Archivio del Tag ‘centrismo’
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Il partito di Conte esiste, lo vuole Grillo. Sponsor: De Mita
Il partito di Conte? Esiste, eccome: lo vuole Beppe Grillo in persona, con l’appoggio (elettorale) di sua santità Ciriaco De Mita, 91 anni, rieletto sindaco di Nusco e nuovamente in campo con il suo nuovo progetto di partito “Italia è popolare”. Grillo e De Mita con Conte, visto il flop di Di Maio e l’avanzata incontenibile di Salvini? Ad affermarlo è Dino Iamasvili sul “Sussidiario”, dopo le ultimissime mosse del premier (che ha spiazzato Di Maio sul Tav e Salvini sul Russiagate). Attenti a De Mita, da sempre vicino all’ex comico genovese: «La sinistra Dc portò in Rai Beppe Grillo», ricorda Iamasvili. «E un demitiano a tutto tondo come il direttore generale di allora, Biagio Agnes, lo usò come un maglio contro Bettino Craxi e i socialisti con lo scopo di tenere in scacco lo scomodo partner di governo. Corsi e ricorsi». Guarda sempre avanti, De Mita, presidente del Consiglio tra il 1988 e il 1989. E’ stato tra i maggiori leader della Democrazia Cristiana negli anni Ottanta. E ora, lanciando il nuovo partito, sembra voler sparigliare le carte: «Non invento, rifaccio la sinistra Dc», ha detto al “Mattino” di Napoli. Dalla sinistra Dc viene anche l’ex ministro Vicenzo Scotti, che con il suo Link Campus ha dato una formazione universitaria a parecchi grillini. Il cerchio si chiude calcolando che proprio Conte ha la stima di Mattarella, altro veterano della sinistra Dc.Quanto a De Mita, la presentazione ufficiale del nuovo soggetto politico è avvenuta il 1° luglio, ma entro ferragosto tutto sarà pronto perché il neo-partito diventi realtà. De Mita non esclude alleanze col Pd per le regionali in Campania, ma resta in sintonia con molti temi grillini. «Giuseppe Conte, presidente del Consiglio di matrice grillina ma di animo moroteo – osserva Iamasvili sul “Sussidiario” – si è più volte definito “un centrista radicale”». Per l’analista, si tratta di «una contraddizione solo apparente, perché suggerisce la volontà di inserirsi in un solco storico che l’ultima deriva post-Mani Pulite ha annientato e assorbito: quello della Democrazia Cristiana di sinistra, guarda caso quella di De Mita». Una tradizione politica che significa «associazionismo cattolico, terzo settore, capacità di relazione con il liberalismo europeo e con gli Stati Uniti, ideologia di conservazione e tenuta che tiene in gran conto le istituzioni (infatti Conte ha ribadito, a dispetto di Salvini, la volontà di essere trasparente davanti al Parlamento)».Ma la verità sul “partito di Conte”, scrive Iamasvili, è semplice e tremenda insieme: «Il partito di Conte lo vuole Beppe Grillo in persona». Il fondatore del Movimento 5 Stelle «ha capito che il movimento, senza alleati, non ha futuro». Non solo: «Ha capito di aver preso al Sud il voto degli elettori di centro e con forti pulsioni stataliste. E ha capito che Di Maio è ancora acerbo e in parte già caricaturale, a forza di giustificare le “toninellate” e i “mandati zero”. Conte, invece, conserva intatto non solo il suo aplomb, ma anche un consenso inaspettato». Vero: nei sondaggi, il “premier venuto dal nulla” avrebbe la stima del 51% degli italiani, contro il 48% di Salvini (e il 29% del declinante Di Maio). «Ben venga allora la carta Conte in casa 5 Stelle», scrive Iamasvili. «Salvini ci ha messo un po’ a capirlo, e non gli è piaciuto». Specie quando Conte, «su disposizione del suo azionista di riferimento, anche lui moroteo e della sinistra Dc e con molti capelli bianchi» (Mattarella), si è recato in Senato e, «fingendo di difenderlo lo ha inchiodato alle sue responsabilità. Come un vero leader di partito».Il partito di Conte? Esiste, eccome: lo vuole Beppe Grillo in persona, con l’appoggio (elettorale) di sua santità Ciriaco De Mita, 91 anni, rieletto