Archivio del Tag ‘catastrofismo’
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Basta influencer, servono veri maestri: ma dove sono finiti?
Dove sono finiti i Maestri? Ci sono ancora, cosa dicono, dove si annidano? E come chiamarli, oggi, Influencer, come Chiara Ferragni o la Madonna secondo il Papa? Facile dire che mancando un pensiero, dispersi gli intellettuali, sparito ogni orizzonte di attesa, i Maestri sono finiti insieme ai loro insegnamenti. Sono finiti pure i Cattivi Maestri che come angeli ribelli all’ordine divino si fecero demoni, insegnando la via dell’inferno come riscatto degli oppressi. Spariti pure loro. Non a caso, l’unico italiano riconosciuto tra i cento pensatori globali che hanno lasciato un segno, secondo la rivista “Foreign Policy”, non è un filosofo, ma un fisico, Carlo Rovelli. Allora, è proprio finita, dobbiamo rassegnarci a scegliere tra Fabrizio e Mauro Corona? No, ragioniamoci su. Innanzitutto, definiamo una buona volta il Maestro, anche nella variante di Guru, Ideologo, Vate. Chi è maestro? Non solo chi trasmette un sapere ma chi diventa un punto di riferimento, un modello a cui ispirarsi, un faro che non esprime solo una teoria o invita a compiere una ricerca ma rischiara una via. Maestro è uno che ti cambia la vita o almeno lo sguardo con cui vedi la vita. Uno che leggendolo, ascoltandolo, trasforma il tuo modo di pensare e di vedere le cose.Era facile al tempo delle ideologie e dell’Intellettuale Organico, trovare Maestri e maestrini. Oggi di quel ramo ne sono rimasti forse un paio, ma sono ai margini. Uno è il Cattivo Maestro per eccellenza, Toni Negri, pensatore e latitante, teorico di Autonomia Operaia e del comunismo, autore di un’opera che ha sfondato nel mondo, “Impero”, seguita poi da “Moltitudine”, due opere no global di un internazionalista che sogna ancora la rivoluzione del proletariato. L’altro, più defilato e meno distruttivo, è Mario Tronti, di cui è uscito ora “Il popolo perduto” (ed. Nutrimenti), che piange il divorzio tra la sinistra e il popolo e la perdita di quel mondo comunista legato alle sezioni e alle assemblee. È ormai su un pianeta diverso un loro antico sodale, Massimo Cacciari, che in tv si è sgarbizzato e in filosofia si è ritirato in una sfera mistica & catastrofica. Parallelo il cammino di un altro non-Maestro, Giorgio Agamben. Restano sullo sfondo i Vecchi Maestri Globali, ovvero quei pensatori che fanno filosofia per le masse partendo dall’antropologia e dalla sociologia, come Edgar Morin e Marc Augé, Hans Magnus Enzensberger e Serge Latouche, fino a ieri, Zigmunt Bauman e Umberto Eco.Non-luogo, Terra-Patria, Modernità liquida, Decrescita felice, Perdente radicale, Ur-fascismo, sono paroline-mantra entrate nel gergo corrente e nel minimo alfabeto degli Acculturati Aggiornati. Per il resto, l’era dei social offre a ciascuno la possibilità di un selfie e di eleggersi a maestri di se stessi per auto-acclamazione, facendo zapping nella rete, cogliendo qua e là spunti e citazioni. Maestri riconosciuti in senso religioso ormai sono solo in ambito esotico, extra-occidentale: sono guru o para-guru che vengono dall’Oriente o che parlano nel nome di tradizioni religiose e più spesso di sincretismi. Sulla scia di Osho, Sai Baba e altri santoni. I maestri più veri preferiscono restare nascosti, poco accessibili se non per iniziati; vanno cercati, e non pescati nei media o nei social. Un segno evidente di scristianizzazione è che non ci sono Maestri d’ispirazione cristiana, e che a dettare le regole, anche nelle classifiche dei libri, siano gli stessi papi, come Bergoglio e Ratzinger. Più defilati sono gli scrittori della Chiesa come don Vincenzo Paglia, Gianfranco Ravasi e altri prelati che sfidano i tempi e le librerie. Dopo i santi, finirono anche i maestri?E nel mondo conservatore, nel versante “destro” o alternativo alla globalizzazione? Resiste da decenni il maestro della Nouvelle Droite Alain de Benoist con una produzione incessante di saggi. Su altri versanti regge il filosofo inglese Roger Scruton, da lontano il pensatore russo Aleksandr Dugin. Non mancano le zampate del vecchio Regis Débray, già marxista e ora antiglobal col suo “Elogio delle frontiere”. A loro si aggiungono il matematico e filosofo Olivier Rey che racconta la marcia infernale del progresso in “Dismisura”; Fabrice Hadjadj, ebreo tunisino convertito al cattolicesimo, autore di “Mistica della carne” e “Risurrezione”. Ma sfonda il muro dell’attenzione globale Michel Houellebecq, che ora spopola con “Serotonina”, ma che fu maestro di denuncia della civiltà in pericolo con “Sottomissione”. Poi ci sono i numerosi maestri di passaggio, i guru provvisori, legati a un’opera, esplosi nei social, meteore luminose e poi presto opache. Se l’America resta il centro del mondo, i maestri hanno una prevalenza europea, anzi francese.E da noi cosa resta? Finito il tempo dei Pasolini e dei Bobbio, dei Del Noce e Zolla, la filosofia sembra ormai isterilita e intenta a proclamare il suo suicidio. Nella filosofia svetta il pensiero degli eterni di Emanuele Severino. O tra i maestri che aprono le porte del sacro al tempo profano, torreggia Roberto Calasso. Sono maestri riluttanti, che non cercano discepoli, che si annodano al filo impersonale della Tradizione o del suo surrogato, l’Editoria raffinata, o che vivono la siderale solitudine dell’Essere che pensa il Destino. In un’epoca egocentrica e autoreferenziale, i maestri sembrano ormai vintage, antiquariato, se non archeologia. Mancano i maestri perché mancano i discepoli. Eppure, proprio il caos globale, l’assenza di dei, la solitudine e lo spaesamento, la vita insensata, richiedono oggi più di ieri pensatori-guida, modelli di riferimento, figure autorevoli, supplenti del sacro e del pensiero che aiutino a trovare una via, una casa, una visione del mondo e della vita. Maestri che non detengono la verità ma che suscitano almeno il desiderio di cercarla…(Marcello Veneziani, “Vogliamo maestri, non influencer”, articolo pubblicato su “Panorama” e ripreso dal blog di Veneziani il 19 febbraio 2019).Dove sono finiti i Maestri? Ci sono ancora, cosa dicono, dove si annidano? E come chiamarli, oggi, Influencer, come Chiara Ferragni o la Madonna secondo il Papa? Facile dire che mancando un pensiero, dispersi gli intellettuali, sparito ogni orizzonte di attesa, i Maestri sono finiti insieme ai loro insegnamenti. Sono finiti pure i Cattivi Maestri che come angeli ribelli all’ordine divino si fecero demoni, insegnando la via dell’inferno come riscatto degli oppressi. Spariti pure loro. Non a caso, l’unico italiano riconosciuto tra i cento pensatori globali che hanno lasciato un segno, secondo la rivista “Foreign Policy”, non è un filosofo, ma un fisico, Carlo Rovelli. Allora, è proprio finita, dobbiamo rassegnarci a scegliere tra Fabrizio e Mauro Corona? No, ragioniamoci su. Innanzitutto, definiamo una buona volta il Maestro, anche nella variante di Guru, Ideologo, Vate. Chi è maestro? Non solo chi trasmette un sapere ma chi diventa un punto di riferimento, un modello a cui ispirarsi, un faro che non esprime solo una teoria o invita a compiere una ricerca ma rischiara una via. Maestro è uno che ti cambia la vita o almeno lo sguardo con cui vedi la vita. Uno che leggendolo, ascoltandolo, trasforma il tuo modo di pensare e di vedere le cose.
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Odiare lo straniero? Vecchi errori: Hitler lavora per l’élite
La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.Se si continua su questa strada, il tramonto dell’Occidente appare imminente. E non solo a causa della degenerazione interna: basta vedere in quali difficoltà si trovano oggi i nostri giovani. E come non vederlo, ad esempio, nel crollo demografico o nella degenerazione della nostra identità, della nostra civiltà europea, generata proprio da questa globalizzazione irresponsabile e predatoria. E non ci si accusi di catastrofismo, perché basta vedere e leggere cosa dicono e scrivono filosofi, sociologi, storici, medici, letterati e artisti. Ormai questo grido di dolore sale da ogni parte. Il denaro è divenuto il segno principale che classifica e distingue gli uomini. Il desiderio di arricchirsi ad ogni costo, la passione per gli affari, la verità del guadagno, la ricerca del benessere ad ogni costo paiono oggi, purtroppo, le passioni più comuni. Davanti a tanta alienazione, molti cercano rifugio nella natura, che vive spontanea e in qualche modo è in grado di farci ritrovare la strada, di farci riscoprire i veri valori. È in grado probabilmente di strapparci a questa follia, da cui siamo stati travolti. Una follia che corrompe e annienta.Perché la realtà è che questa grande trasformazione, questa globalizzazione, ha trovato le classi dirigenti assolutamente impreparate a fronteggiare le immense ineguaglianze che il nuovo modello economico sta causando nella popolazione. Con la conseguenza che la maggior parte delle misure prese in materia economica o finanziaria si sono rivelate delle vere e proprie catastrofi. Ad esempio, alla finanza – in mano a un gruppo di avidi, cinici e irresponsabili cosiddetti uomini d’affari – è stato permesso di lasciare sul lastrico migliaia di persone o di appropriarsi dei loro beni, lasciandole nella disperazione più totale o, molto più tragicamente, con la sola libertà di potersi suicidare. E tutto questo, guardate, è avvenuto con la complicità di un diritto astratto, freddo, distante dall’uomo e dalla società, dai problemi della società – in cui le norme, senza tenere in alcuna considerazione l’uomo, paiono piegate più alla volontà di pochi, e alla volontà di profitto di quei pochi. E se il diritto interno, nazionale, presenta evidenti criticità, il diritto internazionale, se vogliamo, è anche peggio: perché non è riuscito a limitare la violenza e l’avidità delle grandi potenze (che lo, lo vediamo, armate fino ai denti e sempre più impegnate a sviluppare armi micidiali e distruttive, si lanciano in guerra illegittime e si sfidano continuamente in azione di forza, in provocazioni).Questa è la situazione. E allora non ci si meravigli se, sopraffatto da queste forze, l’individuo, sentendosi impotente, reagisce. E reagisce in vari modi: molti purtroppo si suicidano, altri si lanciano in comportamenti eccentrici e stravaganti. Altri ancora rifiutano la globalizzazione, rifugiandosi in atteggiamenti nazional-patriottici, e altri ancora scelgono la via della violenza e del terrore. Infatti, uno dei tratti caratteristici di questa epoca è la paura dei terroristi: implacabili nemici della civiltà occidentale, già pronti e in agguato sul nostro territorio. Nessuno sa in realtà quanti terroristi siano attivi e quanto diffuse siano le loro reti. L’unica certezza è che purtroppo torneranno a colpire a loro discrezione, e la polizia pare non possa fare molto, per fermarli. Una situazione disastrosa, dunque, la nostra. Perché questa globalizzazione irresponsabile e predatoria ha fatto sì che i paesi deboli diventassero sempre più deboli e quelli più forti si rafforzassero ulteriormente. E guardate, non poteva essere altrimenti: perché alcune nazioni continuano ad appropriarsi delle risorse dei paesi del terzo mondo, e lo fanno nei modi più disparati, ad esempio avvalendosi di compagnie private, che predispongono in questi paesi contratti profondamente ingiusti, e si avvalgono dei mercenari (pardon, “sicurezza privata”), per garantire l’efficienza del mercato.Davanti a questo disastro, dunque, come sorprendersi se alcune nazioni, non trovando alcuna solidarietà da parte degli altri Stati, decidono di risolvere in proprio i problemi interni? E come? Ora inserendo i dazi, o chiudendo le frontiere. E non si parli di disumanità, per questo: sono le disastrose condizioni economiche a non permettere l’accoglienza. Sono i numeri, che non consentono l’accoglienza. Come poter integrare milioni di persone pronte ad arrivare nel nostro territorio? E poi, diciamocelo chiaramente: come poter integrare persone così differenti, per cultura e religione? Davanti a tante ingiustizie, davanti a tanta incertezza, la reazione era inevitabile. E l’Europa oggi si trova divisa in due schieramenti, tra