Archivio del Tag ‘cartapesta’
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Magaldi: coraggio, e l’Italia non sarà più preda di stranieri
Vietato farsi intimorire dagli spaventapasseri a guardia del bunker europeo, ormai assediato da più parti: un po’ di fegato, e gli ometti del racket finanziario smetteranno di abbaiare. Juncker, Dombrovkis, Moscovici, Oettinger: «I frontman di queste istituzioni europee sono personaggi molto friabili e molto deboli: per fronteggiarli basta avere un po’ di forza, un po’ di dignità e un po’ di schiena diritta». Gioele Magaldi incoraggia il governo Conte: non si lasci intimidire dalle minacce di questi personaggi, peraltro «in scadenza», e per giunta di caratura modesta: «Non è che abbiano grande autorevolezza e prestigio per potersi imporre». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Bisogna rompere il loro paradigma: occorre avere un po’ di coraggio, e poi si scopre, come nella vicenda del Mago di Oz, che la grande magia in realtà è fatta di cartapesta». Soltanto illusionismo, «giocato più sulla paura di chi è soggetto al timore di questa magia che non sulla forza reale di chi, questa magia, la costruisce». Forza e coraggio, dunque, di fronte ai ventilati sfracelli finanziari per il deficit al 2,4%, peraltro già smentiti da Standard & Poor’s, segno di «probabili ripensamenti in corso» nella cabina di regia del potere neoliberista, non più così granitico. «Si tratta di restare sereni e tranquilli», visto che in palio c’è l’Italia: finora, il nostro paese è stato regolarmente depredato, in modo programmatico. Ecco il punto: questo film deve finire.«Bisogna abbandonare lo stile consueto dell’Italia», sottolinea Magaldi nella diretta web-streaming “Magaldi Racconta”, su YouTube, con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «L’Italia – dichiara Magaldi – ha ricevuto un ruolo: quello di essere una preda, pur essendo un paese forte e importante sul piano politico ed economico». Una preda: bottino da saccheggiare. Temi e rivelazioni che lo stesso Magaldi, massone progressista, ha concentrato nel bestseller “Massoni” (Chiarelettere), che svela ad esempio il ruolo della P2 di Gelli come terminale locale della potente superloggia sovranazionale “Three Eyes”, espressione della supermassoneria neo-feudale più reazionaria, incubatrice della globalizzazione universale fondata sulle privatizzazioni, sulla confisca dei diritti democratici e sulla precarizzazione del lavoro. L’Italia? Azzoppata dalla strategia della tensione affidata a operatori come Gladio, poi assaltata con la tabula rasa di Tangentopoli che aprì la strada al superpotere eurocratico. Risultato: declino industriale e svendita dei gioielli di famiglia. «La verità è che è stato disegnato per l’Italia un ruolo subalterno. Nessun altro grande paese sarebbe mai stato trattato così, e questo – aggiunge Magaldi – è stato fatto con la complicità delle classi dirigenti, centrodestra e centrosinistra, di questi ultimi decenni».Adesso, ribadisce il presidente del Movimento Roosevelt, «si tratta di cambiare passo». E naturalmente, aggiunge, «i media e tutta la filiera di cortigiani politici e burocratici continuano a muoversi come se l’Italia fosse ancora un’espressione geografica, più che un’entità statuale democratica e repubblicana, dotata di una sua dignità». Ringhia, l’establishment spiazzato dal governo gialloverde: «Tutti quelli che sono abituati a fare i proconsoli di poteri apolidi e predatori masticano amaro, e tutti i giorni propinano a reti unificate questa canzone stonata sull’Italia, sul governo populista e cialtrone che non vuole rispettare i patti. Ma è una menzogna: i patti verso la democrazia e verso la dignità del popolo – scandisce Magaldi – li hanno violati quelli che hanno spacciato questa pessima costruzione europea per il grande sogno di Altiero Spinelli e di altri illustri europeisti, da Victor Hugo a Mazzini e Garibaldi». Loro, gli usurpatori dell’ipotesi-Europa (in realtà mai nata), oggi prendono nota: persino le grandi testate, ovvero «il mondo finanziario che conta», iniziano a fare dei distinguo, sull’Italia. Dicono: ma chi l’ha detto che questa manovra è inaccettabile? Chi l’ha detto che quelle del governo Conte sono le proposte di una “cicala” che vuole mettere in crisi il risparmio, la tenuta dei conti, il futuro delle nuove generazioni?