Archivio del Tag ‘carabinieri’
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Gli 007: l’Italia soffre e protesta, ma non farà rivoluzioni
L’Italia in preda alla grande crisi sta soffrendo molto, ma la protesta è rimasta finora all’interno di limiti accettabili, grazie anche agli ammortizzatori sociali e all’azione moderatrice dei sindacati. Lo sostengono i servizi segreti, nella relazione annuale indirizzata al Parlamento. Secondo l’Aisi, per cui l’estremismo di destra non supera il folklore dei “forconi” o la violenza sporadica degli ultras del calcio, il problema sono le «strumentalizzazioni estremiste», che – potenziate dalla capacità di comunicazione del web – conterrebbero una potenziale «minaccia eversiva». Nel mirino degli 007, le “frange estreme” ai margini dei principali movimenti sociali: No-Tav e No-Muos, movimento per la casa, Terra dei Fuochi, comitati milanesi contro l’Expo 2015. E’ l’Italia che alza la voce nella sua protesta anti-crisi, quella che contesta il Fiscal Compact e i trattati neoliberisti della Troika europea, «con l’obiettivo di aggregare la militanza attorno all’appello “anticapitalista”», una lotta dal basso «per costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico».In pratica, segnala Federico Rucco su “Contropiano”, a suscitare l’attenzione dei servizi segreti sono «i movimenti di sinistra e antagonisti», quelli che «intervengono nel “sociale” in tutte le sue declinazioni (sindacali, problema abitativo, ambientale, antimilitarista». Non mancano gli anarchici, che «continuano ad essere identificati come la minaccia principale». Una “lettura politica” estremamente interessante, annota Rucco. Premessa: «Gli ammortizzatori sociali e il ruolo di mediazione dei sindacati confederali – scrive l’Aisi – hanno continuato ad agire da depotenziatori del conflitto, limitando i margini d’intervento delle frange estreme della sinistra antagonista». Per “Contropiano”, «non si potrebbe definire in modo più chiaro quello che siamo andati denunciando in questi anni rispetto al ruolo di Cgil, Cisl e Uil». Le lotte nei call center e nella logistica vengono indicate come «sporadiche, emergenti forme di autorganizzazione operaia».Per i servizi di sicurezza, «il ruolo del web si è confermato determinante quale amplificatore delle iniziative di lotta funzionale allo sviluppo di campagne condivise». Interessante l’analisi sulla dinamica dei conflitti sociali. All’Aisi non sfugge l’importanza della due giorni di mobilitazione nazionale del 18 e 19 ottobre «con lo sciopero generale dei sindacati di base e la manifestazione per il diritto alla casa e contro la crisi». Agli analisti dell’intelligence non sfugge l’importanza di forme di lotta come «la pratica dell’occupazione della piazza», che – pensando a Turchia, Grecia e Spagna – potrebbe «diventare una pratica di aggregazione del consenso facilmente replicabile anche altri ambiti, sia territoriali che tematici». Allarme rosso, ovviamente, per la mobilitazione in Sicilia contro l’insediamento militare Usa del Muos a Niscemi. Secondo i servizi, «il movimento No-Muos continua a vedere impegnati da un lato i “comitati popolari” intenzionati a muoversi in un contesto legale, e dall’altro componenti radicali determinate a compiere, con il supporto di esponenti antagonisti e anarchici siciliani, azioni di lotta più incisive, incentrate prioritariamente sulla tematica antimilitarista».Oltre alla crescita «dell’attivismo degli ambienti antimperialisti a sostegno della causa palestinese», l’Aisi rileva le «proteste di crescente spessore dell’antagonismo lombardo contro l’Expo di Milano 2015» e di quello pugliese contro il gasdotto Tap. Riferendosi poi alla Campania e alla Terra dei Fuochi, i servizi segreti sottolineano che è sotto «attenzione informativa» il tentativo, da parte di «settori dell’antagonismo locale», di «strumentalizzare la tematica, inserendosi nella protesta animata dalla popolazione locale». Ovviamente, aggiunge Rucco, un ampio dossier è dedicato al movimento No-Tav. In valle di Susa, secondo i servizi, c’è una netta differenziazione tra le «frange oltranziste» e la «componente popolare» del movimento, decisa a continuare una “resistenza “pacifica” alla grande opera, «anche se nel suo ambito – sempre secondo i servizi – si sono talora registrate posizioni di acquiescenza ad episodi di sabotaggio». E attenzione: alla lunga, la popolazione potrebbe dare segni di esasperazione. I servizi temono «l’innalzamento del livello di contrapposizione quale inevitabile conseguenza della “reazione” della popolazione a politiche decise dall’alto e al dispositivo repressivo».Quanto alle frange a