loro opposti: l’alleanza dei popoli sfida apertamente quella dell’elite – quella élite “colta e preparata” sì, così preparata che non è stata in grado di porre un freno a questo disastro. E allora, forse, meglio il popolo: genuino, onesto, che conserva ancora quell’umanità che la finanza tanto irride e sfrutta. Meglio la nazione, quella per cui i nostri nonni sono morti. La nazione tradita e venduta da politici corrotti, da organismi sovranazionali ciechi, cinici e spietati. È finito il tempo dei mezzi termini, delle restrizioni mentali, di tutto ciò che è servilismo, di tutto ciò che è equivoco. Anche l’Italia deve pensare al proprio interesse, perché questo non è solo un diritto. È molto di più, è un dovere: il dovere di difendere la patria. Difenderla dai tecnici, e da tutti coloro che l’hanno trascinata in questo disastro.Bene. Tutto quello che vi ho detto sino ad ora riguarda l’oggi? Ho parlato della situazione odierna? No. Tutto quello che ho narrato sinora è avvenuto (e soprattutto, è stato detto) tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900. Sorprendente, vero? Eppure, la globalizzazione – che alla fine dell’800 aveva travolto tutti i paesi europei – presenta profonde analogie con la situazione odierna. Infatti il balzo in avanti compiuto dalla globalizzazione del pianeta negli anni che precedettero il 1914 è paragonabile soltanto ai nuovi scenari mondiali che si sono aperti con la fine della guerra fredda. Perché dunque ho fatto questo video-intervento? Perché la storia insegna. E se la si conosce veramente, non a livello solo nozionistico, insegna a non ripetere gli stessi errori del passato, e soprattutto ci avverte dei pericoli. Nel secolo scorso, la politica interna e internazionale attuata dagli Stati per reagire alla globalizzazione a fine Ottocento, e quella straordinaria adesione popolare alla irresponsabile propaganda portata avanti da molti Stati, ha usato le stesse identiche parole. Quel tipo di politica attuata dagli Stati, e quel tipo di feroce propaganda, ci hanno portato due guerre mondiali.E allora, davanti a tutto ciò, davanti a questa consapevolezza, una domanda sorge spontanea: ma è mai possibile che noi si debba sempre commettere gli stessi errori? È mai possibile che si cada sempre nelle stesse identiche manipolazioni di una propaganda feroce e irresponsabile? Ma ancora di più: è possibile che gli errori commessi dai nostri nonni, e soprattutto il prezzo pagato in termini di dolore, di sangue, non ci abbiano insegnato nulla No, non è servito proprio a nulla. Non è servito, ad esempio, a non farci più ingannare da chi ha bisogno di nemici, dentro e fuori il paese, per accollare loro la responsabilità della propria incompetenza. Da chi evoca invasioni inesistenti e attacca i deboli perché è troppo debole per attaccare i forti. Da chi, come in passato, deve fare leva sulla propria frustrazione, sul risentimento della popolazione, per ottenere il consenso. È possibile che tutto quello che è accaduto non sia servito a comprendere tutto questo? Possibile che non sia servito a farci capire i meccanismi che usa la propaganda? E’ una propaganda feroce, che è sempre portata avanti da persone irresponsabili. E sempre nei periodi di caos, di confusione, di grande crisi. Le crisi economiche sono terreno estremamente fertile per questo tipo di propaganda. Perché è efficace. Perché quando gli individui tendono a perdere i loro punti di riferimento, una delle risposte più frequenti consiste nel ripiegarsi su quella che credono essere una identità comune, così da far fronte a una situazione che li disorienta.Guardate, è un meccanismo psicologico comune a tutti noi (e sfruttato infinite volte, nel passato). Questa pressione identitaria può diventare tanto più potente quando coloro che la incoraggiano, coloro che la usano per ottenere il potere, dispongono effettivamente di strumenti di potere. Perché a quel punto diviene azione politica da imporre alla società, alla società civile. Ma si tratta, ripeto – e su questo voglio essere molto chiara – di azioni irresponsabili, di persone irresponsabili che si servono del potere emozionale della identità per suscitare l’adesione del popolo. E dunque, conservare il potere (prima conquistarlo, e poi conservarlo). E’ una carta per manipolare le emozioni. E la usano indipendentemente dal fatto che si chiami nazionalismo, razzismo o appartenenza etnica. Queste persone ci sono sempre state – e sempre ci saranno: in ogni Stato e in ogni tempo. Ciò che però noi possiamo fare è impedire a questi irresponsabili – ripeto, sempre presenti in ogni Stato – di trascinarci in una marcia della follia. Basta, quindi, cadere sempre negli stessi inganni. Basta, commettere sempre gli stessi errori.Vi ho mostrato chiaramente come sia facile manipolare le emozioni, come sia facile alimentare la parte peggiore di noi con argomenti credibili ma non veri. E, sempre nella prima parte del mio intervento, vi ho mostrato come chi usa questo tipo di propaganda utilizzi sempre gli stessi meccanismi. È sempre dal caos, dei grandi periodi di crisi, che i manipolatori traggono la loro legittimità diventando i protettori del “noi”. Lo vediamo: noi italiani, noi francesi, noi ungheresi. Tutti fanno leva sulle stesse corde psico-affettive, che sono paura, risentimento e frustrazione. Sempre. Quando, poco fa, vi ho parlato degli immigrati, ho usato le stesse identiche argomentazioni che venivano usate contro gli ebrei – le stesse identiche: per rendervene conto, basta leggere il libro “Le origini culturali del Terzo Reich”. Ho ripetuto gli stessi slogan e, in alcuni punti, addirittura le stesse parole usate da Mussolini. È così che funziona la propaganda: ci illude e ci manipola fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. Ora però sta a noi, conosciuti i meccanismi di condizionamento, evitare di venire ancora una volta trascinati nel sospetto, nell’odio, nella violenza. Perché, ricordiamocelo sempre, esiste sempre una soglia: superata la quale, va preso atto che è il nostro stesso agire, e non solo quello altrui, che ci minaccia.(Solange Manfredi, “Gli stessi errori”, video-editoriale pubblicato sul blog “Petali di Loto” il 3 febbraio 2019. Bibliografia: “Discorsi di Benito Mussolini dal 1914 al 1945” edizione Kindle; Wilhelm Reich, “Psicologia di massa del fascismo”, Kkien Pub. Int.; George Mosse, “Le origini culturali del Terzo Reich”, Il Saggiatore; Margaret MacMillan, “1914: come la luce si spense sul mondo di ieri”, Rizzoli; Emile Durkheim, “Il suicidio. Studio di sociologia”, Rizzoli; Simona Colarizi, “Novecento d’Europa: l’illusione, l’odio, la speranza, l’incertezza”, Laterza; Jacques Semelin, “Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi”, Einaudi).La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.
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Zibordi: deficit, una tempesta-bluff per appena 8 miliardi
Passano gli anni ma in Italia quando un governo deve fare una manovra economica tutto gira sempre intorno al debito pubblico. La Ue e i “mercati” vogliono essere rassicurati che lo Stato pagherà le rate e gli interessi sui Cct, Bot e Btp e l’intero governo impiega mesi a decidere se fare un deficit del 2,4% piuttosto che dell’1,8% del Pil: una differenza dello 0,6% del Pil – cioè 8 miliardi, alla fine. Ma questa differenza di 8 miliardi richiede trattative di settimane, agita i talk show e i giornali e marca la differenza tra un governo “responsabile”, bene accetto alla Ue e ai “mercati” (1,6% di deficit) e uno “populista” che fa esplodere lo “spread” e avviato al default (2,4% di deficit). Se lasci perdere la retorica e ti metti a leggere tabelle e numeri, scrive il trader finanziario Giovanni Zibordi, ti rendi conto che non ha senso, sapendo che di solito si sfora sempre: la Ue voleva un 1,8% al massimo e Tria cercava di tenerlo a questa percentuale, pensando che poi alla fine a consuntivo si arrivava sul 2,2% o 2,4%. Con un Def che indica un 2,4% di deficit come “impegno”, si suppone invece che si arrivi, alla fine, ad un 2,8% di deficit. «Resta che è una differenza di 8 miliardi l’anno e sembra diventi la fine del mondo. E se fosse tutto un bluff?».Ci dicono che “l’Italia ha 2.350 miliardi di debito”, per cui basta ora poco per scivolare giù per la china: le percezioni del resto del mondo (Ue e “mercati”) sono negative, per cui questi poteri vanno accontentati e rassicurati, altrimenti Bruxelles “boccia” la manovra, le agenzie di rating “abbassano” l’Italia e il mercato “ci attacca”. «In pratica ti dicono che se, per la prima volta nella storia, lo Stato italiano non riduce il deficit a zero, ci sarà un patatrac. Ma se guardi la storia anche solo degli ultimi dieci anni – scrive Zibordi, sul blog “Cobraf” – vedi che con deficit maggiori e sempre intorno al 3% di media non è successo niente». Per scoprire che questo discorso non ha senso, Zibordi fa notare che anche se il debito pubblico è sui 2.350 miliardi, i titoli sul mercato sono molti meno (1.800 miliardi) e sono questi di cui preoccuparsi – tra parentesi, Bce e Bankitalia ne hanno comprati 360 miliardi (con soldi “stampati”). «Quindi il totale dei titoli di Stato di cui preoccuparsi è sui 1.500 miliardi». Parlare, come fanno quasi tutti, di “quasi 2.400 miliardi di debito pubblico”, è molto diverso che citare i 1.450 miliardi di titoli da rifinanziare sul mercato. «Supponiamo allora che il governo italiano ignori Ue e mercati e “tiri dritto”, come dice Salvini. Dopo un poco di caos iniziale probabilmente non succede niente di grave. Ha senso, tutta questa messinscena, per 8 miliardi di differenza? Il buon senso dice di no».Tutto quello che può fare l’Ue, scrive Zibordi, è imporre una multa di 3 miliardi. Una misura finora mai applicata, «nemmeno a Stati che hanno violato i limiti del 3% facendo deficit del 10% come Irlanda, Portogallo e Spagna». Per cui, se si colpisse l’Italia per via del suo 2,4%, la sanzione «verrebbe contestata dal governo italiano in sede legale». E le agenzie di rating? Se “abbassano” l’Italia danno la spinta ai mercati per vendere ancora i Btp? «Sicuro, ma ricordatevi che i mercati hanno fatto oscillare i Btp infinite volte, negli ultimi 25 anni, e alla fine lo Stato italiano ha sempre pagato tutto: ha pagato la bellezza di circa 3.000 miliardi di interessi dal 1990». La conseguenza della “turbolenza” dei mercati, aggiunge Zibordi, è che il rendimento può salire ancora, dal 3,3% attuale al 4% o forse anche di più, magari fino al 5%. Ma, tralasciando i titoli dei giornali, l’analista propone di ragionare sui numeri. In Germania, con l’inflazione al 2%, i titoli di Stato «rendono meno di zero, -0,5% sulle scadenze brevi e al massimo 0,4% sui decennali». Quindi, in sostanza, «hai il povero risparmiatore germanico che perde ogni anno 1% o 2% l’anno». In Italia con inflazione più bassa (1,2%, oggi), «il risparmiatore italico godrebbe di un guadagno del 3% al netto dell’inflazione se i Btp salissero oltre il 4% di rendimento». In pratica, «avresti che un tedesco perde sul 2% l’anno sui suoi soldi in titoli di Stato, e l’italiano che guadagna un 2 o 3% l’anno. Una differenza del 4 o 5% per noi».Ma il famoso rischio-Italia? Lo spettro del default? «Discorsi catastrofici simili sono stati fatti nel 2011, quando appunto il rendimento dei Btp salì al 5%». Risultato: chi comprò allora i Btp alla data di oggi, tra cedole e apprezzamento ha guadagnato oltre il 50% cumulativo. «Se vai più indietro, al 2008, negli ultimi dieci anni i Btp avevano resto un totale cumulativo del 70% fino a quando non sono arrivati Salvini e Di Maio. Adesso, anche conteggiando una perdita media intorno al 10% da maggio, il rendimento cumulativo resta intorno al 60%». Nel mondo di oggi, scrive Zibordi, tutto il reddito fisso sta facendo perdere soldi: da inizio anno, i bond globali hanno perso in media il 2%. «Oggi abbiamo i tassi di interesse più bassi della storia dell’umanità», sottolinea l’analista. Tutti i paesi importanti «pagano tra meno di zero e il 3% massimo» (gli Usa, l’Australia o la Cina). E quando pagano il 3%, come gli Usa, «poi hanno anche inflazione al 3%», per cui «il rendimento reale è sempre