sindaco di Nusco e nuovamente in campo con il suo nuovo progetto di partito “Italia è popolare”. Grillo e De Mita con Conte, visto il flop di Di Maio e l’avanzata incontenibile di Salvini? Ad affermarlo è Dino Iamasvili sul “Sussidiario”, dopo le ultimissime mosse del premier (che ha spiazzato Di Maio sul Tav e Salvini sul Russiagate). Attenti a De Mita, da sempre vicino all’ex comico genovese: «La sinistra Dc portò in Rai Beppe Grillo», ricorda Iamasvili. «E un demitiano a tutto tondo come il direttore generale di allora, Biagio Agnes, che lo usò come un maglio contro Bettino Craxi e i socialisti con lo scopo di tenere in scacco lo scomodo partner di governo. Corsi e ricorsi». Guarda sempre avanti, De Mita, presidente del Consiglio tra il 1988 e il 1989. E’ stato tra i maggiori leader della Democrazia Cristiana negli anni Ottanta. E ora, lanciando il nuovo partito, sembra voler sparigliare le carte: «Non invento, rifaccio la sinistra Dc», ha detto al “Mattino” di Napoli. Dalla Dc viene anche l’ex ministro Vicenzo Scotti, che con il suo Link Campus ha dato una formazione universitaria a parecchi grillini. Il cerchio si chiude calcolando che proprio Conte ha la stima di Mattarella, altro veterano della sinistra Dc.
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Tasse, sicurezza, migranti: il sovranismo non è passeggero
Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.Dall’altro versante ritorna in campo la sinistra con posizioni esattamente opposte ai sovranisti in tema di Europa e di migranti, di bioetica e di sicurezza, di economia e di sovranità. È una forza di netta minoranza, che oscilla tra il 22 e il 28 per cento, se si considera l’intero versante sinistro, inclusa la Bonino, pur con forti insediamenti in alcune città e una vasta ramificazione nei gangli vitali della società e nelle élite: nella scuola e nella cultura, nella magistratura e nella stampa. Sul piano elettorale non è stata particolarmente significativa la rimonta elettorale del Pd. Essere all’opposizione di un governo diviso su tutto e attaccato massicciamente, agitare i mostri del passato, il nazismo e il razzismo, avere dalla propria parte i media e i poteri europei, vedere decomporsi il Movimento 5 Stelle, e vedere crescere “la destra” a un livello che non c’è mai stato, non mi pare un gran risultato per la sinistra. La polarizzazione intorno a Salvini avrebbe dovuto farla crescere molto di più. Ma al di là della contabilità elettorale, il Pd rappresenta un’area, un mondo, una posizione antagonista rispetto al fronte sovranista. Qual è il nemico ideologico del sovranismo? Sul piano negativo è l’antifascismo, sul piano “positivo” è l’ideologia dell’accoglienza. La sinistra in Italia oggi è attestata nella versione secolare del bergoglismo.Non trovano spazio e ruolo, invece, le forze che si pongono al di fuori di questa polarizzazione, dal centrifugo Movimento 5 Stelle al centrista ondivago Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle ha funzionato come collettore del dissenso e raccoglitore dei malesseri e dei rancori popolari, ma non funziona come forza di governo e come catalizzatore di opinioni e programmi; non si inserisce con un suo orientamento sui temi decisivi del nostro presente. I grillini sono inconsistenti sul piano dei contenuti e perciò sono alleati con una forza che reputano di destra ma, per differenziarsi, si conformano al trend della sinistra. Lo schema vecchio-nuovo e sistema-antisistema funziona finché non sei al governo. Da parte sua, Berlusconi si è battuto come un leone ma ha confermato il suo declino; del resto non si può puntare su una ristampa anastatica di se stesso, in versione plastificata, e fingere di essere ancora al centro dell’universo, strizzando l’occhio ora al versante populista ora al versante opposto. Fino a ieri si poneva come garante dei sovranisti, oggi come