«E’ un segnale importante – rileva Magaldi – il fatto che queste voci inizino a venire da mondi che si sono troppo spesso allineati al coro globale, intonato al contenimento e quindi anche alla devastazione dell’economia italiana». Wall Street non è unanime nel suo giudizio sull’Italia, il governo Usa si mostra indulgente verso Conte, lo stesso Steve Mnuchin (il ministro del Tesoro di Trump) dichiara che la strada del “deficit spending” è la via maestra, intrapresa anche dagli States. Cattive notizie, insomma, per gli euro-tecnocrati che vorrebbero spegnere sul nascere il timido tentativo dei gialloverdi, la loro piccola insubordinazione sul rigore di bilancio. Peccato, aggiunge Magaldi, che Lega e 5 Stelle si limitino al piccolo cabotaggio sul deficit, rinunciando a fare da battistrada – come Italia – nel chiedere una drastica riforma dell’Unione, basata sulla richiesta di una vera Costituzione Europea, finalmente democratica. Non mancano gli ultra-pessimisti, che ritengono irriformabile l’Ue: «Sono frange comunque minoritarie, a livello di consenso: la maggioranza dei cittadini è delusa dal modo in cui l’Unione è gestita, ma certo resta favorevole all’idea di una integrazione europea». E quelli che vorrebbero farla finita, con Bruxelles? «Secondo me sbagliano, magari in buona fede», dice Magaldi: «Senza accorgersene, fanno il gioco degli avversari: gli uni dicono che l’Ue non può cambiare, gli altri sostengono che non deve cambiare. Risultato: ragionando così, niente cambierà».Magaldi propone un altro approccio: «Andiamo oltre la moderazione del governo Conte, in questa fase». Lo dice «agli amici del governo, alla maggioranza gialloverde» che nel futuro prossimo, alle europee e poi in Italia, dovrà affrontare un quadro politico mutevole. «Io dico: facciamo partire dall’Italia una radicale trasformazione del progetto europeo. Cioè: andiamo verso una Costituzione politica, a fondamento dello stare insieme in Europa. E’ un dogma di fede, l’irriformabilità di un’Unione nata male? Sembra speculare al dogma del potere, che oggi ci ripete che non si può cambiare nulla». L’Europa, Magaldi la ritiene «riformabilissima», gettando a mare «lo spirito compromesso con cui è stata costruita questa Ue, economicistica e tecnocratica». Storia: «I padri di questa costruzione post-democratica sono Jean Monnet e Richard Coudenhove-Kalergi. Monnet era un ex massone progressista, Kalergi un uomo ambivalente che prima ancora della Seconda Guerra Mondiale aveva radunato attorno al progetto paneuropeo personalità anche progressiste, non chiarendo però quale fosse la sua idea di Europa». E poi invece, di concerto con Monnet, proprio Kalergi «ideò e diede avvio a un progetto neo-feudale, quasi una sorta di nuovo Sacro Romano Impero».Un dominio pre-democratico, «dove il potere imperiale fosse nelle mani di alcune oligarchie apolidi, coi loro terminali (come vassalli e valvassori) incarnati in burocrati chiamati a occupare posti non elettivi di gestione della governance». E tutto, a partire dalla costituzione della Ceca (la comunità dell’acciaio e del carbone) è stato svolto in modo unilaterare, economicistico. Spinelli e gli europeisti, invece, volevano «qualcosa di armonioso, da costruire insieme ai cittadini, non al di sopra dei cittadini». Una Costituzione da scrivere insieme, «coinvolgendo la popolazione in consultazioni e referendum su ciascuno degli articoli». Di Costituzione Europea si era parlato ma poi non si è fatto nulla: «Ci sono solo dei trattati, in quella che è una posticcia costruzione continentale dove, mai come adesso, le nazioni sono una contro l’altra armate. E’ veramente una gabbia, dis-utile per l’interesse popolare ma utile per gli oligarchi globali». Rinunciare all’Europa e distruggere tutto per tornare alle nazioni? Falso