vocazione violenta – anarchiche o marx-leniniste – la conclusione a cui giungono i servizi segreti è che «si tratta di gruppi esigui, in condizione di minoranza rispetto all’area antagonista». Al più, è possibile temere «azioni violente di limitato spessore operativo da parte di aggregazioni estemporanee o di individualità, intese non tanto a colpire il cuore del sistema, quanto piuttosto a dimostrare la capacità di ribellione, al fine di alimentare una progressiva radicalizzazione delle istanze contestative». Forte la sottolineatura sul ruolo di “pompieri sociali” svolto dalle organizzazioni sindacali, efficaci nel contenere il conflitto sociale in modo che resti «più ribelle che rivoluzionario». Conclude Rucco: «Chissà se l’iconoclastia di Renzi verso i sindacati e gli ammortizzatori sociali terrà conto di questo suggerimento dei servizi di sicurezza».L’Italia in preda alla grande crisi sta soffrendo molto, ma la protesta è rimasta finora all’interno di limiti accettabili, grazie anche agli ammortizzatori sociali e all’azione moderatrice dei sindacati. Lo sostengono i servizi segreti, nella relazione annuale indirizzata al Parlamento. Secondo l’Aisi, per cui l’estremismo di destra non supera il folklore dei “forconi” o la violenza sporadica degli ultras del calcio, il problema sono le «strumentalizzazioni estremiste», che – potenziate dalla capacità di comunicazione del web – conterrebbero una potenziale «minaccia eversiva». Nel mirino degli 007, le “frange estreme” ai margini dei principali movimenti sociali: No-Tav e No-Muos, movimento per la casa, Terra dei Fuochi, comitati milanesi contro l’Expo 2015. E’ l’Italia che alza la voce nella sua protesta anti-crisi, quella che contesta il Fiscal Compact e i trattati neoliberisti della Troika europea, «con l’obiettivo di aggregare la militanza attorno all’appello “anticapitalista”», una lotta dal basso «per costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico».
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Cardini: soldati privati e polizie agli ordini dell’élite
«Più il soldato era estraneo e magari perfino ostile rispetto all’ambiente nel quale espletava il suo servizio, più la sua fedeltà si indirizzava esclusivamente ai suoi superiori e meglio lo si poteva usare come strumento di repressione». Un tema che torna d’attualità oggi, nell’Europa travolta dalla crisi socio-economica e sull’orlo di rivolte. Per lo storico Franco Cardini, «siamo all’anno zero; e poiché siamo governati da anonimi poteri, è ovvio che il corpo di polizia sovranazionale serva ai loro interessi». A Cardini, intervistato da Alberto Melotto per “Megachip”, non sfugge il ricorso sistematico a nuove forme di repressione: dalla valle di Susa militarizzata alla Sicilia «ferita dal Muos», fino alla nuova inquietante gendarmeria europea, Eurogendfor. «Questa euro-milizia, che andrà ad incorporare in futuro la stessa Arma dei carabinieri, dovrà gestire crisi legate all’ordine pubblico», ricorda Melotto. «Si parla di un’immunità giudiziaria per gli appartenenti a questo corpo speciale di polizia: gli ufficiali di Eurogendfor non potranno essere intercettati dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati».È facile supporre che un simile marchingegno verrà impiegato in situazioni dove si verifica una forte protesta sociale contro decisioni inique dei governi, argomenta Melotto, ragionando con Cardini sulla recente ripubblicazione del volume “Quell’antica festa crudele”, un viaggio – prima edizione nei primi anni ‘80 – lungo i secoli che vanno dal medioevo alla Rivoluzione Francese. Guerra e pace: «La guerra che crea nuove classi sociali, sollecita spostamenti di popolazioni affamate in cerca di ingaggi mercenari e terrorizza plebi contadine», e la pace che, dpo l’anno mille, «diffonde il proprio messaggio esigente e chiede risposte adeguate, col formarsi di movimenti che pongono seri limiti alle guerre private». Guerre private, organizzate da élite? La certezza del diritto si incrina appena viene meno la sovranità statale: «La sovranità nazionale – dice Cardini – l’Italia non ce l’ha più da quando il sistema Usa-Nato è entrato potentemente nella penisola, innervandola con le sue basi militari senza che i nostri governi abbiano mosso un dito, anzi sulla base di un’evidente loro connivenza».Cardini, osserva Melotto, nella sua analisi storica vuole «mettere l’accento su una civiltà che possedeva una forte consapevolezza di quel che significasse l’andare in battaglia, che trovava in sé gli anticorpi che potessero salvarla da un definitivo tracollo, da un totale cedimento alla barbarie del sangue versato». Consapevolezza