Archivio del Tag ‘Charles Darwin’
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L’ultimo uomo: l’orrore dell’antropologia marx-capitalista
Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.Pennetta, autore tra l’altro del blog “Critica scientifica”, fa quel che dovrebbe fare ogni studioso: costruisce la sua analisi su documenti e citazioni precisi, a cui dà un senso e una prospettiva storica. Ne “L’ultimo uomo” si propone di delineare il collante ideologico e teorico che modella la società di oggi, sempre più destrutturata nell’identità, sempre più tecnologica, sempre più confusa sessualmente, sempre meno religiosa e che tende pericolosamente verso la prossima era, in cui per il tramite delle nuove divinità, la scienza e la tecnologia, si pretende di sovvertire le leggi della natura. Non è lungo, raggiunge appena le 200 pagine ed è di piacevolissima e fluida lettura, ma è talmente ricco di contenuti che, quando lo concludi, d’istinto sei portato a rileggere alcuni passaggi, per apprezzare connessioni tanto raffinate quanto illuminanti. Pennetta ripercorre la storia e a suo giudizio le illusioni del darwinismo, spiegando come da una teoria in sé plausibile ma che non può essere considerata definitiva, si sia creato il dogma in nome del quale si sono giustificate nuove forme di dominio sociale ed economico.In tal senso rivela nessi sorprendenti tra capitalismo e marxismo, spiega l’autentica funzione della Fabian Society, svela le inclinazioni malthusiane veicolate dal femminismo. Quel che colpisce, nella sua analisi, è la capacità di dimostrare le conseguenze sulla nostra società di teorie in apparenza lontane e per molti versi astruse. Il romanzo “Mondo nuovo” di Aldous Huxley è stato profetico e alcune mode dell’era moderna (come la rivoluzione sessuale, quella psichedelica, il New Age) ritentrano in un percorso di modellamento sociale. Questo libro rischia di essere traumatico sopattutto per il lettore in buona fede di sinistra, quello più moderno, progressista, evoluto. Quello, per intenderci, che legge “Repubblica”, vota Pd e adora i guru, soprattutto stranieri. Pennetta denuncia, anzi dimostra, come dietro a tali guru, a cominciare da quelli della Silicon Valley, come Bezos, Brin, Zuckerberg, si celino intenti che rappresentano l’antitesi di quello che un tempo era la sinistra, in quanto ultraélitisti e che rispecchiano l’approccio filosofico di Ayn Rand, secondo cui «esiste una differenza antropologica fra gli esseri umani: da una parte gli eletti, gli imprenditori illuminati, e dall’altra una massa di personaggi parassitari condannati a vivere degli avanzi dei primi».Da qui la strumentalizzazione di battaglie apparentemente giuste e in realtà infide dei movimenti che appellandosi a ogni forma di diritto distruggono le fondamenta della nostra società, rendendola totalmente liquida e dunque facilmente manipolabile. Da qui il ruolo di ariete, tutt’altro che innocente, delle Organizzazioni non governative, di partiti come quello radicale, della pretesa di una società unisex come strumento per liquefare la famiglia e l’identità biologica. “L’ultimo uomo” rischia, però, di essere traumatizzante anche per il lettore liberale-conservatore, che crede sia nel libero mercato sia in una società tradizionalista, perché si accorgerà che quel liberismo non è solo meritocratico ma ha finalità sconvolgenti di ingegneria sociale. E’, insomma, un saggio per lettori che vogliono capire, aperti di spirito. Mira a far nascere una nuova consapevolezza, ad aprire gli occhi su dinamiche che restano invisibili ai più ma che trasformano la nostra esistenza, rendendo sempre più vicina una società talmente avveniristica e scientifica da poter fare a meno persino di te, caro lettore, e di me. Di noi tutti. In ultima analisi dell’uomo stesso.(Marcello Foa, “La manipolazione invisibile della società funziona così”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 12 luglio 2017. Il libro: Enzo Pennetta, “L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista”, Circolo Proudhon Edizioni, 200 pagine, 16 euro).Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.