problema, secondo Magadi: «Che sia globale, europea, nazionale, regionale o locale, la governance non cambia se il paradigma che la ispira non è democratico». Un esempio? I nostri Comuni: «Sono strangolati dal Patto di Stabilità, voluto in sede europea ma discendente da una visione neoliberista che pervade tutte le istituzioni politiche e economiche internazionali più importanti».Proprio il Patto di Stabilità «strangola le possibilità di intervento dei Comuni su un livello che è quello locale». In un mondo «ormai globalizzato perché interconnesso», si può scegliere «che tipo di globalizzazione si vuole». Disconettersi? Impossibile: le economie sono collegate, ogni decisione ha ripercussioni ovunque. «Puoi scegliere però come governarle, queste dinamiche: in nome della finanza e dei mercati, dell’interesse dei pochi a scapito dei moltissimi, oppure con un metodo finalmente democratico». Perché preoccuparsi se la governance è europea, italiana, regionale o cittadina? «Preoccupiamoci che a tutti i livelli vi sia una metodologia democratica», ovvero «che vi sia la primazia della politica sull’economia e sulla finanza, e la primazia della sovranità del popolo su qualunque altra forma di sovranità o di potere privato». Quel che conta, chiosa Magaldi, è che comunque il governo gialloverde abbia almeno manifestato la volontà di invertire la rotta suicida e autolesionistica degli ultimi decenni. Un possibile inizio, si spera, per cominciare a imporre la percezione di un’altra Italia, non più terra di conquista e facile preda, grazie alla complicità del vecchio establishment “collaborazionista”, al servizio di potentati economici stranieri.Vietato farsi intimorire dagli spaventapasseri a guardia dell’euro-bunker, ormai assediato da più parti: un po’ di fegato, e gli ometti del racket finanziario smetteranno di abbaiare. Juncker, Dombrovkis, Moscovici, Oettinger: «I frontman di queste istituzioni europee sono personaggi molto friabili e molto deboli: per fronteggiarli basta avere un po’ di forza, un po’ di dignità e un po’ di schiena diritta». Gioele Magaldi incoraggia il governo Conte: non si lasci intimidire dalle minacce di questi personaggi, peraltro «in scadenza», e per giunta di caratura modesta: «Non è che abbiano grande autorevolezza e prestigio per potersi imporre». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Bisogna rompere il loro paradigma: occorre avere un po’ di coraggio, e poi si scopre, come nella vicenda del Mago di Oz, che la grande magia in realtà è fatta di cartapesta». Soltanto illusionismo, «giocato più sulla paura di chi è soggetto al timore di questa magia che non sulla forza reale di chi, questa magia, la costruisce». Forza e coraggio, dunque, di fronte ai ventilati sfracelli finanziari per il deficit al 2,4%, peraltro già smentiti da Standard & Poor’s, segno di «probabili ripensamenti in corso» nella cabina di regia del potere neoliberista, non più così granitico. «Si tratta di restare sereni e tranquilli», visto che in palio c’è l’Italia: finora, il nostro paese è stato regolarmente depredato, in modo programmatico. Ecco il punto: questo film deve finire.
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American Moon: davvero saremmo andati sulla Luna?
“American Moon”, ovvero: ci siamo stati davvero, sulla Luna? E’ la domanda a cui cerca di rispondere Massimo Mazzucco, con l’atteso documentario – appena uscito, acquistabile on-line su “Luogo Comune – che indaga sul mitico “allunaggio” televisivo, in mondovisione, andato in onda a reti unificate il 20 luglio 1969. A metter piede per la prima volta sul satellite sarebbe stato Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, accompagnato da Buzz Aldrin, mentre un terzo astronauta, Michael Collins, controllava il modulo di comando Columbia. “American Moon” parla della storia dei viaggi lunari a partire dagli anni ’60, spiega Stefania Nicoletti sul blog “Petali di Loto”, condotto insieme a Paolo Franceschetti. «In particolare viene esaminata la veridicità del primo sbarco sulla Luna, ma viene anche descritto il contesto storico