argine contro i medesimi e si apre alla grosse koalition con la sinistra europea. E poi si chiede perché Salvini e Meloni (e tanti elettori) non si fidano di lui…I sovranisti sono cresciuti in mezza Europa, sono primo partito in Francia, in Inghilterra, in Ungheria, in Polonia e in Italia. Ma, come prevedevamo, saranno pure più influenti ma gli assetti europei di potere in sostanza non cambieranno, si estenderanno solo le alleanze. Dunque non ci sarà alcun terremoto a livello europeo. E in Italia? Anche qui non si prevedono terremoti politici ma scosse di assestamento, secondo quando annunciato dagli stessi protagonisti, a cominciare da Salvini. Il baricentro del governo passerà dai grillini ai leghisti e vedremo se questo sarà concretamente praticabile e se potrà perdurare. Non si intravede, per ora, una svolta come quella auspicata dalla Meloni. Accadrà solo se i 5 Stelle sceglieranno la via dell’opposizione, giubilando Di Maio. Insomma, il test europeo colpisce ma non stravolge gli assetti presenti né in Europa né in Italia.Cosa impedisce allora di ritenere che il grande successo della Lega sia passeggero, come è già accaduto in passato ad altri trionfatori delle elezioni europee? Una considerazione: l’onda sovranista tocca temi non passeggeri ma strutturali, destinati a durare nel tempo. E il sovranismo nostrano si collega a un quadro mondiale che va da Trump a Orban, passando per Marine Le Pen e tanti altri leader nazional-populisti vincenti nel mondo, dall’India al Brasile. Dunque saranno pure variabili gli umori dell’elettorato e saranno pure passeggeri i trionfi dei leader, come mostrano le parabole di Renzi, Di Maio, ecc.; ma quei temi, quegli orientamenti, quegli schieramenti delineati indicano tendenze marcate, destinate a durare. Il bipolarismo è rinato nella società civile prima che nella politica, e guai a chi finge di non vederlo. Si vedrà se i leader e le forze in campo saranno all’altezza di rappresentarlo oppure no.(Marcello Veneziani, “Il sovranismo non è un fenomeno passeggero”, da “La Verità” del 29 maggio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.
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Magaldi: a casa, con Renzi, tutti i dirigenti dell’ipocrita Pd
E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale: «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».Le elezioni? Tutto come previsto: il grande sconfitto è Renzi, che ha solo finto di alzare la voce con l’Ue. L’altro perdente annunciato è Berlusconi, «quindi esce sconfitto quell’auspucio, caldeggiato anche da ambienti sovranazionali, che è stato uno dei moventi di questa legge elettorale». Sipario sul “Renzusconi”, cioè sulle larghe intese «convergenti verso questa melassa centrista infeconda che ha caratterizzato anche le passate legislature, da Monti in poi: esecutivi che hanno fatto tutti lo stesso mestiere, a quanto pare inviso agli italiani, che questa volta hanno dato una bella bastonata a questa prospettiva». Così Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio” il giorno dopo il voto. Una tornata ricca di conferme: «Come immaginato, nessuno ha vinto davvero: grandi exploit da Salvini e dai 5 Stelle, ma nessuno di loro ha i numeri per governare da solo». Terza previsione azzeccata: «Nulla sarà più come prima», ma siamo piombati in una palude: «E le paludi sono feconde, come il concime». Mattarella darà la precedenza al centrodestra, la coalizione meglio piazzata, o ai 5 Stelle primo partito? Un’alleanza tra grillini e Pd de-renzizzato «sarebbe un abbraccio singolare, dopo che il Pd ha demonizzato i 5 Stelle come fossero gli Unni». Eppure, «questa alleanza potrebbe vedere il favore di Mattarella, ed è quella verso cui si è mosso Di Maio». Per contro, escludere i 5 Stelle, cioè i più votati in assoluto, «sarebbe una beffa: impensabile, ai tempi della Prima Repubblica».Per Magaldi «cambieranno molte cose di giorno in giorno: ciò che oggi appare improbabile potrebbe mutare prospettiva, oltre questo scenario così ostico». Emergeranno soluzioni «difficili da concepire con gli schemi di prima del voto». Alla fine, «sulle difficoltà politiche prevarranno le possibilità numeriche». Molto dipenderà dal presidente della Repubblica: nel 2013, Napolitano dette a Bersani solo un incarico esplorativo ufficioso. «Constatando l’eccezionalità della situazione», aggiunge Magaldi, «anziché lasciare tutto all’interno nel Palazzo», il Quirinale potrebbe passare la palla al Parlamento, «per vedere chi ci sta, sulla base di un programma, a formare un governo». Certo, la “palude” è infida. Ma almeno, il voto ha stabilito una tendenza: ha reso chiaro «quello che gli italiani non vogliono». Ovvero: «C’è il desiderio di affrancarsi da un corso politico: direi che l’ingloriosa storia della Seconda Repubblica finisce qui». C’è da rivalutare semmai la tanto vilipesa Prima Repubblica, «in cui un paese in ginocchio dopo la guerra, dopo la sconfitta della barbarie nazifascista, in pochi decenni era diventato una grande potenza industriale». Ma c’era un paradigma vigente – la spesa pubblica strategica, chiave del successo storico del “made in Italy”: paradigma abbattuto dal ‘92 in poi. «E questi signori, che sono venuti a raccontarci le “magnifiche sorti e progressive” che con la Seconda Repubblica si sarebbero avverate in Italia e in Europa, oggi escono di scena», sintetizza Magaldi. «Compaiono altri attori, dalle prospettive incerte».Un voto “utile”, comunque, a ramazzare via gli orpelli polverosi. Come “Liberi e Uguali”, che Magaldi definisce «una follia pianificata». E spiega: «Solo l’immaginazione malsana e l’assenza di senso della realtà e lungimiranza di Bersani e D’Alema, Civati e Speranza, poteva immaginare che Grasso potesse essere il portavoce carismatico e ricco di appeal per un elettorato di sinistra critico verso il Pd». Se in Grasso e Bersani prevale l’ipocrisia, nel dirsi “di sinistra” sottoscrivendo il protocollo dell’euro-austerity, in Emma Bonino versione 2018 ha invece stravinto il delirio: «Sconcertante, la Bonino, nel venirci a proporre “più Europa”. Un messaggio thatcheriano: lo statista come il buon padre di famiglia che deve preoccuparsi di ripagare i debiti, come se il debito pubblico fosse il debito privato, che va ripagato perché c’è la cambiale che scade». In una macroeconomia, cioè in un sistema economico complesso, il debito pubblico – insieme all’inflazione, agli investimenti a deficit – è uno dei fattori da maneggiare con oculatezza, «sapendo che uno Stato con sovranità monetaria gestisce le cose non come una famiglia privata (che non può stampare i soldi in cantina): uno Stato più fare deficit per aumentare il Pil e diminuire così, anziché coi tagli alla sanità, il rapporto malsano tra debito e Pil».Da Emma Bonino abbiamo sentito assurdità mostruose: bloccare la spesa pubblica per i prossimi due anni, alzare l’Iva. «Questo è un paese martoriato dalle tasse, dove i consumi sono crollati e c’è l’esigenza di far circolare moneta e tenere più bassa la pressione fiscale», puntualizza Magaldi. «Soltanto dei pazzi potrebbero pensare di tagliare ancora la spesa e aumentare ulteriormente le tasse». E in campagna elettorale questo delirio ha avuto libero corso, «complice anche un linguaggio mediatico alterato». Già, infatti: «A che livello è scesa la comunicazione giornalistica, in Italia? Rappresenta le cose per come non sono. E’ lo stesso giornalismo che aveva fatto credere a Mario Monti di avere un consenso maggioritario nel paese, nel 2013, quando i giornaloni titolavano che finalmente l’Italia eta governata da illuminati professori. Monti e la Fornero ci sono stati proposti come sacerdoti del “vero” economico, per settimane, da quell’altro bel tomo di Giovanni Floris». Oltre