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Mishra: l’età della rabbia, nell’Occidente senza più futuro
Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato «chiaramente troppo sconcertante», scrive Mishra, «riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)» che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo. Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare «quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primivito» che alla fine ha condotto all’Ovest contro il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori. “Distruggi il palazzo di cristallo”. Prendete Pushkin, “Eugene Onegin”, «il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa», con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, «gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco».I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere tedeschi o russi, in ritardo nella modernità politico-economica. Dostoevsky: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere. Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere. A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione («E ti arriva un’idea colossale…che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa»). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido). La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, ci ricorda Mishra, «gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill», per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica. E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.“Illuminato: sei morto”. Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale. Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti. Mishra ci ricorda anche come «gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale», che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”. Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide «ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato… Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo».Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale, «da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici». Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo. Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di «provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile». Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’Isis tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).“L’era del Risentimento”. Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista («storie di violenza ancora largamente riconosciuta») e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie. Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo «mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza» post-modernista, e post-verità, se non tentiamo di «smantellare l’architettura concettuale e intellettuale dell’Occidente vincitore nella storia», che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani. Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei «tiepidi fanatici della civiltà occidentale» e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto, a volte, una manciata di paesi occidentali. E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno marxista della rivoluzione internazionale.(Pepe Escobar, “L’erà della rabbia”, da “Asia Times” del 4 febbraio 2017, tradotto da “Skoncertata63” per “Come Don Chisciotte”).Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.
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La giudice: questo regime fascista chiamato neoliberismo
Il tempo della retorica è finito, le cose vanno chiamate con il loro nome: il neoliberismo è il fascismo del XXI secolo. Lo afferma Manuela Cadelli su “Off-Guardian”, sito d’opinione creato da alcuni autori del celebre quotidiano inglese, scontenti della linea ufficiale del giornale. La Cadelli è presidente del sindacato dei magistrati belgi. Se il liberismo originario deriva dalla filosofia dell’Illuminismo, sviluppata per garantire ai cittadini «il rispetto delle libertà e l’emancipazione democratica», divenendo «il motore per l’ascesa, e il continuo progresso, delle democrazie occidentali», il neoliberalismo dei