e politico in cui nacque e si sviluppò il progetto delle missioni Apollo». Mazzucco analizza le argomentazioni a favore degli allunaggi e quelle contrarie, esaminando video e fotografie, dettagli tecnici, i tanti incidenti e le contraddizioni, i misteriosi silenzi degli astronauti, assai reticenti sull’impresa che li ha consegnati alla storia. L’autore fornisce anche prove inedite. La conclusione? E’ praticamente impossibile credere che quelle immagini siano state davvero girate sulla Luna.Innanzitutto, Mazzucco inquadra il il contesto storico che ha portato al primo allunaggio. Il 18 settembre 1963, il presidente Kennedy espone al direttore della Nasa, James Webb, i suoi dubbi sulle missioni lunari. «A me sembra una montagna di soldi per andare sulla Luna, quando possiamo scoprire scientificamente, con gli strumenti, quasi tutto quello che ci interessa». E aggiunge: «Mandare un uomo sulla Luna è soltanto un numero da circo che non vale tutti quei miliardi di dollari». Parole molto chiare, considerando soprattutto il fatto che a pronunciarle è il presidente degli Stati Uniti. Soltanto due giorni dopo, continua Stefania Nicoletti, sempre nel contesto della guerra fredda tra Usa e Urss, in un discorso all’Onu lo stesso Jfk fa un appello alla collaborazione con i sovietici: chiede che i russi – i primi a mandare un uomo nello spazio, Yurij Gagarin – collaborino con l’America, per una spedizione congiunta sulla Luna. Il capo dell’Urss, Nikita Khrushev, risponde picche. E dive: vedremo cosa riusciranno a combinare gli americani. «In seguito, l’impressione è che Kennedy sia quasi costretto a proseguire nell’impresa e che, pur essendo scettico, non possa rifiutarsi di andare avanti». E il 22 novembre 1963, come sappiamo, viene ucciso a Dallas.«Nel frattempo i russi continuarono ad addestrare i propri astronauti e a portare avanti un programma segreto per andare sulla Luna». Ma nel gennaio 1966, Sergej Korolev, responsabile del programma spaziale sovietico, muore improvvisamente durante un banale intervento chirurgico. Aveva lanciato il primo satellite, lo Sputnik, e aveva messo in orbita Gagarin. Korolev aveva concepito l’intero programma spaziale sovietico, ed era l’unico in grado di mandare avanti la controparte russa del programma americano Apollo. «Una morte assai strana, che causò confusione e disagi nell’agenzia sovietica. Infatti in seguito il programma spaziale russo, dopo diversi incidenti e fallimenti, subì un arresto». Nell’autunno 1965, il generale Samuel Phillips, direttore del progetto Apollo, presentò ai suoi superiori un rapporto che denunciava senza mezzi termini lo stato di confusione e di arretramento del programma lunare. «Dopo 4 anni e mezzo e a poco più di un anno dal primo lancio spaziale – scrive Phillips – vi sono ancora significativi problemi tecnici e incognite che riguardano: le capacità del sistema elettrico, la propulsione secondaria, l’integrità strutturale, l’incremento del peso».Tutti problemi ancora da risolvere. «Cosette da niente, insomma. E sottolineiamo il fatto che a parlare è il direttore stesso del programma Apollo», annota Stefania Nicoletti. «Invece di risolversi, i problemi denunciati da Phillips continuavano ad aumentare: pezzi costruiti e installati male, cavi elettrici fragili e forse rotti, perdite di carburante dappertutto nel sistema, difficoltà con l’equipaggiamento e con le procedure, incidenti e scarsi standard di sicurezza, mancanza di coordinamento fra le persone in posizione di responsabilità, mancanza di comunicazione praticamente fra tutti. Tutte queste cose furono denunciate nel gennaio 1967 da Thomas Baron, un addetto alle verifiche della North American, la società appaltatrice». Proprio in questo contesto di problemi e di approssimazioni si arriva al famoso incidente del 27 gennaio 1967. «Durante una simulazione a terra di Apollo 1, tre astronauti furono bruciati vivi sulla rampa di lancio, all’interno della capsula che avrebbe dovuto portarli nello spazio tre settimane dopo». Poco prima di morire, l’astronauta Virgil Grissom si è lamentato