che, secondo Cardini, risulta assente ingiustificata ai nostri giorni. Riproporre oggi “Quell’antica festa crudele”, infatti, «è utile per marcare la distanza che separa un periodo di impegno e di scontro culturale e politico dai nostri anni inconsapevoli». Se nei secoli passati la guerra poteva essere “umanizzata”, “razionalizzata” e quindi dominata, oggi «la mancanza di una morale condivisa nell’opinione pubblica pare far da preludio al trionfo delle guerre non più legate ai voleri degli Stati-nazione. Oggi, l’istituzione di una milizia come Eurogendfor fa pensare a un fronte di guerra interno: «È la prosecuzione della costruzione di Eurolandia a favore di chi la gestisce e ne ricava i frutti».Non era meglio la leva obbligatoria? Un esercito difensivo, una forza di protezione civile? «Un esercito che nasca con i soli scopi difensivi e di aiuto alla popolazione civile non è un esercito», dice Cardini. «Quello di cui avremmo bisogno sarebbe un vero esercito europeo, non un’organizzazione di ascari al servizio della Nato. La leva obbligatoria non è più concepibile: il processo di destrutturazione della società civile italiana è andato ormai troppo oltre». Altro segnale allarmante: il movimento pacifista si è quasi dissolto. «Siamo nella fase delle operazioni di polizia internazionali, funzionali al governo delle lobbies multinazionali che sta sempre più governando il mondo intero, con alcune zone ancora poco chiare. Per esempio, dove va la Cina? Si adatterà a questo tipo di gioco, e in che modo?». Quest’anno ricorre l’anniversario dello scoppio della Grande Guerra: quanto vi era di consapevole, nei governanti dell’epoca, nella decisione di mandare al massacro i proletari d’Europa l’un contro l’altro? «Il punto – replica Cardini – non era massacrare i proletari, ma perseguire una politica di potenza: la Russia voleva raggiungere il Mediterraneo, la Francia vendicarsi dei tedeschi e recuperare le aree ferrifere e carbonifere dell’area renano-mosellana. Certo, la guerra era un diversivo rispetto all’affrontare la questione sociale».La sinistra italiana, incarnata allora nel Partito Socialista – ricorda Melotto – fu l’unica in Europa a non chinare il capo alle intimidazioni del nazionalismo, diversamente da quanto fecero i socialisti francesi, che votarono i crediti di guerra dopo l’assassinio del loro dirigente Jean Jaurés. Non fu uno dei momenti più alti della storia del movimento operaio italiano? «Sì, e anche del mondo cattolico che in genere era nemico del conflitto», concorda Cardini. «Ma c’erano ormai larghe aree d’inquinamento nazionalista, tra i socialisti e tra i cattolici. Quanto all’interventismo rivoluzionario, che nasceva su altre basi, alla prova si rivelò un cavallo di Troia del nazionalismo». Oggi, la riflessione storica rischia di essere intorbidita: i «fanatici», decisi a «minimizzare le responsabilità dei nazisti» negando la tragedia della Shoah, finiscono col danneggiare anche «i ricercatori seri», che rivendicano il diritto di rivedere la storia, correggendo errori e mistificazioni. Cè poco da stare allegri: «Ci vorrebbe una Costituzione europea e una raggiunta maturità di coscienza appunto federale o confederale da parte dei popoli, che non c’è». C’è invece il dominio egemonico della Troika. «Chi lo ha voluto? Quali sono i suoi poteri? Chi li ha determinati? Una decisione di questo tipo non può esser presa nel totale silenzio dei governati».(Il libro: Franco Cardini, “Quell’antica festa crudele”, Il Mulino, 520 pagine, 30 euro).«Più il soldato era estraneo e magari perfino ostile rispetto all’ambiente nel quale espletava il suo servizio, più la sua fedeltà si indirizzava esclusivamente ai suoi superiori e meglio lo si poteva usare come strumento di repressione». Un tema che torna d’attualità oggi, nell’Europa travolta dalla crisi socio-economica e sull’orlo di rivolte. Per lo storico Franco Cardini, «siamo all’anno zero; e poiché siamo governati da anonimi poteri, è ovvio che il corpo di polizia sovranazionale serva ai loro interessi». A Cardini, intervistato da Alberto Melotto per “Megachip”, non sfugge il ricorso sistematico a nuove forme di repressione: dalla valle di Susa militarizzata alla Sicilia «ferita dal Muos», fino alla nuova inquietante gendarmeria europea, Eurogendfor. «Questa euro-milizia, che andrà ad incorporare in futuro la stessa Arma dei carabinieri, dovrà gestire crisi legate all’ordine pubblico», ricorda Melotto. «Si parla di un’immunità giudiziaria per gli appartenenti a questo corpo speciale di polizia: gli ufficiali di Eurogendfor non potranno essere intercettati dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati».