zero». Attenzione: «L’Italia in pratica è l’unico paese Ocse, ora, che paga rendimenti sui titoli di Stato superiori all’inflazione!».Se dunque un paese come l’Italia, che ha un surplus estero del 2,5% del Pil e un enorme risparmio privato, offrisse rendimenti del 4-5%, di fatto «arriverebbero fondi da tutto il mondo». E pian piano anche i risparmiatori italiani che ora «stanno soffrendo perdite su tutti i loro fondi, gestioni e polizze che le banche hanno loro rifilato», capirebbero che i titoli di Stato sono estremamente più sicuri della cosiddetta “industria del risparmio gestito”. Tradotto: «Se stai perdendo un -3% medio su tutti i prodotti del risparmio gestito della banca, perché ti deve fare schifo un 2-3% dei titoli di Stato?». La manovra di Di Maio e Salvini? Può darsi che non faccia abbastanza per la crescita, «perché troppo infarcita di sussidi e trasferimenti e senza riduzione di tasse vere o investimenti», però – avverte Zibordi – è una manovra «che aumenta il deficit di soli 8 miliardi, alla fine». E tutto il polverone mediatico sul “disastro” in arrivo «è probabilmente il solito bluff del mondo finanziario, che sui titoli di Stato da decenni specula», cioè gioca al ribasso per poi comprare a poco prezzo, al fine di incassare «grasse cedole».La finanziaria del governo gialloverde «non fa molto per i giovani, le imprese e gli investimenti», ma resta «una manovra di entità modesta, che non scassa nessun bilancio pubblico». Salvini? Fa bene a dire che “tira dritto”, denunciando il bluff dell’Ue per ora. «Il difetto della manovra è invece che non sostiene abbastanza l’economia, la quale sta rallentando, e non contiene misure alternative. Ma in termini puramente finanziari c’è tanta retorica, da entrambe le parti, che copre una realtà modesta», insiste Zibordi. «La verità è che alla Ue odiano Salvini per via dell’immigrazione: se la stessa manovra l’avesse fatta il Pd ci sarebbe stata qualche discussione dietro le quinte e poi sarebbe passata con questo famoso 2,4% accampando qualche scusa. Dato che Salvini minaccia tutto l’impianto culturale e sociale della Ue, che punta all’immigrazione di massa dal terzo mondo in Europa, qualunque piccola deviazione dai “parametri” viene amplificata per cercare di indebolirlo». Di qui il terribile can can terribile contro il governo “spendaccione, irresponsabile, venezuelano”, mentre in realtà, se uno guarda i semplici numeri, scopre che la manovra è così modesta che non può portare a nessun default.«Se sfori dello 0,6% del Pil rispetto a quello che voleva la Ue, si parla di 8 miliardi», tutto qui. «E lo Stato non smetterà di pagare interessi, visto che incassa 760 miliardi di tasse». E a proposito di fisco: «La manovra non riduce neanche di 1 miliardo le tasse, alla fine». I soldi per ripagare i Btp, al governo, non mancano affatto: «Se il “mercato” vuole rendimenti più alti sulle nuove emissioni ora, bene… il governo spenderà 5, 6 o 7 miliardi in più l’anno prossimo per pagarli». Di questo però beneficia chi compra le nuove emissioni oggi, «perchè i soldi che lo Stato paga di interessi non si volatilizzano, finiscono in tasca a qualcuno: e l’importante, ora, sarebbe che fosse italiano». Meglio per il risparmiatore italico, scrive Zibordi, che i Bpt renderessero di più. «E’ messo molto peggio quello tedesco, che perde un -1 o -2% l’anno quando compra titoli di Stato». Il “collega” italiano invece intasca un 2% netto reale, che diventa 3% se sale lo spread. I bond italiani «battono i rendimenti (reali) di chiunque altro, nel mondo avanzato». E’ perchè sono molto rischiosi? «La nostra economia è deludente fin che vuoi in termini di crescita, ma è stabile, nel senso che rimane nell’euro e non da default, visto che lo Stato preferisce continuare a tassare i suoi cittadini per pagare gli interessi invece che tentare misure alternative».Passano gli anni ma in Italia quando un governo deve fare una manovra economica tutto gira sempre intorno al debito pubblico. La Ue e i “mercati” vogliono essere rassicurati che lo Stato pagherà le rate e gli interessi sui Cct, Bot e Btp e l’intero governo impiega mesi a decidere se fare un deficit del 2,4% piuttosto che dell’1,8% del Pil: una differenza dello 0,6% del Pil – cioè 8 miliardi, alla fine. Ma questa differenza di 8 miliardi richiede trattative di settimane, agita i talk show e i giornali e marca la differenza tra un governo “responsabile”, bene accetto alla Ue e ai “mercati” (1,6% di deficit) e uno “populista” che fa esplodere lo “spread” e avviato al default (2,4% di deficit). Se lasci perdere la retorica e ti metti a leggere tabelle e numeri, scrive il trader finanziario Giovanni Zibordi, ti rendi conto che non ha senso, sapendo che di solito si sfora sempre: la Ue voleva un 1,8% al massimo e Tria cercava di tenerlo a questa percentuale, pensando che poi alla fine a consuntivo si arrivava sul 2,2% o 2,4%. Con un Def che indica un 2,4% di deficit come “impegno”, si suppone invece che si arrivi, alla fine, ad un 2,8% di deficit. «Resta che è una differenza di 8 miliardi l’anno e sembra diventi la fine del mondo. E se fosse tutto un bluff?».
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L’enigma Biglino e la rimozione cosciente della vera storia
«Oggi come non mai stiamo vivendo nella caverna platonica, dove gli uomini scambiano per reali le immagini che scorrono loro davanti». Oggi come non mai, infatti – scrive José Saramago – confondiamo la realtà con le ombre. Un blogger originale come Carlo Bertani invita i lettori a osservare il geroglifico scoperto in Egitto nel tempio di Abydos, XIX dinastia (dalle parti del 1300 avanti Cristo). «Che ve ne pare? Ci vedete qualcosa che assomiglia ad un elicottero, una nave (o sommergibile), un oggetto volante?». Invece, segnala Bertani, gli archeologi spiegano il fatto con «ripetute corrosioni, dovute allo scorrere del tempo». Certo, resta valido il paradosso della scimmia che scrive al computer: «Se lasciata picchiare sui tasti per un tempo uguale ad infinito, la scimmia – inesorabilmente – premendo i tasti casualmente, scriverà la Divina Commedia». E’ così che, secondo l’archeologia ufficiale, ad Abydos, «cancellando e riscrivendo» sarebbero saltati fuori l’elicottero, la nave e l’aereo? Tutti nella stessa tavoletta o porzione di muro? Non sarebbe più onesto affermare: non sappiamo cosa vollero dirci, gli egizi, con quel disegno? Bertani la chiama: rimozione cosciente. Ovvero: la scienza di oggi «s’ammanta con la stola della Nuova Religione Mondiale», che le impedisce di ammettere di non avere spiegazioni. Specie di fronte all’enigma dei testi antichi: come la sconcertante Bibbia, proposta – alla lettera – da Mauro Biglino.Di fronte alle esternazioni dell’esegeta torinese, scrive Bertani sul suo blog, si potrebbe liquidare il tutto come un fenomeno editoriale alla Dan Brown, specie se Biglino ponesse al centro dell’attenzione la sua persona. E invece il biblista italiano «non si pone come un “faro” di sapienza, e neppure instaura una sorta di “dissidio” con la Santa Sede, anche se – a dire il vero – Oltretevere non devono aver gradito l’idea che, proprio dalla Bibbia, Biglino abbia sottratto un elemento di una certa importanza, cioè Dio». L’autore, che ha alle spalle 19 traduzioni bibliche per le Edizioni San Paolo, sostiene proprio questa tesi: la Bibbia è un resoconto di “qualcosa” che avvenne fra il Caucaso e il Mediterraneo in epoche lontane, con la Mesopotamia come epicentro: il “qualcosa”, però, secondo Biglino, non ha nulla a che vedere con la creazione del mondo e nemmeno con la figura del Dio rappresentato dalla teologia monoteista. La storia, secondo Biglino, è un’altra: il termine “Elohim”, plurale, rappresenta esseri come Yahvè, «in possesso di una tecnologia superiore, i quali hanno instillato le basi della conoscenza scientifica (agricoltura, costruzioni) nei popoli che vivevano in quelle aree». Di più: «Essendo fatti “a nostra somiglianza”, questi esseri più evoluti si sono incrociati con la nostra razza», magari mediante l’ingegneria genetica, «inserendosi così come “catalizzatori” nell’evoluzione umana».D’altro canto, avverte Bertani, non dimentichiamo che gli antichi usavano translitterare la storia antica nel mito: il pantheon era popolato di dei che stavano sempre “in alto”, che potevano assumere le sembianze più strane fino ad accoppiarsi con gli umani, generando semidei. «Ne hanno avuta, di fantasia: ma era solo fantasia?». Bertani riconosce che l’esegesi di Biglino è «chiara e convincente», anche se a poterla controllare sono soltanto i traduttori dall’ebraico antico, dall’aramaico e dalle altre lingue mesopotamiche del tempo. E’ pur vero, per contro, che la filologia non ha mai contestato in modo sostanziale Biglino, che oltretutto circoscrive saggiamente la sua azione attorno al Codice Masoretico di Leningrado, cioè il “master” della Bibbia attuale, riscritta e vocalizzata solo nel medioevo, all’epoca di Carlomagno. Biglino poi «non asserisce che questi “dei” fossero extraterrestri, oppure appartenenti a precedenti civiltà terrestri: si limita a sottolineare le incongruenze che ci sono nella Bibbia, “sfiorando” anche il Mahabharata e l’Epopea di Gilgamesh, dove ci sono numerosi passi un poco inquietanti». In ogni caso, sottolinea Bertani: perché non assumere queste indicazioni come possibili indizi, molto seri, sulla vera storia dell’evoluzione umana così improvvisamente accelerata?Oggi, continua Bertani, il sapere scientifico è senz’altro più conosciuto e dibattuto rispetto alle lingue antiche: bastano certe scoperte archeologiche a suscitare sgomento. Ipotetico punto di partenza, per rileggere la preistoria, il 74.000 avanto Cristo, data in cui esplose il supervulcano di Toba, a Sumatra. Niente a che vedere col Vesuvio o l’Etna: «L’esplosione di Toba immise nell’atmosfera 3.000 chilometri cubici di materiale e la radiazione solare scomparve: la Terra (all’epoca, si era in piena glaciazione di Wurm) precipitò in un “inverno vulcanico” che durò alcuni anni». E dato che la popolazione terrestre era allora concentrata fra i due tropici, cioè nel raggio d’azione del supervulcano, fu duramente colpita. «I paleobiologi hanno stimato – dalla varianza del Dna umano – che si partì, in quel senso, quasi dagli inizi. Alcune teorie ipotizzano una “forbice” di sopravvissuti fra i 600 ed i 3.000, ma sono cifre ipotizzate e ricavate, come dicevamo, solo dalla scarsa varianza del Dna. I soli reperti archeologici non ci forniscono informazioni esaustive al riguardo». Finalmente, verso il 10.000 avanti Cristo, termina la glaciazione di Wurm: «Altro periodo di sconvolgimenti, il mare si alza di decine di metri in pochi secoli, fiumi immensi si generano dallo scioglimento dei ghiacci. Però, l’uomo può finalmente affacciarsi alla “finestra” del mondo. Sono, appena, 12.000 anni or sono. Qui, in qualche modo, s’innesta la trattazione di Biglino».Il testo biblico è datato fra il primo e il secondo millennio prima di Cristo, ma racconta vicende più antiche (tuttora, non c’è unità di vedute fra gli studiosi). «Passano 7.500 anni – un’inezia, se riferita ai tempi dell’evoluzione – e, intorno al 2.560 il faraone Khufu (Cheope) decide di farsi una bella tomba di famiglia, e fa costruire la nota piramide». In realtà la datazione è incerta: c’è chi calcola che le piramidi di Giza abbiano ben 20.000 anni. In ogni caso, «ancora oggi non si sa come la costruirono, nonostante mille teorie sullo spostamento dei massi». Craig Smith, un ingegnere statunitense che fece parte di una squadra incaricata di determinare i tempi e le modalità seguite per la costruzione della piramide di Cheope, confessò: «Le logistiche di costruzione di Giza sono impressionanti, se si pensa che gli antichi egizi non avevano a disposizione pulegge, ruote e accessori di ferro». Le dimensioni delle piramidi sono estremamente accurate, aggiunse Smiths, sottolineando che il sito «è stato livellato con un errore di meno di un centimetro su una base di oltre cinque ettari: è paragonabile all’accuratezza dei moderni metodi edilizi e al livellamento al laser». In altre parole: «E’ sbalorditivo: con i loro “attrezzi rudimentali”, i costruttori di piramidi