per il malfunzionamento delle comunicazioni fra la capsula e la torre di controllo: «Come faremo ad andare sulla Luna se non riusciamo nemmeno a parlare fra tre edifici?».A questo punto, continua Nicoletti, il programma cominciò ad andare sempre più in crisi. Secondo il direttore della Nasa, Webb (colui che nell’incontro con Kennedy del ’63 si dimostrava entusiasta e ottimista), le possibilità di andare sulla Luna diminuivano di anno in anno, anziché aumentare. Nell’ottobre 1968 Webb lasciò la Nasa, pochi mesi prima della missione Apollo 8. «Strano che un uomo che aveva dedicato la sua vita alle missioni spaziali e che era stato a capo della Nasa negli anni cruciali del programma Apollo, improvvisamente decida di dimettersi, a un passo dalla sua realizzazione». Non solo: all’inizio del 1968 si era già dimesso il vicedirettore dell’agenzia spaziale Usa, Robert Seamans. E quattro giorni dopo le dimissioni di Webb, anche l’astronauta Walter Schirra annuncia le proprie dimissioni e si ritira a vita privata. «Molto strano anche in questo caso che un astronauta che faceva parte dei leggendari Mercury 7 lasci la Nasa pochi mesi prima del primo sbarco sulla Luna, che sarebbe stato una consacrazione, per lui».Sono tanti, poi, gli elementi che non quadrano nella versione ufficiale degli allunaggi, secondo il documentario di Mazzucco. «Le famose “rocce lunari”, che si disse fossero di composizione diversa da quella terrestre, è probabile che in realtà siano meteoriti recuperati in Antartide. Casualmente Werner von Braun, insieme ad altri membri della Nasa, visitò proprio l’Antartide in una spedizione nel 1967 alla ricerca di meteoriti provenienti dalla Luna. Inoltre, molte di queste rocce lunari riportate dagli astronauti di Apollo risultarono essere false o modificate». In occasione del Google Lunar X Prize, un premio assegnato da Google alla prima organizzazione privata che riuscirà a mandare una sonda sulla Luna trasmettendo le immagini in diretta, la Nasa chiede di disporre una “no-fly zone” per «preservare storicamente» i luoghi di allunaggio delle missioni Apollo. «I partecipanti al concorso hanno improvvisamente deciso di ritirarsi, rinunciando così anche al premio di 4 milioni di dollari».Altro scoglio, le Fasce di Van Allen: avvolgono e proteggono l’atmosfera terrestre, «sono radioattive ed è impossibile superarle». Lo stesso scopritore, il fisico statunitense James Van Allen, metteva in guardia dalla pericolosità loro delle radiazioni. «Poi però, quando arrivò il momento dei lanci sulla Luna, il problema della radioattività scomparve: la Nasa disse che le radiazioni a cui sono stati sottoposti gli astronauti erano “trascurabili”». Altrri dubbi sorgono osservando il modulo lunare Lem, piccola navetta spaziale progettata per portare gli astronauti sulla superficie della Luna. «Sembra un modellino in scala gigante: all’esterno sono ben visibili tubi d’acciaio e fogli di cartapesta, tenuti insieme con del semplice scotch appiccicato un po’ dappertutto. Non si capisce come si sia potuti andare sulla Luna con uno strumento costruito in modo così approssimativo. Ed è costato oltre 2 miliardi di dollari dell’epoca, che equivalgono ad oltre 21 miliardi di dollari in valuta attuale». I progetti originali del Lem non esistono più: la ditta costruttrice li ha buttati, ufficialmente perché «occupavano troppo spazio». Quindi, dei documenti così importanti sarebbero stati eliminati come se fossero scarti di magazzino.Molto strani anche i video in cui si vede la partenza del razzo dalla superficie lunare: «Non c’è la fiamma sotto al motore», inoltre «il motore non produce rumore», ma in compenso «si sente ad alto volume la musica di un registratore portatile azionato da uno degli astronauti».In più, ufficialmente, la Nasa ha “perso” i nastri originali del primo passo sulla Luna di Armstrong. O meglio, quei nastri non si trovano più: «Uno dei documenti più importanti della storia dell’umanità, che dovrebbe essere custodito in modo perfetto, semplicemente “non si trova”, e la Nasa lo confessa candidamente». Tra le altre