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Della Luna: Italia da buttare, vogliono staccare la spina
Italia indifendibile? Lo dice la Suprema Corte, confermando la storia di un paese dominato per secoli dagli stranieri, grazie a “reggenti” sleali verso il popolo. I difensori dell’establishment, Napolitano e Boldrini in testa, sostengono che il Parlamento possa rilegittimare se stesso e l’intero ordinamento statale facendo semplicemente una nuova legge elettorale che corregga i vizi dichiarati il 4 dicembre dalla Corte Costituzionale? Problema: a votare la nuova legge sarebbero parlamentari eletti “illegittimamente”. Dunque, osserva Marco Della Luna, questa stessa legge sarebbe illegittima. «Insomma, qualunque cosa metteranno insieme, sarà chiaramente un pasticcio, sputtanato in partenza, e contribuirà alla già bassissima credibilità del sistema e delle sue regole, quindi compromettendo ulteriormente il suo funzionamento». L’incidente costituisce un precedente assoluto, nonostante il già scarso prestigio delle istituzioni: quest’ultima sentenza «è la prima auto-certificazione di illegittimità del sistema».A questa rottura senza uscita della legittimità dello Stato, aggiunge Della Luna nel suo blog, corrisponde sul piano economico una recessione senza via di uscita: «Le manovre e le predizioni di risanamento e rilancio falliscono tutte, gli indicatori fondamentali continuano a peggiorare, redditi e occupazione vanno a picco e destabilizzano il sistema previdenziale, destinato a non poter erogare pensioni sufficienti a vivere». Inoltre, l’“Europa” di Olli Rehn «preme brutalmente sull’euroservile governo Letta per accelerare e aumentare le privatizzazioni, ossia i trasferimenti sottocosto di industrie e servizi di interesse nazionale ai capitali predatori che guidano la politica comunitaria», mentre le promesse di ripresa «sono chiaramente menzognere, assolutamente impossibili da realizzare, buone solo a puntellare la casta».Per salvarsi davvero l’Italia avrebbe bisogno di investimenti privati, che però mancano «perché tasse, costo del lavoro, costo della burocrazia e inefficienza sistemica sono eccessivi, e perché non si investe in un mercato che non può comprare per mancanza di redditi». E servirebbero investimenti pubblici, anch’essi assenti «perché lo Stato ha sempre meno soldi», imprigionato nell’euro-trappola che lo priva di risorse monetarie e ora lo costringe, attraverso il Fiscal Compact, a ridurre il debito pubblico per qualcosa come 50 miliardi l’anno. Dopodiché, sarebbe necessario “riqualificare” la spesa pubblica tagliando gli sprechi destinati al clientelismo di casta, e fermare l’esodo dei cervelli investendo su ricerca e innovazione per riconquistare competitività. Serve liquidità, anche per far fronte al debito storico, «ma la liquidità viene sempre più sottratta all’economia nazionale da fuga dei capitali, fuga dei risparmi, rimesse degli immigrati, contribuzioni al Mes, contrazione del credito, banche che raccolgono denaro per investirlo nei mercati speculativi e improduttivi».Servirebbero «governanti competenti e non ciarlatani», in grado di introdurre «regole efficienti e applicate», mentre – al contrario – abbiamo «un continuo deterioramento della fiducia sociale e della qualità delle norme e del loro rispetto da parte di cittadini, imprese e istituzioni». Inevitabilmente, aggiunge Della Luna, questa doppia crisi sistemica – giuridica ed economica – porta verso una rottura violenta. «La violenza potrà essere quella di insurrezioni interne di disperati-esasperati e conseguenti repressioni armate; oppure quella del nuovo dominus-creditore, il capitalismo rapinatore e affamatore euro-germanico che manderà, o farà chiamare dal governo “responsabile” di turno, l’Eurogendfor (il corpo di polizia militare antisommossa internazionale istituito col Trattato di Velsen nel 2007, con Prodi per l’Italia) ad eseguire quelle forme di repressione a cui le nostre forze dell’ordine non riuscirebbero ad arrivare». Analogamente, la repressione fiscale sarà affidata al Mes, in grado di «perpetrare quei prelievi fiscali per cui neanche Equitalia avrebbe l’animo».Domanda: «Fino a che livello di disastro, di asservimento e avvelenamento si vuole spingere questo infelice paese?». Per Della Luna, sarebbe saggio prevenire questi scenari accettando la realtà: vista oggi, la «cosiddetta unità d’Italia» sembra fallita, non funziona, non è vitale, «è una misconstruction come l’euro, la Pac (Politica agricola comune) e la stessa costruzione comunitaria». Sarebbe meglio «staccare la spina a questo Stato insieme mafioso e pagliaccesco, screditato dentro e fuori i propri confini, senza alcuna ragionevole prospettiva di miglioramento». Non basta essere «un’area monetaria ottimale», bisogna anche essere «un’area normativa ottimale, un’area morale ottimale». Missione impossibile, conclude Della Luna, per regioni che hanno subito la dominazione straniera per 14 secoli: per questo, nei conti del popolo, «i