dell’antico Egitto furono accurati quasi quanto lo siamo noi con la tecnologia del XX secolo».Si aggiunga che, nei siti di estrazione dei massi, non è stato rilevato nessun utensile di rame, il metallo più duro conosciuto all’epoca. «Inoltre – osserva Bertani – i massi delle piramidi avevano un peso compreso fra le 2,5 e le 80 tonnellate: li trasportavano su barche di papiro? Auguri». Come credere alla storia degli schiavi che trascinando 80 tonnellate su un piano inclinato inumidito con l’acqua? E tutto questo, aggiunge Bertani, l’avrebbe fatto un popolo che non conosceva la ruota, applicata all’edilizia? E questo è niente, se uno fa un salto al museo di Baghdad: vi scopre infatti «una rudimentale batteria». Non certo al fluoruro di litio, ma al ferro-rame: «Non conoscevano ancora lo zinco, figuriamoci il litio». Eppure, il vaso custodito nella capitale irachena «contiene proprio i due metalli, separati da uno strato di catrame». L’elettrolita? «Un acido qualunque, succo di limone oppure aceto, vino». In pratica, «è un’edizione arcaica della nota pila di Volta, che utilizzò il rame e lo zinco». Chi la costruì, e perché? «Nessuno lo sa». Una cella elettrolitica così fatta, spiega Bertani, poteva fornire una tensione di 0,4 volt. Ma magari, collegandole in serie, quelle celle potevano raggiungere tensioni più elevate. Di che epoca è, l’aggeggio? Pare risalga a due secoli prima di Cristo. «Ovviamente gli archeologi “ufficiali” si sono sperticati nel dire che “forse” era “solo” uno strumento per stendere, per via elettrolitica, un sottile strato d’oro su altri metalli». Troppo impegnativo, ammettere che i costruttori «conoscevano le tecniche galvaniche, che includono – en passant – una conoscenza approfondita dell’elettrologia, e della chimica».La galvanotecnica è complessa: si usano per lo più i sali cianidrici dei metalli che si vogliono usare per ricoprire. I proto-scienziati mesopotanici mettevano l’oro a bagno in un impasto con le mandorle amare? «Era un mondo che conosceva la tecnologia? O forse la ricordava? O l’aveva vista, o ricevuta, in dono da qualcuno?». Già, ma quale mondo? Le conoscenze, a quell’epoca, non erano omogenee, sottolinea Bertani: basti pensare che, quando i romani conquistarono la pianura padana e le valli circostanti (II-I secolo a.C.), in val Camonica incontrarono popolazioni che ancora si dedicavano alle pitture e sculture rupestri, come nel Mesolitico. «Una differenza abissale: le pitture rupestri incontrarono un mondo che già aveva creato strade, ponti, acquedotti… che già possedeva un corpus giuridico, che si governava grazie al Senato e… stava per sperimentare la guerra civile!». Mentre i romani si dedicavano alla conquista del mondo allora conosciuto, in un’isola del Mediterraneo – Cicerone dice la Sicilia, altri Rodi, ma non ha importanza: erano tutti greci – qualcuno costruiva ed esportava sofisticati orologi astronomici, come non ne sarebbero più stati costruiti per almeno 1.500 anni».Una di queste macchine, racconta Bertani, è stata ritrovata su una nave greca naufragata presso l’isola di Anticitera, vicino a Creta, nel 1900. Sulle prime non fecero caso al ritrovamento, incrostato dai sedimenti organici marini: poi però qualcuno “drizzò le antenne”. «Si cominciò a capire che era un meccanismo complesso, ma solo pochi anni or sono, grazie ad una sofisticata tecnica di scansioni ai raggi X ad alta risoluzione, i ricercatori sono riusciti a ricostruirla». Si tratta di un sofisticato orologio astronomico, azionato a manovella, che misura il moto del Sole, della Luna e dei cinque pianeti all’epoca conosciuti, ma non solo: fornisce le fasi lunari, le eclissi e persino le date delle Olimpiadi. Più che le conoscenze astronomiche dei greci, spiega Bertani, a sorprendere è la finezza realizzativa: decine di minuscoli ingranaggi di rame non possono esser stati fabbricati senza l’impiego di macchinari di precisione. Quell’orologio astronomico, non a caso, è considerato «la prima “espressione” di una macchina di calcolo automatico, precedente di 18 secoli a quelle di Pascal e di Liebnitz: dunque, il “capostipite” dei computer». L’Europa medievale conobbe diversi orologi astronomici, ma nessuno di dimensioni così ridotte.Sempre loro, i greci, «compaiono cose straordinarie, realizzazioni poco credibili considerando la tecnologia dell’epoca». Così, dopo la leggendaria “cavalcata” di Alessandro Magno in Oriente, alla sua morte tutto il bacino orientale del Mediterraneo è dominato dai suoi luogotenenti. Tolomeo Sotere “eredita” l’Egitto, dove regna come Tolomeo I. E’ il fondatore della famosa biblioteca di Alessandria, «che non era solo un ammasso di libri, bensì un centro del sapere in tutti i campi, tecnologia compresa: una sorta di campus universitario ante litteram». Nel 300 avanti Cristo, sempte ad Alessandria, Tolomeo decide di costruire un faro. «La navigazione degli egizi era poca cosa: le uniche notizie certe sono che si recavano nella terra dei fenici (odierno Libano) per importare legname, soprattutto per costruire navi: una navigazione costiera». Ma dall’avvento dei greci, probabilmente, le rotte cambiarono: e così, continua Bertani, quello di Tolomeo non era un faro qualsiasi, ma una torre alta 134 metri (dimensione accertata solo nel 2006, dopo anni di studi e comparazioni). Altro aspetto sbalorditivo: il Faro di Alessandria, nato fra il 300 ed il 280 avanti Cristo, durò fino al 1303 o 1323, quando si verificarono due tremendi terremoti. «Restò in servizio per 16 secoli! 1.600 anni!». Sedici lunghissimi secoli, «nei quali sfidò le intemperie, i venti, le tempeste e i terremoti».L’immagine di quel faro, ricorda Bertani, fu coniata sui sesterzi di Traiano. E la sua luce era visibile a 48 chilometri dalla costa, cioè dalla massima distanza che la curvatura dell’orizzonte terrestre permetteva. Lo afferma Giuseppe Flavio, storico e matematico romano d’origine giudaica. Probabilmente, quel maxi-faro «consentiva di tenere la rotta verso il mare aperto, verso Creta (distante 300 miglia nautiche) e la Grecia». Ma allora, osserva Bertani, «dobbiamo ipotizzare che i greci possedessero degli strumenti di navigazione assai avanzati, non la sola conoscenza del firmamento: la bussola era già nota ai cinesi… di più, non è possibile ipotizzare». Collegamenti e suggestioni? Niente di così assurdo, sostiene lo stesso Biglino, che ricorda che il nome di una delle dodici tribù ebraiche – Dan – è associato a una flotta. L’Iliade chiama “danai” i greci, e un’antica narrazione li associa all’Egitto, da cui si sarebbero poi allontanati – via mare, appunto – proprio verso Creta, dove una statuetta sembra rievocare quella curiosa concatenazione: Medio Oriente, Egitto, Egeo.Bertani si sofferma intanto sull’imponenza del Faro di Alessandria, di oltre duemila anni più “anziano” del modernissimo grattacielo Seagram, appena più alto (156 metri) ma costruito solo nel 1958 a New York. Il confronto «rende bene l’idea delle cubature e delle altezze del Faro di Alessandria». Qualcuno sostiene che, nella realizzazione, furono usate anche strutture in ferro, «ma non v’è certezza: i resti del faro sono ancora lì, sott’acqua». Resistette per 16 secoli, senza avere neppure la base d’appoggio di una piramide. «Alto come un moderno grattacielo: costruito con pietre squadrate e malta?». Fu una realtà che moltissimi romani videro con i propri occhi, fa notare Bartani, ma nessuno pensò di replicarlo sulle coste italiane. «Eppure, i romani furono grandi costruttori di strade, acquedotti, ponti, terme, templi». Ma non costruirono mai, per le basi della flotta (Miseno, Ostia) fari che potessero lontanamente ricordare il mastodonte alessandrino. Perché? La verità, conclude Bertani, è che sono tanti i quesiti ai quali non sappiamo rispondere. E se la scienza sembra reticente, o in imbarazzo, è perché ha rappresentato se stessa come fonte di risposte, smettendo di accogliere vere domande, sul nostro passato.«Si tratta di capire se la scienza, oggi, è in grado di capire qualcosa di più sulle nostre origini, qualcosa che – nel lungo periodo – potrebbe anche mutare il nostro modo di pensare, l’approccio stesso all’esistenza o alla coscienza del nostro essere», riflette Bertani. «In realtà, ciò che va per la maggiore è la “rimozione cosciente” di ciò che non ci aggrada, c’infastidisce, di qualcosa che cozza violentemente contro il nostro “laissez faire”, le nostre piccole sicurezze». Accade in ogni campo. Una banca collassa? Rimozione del problema: si crea una “bad company”, e il sistema è salvo. Dalla finanza alle auto: «Le emissioni dei diesel sono fuori dal range previsto? Si fabbrica una bella centralina elettronica che “non veda” le imperfezioni: è storia dei giorni nostri». Il cambiamento climatico? Si oscilla tra catastrofismo e fake news. Risultato: sempre lo stesso. Rimozione. Conseguenza: nessuno risolve il problema. «Cercare di capire, con la propria testa? Non serve: è troppo faticoso e poco redditizio: quel che conta è ottenere appoggi, seguito, oppure demonizzare l’avversario, ridurlo ad un minus habens per la sua vita privata, per le mille pecche che – cercando bene – si trovano nella vita di chiunque». Neppure l’archeologia, aggiunge Bertani, è scevra da questa mistificazione: «Ciò che non si riesce a spiegare è dovuto ad eventi “casuali”, a “fake news”, ad imbrogli».La scienza? E’ diventata la nuova religione. «Per questo, ha preferito la “turris eburnea” alla verifica precisa dei fatti, allo studio coerente degli eventi, allo sperimentalismo come fonte di prove». Non è solo una questione di denaro, di convenienze e di carriere: «Quando sono a congresso, i grandi scienziati ritengo che si sentano come un consesso di semidei, assisi appena un po’ sotto la vetta del monte Olimpo», scrive Bertani. Da qui in poi, ecco «la discesa ai mille “cedimenti” al dio denaro et similia: appunto, ad una vita da semidei, come il rango loro compete». E Biglino, dunque, che smentisce che la Bibbia descriva la creazione “divina” del mondo? «Io non so se un certo verbo, scritto in lingua ebraica antica, possa essere più correttamente tradotto come “fare” – ossia creare da qualcosa, come fa un artista – oppure che sia da intendere come “creare” e basta, dal nulla», specifica Bertani, che egeseta e filologo non è. Però, aggiunge, «questa persona» (Biglino) «si fa sentire sempre con misura, e con un aplomb più torinese che britannico». Morale: «A mio avviso meriterebbe più fiducia e ascolto, se questo fosse un posto dove la gente viene ascoltata per quel che dice o scrive, e non per schieramenti o amicizie». In fin dei conti, chiosa Bertani, trattando con sufficienza le voci come quella di Biglino «perdiamo di vista una cosuccia da nulla: la verità».«Oggi come non mai stiamo vivendo nella caverna platonica, dove gli uomini scambiano per reali le immagini che scorrono loro davanti». Oggi come non mai, infatti – scrive José Saramago – confondiamo la realtà con le ombre. Un blogger originale come Carlo Bertani invita i lettori a osservare il geroglifico scoperto in Egitto nel tempio di Abydos, XIX dinastia (dalle parti del 1300 avanti Cristo). «Che ve ne pare? Ci vedete qualcosa che assomiglia ad un elicottero, una nave (o sommergibile), un oggetto volante?». Invece, segnala Bertani, gli archeologi spiegano il fatto con «ripetute corrosioni, dovute allo scorrere del tempo». Certo, resta valido il paradosso della scimmia che scrive al computer: «Se lasciata picchiare sui tasti per un tempo uguale ad infinito, la scimmia – inesorabilmente – premendo i tasti casualmente, scriverà la Divina Commedia». E’ così che, secondo l’archeologia ufficiale, ad Abydos, «cancellando e riscrivendo» sarebbero saltati fuori l’elicottero, la nave e l’aereo? Tutti nella stessa tavoletta o porzione di muro? Non sarebbe più onesto affermare: non sappiamo cosa vollero dirci, gli egizi, con quel disegno? Bertani la chiama: rimozione cosciente. Ovvero: la scienza di oggi «s’ammanta con la stola della Nuova Religione Mondiale», che le impedisce di ammettere di non avere spiegazioni. Specie di fronte all’enigma dei testi antichi: come la sconcertante Bibbia, proposta – alla lettera – da Mauro Biglino.