stranezze dell’affare-Luna, spicca la luce che si vede nelle foto: «Sembra un’illuminazione artificiale in uno studio, più che la luce del sole. Anche le ombre prodotte dagli astronauti e dagli oggetti sono tipiche della presenza di luce artificiale e non del sole». E ancora: «In alcuni video si vedono gli astronauti che cadono e si rialzano in maniera non naturale e anche un po’ goffa, come se fossero legati a dei fili che li fanno muovere per simulare l’assenza di gravità. E in effetti in alcuni fotogrammi sembra proprio di vedere i riflessi dei cavi d’acciaio a cui sarebbero appesi gli astronauti».Da segnalare, infine, il comportamento degli astronauti: «Al ritorno dalla prima missione Apollo, in conferenza stampa, i tre astronauti sono tesi, cupi, tristi», annota Stefania Nicoletti. «Danno risposte imbarazzanti e non ricordano cose importanti che gli vengono chieste. Sembrano sconvolti e obbligati a stare lì e a recitare un copione controvoglia». Eppure, in teoria, sono appena tornati dalla missione più emozionante della loro vita: uno degli eventi più importanti della storia dell’umanità. Tre eroi, quindi, che però si affrettano a dire addio alle missioni spaziali, cambiando mestiere: «I primi tre astronauti che sbarcarono sulla Luna, invece di perseguire una carriera di successo ai vertici della Nasa come ci si aspetterebbe, decisero improvvisamente di abbandonare l’agenzia spaziale poco dopo la loro missione. Tutti e tre si licenziano dalla Nasa». Neil Armstrong scompare dalla scena e si ritira a vita privata: «Va a vivere in campagna, decide di non concedere più interviste, diventa schivo e inavvicinabile». Peggio: «Si rifiuta di partecipare alla cerimonia per la conclusione delle missioni Apollo. Proprio Armstrong, l’astronauta più importante di tutti».E il suo collega Buzz Aldrin? «Cadde in depressione e mise in guardia i giovani dal mestiere di astronauta e dalle possibili delusioni», ricorda Stefania Nicoletti. Aldrin esortò gli esordienti a prepararsi al peggio, perché «le cose potrebbero non andare come previsto», disse. E aggiunse:: «La gente ci considera degli eroi, ma la verità è che la Luna ci ha distrutti». Durante una cerimonia alla presenza dell’allora presidente Bill Clinton, Armstrong pronunciò una frase ambigua e misteriosa, parlando della necessità di «rimuovere uno degli strati che proteggono la verità». In seguito, Armstrong si rifiutò di partecipare alle celebrazioni del quarantennale delle missioni Apollo. «Interpellati da un giornalista, Armstrong e gli altri due astronauti di Apollo 11 si rifiutano di giurare sulla Bibbia di essere stati veramente sulla Luna. Il loro comportamento è piuttosto sospetto e le reazioni appaiono esagerate», sottolinea Stefania Nicoletti, ricordando che in America «una testimonianza giurata in video può essere portata in tribunale contro la persona che ha fatto questo giuramento». Il documentario di Mazzucco, quindi, fornisce «un quadro a nostro avviso piuttosto chiaro, che confuta alcune delle più famose argomentazioni proposte dai cosiddetti “debunkers”, ovvero coloro che dedicano il loro lavoro a smontare le teorie alternative». Dopo aver visto “American Moon”, come credere ancora che siamo davvero andati sulla Luna?“American Moon”, ovvero: ci siamo stati davvero, sulla Luna? E’ la domanda a cui cerca di rispondere Massimo Mazzucco, con l’atteso documentario – appena uscito, acquistabile on-line su “Luogo Comune” – che indaga sul mitico “allunaggio” televisivo, in mondovisione, andato in onda a reti unificate il 20 luglio 1969. A metter piede per la prima volta sul satellite sarebbe stato Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, accompagnato da Buzz Aldrin, mentre un terzo astronauta, Michael Collins, controllava il modulo di comando Columbia. “American Moon” parla della storia dei viaggi lunari a partire dagli anni ’60, spiega Stefania Nicoletti sul blog “Petali di Loto”, condotto insieme a Paolo Franceschetti. «In particolare viene esaminata la veridicità del primo sbarco sulla Luna, ma viene anche descritto il contesto storico e politico in cui nacque e si sviluppò il progetto delle missioni Apollo». Mazzucco analizza le argomentazioni a favore degli allunaggi e quelle contrarie, esaminando video e fotografie, dettagli tecnici, i tanti incidenti e le contraddizioni, dai dubbi di Kennedy alle invalicabili Fasce di Van Allen che avvolgono la Terra. E poi i misteriosi silenzi degli astronauti, assai reticenti sull’impresa che li avrebbe consegnati alla storia. L’autore fornisce anche prove inedite. La conclusione? E’ praticamente impossibile credere che quelle immagini siano state davvero girate sulla Luna.