reggenti italiani tendono ad assumere il ruolo di governatori vassalli di potenze straniere», e la gente «tende a percepire lo Stato come qualcosa di sovraimposto, di sempre più estraneo e ostile e padronale». Risultato: «La slealtà dei governanti verso i cittadini induce la slealtà dei cittadini verso lo Stato, e viceversa, in una spirale autodistruttiva».Italia indifendibile? Lo dice la Suprema Corte, confermando la storia di un paese dominato per secoli dagli stranieri, grazie a “reggenti” sleali verso il popolo. I difensori dell’establishment, Napolitano e Boldrini in testa, sostengono che il Parlamento possa rilegittimare se stesso e l’intero ordinamento statale facendo semplicemente una nuova legge elettorale che corregga i vizi dichiarati il 4 dicembre dalla Corte Costituzionale? Problema: a votare la nuova legge sarebbero parlamentari eletti “illegittimamente”. Dunque, osserva Marco Della Luna, questa stessa legge sarebbe illegittima. «Insomma, qualunque cosa metteranno insieme, sarà chiaramente un pasticcio, sputtanato in partenza, e contribuirà alla già bassissima credibilità del sistema e delle sue regole, quindi compromettendo ulteriormente il suo funzionamento». L’incidente costituisce un precedente assoluto, nonostante il già scarso prestigio delle istituzioni: quest’ultima sentenza «è la prima auto-certificazione di illegittimità del sistema».
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Illusi dal consumismo, sperano solo che tutto ricominci
Ho percorso duecento chilometri in auto negli ultimi due giorni ed ho trovato due blocchi del cosiddetto movimento dei forconi. Qualcuno ci vede il baluginare della rivolta che verrà, io ho visto la ripetizione di una tradizione italiana vecchia di un migliaio d’anni: la rivolta per il pane, l’assalto ai forni. Ho visto gente che ha perso tutti i contenitori politici nei quali era transitata. Ho visto gente smarrita, non l’avanguardia rivoluzionaria. Ma so che alcuni ci hanno ricamato sopra una teoria e la teoria dice che questi 30.000 (ma facciamo anche 50.000 o 100.000) sarebbero l’avanguardia della massa che verrà. La teoria dice che questi protestanti – presto o tardi – diventeranno anticapitalisti perché capiranno che il capitalismo li sta massacrando. E così diventeranno anticapitaliste le masse che se ne stanno a casa oggi non appena la crisi morderà le loro “sicurezze”.Questo dice la teoria. Solo che la teoria non funzionerà. Perché non funzionano così le cose. A quei blocchi nessuno pensava minimamente al capitalismo o all’anticapitalismo. C’era gente che aveva perso qualcosa e la rivoleva indietro. E rivolevano indietro quel che avevano vissuto: un posto non troppo freddo ai margini del capitalismo. Un posto che – sono convinti – gli è stato tolto dalle iniquità dei governi, dalla mancanza di politiche protezioniste, dall’Europa, dalle tasse. E mi è venuto da pensare al fenomeno del cambiamento dei consumi di stupefacenti negli ultimi quarant’anni. Che centra? C’entra. Negli anni ’70 ci si faceva di eroina e di acidi lisergici. Ci si faceva di droghe che ti sparavano fuori da un mondo che si sentiva profondamente ingiusto e nel quale non si voleva rimanere. Dietro c’era tutto un movimento tra il culturale e il politico che postulava il rifiuto radicale dei modi di essere e di consumare. Dagli anni ’80 ha preso piede la cocaina e tutta la larga famiglia delle anfetamine. La droga che aiuta non a fuggire dal mondo ma a restarci e ad essere “performante”. Una droga sintonizzata sulla necessità di dimostrare di essere sempre sveglio, attivo, concorrenziale.Guardavo la gente ai blocchi e pensavo che quella gente che mi dava i loro volantini volevano una sola cosa: essere di nuovo parte di un capitalismo che funziona. Non sanno come fare, non hanno le idee chiarissime ma due o tre concetti più o meno interiorizzati: sovranità popolare, lotta ai burocrati europei, lotta alla classe politica. Guardavo i carabinieri alla curva della rotatoria. Immobili, passivi, lasciavano che il blocco ci fosse ma fosse “ragionevole”. Fermali sì ma poi falli passare dopo una decina di minuti. Ci ho parlato per un po’. La maggioranza faceva fatica ad articolarmi un discorso omogeneo. Quello che usciva fuori era un “prima” (quando si stava bene) e un “adesso” nel quale si sta male. Ridateci quello che avevamo, ridateci il capitalismo ben temperato. Segni di anticapitalismo? Nessuno. Neppure una briciola sparsa di luddismo. Le facce smarrite e incazzate raccontavano soltanto la sorpresa e la paura di essere tagliati fuori definitivamente dalla fonte di ogni delizia.Non erano persone che si stavano riappropriando del loro essere cittadini ma, piuttosto, gente che rivoleva essere consumatori. Uno mi ha detto che voleva la meritocrazia e voleva che i migranti (non usava questo termine però) se me tornassero a casa loro. Un altro voleva uscire dall’Europa perché così saremmo stati di nuovo “padroni in casa nostra”. Padroni per fare che? Per tornare a