nostri giorni è invece «una forma di economicismo che colpisce continuamente tutti i settori della nostra comunità». In altre parole, «si tratta di una forma di estremismo». Il fascismo? Era «la subordinazione di ogni parte dello Stato a una ideologia totalitaria e nichilista». E dunque, «il neoliberalismo è una specie di fascismo, perché l’economia ha soggiogato non solo il governo dei paesi democratici, ma anche tutti gli aspetti del nostro pensiero: lo Stato è ora agli ordini dell’economia e della finanza, che lo trattano come un subordinato e spadroneggiano su di esso in misura tale da mettere in pericolo il bene comune».«L’austerità richiesta dall’ambiente finanziario è diventata un valore supremo, che sostituisce la politica», scrive Manuela Cadelli, nel post tradotto da “Voci dall’Estero”. «La necessità di risparmiare preclude il perseguimento di qualsiasi altro obiettivo pubblico». Siamo arrivati al punto in cui «si rivendica che il principio di ortodossia di bilancio dovrebbe essere incluso nelle Costituzioni statali», cosa che per l’Italia è già legge grazie al governo Monti, sorretto da Berlusconi e dal Pd. «La nozione di servizio pubblico è stata trasformata in una presa in giro», continua la Cadelli. «Il nichilismo che ne deriva rende possibile il rigetto dell’universalismo e dei valori umanistici più ovvi: la solidarietà, la fraternità, l’integrazione e il rispetto per tutti e per le differenze». Non c’è nemmeno più posto per la teoria economica classica: se prima il lavoro era «un elemento della domanda», e quindi «c’era rispetto per i lavoratori», da tempo «la finanza internazionale ne ha fatto una mera variabile di compensazione».Ogni totalitarismo, continua Cadelli, inizia con uno stravolgimento del linguaggio, come nel romanzo di George Orwell: «Il neoliberalismo ha la sua Neolingua e le sue strategie di comunicazione che gli permettono di deformare la realtà». In questo spirito, «ogni taglio di bilancio è rappresentato come un esempio di modernizzazione». Alcuni dei più poveri non hanno più accesso al rimborso per le spese mediche e di conseguenza interrompono le visite dal dentista? Pazienza, «è la modernizzazione della previdenza sociale in azione». Nella discussione pubblica «predomina l’astrazione, in modo da nascondere le concrete implicazioni per gli esseri umani». Così per tutto: «In relazione ai migranti, è imperativo che la necessità di ospitarli non conduca a lanciare pubblici appelli che le nostre finanze non potrebbero sostenere», trascurando il diritto (primario) alla solidarietà nazionale verso chi ha bisogno di assistenza.Ormai «predomina il darwinismo sociale», che assoggetta tutti a «criteri di efficienza nelle prestazioni assolutamente inflessibili», sicché «essere deboli vuol dire fallire». Per Manuela Cadelli, «vengono ribaltate le fondamenta della nostra cultura: ogni premessa umanista viene squalificata o demonizzata perché il neoliberalismo ha il monopolio della razionalità e del realismo». Margaret Thatcher nel 1985 disse: «Non c’è alternativa». Tutto il resto è utopia, irrazionalità e regressione. «La virtù del dibattito e i punti di vista differenti sono screditati perché la storia è governata dalla necessità». Questa sottocultura «ospita una propria minaccia esistenziale: prestazioni carenti condannano alla scomparsa, mentre allo stesso tempo chiunque è accusato di essere inefficiente e obbligato a giustificare tutto». Una catastrofe antropologica: «La fiducia è infranta. Regna la valutazione, e con essa la burocrazia che impone la definizione e la ricerca di una pletora di obiettivi e indicatori che l’individuo deve rispettare. La creatività e lo spirito critico sono soffocati dall’amministrazione. E ognuno si batte il petto per lo spreco e l’inerzia di cui è colpevole».Fiducia infranta, e giustizia ignorata: l’ideologia neoliberale produce norme «in concorrenza con le leggi del Parlamento», al punto che «lo Stato di diritto democratico è compromesso», e le sue regole – che mirano a tutelare i cittadini, al riparo dagli abusi – vengono ormai «guardate come ostacoli». Questo perché «il potere giudiziario, che