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Europa privatizzata: non teme la sinistra, ma la democrazia
Non è possibile rimuovere il dato che il “popolo” «ritenga ormai la sinistra parte del problema e non della soluzione». Su “Contropiano”, che si definisce “giornale comunista online” e si è schierato con “Potere al Popolo”, Sergio Cararo ammette: il cosiddetto “popolo della sinistra”, «ormai residuo, residuale e limitato» (vedasi il pessimo risultato di “Liberi e Uguali”) «non è più sufficiente né credibile neanche per una dignitosa testimonianza istituzionale». Lo stesso “Potere al Popolo” «non è riuscito ad esprimersi fuori dal perimetro e dal linguaggio del popolo della sinistra». Per Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, la parola “sinistra” non è di per sé sinonimo di progressismo, come non lo è l’ideologia comunista, «che di fatto finisce sempre per affidare il potere a un’oligarchia (di burocrati, in questo caso)». Magaldi si definisce liberale e socialista: storicamente, il liberalismo ha rappresentato la rottura del monopolio politico dell’élite economica, e il socialismo ha offerto il know-how per mettere in pratica una giustizia sociale che non lasci indietro nessuno. Il dramma, in questa Italia – dice Magaldi a “Colors Radio” – è che abbiamo cestinato le ideologie utili, per tenerci solo quella, ipocrita e subdola, del neoliberismo disonesto, devastatore e privatizzatore, in nome del quale la super-casta finanziaria ha occupato militarmente le istituzioni, nazionali ed europee.«La statistica degli ultimi anni ci suggerisce che i mercati oggi sono sempre meno spaventati se un paese dell’area euro affronta un momento più o meno lungo di “non-governo”», scrive il “Sole 24 Ore” in un passo citato da Cararo su “Contropiano”. «È la prova che oggi i governi nazionali dell’area euro contano sempre meno», aggiunge il quotidiano di Confindustria. «Le regole dei trattati sovranazionali, sottoscritte attraverso cessioni parziali di sovranità, depotenziano – che piaccia o no – le iniziative “fuori dagli schemi” a livello nazionale». Per Cararo sono «parole pesanti come piombo, ma veritiere», che infatti «delineano uno scenario con cui fare inevitabilmente i conti». Sulla realtà dell’Italia post-elettorale, aggiunge Cararo, «incombono ipoteche già in scadenza come la manovra finanziaria aggiuntiva che l’Italia dovrà fare a primavera sulla base dei diktat dell’Unione Europea, poi c’è il Fiscal Compact da approvare entro l’anno, e poi ci sono i “mercati finanziari” che fino ad ora non sembrano molto preoccupati della instabilità politica in Italia, come non lo sono stati di quella post-elettorale in Belgio, Spagna, Germania». E questo, «nonostante siano stati sconfitti due partiti “di sistema” come Pd e Forza Italia e abbiano vinto due partiti percepiti – fino ad ora – come “antisistema e populisti”», vale a dire Movimento 5 Stelle e Lega.Se hanno vinto grillini e leghisti, dice Cararo, è per via della «composizione sociale “spuria” delle classi subalterne nel nostro paese», strati sociali che «avevano bisogno di un nemico sulla base del quale darsi – in negativo – una identità». Il “nemico” della Lega sono i migranti, quello dei 5 Stelle la “casta” dei partiti corrotti. Alle urne c’era un’Italia esasperata, «ma la “sinistra” non le ha offerto nulla di alternativo». Il cosiddetto antifascismo di oggi, tornato in auge come bandiera da sventolate contro CasaPound, per Cararo «va declinato nella sua attualità». Ovvero: «Il nesso tra le politiche antipopolari connaturate all’Unione Europea e la società del rancore che vota per vendetta, era la contraddizione che andava colta e agita a tutto campo». E se l’Europa del rigore produce l’Italia del rancore, quella è la faglia lungo la quale – per Magaldi – occorre predisporre una risposta democratica ampia e popolare, che potrebbe chiamarsi Pdp, Partito Democratico Progressista. «Partito, innanzitutto, fatto di militanti e dirigenti democraticamente selezionati: perché di quello c’è bisogno, non di cartelli elettorali velleitari che si squagliano come neve al sole dopo aver raccolto lo zero-virgola, alle urne». Progressista, in quanto «liberale e socialista come Olof Palme, il premier svedese assassinato nel 1986 anche per intimidire la socialdemocrazia europea».Al leader svedese, costruttore del miglior welfare europeo (nonché di una formula economica basata sulla partecipazione azionaria degli operai nelle aziende aiutate dallo Stato) il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno, in primavera, a Milano. «Con Palme, probabilmente, questa Disunione Europea non sarebbe mai nata», sostiene Magaldi, che nel bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) ha messo a nudo la natura supermassonica del vero potere, che all’inizio degli anni ‘80 – con il patto “United Freemansons for Globalization” – ha imposto questa mondializzazione brutale e senza diritti. Primo step, all’epoca: liquidare la sinistra socialista. Con il piombo, come nel caso di Palme, o con la comparsa dei post-socialisti come Clinton e Blair, pronti a smantellare diritti (precariato, flessibilità) e procurare profitti stellari all’élite finanziaria, tra deregulation per i capitali e turbo-privatizzazioni a favore degli “amici”. Magaldi non è catastrofista: riconosce ai 5 Stelle e alla Lega di aver sostenuto istanze democratiche sacrosante. Il problema? La mancanza di una sintesi, puntualmente palesata dalla paralisi post-voto. «Lasciamo perdere la parola “sinistra”», propone Magaldi, «e rispolveriamo ideologie utili: quella liberale, democratica, e quella socialista». Unica possibilità: «Costruire insieme una via d’uscita largamente popolare, condivisa, per trovare la forza di smontare le regole truccate di quest’Europa “matrigna” e privatizzata».Non è possibile rimuovere il dato che il “popolo” «ritenga ormai la sinistra parte del problema e non della soluzione». Su “Contropiano”, che si definisce “giornale comunista online” e si è schierato con “Potere al Popolo”, Sergio Cararo ammette: il cosiddetto “popolo della sinistra”, «ormai residuo, residuale e limitato» (vedasi il pessimo risultato di “Liberi e Uguali”) «non è più sufficiente né credibile neanche per una dignitosa testimonianza istituzionale». Lo stesso “Potere al Popolo” «non è riuscito ad esprimersi fuori dal perimetro e dal linguaggio del popolo della sinistra». Per Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, la parola “sinistra” non è di per sé sinonimo di progressismo, come non lo è l’ideologia comunista, «che di fatto finisce sempre per affidare il potere a un’oligarchia (di burocrati, in questo caso)». Magaldi si definisce liberale e socialista: storicamente, il liberalismo ha rappresentato la rottura del monopolio politico dell’élite economica, e il socialismo ha offerto il know-how per mettere in pratica una giustizia sociale che non lasci indietro nessuno. Il dramma, in questa Italia – dice Magaldi a “Colors Radio” – è che abbiamo cestinato le ideologie utili, per tenerci solo quella, ipocrita e subdola, del neoliberismo disonesto, devastatore e privatizzatore, in nome del quale la super-casta finanziaria ha occupato militarmente le istituzioni, nazionali ed europee.
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Serve il coraggio politico di credere in un sogno realizzabile
E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.Inutile girarci attorno, inutile pensare di rimandare le prese di coscienza; per quante precauzioni e attenzioni del caso si possano prendere, la situazione è chiara: inquinamento alle stelle con conseguente deterioramento della salute e della qualità della vita, veloce esaurimento delle risorse, distruzione dell’ambiente, rischio desertificazione ed emergenza idrica, cambiamenti climatici fuori controllo che aggraveranno la situazione, cementificazione galoppante, persone sempre più prive di senso e stressate, in preda a mille paure e insicurezze dettate da un mondo che ha come unica direzione e obiettivo il vivere per i soldi e fregare il prossimo. E non si tratta di catastrofismo o allarmismo, è la situazione attuale, chiara e limpida, almeno per chi non crede ai telegiornali di regime e conseguente voce del padrone.Di fronte a questa situazione ci sono opportunità per invertire la rotta e fare del nostro paese un giardino fiorito e sono opportunità che danno le maggiori sicurezze e reali ricchezze. Ad oggi, conti alla mano, non c’è politica più lungimirante e foriera di risultati che puntare a quello di cui l’Italia ha potenzialità immense. Non ci sono campi di intervento e con garanzie di risultati maggiori di quelli del campo ambientale e nella fattispecie quelli legati alle energie rinnovabili, efficienza energetica e risparmio energetico. Puntando decisamente anche solo su questi settori, si riassorbirebbe gran parte della disoccupazione e si farebbe ripartire la vera economia che è quella che ha cura, non quella che distrugge. Ma con questi settori saremmo solo all’inizio; ci sarebbe poi il risparmio idrico, assolutamente fondamentale, poi l’agricoltura biologica da diffondere ovunque che è già uno dei pochi settori che scoppia di salute e che viene sempre più richiesto, con conseguente valorizzazione delle eccellenze locali che in Italia vuol dire agire dappertutto. Poi valorizzazione e salvaguardia del territorio che significa anche turismo di qualità ed inoltre riutilizzo, riuso, e recupero delle risorse in ogni forma e specificità per dare respiro ad una terra sempre più saccheggiata. Si tratta quindi di un vero e proprio progetto politico e culturale di rinascita con solide basi economiche e dalle grandi prospettive.Chiamatelo new deal verde, così è più cool, chiamatelo come vi pare ma da questa prospettiva non si scappa e prima ci si dirige velocemente e prima si salva il paese e si ottiene più consenso. Agire politicamente in questa direzione può spaventare solo i ladri, i disonesti o coloro a cui non interessa nulla nemmeno della sorte dei propri figli. Chiunque, onesto e serio, compresa anche la casalinga di Voghera, è in grado di capire e recepire la fattibilità e la lungimiranza di una politica in questo tipo poiché c’è tutto dentro. Ci sono i valori, c’è la salute, c’è l’occupazione, c’è l’economia, c’è il rispetto per l’ambiente e per gli altri, c’è la qualità della vita, c’è il senso di appartenenza e di comunità, c’è il genio italico, c’è la valorizzazione del territorio, c’è il non fare rimanere indietro nessuno, c’è la preservazione di quello che abbiamo per i nostri figli e nipoti, c’è la visione allargata che riesce ad abbracciare anche chi è lontano ma che può beneficiare delle conseguenze positive di quello che può fare un paese che si incamminasse decisamente in questa direzione, c’è la conservazione della memoria storica, c’è la salvaguardia e la valorizzazione del nostro immenso e meraviglioso patrimonio culturale. C’è tutto quello che può fare felici e serene le persone.Non si dica che è prematuro, che è troppo presto, che non è fattibile, che gli italiani non sono pronti, che non lo capirebbero, che si spaventerebbero, perché tanti lo hanno già capito e sono semmai sempre più spaventati davvero dal resto che hanno compreso li porterà dritti nel baratro. Quale infatti è l’alternativa a questa politica? Continuare a costruire in un paese già tutto cementificato e ad ogni alluvione piangere i morti? Continuare a costruire automobili e ad ogni statistica sull’inquinamento piangere i morti? Produrre e vendere oggetti e servizi superflui che impoveriscono le persone e non fanno che alimentare discariche e inceneritori e anche qui poi piangere i morti? Continuare ad inquinare tutto compreso il nostro meraviglioso mare? Dare lavori dannosi e insensati alle persone che le rendono infelici e preda di mutui e incombenze di ogni tipo, in grado di rovinare anche la famiglia più coesa? Non c’è nessuna prospettiva, tantomeno politica, nel percorrere una strada del genere. Tutto ciò non ha alcun futuro e sarà solo un infelice passato.(Paolo Ermani, “Il coraggio politico di credere a un sogno realizzabile”, da “Il Cambiamento” del 12 gennaio 2018).E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.