consumare. Era gente che non sa che una economia anticapitalista non prevede la Audi ma semmai una versione moderna della Trabant. Perché se “da ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo i propri bisogni”. Si tratta di ridistribuire equamente le risorse e la fettina di torta per ciascuno sarà uguale ma non sarà grande. Ma non volevano una cosa del genere, volevano esattamente la fetta che avevano prima. Volevano – appunto – un capitalismo come quello nel quale avevano nuotato sino a ieri. Volevano ricominciare a vendere per poi consumare, per poi vendere ancora e consumare di nuovo.Io ho visto gente che rivoleva la gabbia perché neppure sa di essere in gabbia. Non c’era l’idea di un modello alternativo, c’era solo un urlo sottinteso: “Rimettete in moto la macchina”. E la macchina si chiama capitale. Non pretendo coscienze sociali che non si possono chiedere. Ma se questa che ho visto era l’avanguardia posso agevolmente immaginarmi la massa alla cui testa si muove. Non c’è nessuna parentela con l’iconografia di Pellizza da Volpedo. Mi si dirà che non si può dividere la lotta anticapitalista cosciente dalla protesta per l’impoverimento. Non si può se si pensa che la massa passerà dallo stadio della lotta protestataria alla scoperta della lotta contro il capitale. E chi dice e su quali basi lo afferma che questa gente che ho visto, incazzata per ciò che ha perso, maturerà anche la più pallida idea di un modello differente? Certo magari in qualche testo teorico avviene anche questo miracolo. Ma siamo nel mondo. E il mondo ha visto i tedeschi dell’Est nel 1989 passare il muro e correre a rotta di collo verso il più vicino supermercato di Berlino Ovest.Ed è lo stesso mondo che a Kiev vede un bel po’ di dimostranti scendere in piazza per poter entrare in Europa e non rimanere nell’orbita dei satrapi russi. Naturalmente giusto per far capire che vogliono il capitalismo tirano giù l’ultima statua di Lenin ancora in piedi. Un’altra lotta sacrosanta contro il totalitarismo, o una lotta per entrare nel mondo del capitalismo ben temperato? Ho visto gente accomunata dal comune scivolamento all’indietro della propria possibilità di essere dentro alla macchina del consumo. E a proposito di macchine, uno mi ha detto che ha dovuto vendersi la Golf Gti che con tanti sacrifici s’era comprato. Una per farmi riflettere sul suo scivolamento all’indietro mi ha detto che tutti gli anni riusciva ad andare a farsi una settimana a Sharm-el-Sheik (abbreviato “Sciarm” con la stessa pronuncia di “sciampista”) e che ora non aveva i soldi per pagarsi il mutuo. E allora ho capito che per dissolvere questo prodromo di “rivoluzione” basterebbe un cambiamento di congiuntura, un po’ più di Pil.Qualcuno mi ha detto che se non cambierà qualcosa, l’Italia diventerà come la Grecia. Ossia, voleva dire, ci ribelleremo come i greci. Lui crede che ci sia una rivoluzione, in Grecia. Esattamente come quelli che credono che quanto è accaduto sia il primo raggio della rivoluzione anticapitalista. Sarebbe anche bello, ma non è così. Non è così perché nessuno aveva in mente un modello alternativo. E nessuna delle persone che ho visto a quei blocchi metteva in dubbio il modello cui si aggrappava. Non ci sarà nessuna rivoluzione. Non ci sarà tra un mese, tra un anno o tra dieci. La scorciatoia non arriverà. Perché una rivoluzione, quella vera, è il frutto di un lungo lavoro di penetrazione di idee differenti lungo l’arco di decenni. Voltaire iniziò a scrivere nel 1716 e morì senza aver visto la Rivoluzione che aveva contribuito a rendere cosciente. Qualcuno mi dirà che il rivoltoso che assaliva la Bastiglia nulla sapeva magari di Voltaire. È probabile, anzi, quasi certo. Ma ciononostante quel rivoluzionario aveva chiaro in mente che non voleva più essere parte del regime che assaliva. Ne voleva uno che fosse diverso, non voleva star meglio in quello che c’era. Perché se è vero che la rivoluzione non è un pranzo di gala, è anche vero che non si improvvisa. Quando si improvvisa è una italica rivolta per il pane: quando cala il prezzo tutti se ne tornano a casa.Ho percorso duecento chilometri in auto negli ultimi due giorni ed ho trovato due blocchi del cosiddetto movimento dei forconi. Qualcuno ci vede il baluginare della rivolta che verrà, io ho visto la ripetizione di una tradizione italiana vecchia di un migliaio d’anni: la rivolta per il pane, l’assalto ai forni. Ho visto gente che ha perso tutti i contenitori politici nei quali era transitata. Ho visto gente smarrita, non l’avanguardia rivoluzionaria. Ma so che alcuni ci hanno ricamato sopra una teoria e la teoria dice che questi 30.000 (ma facciamo anche 50.000 o 100.000) sarebbero l’avanguardia della massa che verrà. La teoria dice che questi protestanti – presto o tardi – diventeranno anticapitalisti perché capiranno che il capitalismo li sta massacrando. E così diventeranno anticapitaliste le masse che se ne stanno a casa oggi non appena la crisi morderà le loro “sicurezze”.