ha la capacità di opporsi alla volontà dei gruppi dominanti, deve essere messo sotto scacco». In Belgio, accusa Manuela Cadelli, la magistratura è stata privata dell’indipendenza assegnatale dalla Costituzione in modo che potesse svolgere il ruolo di contrappeso che i cittadini si aspettano. «L’obiettivo di questo progetto chiaramente è che non ci dovrebbe più essere giustizia in Belgio». Ma la classe dominante, «una casta al di sopra degli altri», non prescrive per sé la stessa medicina che deve essere presa dai normali cittadini: l’austerità ben organizzata è sempre “per gli altri”. Come ricorda Thomas Piketty, nonostante la crisi esplosa nel 2008 «non è stato fatto nulla per sorvegliare la comunità finanziaria». Chi ha pagato? «La gente comune, voi e io».Anche il Belgio conferma la tendenza generale: sgravi fiscali da 7 miliardi alle multinazionali, e tasse aggiuntive (il 21% delle spese legali) per i cittadini che ricorrono alla magistratura: «D’ora in poi, per ottenere un risarcimento, le vittime dell’ingiustizia dovranno essere ricche», scrive Cabelli. «Tutto questo, in uno Stato in cui il numero dei dipendenti pubblici batte tutti i record internazionali». Lì non valgono gli standard di efficienza imposti agli altri lavoratori: «La razionalizzazione e l’ideologia manageriale si sono comodamente fermate alle porte del mondo politico». E la situazione peggiorerà ancora, secondo la sindacalista dei giudici del Belgio, grazie all’uso strumentale del terrorismo: «Presto sarà possibile aggirare la giustizia, già priva di potere su tutte le violazioni delle nostre libertà e dei nostri diritti, riducendo ulteriormente la protezione sociale per i poveri, che saranno sacrificati al “sogno della sicurezza”».Siamo condannati allo scoraggiamento e alla disperazione? «Certamente no», dice Cabelli, ricordando che «cinquecento anni fa, al culmine delle sconfitte che avevano abbattuto la maggior parte degli Stati italiani con l’imposizione dell’occupazione straniera per più di tre secoli», Niccolò Machiavelli esortava gli uomini virtuosi «a sfidare il destino e a ergersi contro le avversità del tempo, a preferire l’azione e il coraggio alla cautela», anche perché «più è tragica la situazione, più sono richieste l’azione e il rifiuto della “rinuncia”». Questo, insiste Cabelli, è l’insegnamento necessario oggi: «La determinazione dei cittadini attaccati alla radicalità dei valori democratici è una risorsa preziosa». Non ha ancora rivelato appieno il suo potenziale? I mezzi non mancano: «Attraverso i social network e la potenza della parola scritta, oggi tutti possono essere coinvolti a portare il bene comune e la giustizia sociale al cuore del dibattito pubblico e dell’amministrazione dello Stato e della comunità, in particolare quando si tratta di servizi pubblici, università, mondo studentesco, magistratura».Il tempo della retorica è finito, le cose vanno chiamate con il loro nome: il neoliberismo è il fascismo del XXI secolo. Lo afferma Manuela Cadelli su “Off-Guardian”, sito d’opinione creato da alcuni autori del celebre quotidiano inglese, scontenti della linea ufficiale del giornale. La Cadelli è un giudice, presidente del sindacato dei magistrati belgi. Se il liberismo originario deriva dalla filosofia dell’Illuminismo, sviluppata per garantire ai cittadini «il rispetto delle libertà e l’emancipazione democratica», divenendo «il motore per l’ascesa, e il continuo progresso, delle democrazie occidentali», il neoliberalismo dei nostri giorni è invece «una forma di economicismo che colpisce continuamente tutti i settori della nostra comunità». In altre parole, «si tratta di una forma di estremismo». Il fascismo? Era «la subordinazione di ogni parte dello Stato a una ideologia totalitaria e nichilista». E dunque, «il neoliberalismo è una specie di fascismo, perché l’economia ha soggiogato non solo il governo dei paesi democratici, ma anche tutti gli aspetti del nostro pensiero: lo Stato è ora agli ordini dell’economia e della finanza, che lo trattano come un subordinato e spadroneggiano su di esso in misura tale da mettere in pericolo il bene comune».