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Crolla il nano Macron (non Putin, il Papa, Xi Jinping: giganti)
Ad aprile, quando Macron fu trionfalmente eletto con il 62% dei voti, feci una scommessa: che la popolarità del nuovo e brillante capo di Stato della Francia sarebbe durata anche meno di quella di Hollande, per non dire di Sarkozy. Mi pare di aver vinto la scommessa: i sondaggi, a solo un mese dalle politiche che gli hanno regalato una maggioranza inaudita, la sua popolarità è calata di colpo di 10 punti. Peggio di lui solo Chirac nel 1995, ma il povero Chirac doveva reggere il confronto con un grande presidente come Mitterrand, mentre Macron deve confrontarsi solo con quell’ectoplasma di Hollande. Eppure credo che i francesi non sappiano apprezzare le qualità di questo nuovo presidente: ad esempio sceglie bene le scarpe, osservatele bene. Il quadro europeo attuale è questo: Inghilterra premier la May che non è sopportata neppure dal suo partito, Francia Macron di cui s’è detto, Spagna Rajoy che regge solo perché gli spagnoli si sono stufati di votare a ripetizione, Italia sede vacante e, in mezzo a tutti questi, la Merkel che, pur essendo una discreta massaia che eccelle nel bucato, sembra Bismarck. Peraltro va detto che dopo di lei sarà il diluvio perché si scorge solo una folla di mediocri ciabattini.Degli Stati Uniti non vale neppure la pena di dire. Ormai il ceto politico europeo sembra Biancaneve e i sette nani, dove anche Biancaneve è un po’ rachitica. Mi pare che sia arrivato il momento di porci qualche domanda: ma come mai stiamo selezionando un personale politico così scalcinato e che si preannuncia sempre peggiore? E per di più dopo che c’è stata l’esaltazione dell’uomo solo al comando, del leader carismatico e via dicendo. Bel risultato, parlare di uomo forte, di condottiero e trovarsi con questa schiera di molluschi andati a male! Ma il punto è proprio questo: la retorica dell’uomo forte è uno degli ingredienti del disastro, perché ha spostato tutta l’attenzione sulle caratteristiche eccezionali del leader, riducendo i partiti a mere appendici elettorali. In Italia siamo stati all’avanguardia producendo porcherie impresentabili come Forza Italia o il Pd, ma anche gli altri stanno messi decisamente male. Dove è più la Spd di un tempo, con i suoi rapporti di massa e i suoi centri studi? E che fine ha fatto il Ps francese, che un tempo ferveva di dibattiti politici e culturali? Solo comitati elettorali animati da piccoli faccendieri o, al massimo, qualche onesto funzionario di periferia. I partiti europei non producono più idee, non formano classi dirigenti, non organizzano conflitto sociale. Raccolgono solo voti sull’immagine del leader di turno.Ma un leader carismatico, per definizione, è un materiale umano un po’ raro e non si inventa. Sarebbe come dire “adesso ci serve un Leonardo da Vinci, cerchiamo chi fa da Leonardo”. Solo che di Leonardo o di Napoleone ne nascono uno ogni tanto e non è affatto detto che ogni tempo ne abbia a disposizione qualcuno. E allora che si fa? Si costruisce quel che manca, o meglio, si costruisce l’immagine dell’uomo eccezionale che ci guiderà nei prossimi anni: “Vedrete, questo sarà migliore di tutti gli altri che lo hanno preceduto!”