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Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav
Si fingono avversari in televisione, ma dietro le quinte sono amici. Anzi: soci. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari». Destra e sinistra: «Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome», rivela Lirio Abbate in un reportage su “L’Espresso”. Professionisti e tecnici, segretari di partito e ministri, capi-corrente, deputati e senatori. «I pupari e le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority». Di fatto, questo significa «svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato», che diventa «un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili, una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito», a cominciare dalla madre di tutti i subappalti, la famigerata Tav.
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Manghi: se fossi un pro-Tav, io quei terroristi li pagherei
«Due visioni alternative dell’economia e del rapporto uomo-natura si fronteggiano in cagnesco, fino alla militarizzazione del territorio e al sabotaggio eversivo. Così, un presagio cupo ha preso a serpeggiare per la valle: che adesso ci scappi il morto, perché questi meravigliosi panorami alpini, come denuncia il procuratore torinese Gian Carlo Caselli, rischiano di trasformarsi nell’epicentro dell’antagonismo di tutto il continente europeo». Forse, ai sostenitori della Torino-Lione «potrebbe far comodo ridimensionare a controparte irresponsabile quello che è stato indubbiamente un movimento di popolo No Tav, talmente vasto da avere regalato al “Movimento 5 Stelle” percentuali di voto superiori al 40% perfino in comuni moderati come Susa». Parola di Gad Lerner, il primo opinion leader italiano ad aver ospitato la protesta valsusina in televisione, già nel 2005, quando il movimento No-Tav fece esplodere la protesta nonviolenta che costrinse il governo a ritirare il primo progetto della grande opera più controversa d’Europa.
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Mafia, misteri e affari: quelle strane amnesie sulla val Susa
Prendersela coi giornalisti italiani non è cosa di cui si possa andare fieri: prima di tutto perché è come sparare sulla croce rossa, poi perché si è in (assai) cattiva compagnia: da Cicchitto a Bondi alla Santanché ma passando per D’Alema che lo fanno un giorno sì e uno anche, tranne che nei confronti dei loro “biografi quotidiani” profumatamente pagati tramite finanziamento pubblico. Del resto non è colpa mia se in Italia non esistono gli “editori puri”, tranne poche lodevoli e circoscritte situazioni. Né posso farmi carico del percorso che ha portato ad approdi generalmente più confortevoli anche la maggior parte di coloro che nei primi anni aspiravano a dare attraverso il giornalismo il proprio personale contributo alla rivoluzione – che evidentemente ritenevano imminente. Nel caso di questi ultimi, alla perdita dell’indipendenza di giudizio va aggiunta anche una ulteriore tara che appesantisce non poco le loro cronache: il doversi rapportare con persone che per caso o per determinazione sono rimaste per quanto possibile più coerenti verso le idee che un tempo li accomunavano: persone spesso conosciute o addirittura frequentate negli anni della meglio gioventù.
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Calabresi solo una pedina, chi c’era nella stanza di Pinelli?
Scriveva Louis-Ferdinand Céline che la verità si dice arrangiandola. Non pochi libri-inchiesta, romanzi storici e film documentari sulla “madre di tutte le stragi” – ovvero la bomba che esplose il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano – sembrano aver preso alla lettera il suggerimento dello scrittore francese, al punto da arrangiare a proprio uso e consumo uno dei fatti storici che hanno segnato la Repubblica italiana nel secondo dopoguerra. A che fine? Per confondere ancor più le acque di una vicenda così torbida sul piano giuridico (ben sette i processi conclusi con l’assoluzione di tutti gli accusati, peraltro alcuni in seguito condannati per altre stragi, mentre altri si gioveranno della prescrizione) ma così limpida sul piano storico, da esser scritta sui muri di questo paese fin dai giorni successivi al terribile atto terrorista: “La strage è di Stato. Valpreda è innocente. Pinelli non si è suicidato”.
