non era solo il leader del Pd ad essere duramente sconfitto. Il sistema finanziario, la Confindustria, la grande stampa, tutta la élite intellettuale, la Ue e Obama, che avevano sostenuto il cambiamento costituzionale, venivano battuti. Era un pronunciamento di popolo, simile ad altri che hanno sconvolto la politica europea; un pronunciamento che, partendo da posizioni molto diverse, esprimeva lo stesso intendimento: respingere la controriforma sociale e politica voluta dalle élite della globalizzazione liberista. Cosa è rimasto dopo un anno di quel voto nel sistema politico? Nulla. Il governo è in pura continuità con quello precedente e i principali schieramenti, neppure nelle battute, fanno rifermento a quel voto. Solo le forze a sinistra del Pd ogni tanto ricordano quel referendum e la Costituzione negata, salvo poi proporre la ricostituzione di un centrosinistra senza Renzi. Quelle forze rimpiangono proprio lo schieramento politico responsabile della devastazione dei diritti costituzionali, come e forse più della destra.