al vecchio ceto politico, insiste Magaldi, «dovremmo rottamare un ceto mediatico corporativo, con giornalisti che si intervistano a vicenda, elevando la figura del giornalista a grande intellettuale e politologo – ma spesso è gente che non conosce nemmeno i rudimenti della storia patria, non parliamo dell’economia internazionale».Altra mistificazione: gli apostoli della Costituzione “più bella del mondo” che si professano nemici della massoneria – Di Maio in primis – dimenticando il massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigerne il testo (e il capo di gabinetto di Ruini era il grande economista Federico Caffè, insigne keynesiano). «Se vuole governare l’Italia – dichiara Magaldi – Di Maio dovrà affrancarsi dalle proprie fobie e immaturità illiberali e anticostituzionali. Nella lista di possibili ministri che ha presentato ci si richiama a John Maynard Keynes, altro notorio massone al pari di Franklin Delano Roosevelt: colonne portanti del mondo post-bellico, cioè di ciò che ha consentito il ritorno della libertà in Europa e nel mondo. Quindi merita riconoscenza quella corrente maggioritaria di massoneria che ha prima costruito e poi difeso le società aperte, liberali, parlamentarizzate e democratiche». Sono verità storiche che per Magaldi vanno finalmente acquisite, se si vuole fronteggiare davvero questa Disunione Europea «in cui vige il mercantilismo più spudorato da parte della Germania».Mercantilismo: dottrina econonica (superata dal libero mercato) secondo cui la ricchezza della nazione sta nel surplus di esportazioni. «La Germania ha violato anche i pessimi trattati vigenti, che pur essendo pessimi non consentirebbero il mercantilismo», insiste Magaldi. «Siamo al di là del pessimo: abbiamo una costruzione europea non democratica, nata dalla Dichiarazione Schuman scritta dall’ex progressista Jean Monnet convertito all’idea economicistica dell’Europa, sulle idee di Kalergi, ideatore di una costruzione quasi neo-feudale dell’Europa», a imitazione del feudalesimo carolingio. E’ un’Europa pericolosa, «fondata su un’idea di sfiducia verso la democrazia e verso la politica». Orrore: «O il potere spetta al popolo sovrano, oppure spetta a sedicenti illuminati – poco importa che utilizzino strumenti finanziari, diplomatici, militari, religiosi o mediatici. O il popolo è sovrano, o è sovrano qualcun altro», aggiunge Magaldi. «Dovremmo avere un Parlamento Europeo che rappresenta il popolo sovrano, con una potestà legislativa piena, con facoltà di fiduciare o sfiduciare un esecutivio europeo reale, al posto di questa barzotta Commissione Europea. Juncker e Tajani? Figure stucchevoli, a cui non lascerei gestire neppure un condominio, e invece sono ai vertici. Dovremmo avere un dipartimento del Tesoro e buoni del Tesoro europei che taglino alla radice qualunque cataclisma da spread, vero o presunto». Di Maio e Salvini presentati come antieuropeisti? Errore: «I veri antieuropeisti sono quelli che oggi infestano le cancellerie europee e gli organi tecnocratici di questa Unione Europea». Ma i neo-vincitori sapranno cambiare passo, verso Bruxelles?«Non vorrei che le istanze euro-critiche del Movimento 5 Stelle si andassero appannando, nel percorso politico che si avvia con queste consultazioni», dice Magaldi. «Mi piacerebbe che tutti gli schieramenti in Parlamento avessero un nuovo modo di guardare all’Europa». C’è anche un problema di legittima rappresentanza delle istanze nazionali: «L’Italia è un grande contraente dell’Ue e dell’Eurozona, eppure ha visto sfumare anche un riconoscimento simbolico come l’attribuzione dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. E’ finita in farsa, l’Italia è stata defraudata anche di questa piccola cosa. E il peggio è che si è vista la latitanza delle istituzioni italiane nel far valere le ragioni del nostro paese». Disunione Europea, appunto: «Un equilibrio di cancellerie, che perseguono scopi nazionali mascherati da un’impalcatura burocratica. Spero che tutti – non solo i vincitori relativi di queste elezioni – ripensino il modo in cui l’Italia deve stare in Europa». L’Italia? «Deve essere più autorevole: non lo è stata affatto quando è venuto il tecnocrate Mario Monti, inviato direttamente dai salotti buoni europei. L’elemento più sublime della sua narrazione era che dovessimo fare quel che ci diceva “l’Europa”, perché l’avevamo interiorizzato. Uno scenario da Grande Fratello orwelliano: abdicare al proprio libero pensiero critico e fare qualcosa che viene imposto da altri, perché eseguire senza discutere è cosa buona e giusta».Nei fatti, alla “teologia” dell’Ue si è sottomesso anche Renzi, che ora trasforma in farsa le sue dimissioni, dopo aver corso a capofitto verso la disfatta. «Sarebbe passato quasi per eroe – dice Magaldi – se solo avesse avuto il coraggio di inserire nel fatale referendum almeno il pareggio di bilancio in Costuzione, lasciando esprimere gli italiani». L’obbligo costituzionale del bilancio in pareggio, afferma Magaldi, «riporta il sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd alla destra storica di Quintino Sella, che conseguì il pareggio di bilancio nella seconda metà dell’800, quando al governo c’era il liberismo storico più bieco e spietato, che mandava Bava Beccaris a massacrare contadini, operai e povera gente che manifestava contro la tassa sul macinato e per le condizioni sociali allora davvero inique». Attenzione: su un tema come il pareggio di bilancio, di importanza capitale per la vita di tutti, non c’è stato uno straccio di dibattito mediatico: «Questo è un paese che parla a reti unificate solo di questioni irrisorie, mentre quando si votata il pareggio di bilancio gli eletti in Parlamento hanno agito come soldatini obbedienti, senza nessuna eccezione». Dov’era, il Pd? In aula, a votare: uso obbedir tacendo. «Via Renzi, il nuovo che avanza sarebbe Gentiloni, che ha fatto un governo renziano in linea con quelli di Monti e Letta? E gli altri che stanno nel Pd? Quando mai hanno levato la loro voce per proporre una traiettoria diversa? Sono tutti responsabili di questa bastosta. E’ una classe politica, quella del Pd, che deve andare a casa».Vale anche per l’Europa, aggiunge Magaldi: il Pd sta nell’alleanza dei socialisti democratici, e in tutta Europa «i socialisti sono chiaramente in regressione perché non hanno nessuna proposta socialista». Magaldi si definisce liberalsocialista: «L’elemento socialista ci deve essere: è la capacità di costruire un contesto di giustizia e mobilità sociale, in cui lo Stato abbia un ruolo dinamico e complementare a quello del libero mercato (e dove ci sia davvero libero mercato, senza monopoli, oligopoli e conflitti d’interesse)». Tutto ciò è mancato: poi qualcuno si lamenta se “la sinistra” è in estinzione. «E poi c’è il grande rimosso: John Maynard Keynes. Oggi, in tanti dicono che vogliono riscoprirlo: li aspettiamo al varco». L’eventuale Pd post-renziano? Può avere un senso solo a una condizione: che si dimetta, insieme a Renzi, chiunque abbia avuto un ruolo dirigente. «E se si deve eleggere un nuovo segretario, lo si faccia con un dibattito corale e democratico molto ampio, molto lungo e molto doloroso», perché la sincerità è una medicina amara. Sempre che ne valga la pena, di salvare il Pd: i tempi stanno cambiando velocemente. E Magaldi (promotore dell’ipotesi Pdp, Partito Democratico Progressista) è fra quanti pensano che forse sia il caso di «costruire qualcosa di nuovo, da offrire a un paese vistosamente lacerato».E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale. Il pareggio di bilancio? Lo fece Quintino Sella, all’epoca in cui la destra mandava Bava Beccaris a sparare sulla folla. «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».