. E i media si mettono al lavoro per inventarsi il nuovo Napoleone: e ci riescono, nel senso che producono una emozione collettiva che dura il tempo di una campagna elettorale. Passato il giorno del voto, nel giro di qualche mese (a volte settimane) la parure da grande condottiero crolla come cartapesta sotto la pioggia e viene fuori il nanerottolo che stava sotto il trucco. I nostri leader sono solo prodotti da laboratorio pubblicitario. Ormai operiamo la selezione del ceto politico sulla base della “capacità comunicativa” del prodotto da vendere.Direte: ma quando uno non ha niente da dire, come fa a comunicare? Non è importante che dica qualcosa, ma che dia la sensazione di farlo; e per questo è più importante la pausa, il piglio deciso, il gesto con cui accende una sigaretta, la battuta studiata a tavolino ma recitata con naturalezza, il sorriso seduttore e la grinta da domatore di belve. L’importante è che “buchi il video”. Semplicemente noi non stiamo cercando un grande stratega, ma l’attore che, per qualche settimana, può vestirne i panni. In questo la televisione è stata un castigo di Dio che ha potenziato tutte queste pulsioni verso il nulla (mi torna in mente il Popper di “Cattiva maestra televisione”). Facciamo una controprova di quel che dico: proviamo a indicare tre personaggi di cui oggi possiamo dire, sul piano internazionale, che emergono come grandi decisori, in grado di esercitare un peso sulla scena internazionale. Io vi propongo Putin, Xi Jinping e Papa Francesco. Sia chiaro che questo non significa condividere gli orientamenti di ciascuno o anche solo di uno di essi, ma solo una valutazione delle capacità politiche al netto di ogni altra considerazione. Poi mi direte se la triade è ben scelta o meno.E la prima considerazione che viene da fare è che questi tre personaggi hanno alle spalle grandi istituzioni, con una storia molto consolidata, con gruppi dirigenti reali: il partito comunista sovietico e il Kgb-Fsb per Putin (che si è formato in epoca sovietica), il Partito Comunista Cinese per Xi Jinping e la Chiesa cattolica per Papa Bergoglio. Strutture elitarie (certamente non democratiche) con apparati pesanti e una selezione durissima. In strutture del genere si imparano tante cose, soprattutto si impara che la politica è un’arte che chiede intelligenza, visione ampia a livello mondiale, densità strategica, tempismo, duttilità, intuito, eccetera. Anche semplicemente per scansare la tisana corretta al cianuro (cosa che ha la sua importanza in questi ambienti) ci vogliono queste capacità. E il risultato è una classe dirigente forse cinica, non sempre all’altezza dei suoi compiti; comunque, mediamente si tratterà di un personale politico di spessore (anche se questo non garantisce da momenti di decadenza). Non sono un estimatore dell’elitismo e spero sempre in classi dirigenti frutto di una selezione democratica, ma questa attuale è solo una caricatura della democrazia.(Aldo Giannuli, “La popolarità di Macron è in discesa precipitosa: ma va! Ma non mi dire!!”, dal blog di Giannuli del 26 luglio 2016).Ad aprile, quando Macron fu trionfalmente eletto con il 62% dei voti, feci una scommessa: che la popolarità del nuovo e brillante capo di Stato della Francia sarebbe durata anche meno di quella di Hollande, per non dire di Sarkozy. Mi pare di aver vinto la scommessa: i sondaggi, a solo un mese dalle politiche che gli hanno regalato una maggioranza inaudita, la sua popolarità è calata di colpo di 10 punti. Peggio di lui solo Chirac nel 1995, ma il povero Chirac doveva reggere il confronto con un grande presidente come Mitterrand, mentre Macron deve confrontarsi solo con quell’ectoplasma di Hollande. Eppure credo che i francesi non sappiano apprezzare le qualità di questo nuovo presidente: ad esempio sceglie bene le scarpe, osservatele bene. Il quadro europeo attuale è questo: Inghilterra premier la May che non è sopportata neppure dal suo partito, Francia Macron di cui s’è detto, Spagna Rajoy che regge solo perché gli spagnoli si sono stufati di votare a ripetizione, Italia sede vacante e, in mezzo a tutti questi, la Merkel che, pur essendo una discreta massaia che eccelle nel bucato, sembra Bismarck. Peraltro va detto che dopo di lei sarà il diluvio perché si scorge solo una folla di mediocri ciabattini.