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No Tav, nemico pubblico: lupi, pecorelle e sciacalli
I valsusini sono abituati a rovinarsi pranzi e cene ascoltando i vari Tg, sicuramente un po’ masochisti; nel tempo hanno verificato una “professionalità” nel costruire servizi menzogneri, vere montature e tutta la gamma delle notizie farlocche. Il “caso pecorella” è davvero emblematico (febbraio 2012, occupazione dell’autostrada): Marco sfotte un poliziotto soprannominandolo “pecorella”. Per giorni e giorni quel video, postato sul sito del “Corriere della Sera” (debitamente tagliato nel punto in cui Marco conclude il suo ragionamento e si spinge a dire: «Comunque vi vogliamo bene lo stesso»), diventa un mantra, l’ossessione dei Tg. Non c’è guerra al mondo, emergenza umanitaria, crisi politica, disastro in grado di superare quella notizia che diventa: La notizia del giorno. E ancora nei giorni successivi. L’intento è chiaro: strappare di dosso al movimento NoTav quella simpatia istintiva che da qualche tempo l’avvolge e fa proseliti di ribellione in tutta Italia.
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No-Tav “terroristi”: escalation contro la valle di Susa
«Nessuno chiede impunità a prescindere, i reati commessi vanno perseguiti. Ma il rigore nelle contestazioni e il senso delle proporzioni sono parte integrante di un diritto penale garantista e coerente con la Costituzione: discostarsi da questa strada è un pericolo per tutti, anche per questo la val Susa è un caso nazionale». Così Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e l’ex magistrato Livio Pepino contestano l’escalation giudiziaria della Procura di Torino, che ha accusato di “terrorismo” i No-Tav sotto inchiesta per i recenti assalti notturni al cantiere di Chiomonte. L’accusa è di “attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico” ai sensi dell’articolo 280 del codice penale, che prevede pene fino a vent’anni di carcere. «Un’intollerabile sproporzione tra eventuali reati e repressione», protesta il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano. E se Rifondazione Comunista invoca un ricorso alla corte europea di giustizia, attraverso il parlamentare Ivan Della Valle il “Movimento 5 Stelle” preannuncia la richiesta dell’invio alla Procura di Torino degli ispettori ministeriali, «per verificare che gli inquirenti torinesi agiscano nel pieno rispetto della legalità».
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Euro-rigore ad ogni costo: ora si prepara anche l’esercito
L’Italia sta per subire uno choc socio-economico così forte da provocare disordini e rivolte: la profezia che Gianroberto Casaleggio ha affidato a Gianluigi Nuzzi è così realistica che se ne starebbe occupando persino l’esercito, nell’eventualità di dover rinforzare l’ordine pubblico in previsione di sommosse, provocate dal regime europeo dell’austerity. Lo sostengono Eugenio Orso e Anatolio Anatoli, che nel loro blog analizzano la recentissima “Direttiva ministeriale in merito alla politica militare per l’anno 2013” emanata dal ministero della difesa, retto dall’ex Pdl Mario Mauro, ora montiano. L’aspetto sconcertante, osservano i due analisti, riguarda l’impegno diretto delle forze armate verso obiettivi non propriamente militari: e cioè il rispetto assoluto dei trattati europei dell’austerity a cominciare dalla intangibilità dell’Eurozona, condizioni che vengono elevate al rango di elementi-chiave per la sicurezza nazionale.
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Potevano liberare Moro, ma una telefonata fermò il blitz
Il giorno prima di morire, Aldo Moro era a un passo dalla salvezza: le forze speciali del generale Dalla Chiesa stavano per fare irruzione nel covo Br di via Montalcini, sotto controllo da settimane. Ma all’ultimo minuto i militari furono fermati da una telefonata giunta dal Viminale: abbandonare il campo e lasciare il presidente della Dc nelle mani dei suoi killer. E’ la sconvolgente rivelazione che Giovanni Ladu, brigadiere della Guardia di Finanza di stanza a Novara, ha affidato a Ferdinando Imposimato, oggi presidente onorario della Corte di Cassazione, in passato impegnato come magistrato inquirente su alcuni casi tra i più scottanti della storia italiana, compreso il sequestro Moro. Prima di passare il dossier alla Procura di Roma, che ora ha riaperto le indagini, Imposimato ha impiegato quattro anni per verificare le dichiarazioni di Ladu, interrogato nel 2010 anche dal pm romano Pietro Saviotti.