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Michele Proclamato: i segni del Dio che ci parla, da sempre
Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.Altra cosa è parlare del mio libro “Quando le stelle fanno l’amore”, dove occuparsi di uno scienziato capace di trasformare in equazioni insuperabili i suggerimenti onirici di una dea indiana è stato, come dire, veramente interessante e coinvolgente. Ma soprattutto, l’essermi occupato di processi cognitivi non formali e di “intuizione”, mi ha fornito lo spunto per poter affrontare con grandissimo interesse la mia nuova fatica dedicata a Giordano Bruno, forse il più grande rappresentante del “mio” sapere. Sostanzialmente, attraverso l’Ottava, posso occuparmi di quasi tutto, con la coscienza di chi sa che sulla Terra di segreti non ce ne sono molti: anzi, probabilmente solo uno, che volendo si potrebbe riassumere con soli due numeri: 5 e 8. Cosa mi ha spinto ad affrontare in un certo modo questi argomenti anche spirituali? Forse la voglia di possedere una verità che potesse soddisfarmi, che potesse dare alla mia vita un senso migliore, più nobile, capace di rendere ogni mia giornata degna di essere vissuta, al di fuori da una realtà oggi per me completamente indegna. Ma probabilmente non direi esattamente il vero, se non ammettessi che, nel momento in cui osservai per la prima volta il Rosone di Collemaggio, “qualcuno” con un’arma insuperabile, non mi avesse aiutato a scegliere la mia nuova vita.Sapete, una volta anche in Occidente si credeva agli dèi, alla loro presenza e al loro operato, e fra questi uno era particolarmente indicato per creare nuove strade, attraverso l’amore. Ebbene, Cupido con me si è comportato, come sempre, in modo piuttosto dispettoso: prima mi ha fatto innamorare di una meravigliosa frequenza in pietra, posta sulla facciata di una basilica unica. Poi ho capito che quell’amore era diretto a Dio. E così oggi so che l’Ottava non è altro che la codifica di una creazione divina, dove non c’è posto per le civiltà incapaci di creare senza distruggere. La codifica del Rosone di Collemaggio e del suo Labirinto, il sapere dell’Ottava, Celestino V, Giordano Bruno. E ancora: Pitagora, i cinque intervalli di quinta, la lista dei Re sumerica, i numeri di Fibonacci e lo zodiaco di Dendera. Qual è il filo conduttore che lega questi grandi pensatori ed opere che si distanziano tra di loro di millenni? Tutti questi popoli e grandi pensatori sapevano che il suono, il numero, la geometria, il tempo, la luce, il movimento, il colore e il calore, ma soprattutto la forma, sono tutte espressioni del pensiero divino. Tutti sapevano che la realtà è “puro pensiero divino vivente”, cimaticamente concepito in modo geometrico, ma spiralicamente in grado di diventare realtà.L’Ottava è questo: è la codifica della “mente di Dio”, una mente dotata di enorme immaginazione e intuito, temperata da un ordine. E’ puro Dna codificato e donato a noi, in tempi imprecisati e imprecisabili, utile a creare qualsiasi cosa, a tutti i livelli dello sviluppo umano. E’ chiaramente qualcosa che va oltre le possibilità umane. Quale potrebbe essere il collegamento tra la Basilica di Collemaggio, Celestino V e i Templari in un quadro gnostico? Vi dico solo questo: a Collemaggio c’è un labirinto fatto dalle tre Ottave; intorno ad esse sono disposti 6 Graal, e per Graal ne intendo davvero l’immagine più classica. Secondo voi, Celestino V, che volle e costruì la basilica dove sarebbe diventato Papa, avrebbe disposto per caso, intorno a tre 8, un simbolo del sapere assoluto come il Graal? E, visti i suoi contatti con i Templari, questi ultimi, data la loro storia, potevano non sapere che l’uomo da sempre dispone di una “scienza” in grado di creare civiltà? Tutti, a certi livelli, sapevano. Hanno sempre saputo e hanno bramato il “segreto dell’Ottava”: ovunque, in tutto il mondo. Le piramidi egizie sono state fatte da una civiltà che nulla ha a che fare con le nostre, anche se millenarie. Una civiltà in grado di utilizzare la scienza platonica, di cui sono una delle più lampanti dimostrazioni.Cosa penso del prossimo futuro? L’uomo, in qualsiasi momento, può e potrà cambiare il suo destino, poiché i modi con cui l’universo dialoga con lui sono molti, diretti e indiretti. Dialoga in modo diretto, quando suoi figli “altri”, qui da sempre, tanto si danno da fare per proteggere il pianeta, anche attraverso “cerotti” di migliaia di metri quadri, volgarmente chiamati Cerchi nel Grano: veri e propri talismani, in grado di curare un essere umiliato e ferito come il nostro pianeta e di risvegliare migliaia di persone al sapere degli dèi. In modo indiretto dialoga quando, psichicamente, interviene su di noi, per esempio attraverso un semplice sogno fatto da una sintesi numerica ben precisa, come può essere questa: 8 – 12 – 24 – 36 – 48 – 72, eccetera, in grado di mettere in moto l’anima di tutti, verso un Dio e delle civiltà che per noi trepidano, operano e si disperano da millenni. Il problema, oggi, non è posto nel numero-soglia ottenibile, bensì nel tempo che ci resta per ottenerlo.David Wilcock e Nassim Haramein sono due studiosi che sanno collaborare, utilizzando ogni strada utile per ottenere il sapere con magnifici risultati conoscitivi. Ma, come al solito, noi in Italia esprimiamo singolarmente delle capacità di apprendimento non formale a volte superiori alle loro. Il tutto, però, viene vanificato dalla lingua e dal nostro assurdo provincialismo autodistruttivo. L’Italia è una terra unica, speciale: lo è sempre stata, a tutti i livelli. E se le prossime generazioni riusciranno a “cambiare canale”, forse potremo ancora esprimere personalità speciali e invidiate da tutto il mondo, come un tempo. Era dell’Acquario, inversione dei poli magnetici, precessione degli equinozi, profezie Hopi, calendario Maya… L’uomo sta già cambiando, e queste date e ricorrenze precessionali, che ciclicamente si ripresentano, non solo altro che trampolini disponibili all’uso di chi vuole un livello di autocoscienza superiore, sostenuto dai meccanismi stessi di rinnovamento universale. Ma le cose non succedono per tutti a allo stesso modo, alcuni uomini saranno sempre più consci della loro appartenenza, divina e non. Il nostro Dna è preparato a questo e altro: siamo stati creati per appartenere a questo cosmo e ai suoi compleanni solari, tutto qui. Altre interpretazioni, spesso ingiustamente catastrofiche, servono solo a “vendere”.Ho scritto “La storia millenaria dei cerchi nel grano”, attraverso il quale faccio passare il messaggio della loro presenza da sempre. Qual è la loro origine e perchè da sempre la vita degli esseri umani è accompagnata da questi fenomeni? Capiamoci. Il “sapere” dei cerchi è sempre stato sulla Terra. Si è espresso in migliaia di modi, creando civiltà, cultura, tecnologia, arte e spiritualità. La sua origine è quanto di più enigmatico e lontano si possa concepire, a meno che non si eccepisca una costante presenza “altra”, di una o più civiltà, in grado di domare il tempo, codificare Dio, superare con successo la dicotomia scienza–spiritualità e…viaggiare. La pseudoscienza cimatica? L’ho definita così, perché ufficialmente la cimatica non è diventata una scienza. Vero è che può darci un’idea di come un essere androgino possa geometricamente prepararsi a diventare tutto, attraverso 8 frequenze temporali ben precise. Il pianeta Nibiru? Posso solo dire che riuscii a codificare il Rosone di Collemaggio attraverso il Piatto del Pinches, un reperto di cui Sitchin parlava con dovizia di particolari, proprio nell’ambito della tecnologia mesopotamica, secondo lui di chiara provenienza Anunnaki.Molti pensatori, come Edgar Cayce e Gustavo Rol, anche definiti chiaroveggenti, hanno da sempre sostenuto che il pianeta Terra ha una sua memoria, una vibrazione energetica fatta di ricordi ove tutto è registrato. In questa memoria, definita Akascica, si sostiene sia possibile leggere tutto ciò che è avvenuto dal momento della creazione. Giordano Bruno definiva i pianeti e le stelle “animali”, poiché dotati di anima. Quindi, esseri dotati di un’anima e di un livello di autocoscienza simile a quello di un pianeta, hanno tutti i numeri per avere anche una memoria trasmissibile a degli esseri come noi che, chiaramente, si dimostrano inferiori al loro stato animico. L’Akasha può esistere: è trasmissibile a livello planetario e universale. Viviamo in modo frattale in un immenso essere vivente – capace esprimersi, come noi, attraverso tutta una serie di capacità mentali. Ci si può aiutare a vivere diversamente, frequentando luoghi preposti da secoli alla crescita dell‘animo. Oggi ci siamo dimenticati di come il simbolo, il numero, l’immaginazione, l’intuito, possano diventare un modo per rapportarsi con luoghi in grado di parlare “la lingua di Dio”. Vogliamo vivere diversamente? Io conosco solo un modo. Ho amato e riamato una basilica nella quale la geometria ancora integra di un pavimento sussurrò al mio intuito come tutto, intorno a noi, è vivo e parlante. E come nulla, davvero nulla, sia stato fatto per caso, nel creato. Quel sussurro silente, per alcuni attimi, mi ha permesso di “smettere di pensare”. E finalmente mi ha dato il modo di “essere” – ora, adesso – seguendo una cosa sola: “La luce, che tutte le conosceneze contiene”.(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate alla redazione di “Altrogiornale” in un post ripreso da “La Crepa nel Muro” il 12 dicembre 2017).Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.