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Condannato Silvio, ma l’Italia resta schiava di Bruxelles
Chi ha tempo da perdere si balocchi pure con le discussioni di giornata: la politicizzazione o meno della magistratura, e in particolare di quella milanese, la rilevanza giudiziaria delle “festicciole” di Arcore costellate di ragazze a dir poco disinvolte, l’indignazione dei berluscones, tra un Giuliano Ferrara che chiama alla protesta in piazza (piazza Farnese… un salottino nel pieno centro di Roma) e intanto pubblica sul “Foglio” un titolone (provocatorio, ça va sans dire) che suona “Siamo tutti puttane”, un Maurizio Gasparri che ribadisce la sua fedeltà assoluta al boss con un incondizionato «al nostro leader confermiamo il nostro sostegno, in ogni momento e per ogni decisione», e un mucchio di altri che si precipitano a indignarsi-costernarsi-prostrarsi nell’ora (forse) fatale del Silvicidio. Eccetera eccetera eccetera, visto che la diatriba è in piedi da quasi vent’anni e di argomenti sui quali intrattenersi ce ne sono a iosa.
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Camilleri e Hack: una sola Camera, bastano 100 deputati
Attenti: in tutti questi anni, il centrosinistra non ha fatto niente di serio per contrastare davvero il regime di Berlusconi. E l’attuale sbando delle destre potrebbe propiziare una nuova metamorfosi del “partito del privilegio”, sotto le sembianze di un “nuovo centrismo”, ancora una volta benedetto dal Vaticano, attorno a nomi come quelli di Monti, Casini e Montezemolo. Per Andrea Camilleri e Margherita Hack, il disastro-Italia non è imputabile all’Europa (non una parola, infatti, sulla catastrofe antidemocratica dell’Eurozona) ma al male endemico del Belpaese: la “casta”. Via d’uscita: una lista civica di salvezza nazionale che, alle elezioni della primavera 2013, promuova una “riforma istituzionale” che spazzi via tutto il marcio che ha indebolito il paese. E’ l’appello che Camilleri e la Hack rivolgono ai giovani attraverso “Micromega”. Con loro il direttore della rivista, Paolo Flores d’Arcais, nonché Adriano Prosperi, Mario Alighiero Manacorda e Barbara Spinelli.
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Ferrero: svolta, la Germania ora premia la sinistra
I risultati delle elezioni regionali di domenica 30 agosto nei tre lander tedeschi, hanno visto un importante e significativo successo della Linke. Rifondazione Comunista esprime tutta la sua gioia per questo risultato, congratulandosi con i compagni della Linke, con cui da anni collaboriamo nel Partito della Sinistra Europea e del gruppo Gue-Ngl. Lo abbiamo potuto fare personalmente proprio ieri sera, a Venezia, in occasione di un dibattito sul futuro della sinistra a cui ha partecipato Lothar Bisky, neo eletto presidente del gruppo della Sinistra Unita europea e portavoce, insieme ad Oskar Lafointane , della Linke.