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Wired: nessun asteroide-killer colpirà la Terra il 25 febbraio
Rieccoci a scrivere di armageddon, asteroidi e meteoriti pure nel 2017. Dagli ultimi giorni di gennaio in poi è circolata, non solo in Italia ma in gran parte del mondo, una bufala secondo cui un asteroide starebbe per colpire la Terra, presumibilmente il prossimo sabato 25 febbraio. La storia falsa è stata ripresa da diversi siti e testate giornalistiche, in modi un po’ diversi. Ma come stanno davvero le cose? Lo scorso 27 novembre i telescopi della missione NeoWise della Nasa hanno individuato un oggetto spaziale relativamente vicino alla Terra, battezzato WF9. Tecnicamente si tratta di un Neo (Near Earth Object, ossia un oggetto vicino alla Terra) di dimensioni stimate tra 500 metri e un chilometro di diametro. Secondo gli astronomi della Nasa, che hanno pubblicato tutte le informazioni sulla scoperta il 29 dicembre, il periodo orbitale di WF9 è poco meno di 5 anni terrestri, e il prossimo 25 febbraio sarà il giorno di maggior vicinanza al nostro Pianeta, in cui la distanza tra noi e WF9 sarà poco superiore ai 50 milioni di chilometri. Tanto per fare un confronto, la distanza Terra-Luna è di 384mila chilometri, dunque stiamo parlando di un oggetto che passerà a una distanza oltre 100 volte maggiore di quella che ci separa dalla Luna.Oppure, la distanza è pari a circa un terzo di quella che ci separa dal Sole. Insomma, con queste premesse non si può dire che saremo “sfiorati” o “colpiti”: si tratta certo di un importante appuntamento per la ricerca astronomica, ma non di un rischio concreto per il nostro Pianeta. Catastrofismo gratuito: «Tra un mese la Terra sarà colpita da un asteroide che innescherà tsunami distruttivi. L’asteroide in questione è stato identificato dalla Nasa, che tiene sotto controllo la sua traiettoria che dovrebbe passare a circa 51 milioni di chilometri di distanza dalla Terra». Così iniziano gli articoli pubblicati da “Libero” e da “Rete News 24”, che lanciano un allarme per un evento che viene dato per certo, negando il tutto appena qualche parola dopo. “Radio 105” in un altro articolo rilanciato da “Libero” dà delle certezze: «Sull’arrivo e sulle conseguenze dello tsunami non sembrano esserci dubbi», perché «quando si entra nel campo dell’astronomia, tempo e spazio assumono tutto un altro significato» (quale?), mentre l’unica incertezza sarebbe sulla data dell’impatto. La fonte della notizia è apparentemente il “Daily Mail”, giornale online d’oltremanica noto per l’utilizzo di strategie acchiappa click come l’esagerazione e l’allarmismo ingiustificato.In questo caso il tabloid britannico ha pubblicato l’intervista a un certo Dyomin Damir Zakharovich, un russo sedicente astronomo che viene definito un “catastrofista” (quasi fosse una qualifica) e preannuncia effetti devastanti sul nostro pianeta. Oltre a tsunami e terremoti, nelle più disparate versioni della bufala raccolte da Query si legge che il diametro potrebbe arrivare oltre i due chilometri, che l’urto con la Terra potrebbe rilasciare un’energia equivalente a 3mila bombe atomiche e distruggere intere città. In qualche caso la data dell’impatto sarebbe anticipata al 16 febbraio. Di Zakharovich invece si trova ben poco online, solo una fantomatica laurea conseguita a Mosca e un video in cui si dichiara il suo passato (non confermato) da collaboratore scientifico di Putin. Non c’è traccia di pubblicazioni scientifiche o di attività accademica e tutte le informazioni sono in rete da meno di un anno, dunque è plausibile che si tratti di un’identità fittizia creata da qualche burlone anonimo.Complotto versione 1 – la Guerra fredda. Leggendo la bufala tra le righe, si nota che nel gioco delle parti della politica internazionale la Russia avrebbe il ruolo dello Stato paladino, mentre agli Stati Uniti e alla Nasa spetterebbe il ruolo degli oscurantisti che «evitano di diffondere la notizia solo per non creare allarmismi». Zakharovich sarebbe infatti sotto la protezione di Putin, che lo avrebbe contattato consigliandoli di non uscire dalla Russia per tutelare la propria incolumità e continuare a gridare al mondo la verità. Gli Stati Uniti, al contrario, «consapevoli del pericolo» starebbero tentando in tutti i modi di insabbiare la storia, smentendo tutte le notizie sull’asteroide già note da almeno un anno, incluso il suo legame con il pianeta Nibiru. Secondo questa teoria anche le dimensioni di WF9 sarebbero sottostimate per un inganno della Nasa, accusata di mentire per «evitare il panico» e farci credere che l’oggetto si disintegrerà una volta entrato in contatto con la nostra atmosfera.Complotto versione 2 – Nibiru. Un anno fa sui giornali è stata annunciata la scoperta del Pianeta 9, un corpo celeste nascosto nella fascia Kuiper alla periferia del Sistema Solare che potrebbe essere grande dieci volte la Terra. Una vera manna per le teorie del complotto, che hanno finalmente potuto dare un’identità al leggendario pianeta killer Nibiru, nascosto ai margini esterni del Sistema Solare ma destinato a impattare la Terra. Nonostante i calcoli astronomici abbiano già stabilito che il Pianeta 9 segue un’orbita che si mantiene sempre a grande distanza da noi (oltre 200 volte la distanza Terra-Sole), secondo Zakharovich l’oggetto spaziale in avvicinamento sarebbe un frammento del pianeta Nibiru. In attesa di schiantarsi sulla Terra (pare sia a ottobre, secondo le stesse fonti), Nibiru starebbe ruotando in senso inverso rispetto agli altri Pianeti e perciò – non si sa perché – starebbe scagliando nello Spazio alcuni frammenti di roccia.(Molte) certezze e (pochi) dubbi scientifici. Oggi siamo finalmente in grado di fare previsioni accurate sulla traiettoria dei corpi celesti di gran parte del Sistema Solare. Gli oggetti spaziali potenzialmente pericolosi per la Terra sono monitorati lungo le proprie traiettorie, tramite modelli matematici avanzati che tengono conto delle interazioni gravitazionali. Se davvero un enorme sasso stesse puntando dritto verso di noi, lo sapremmo con un discreto anticipo. E dovendo scegliere se fidarsi di un tale Zakharovich – identificabile come un esponente di una teoria del complotto priva di fondamento scientifico e di prove – o del parere della Nasa, suona strano che certi giornali pongano le due versioni sullo stesso piano, facendo credere che si tratti di un dibattito tra due schieramenti equivalenti di pari autorevolezza.L’unico dubbio che gli scienziati hanno su WF9 è di natura tecnica: non è ancora stato stabilito se si tratti di un asteroide o di una vecchia cometa. Il confine tra le due categorie è molto sfumato, infatti potrebbe trattarsi sia di un asteroide ma anche di una antica cometa ormai così vecchia da non avere più una coda visibile, nemmeno quando si avvicina al Sole. L’orbita, la bassa riflettività e il conseguente colore scuro secondo la Nasa farebbero pensare a una cometa, ma è assente la caratteristica nuvola di gas e polvere che dovrebbe originare la coda. Una delle ipotesi, ancora da verificare, è che si tratti di una cometa che col tempo ha perso la maggior parte delle componenti volatili che di solito di trovano sulla superficie.(Gianluca Dotti, “Nessun asteroide colpirà la Terra il 25 febbraio”, da “Wired” del 3 febbraio 2017).Rieccoci a scrivere di armageddon, asteroidi e meteoriti pure nel 2017. Dagli ultimi giorni di gennaio in poi è circolata, non solo in Italia ma in gran parte del mondo, una bufala secondo cui un asteroide starebbe per colpire la Terra, presumibilmente il prossimo sabato 25 febbraio. La storia falsa è stata ripresa da diversi siti e testate giornalistiche, in modi un po’ diversi. Ma come stanno davvero le cose? Lo scorso 27 novembre i telescopi della missione NeoWise della Nasa hanno individuato un oggetto spaziale relativamente vicino alla Terra, battezzato WF9. Tecnicamente si tratta di un Neo (Near Earth Object, ossia un oggetto vicino alla Terra) di dimensioni stimate tra 500 metri e un chilometro di diametro. Secondo gli astronomi della Nasa, che hanno pubblicato tutte le informazioni sulla scoperta il 29 dicembre, il periodo orbitale di WF9 è poco meno di 5 anni terrestri, e il prossimo 25 febbraio sarà il giorno di maggior vicinanza al nostro Pianeta, in cui la distanza tra noi e WF9 sarà poco superiore ai 50 milioni di chilometri. Tanto per fare un confronto, la distanza Terra-Luna è di 384mila chilometri, dunque stiamo parlando di un oggetto che passerà a una distanza oltre 100 volte maggiore di quella che ci separa dalla Luna.
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Benigni signorsì, adesso la super-Costituzione è un inferno
Alcuni anni fa Benigni volle manifestare la propria venerazione per la Costituzione italiana dando vita a uno spettacolo dal titolo molto eloquente: “La più bella del mondo”. Lesse e commentò, con l’entusiasmo e le doti di trascinatore che tutti gli riconoscono, i primi dodici articoli del testo, quelli contenenti i “principi fondamentali”. Parlò con ammirazione della semplicità e forza poetica con cui si affermano due principi rivoluzionari: quello per cui “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1) e “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” (art. 3). Si soffermò sulla magia che consentì a personalità politiche eccezionali, pur provenienti da culture politiche molto diverse, di produrre insieme un testo invidiatoci da tutto il mondo. Lo spettacolo venne trasmesso da mamma Rai nel dicembre 2012, quando era presidente del Consiglio Mario Monti, qualche giorno prima che il Parlamento decidesse con maggioranza bulgara di sfregiare “la più bella del mondo” costituzionalizzando il principio del pareggio di bilancio (art. 81). Ora però la geografia politica è cambiata: a Palazzo Chigi siede Renzi. E questi ha deciso di modificare profondamente la Costituzione italiana, riscrivendo ben 47 articoli su 139.
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Francia in tumulto: si prepara a minacciare l’uscita dall’Ue
Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.La lunga crisi economica in cui è sprofondata la Francia sta per riscuotere il suo tributo, politicamente parlando: «Ha mandato in pezzi prima il centrodestra e poi il centrosinistra francese, e ora minaccia la stessa Quinta Repubblica», scrive Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. L’ex presidente gollista Nicolas Sarkozy è tornato alla ribalta mediatica «lanciando la scommessa del proprio ritorno sulla scena con la proposta di un pacchetto di politiche di ultra-destra mai viste in tempi recenti nelle democrazie europee occidentali». Ma il tumulto nella sinistra è altrettanto rivelatore: Arnaud Montebourg, l’enfant terrible del partito socialista, ha lanciato la propria sfida contro il governo Hollande, definito «regime politico da destra tedesca». Nel mirino, Bruxelles: «Penso che l’Unione Europea sia arrivata a fine corsa, e la Francia non ha più alcun interesse a farvi parte. L’Unione Europea ci ha lasciati impantanati in una crisi anche molto tempo dopo che il resto del mondo ne era uscito». Montebourg chiede una sospensione unilaterale delle leggi europee sul lavoro: «Per quanto mi riguarda, gli attuali trattati sono scaduti». E annuncia uno “sciopero” contro l’Ue: «Non possiamo più accettare questa Europa».In altre parole, spiega Evans-Pritchard, Montebourg «se ne vuole andare da dentro – come stanno già facendo la Polonia e l’Ungheria – cioè senza sollevare nessuna clausola tecnica o legale». E la sua accusa contro Hollande è devastante: le politiche di rigore hanno inevitabilmente portato a milioni di persone disoccupate. «Non si sono mai smossi dal loro catechismo e dalle loro false certezze», dice Montebourg. I socialisti hanno pagato un prezzo salato per la loro cieca arroganza: hanno ottenuto solo il 15% dei voti dalla classe lavoratrice nelle recenti elezioni, mentre il Front National di Marine Le Pen ha mietuto il 55%. La doppia contrazione – fiscale e monetaria – ha gettato la già prostrata economia dell’Eurozona in una seconda recessione, osserva Evans-Pritchard. «Tutto ciò è stato aggravato da una stretta fiscale che è andata ben oltre qualsiasi possibile dose terapeutica, ed è stata imposta da un ministro delle finanze tedesco accecato da un’ideologia pre-moderna», il terribile Wolfgang Shaeuble, «e seguita servilmente da tutti gli altri». Ed ecco il punto: «La Francia avrebbe forse potuto mobilitare una maggioranza di paesi europei per bloccare questa follia, ma né Sarkozy né Hollande sono stati disposti ad affrontare Berlino».Entrambi i presidenti francesi «sono rimasti legati religiosamente all’accordo franco-tedesco, o almeno alla sua illusione totemica». Il risultato? «Un decennio perduto, e una retrocessione del lavoro che ridurrà le prospettive di crescita dell’Eurozona per molti anni ancora». Osserva ancora il giornalista economico inglese: «Non sapremo mai se la disoccupazione giovanile di massa nei quartieri nordafricani delle città francesi ha avuto un ruolo nella diffusione della metastasi jihadista lo scorso anno, ma certamente è stato uno degli ingredienti». Per contro, la tendenza anti-Ue che ormai investe trasversalmente la Francia dimostra che, se la “regia occulta” del terrorismo mirava a ottenere la rassegnazione dei francesi anche rispetto alle misure più impopolari dettate dall’élite finanziaria, come la Loi Travail, il Jobs Act transalpino, i francesi non ci stanno. Anche perché l’analisi della situazione è deprimente: «L’austerità fiscale è terminata, ma l’economia francese non è ancora abbastanza forte da risolvere le patologie sociali che tormentano il paese. Nel secondo trimestre la crescita è ritornata a zero».Per Evans-Pritchard, «il grande danno politico, comunque, si è già consumato: non serve aggiungere che la Francia ha anche una serie di problemi economici che non c’entrano con l’Ue. Il modello sociale è basato su tasse punitive sull’occupazione e crea uno dei peggiori cunei fiscali al mondo. Appena un quarto dei francesi tra i 60 e i 64 anni lavorano, rispetto al 40% della media Ocse. Questo è dovuto a incentivi per il pensionamento precoce. Lo Stato spende il 56% del Pil, cioè l’equivalente dei paesi nordici, senza però avere la flessibilità del lavoro che c’è nei paesi nordici». E ancora: «Ci sono 360 diverse tasse, alcune delle quali in vigore da prima della Rivoluzione Francese. I sindacati hanno per legge un presidio in tutte le aziende oltre i 50 dipendenti, eppure hanno un tasso di partecipazione di appena il 7%». Per Brigitte Granville, economista alla Queen Mary University di Londra, «è un inferno che purtroppo non ha nemmeno la poesia di Dante». Di fatto, «si è tergiversato per tutti gli anni del boom dell’euro e ora è troppo tardi. Ora la Francia è intrappolata nella camicia di forza dell’unione monetaria». Secondo il Fmi, il tasso di cambio reale è sopravvalutato del 9% (e rispetto alla Germania del 16%). «L’unico modo pratico con cui la Francia può riguadagnare competitività è tramite una profonda deflazione rispetto al resto dell’Eurozona, ma questo prolungherebbe la crisi e sarebbe devastante per il Pil e la dinamica del debito. Sarebbe autolesionista».Per Evans-Pritchard, Montebourg ha ragione a concludere che la Francia sarà paralizzata fino a che non riprenderà gli strumenti della propria sovranità. Quanto a Sarkozy, sta «aggirando questo elemento essenziale». Il suo manifesto-shock «chiede la fine del primato legale Ue rispetto alla legge francese e chiede l’abrogazione del Trattato di Lisbona, quello stesso trattato che lui, Sarkozy, aveva introdotto con prepotenza al Parlamento francese dopo che era stato respinto dagli elettori francesi in un referendum sotto la guisa di “Costituzione Europea”». Ma il suo maggior ardore, continua Evans-Pritchard, è riservato alla guerra culturale e alla “riduzione drastica” del numero degli stranieri. «Sarkozy promette di porre sotto controllo l’Islam in Francia, con gli imam che dovrebbero riferire le proprie attività al ministero degli interni». L’appello di Sarkozy alla “identità francese” punta direttamente al Front National, «e questo dice molto sulla devastazione dello scenario politico dopo anni di depressione».Marine Le Pen è davanti a Sarkozy nei sondaggi, con un sostegno dell’elettorato vicino al 30% grazie a un impetuoso mix di ricette economiche di sinistra e nazionalismo di destra, con un richiamo diretto agli anni ’30. Ha promesso di «far finire l’incubo dell’Unione Europea». Un sondaggio Pew risalente a giugno svela il 61% degli elettori francesi ha un’opinione “sfavorevole” dell’Ue, un dato addirittura più alto che in Gran Bretagna. Il professor Thomas Guénolé della “Sciences Po” di Parigi avverte: «Per quanto possa sembrare incredibile, un referendum sul ‘Frexit’ verrebbe probabilmente perso dalla fazione europea. Come nel Regno Unito, il ‘leave’ vincerebbe». Per “Le Figaro”, il Brexit ha cambiato profondamente la situazione: «I sostenitori della costruzione europea avevano preso l’abitudine di difendere l’Europa con argomenti catastrofisti, con l’idea che l’uscita avrebbe provocato nuove guerre o collassi economici. Ma ora la Gran Bretagna sta uscendo ed è evidente che non avverrà nessun cataclisma economico e nessuna grossa crisi geopolitica».Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.
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Brexit, il sogno si avvera: torna il fantasma della democrazia
Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.Brexit suona davvero come fine del mondo, di quel mondo: dal “there is no alternative” di Margaret Thatcher negli anni ‘80 al “padroni a casa nostra” del fatidico 2016. Non c’è alternativa all’iper-liberismo totalitario, neo-aristocratico e privatizzatore del regime fiscale del 3%, dell’Eurozona e del Ttip? A quanto pare, gli inglesi non concordano: una alternativa deve per forza esistere, altrimenti finisce anche il popolo – inteso come comunità votante, sociale ed economica. Da Londra sembra levarsi un boato, destinato ad assordare l’Occidente, fino a coprire di ridicolo anche i più recenti belati italiani: «Noi non siamo mai stati contrari all’Unione Europea, vorremmo solo che fosse un po’ più democratica», ha ripetuto di recente in televisione il grillino Di Battista, nel solco del Casaleggio che, alla vigilia delle europee, dichiarò a Marco Travaglio: «Noi non siamo contrari all’euro». Come se lo scenario fosse dominato dalla paura di dover sfidare apertamente un regime tenebroso, capace di tutto.Aspettiamoci qualsiasi cosa, scrive Federico Dezzani sul suo blog: dal voto inglese fino alle elezioni americane, c’è da temere colpi di coda inimmaginabili. Chi ha cercato in ogni modo di evitare la Brexit adesso farà l’impossibile per sbarrare la strada a Donald Trump, l’imprevedibile tycoon si cui il super-potere non si fida, anche perché – in mezzo a tante chiacchiere confuse e violente – accusa Obama e la Clinton per l’affermazione dell’Isis in Siria e blatera di accordi strategici con la Russia per porre termine alla sporchissima “guerra infinita” che sta ininterrottamente insanguinando il mondo a partire dall’11 Settembre. In questa chiave, hanno ripetuto svariati analisti, va letta anche la strategia della tensione in atto dal Medio Oriente agli Usa, fino agli attentati europei di Parigi e Bruxelles. Segnali che indicano che l’élite del “there is no alternative” è spaccata e inquieta, una parte del vertice planetario si sta defilando di fronte al conto spaventoso dei costi umani della privatizzazione globale, a partire dal massacro della Grecia, con guerre ovunque e l’esodo biblico dei profughi. Ma il voto inglese supera le manovre di vertice, e rimette in campo il fantasma di gran lunga più temuto dagli architetti del medioevo Ue: quello della democrazia.Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.
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Lerner: proni ai diktat Ue, il Grillo no-euro vi punirà
Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».La stessa contrarietà dichiarata da Grillo all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, aggiunge Lerner, conferma che il leader del M5S «vuole assecondare la sindrome da invasione straniera, impersonata altrove dai partiti populisti e xenofobi antieuropei, per offrirsi così come punto di riferimento all’elettorato di destra in libera uscita». Sfumature “strumentali” a parte, il progetto di Grillo è ambizioso: «Mira infatti a una clamorosa bocciatura per via elettorale di quegli “stupidi” parametri con cui, vent’anni fa a Maastricht, si diede vita a una Unione prima finanziaria e monetaria che politica». Parametri «inaspriti ulteriormente, sotto i colpi della recessione, con i vincoli di bilancio pretesi dalla cancelleria di Berlino», e col rubinetto della liquidità creditizia gestito col contagocce dalla Bce. «Grillo sa di riscuotere vasto consenso quando parla di “tributo di sangue” imposto dall’Europa all’Italia. Nella sua propaganda, “Imu, Iva, Tarsu, Tares, Trise sono il frutto della religione dell’austerità”. Poi, nel 2016, entrerà in vigore il Fiscal Compact, col quale “siamo condannati a trovare ogni anno 50 miliardi per i prossimi vent’anni”. Senza peraltro che ciò garantisca il ripianamento del nostro debito pubblico».Ecco l’argomento anti-Ue grazie a cui Grillo confida di imporsi come maggioranza relativa in Italia: «Le enormi cifre che l’Europa ci impone di versare, da sole “basterebbero a riavviare la nostra economia e a fare del nostro paese uno Stato florido”. Dunque l’Europa sarebbe un impedimento anziché la levatrice della nostra rinascita». Per Lerner si tratta di «demagogia»: giudizio davvero sorprendente, e non spiegato. “Demagogia” comunque «efficacissima», quella di Grillo, specie se messa a confronto con l’uscita di Letta alla Sorbona: «Dirò qualcosa di impopolare, ma se non avessi avuto lo scudo comunitario, non avrei potuto dire no a chi in Italia faceva pressione per aumentare il debito». Se la contrapposizione resta frontale – Grillo che sconfessa i trattati europei e il governo che si trincera dietro lo “scudo comunitario” pur di non rivedere i vincoli di bilancio – l’esito delle elezioni europee è segnato, «col partito dell’austerità destinato alla sconfitta, Renzi o non Renzi», con in più l’incognita dei contraccolpi che causerebbe nell’Ue «la vittoria di un movimento antieuropeo in un grande paese come Italia».Più che antieuropeo, sarebbe meglio dire antieuropeista: cioè contro l’attuale gestione dell’Unione, frutto del disastroso europeismo finanziario dei suoi padri fondatori. Lerner giudica “drammatica”« l’irrilevanza cui sembra condannato il progetto sociale e politico di una sinistra europeista». E più che di irrilevanza, bisognerebbe parlare delle responsabilità primarie che partiti come il Pds-Ds-Pd, l’Spd e i socialisti francesi hanno assunto nell’interpretare la politica antisociale di Bruxelles – ruolo tutt’altro che irrilevante, purtroppo. Le conseguenze sono ben evidenziate dallo stesso Lerner: «Viviamo un passaggio storico cruciale in cui sembrerebbe che l’Europa dei cittadini indebitati, dei giovani disoccupati, del ceto medio impoverito, del Quinto Stato in cui confluiscono milioni di lavoratori parasubordinati, autonomi, precari, possa trovare solo nel populismo nazionalista uno sbocco politico al suo malessere».E’ come se all’analisi di Lerner mancasse un passaggio: il giornalista sembra non “vedere” l’abisso che separa «il cosmopolitismo sessantottino dei Cohn-Bendit, Langer, Fischer», da quella che chiama «la visione sociale di Delors e Prodi», cioè del “nonno” del rigore – massimo padrino europeo dell’euro-sciagura – e del super-tecnocrate professore dell’Ulivo, già presidente della Commissione Europea nonché advisor della famigerata Goldman Sachs. Grandi privatizzatori, demolitori delle fondamenta del welfare. Risultato? Quello attuale: il «vuoto di cultura della cittadinanza e del comune destino europeo», su cui in Italia giganteggia l’anziano Napolitano, «il principale interlocutore dei partner dell’Unione, e come tale appare proteso in un faticoso impegno di salvaguardia degli architravi comunitari vacillanti». La democrazia federale degli Stati Uniti d’Europa è rimasta nel grande sogno di Altiero Spinelli. «Sarebbe prezioso», conclude Lerner, che in campagna elettorale «emergesse una visione europeista disincagliata dai parametri di Maastricht e dal Fiscal compact». Non accadrà. Vincerà quello che Lerner chiama «il catastrofismo no-euro di Grillo, nutrito dai fallimenti di una tecnocrazia che s’illude ancora di trovare riparo dietro allo “scudo comunitario”».Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».