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Alta finanza massonica, lo strano caso del dottor Di Maio
Quanto sono lontani i tempi in cui Beppe Grillo, in maniera sibillina, spiegava come il governo Letta fosse condizionato fin dalla nascita da “manine straniere”. E come sono lontani i tempi in cui il M5S – da bravo scolaretto – si limitava a recitare il ruolo di “sfogatoio” buono per assorbire e paralizzare il dissenso delle tante vittime di un sistema politico tradizionale violento, nazistoide e perverso. Oggi le cose sono cambiate. E come insegna il manuale dell’ipocrita perfetto si può dire la verità e difendere gli interessi dei poveri e dei deboli solo stando volutamente all’opposizione; quando si entra nella stanza dei bottoni, invece, bisogna assorbire concetti come “responsabilità” e “moderazione”, termini orwelliani che indicano la disponibilità a garantire continuità sostanziale con il passato fingendo di cambiare tutto solo in superficie. L’eterno risorgere del Gattopardo, insomma. Il Movimento 5 Stelle adesso mostra senza pudori il suo vero volto, passando all’incasso dopo avere per anni fatto diligentemente il “lavoro sporco”.Il sistema massonico dominante, quello che controlla giornali come l’“Economist” o il “Financial Times”, comincia guardacaso a tessere le lodi dei “grillini”, finalmente pronti all’ingresso nelle stanze del potere previa avvenuta maturazione, constatata direttamente dai soliti infallibili incappucciati muniti di grembiule (ovvero, manifesta disponibilità nel servire gli interessi dell’Alta Massoneria e dell’Alta Finanza). Da un lato i seguaci del guru Casaleggio negano la tessera ai “massoni paesani” iscritti in qualche innocua loggetta di provincia composta magari perlopiù da tromboni retorici e demodé; dall’altro però non si fanno scrupolo nel vezzeggiare, blandire e baciare l’anello dei massoni che non fanno folklore ma contano per davvero, “iniziati” potenti come quelli che hanno recentemente chiamato a rapporto quel damerino di Luigi Di Maio per istruirlo a dovere e, magari, cominciare a “levigarne la pietra grezza” in vista di una ventilata e prossima ascesa nell’empireo del potere, sorretta dall’occhio benevolo del “Grande Architetto” dall’accento inglese (per cogliere l’invadenza anglosassone nella storia recente italiana leggere “Il Golpe Inglese” e “Colonia Italia”).Questa doppia morale suscita effettivamente schifo e ribrezzo, facendo tornare alla mente esempi del passato non proprio edificanti. Tutti sanno, ad esempio, che in apparenza tanto il fascismo di Mussolini quanto il nazismo di Hitler perseguitarono la massoneria. Pochi sanno invece come tanto il fascismo quanto il nazismo ricevettero cospicui aiuti finanziari da importantissime centrali massoniche sovranazionali, vere levatrici di due fenomeni politici passati alla storia come sublimazione stessa dell’infamia e della vergogna imperitura (vedi, tra gli altri, Antony C. Sutton, “Wall Street and the rise of Hitler”). Oggi il copione si ripropone, validando una volta ancora quella nota profezia di Karl Marx secondo la quale “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Duri, puri e intransigenti con i massoni da dopolavoro ferroviario; servizievoli, carini e accorti con i massoni di spessore. Sinceri complimenti.Noi del “Moralista”, a differenza di tanti altri, non possiamo dirci stupiti della parabola assunta dal Movimento 5 Stelle, avendo compreso con discreto anticipo sia il ruolo di Casaleggio che quello di Luigi Di Maio, vero politicante da batteria cresciuto rapidamente con gli estrogeni. La nuova linea del Movimento 5 Stelle prevede quindi la difesa dell’euro e la richiesta di più flessibilità all’Europa, elevando perfino il premier inglese Cameron a modello da imitare. Stiamo parlando dello stesso Cameron che in patria distrugge il welfare dei suoi cittadini e all’estero combina guai ammazzando a piacimento dittatori sgraditi, alla Gheddafi, in compagnia di altri sanguinari personaggi come Hillary Clinton e Nicolas Sarkozy. In conclusione: il Movimento 5 Stelle, a furia di “progredire”, è diventato identico al Pd (manca solo che dicano che “ci vuole rigore ma anche la crescita”). La teoria darwiniana sul miglioramento e sull’evoluzione della specie è quindi oggi definitivamente smentita nei fatti. E anche le teorie “spenceriane”, quelle che innalzano il “progresso” a “signore della Storia”, non si sentono tanto bene.(Francesco Maria Toscano, “A furia di evolversi il M5S è diventato identico al Pd, lo strano caso del dottor Di Maio”, dal blog “Il Moralista” del 24 marzo 2016).Quanto sono lontani i tempi in cui Beppe Grillo, in maniera sibillina, spiegava come il governo Letta fosse condizionato fin dalla nascita da “manine straniere”. E come sono lontani i tempi in cui il M5S – da bravo scolaretto – si limitava a recitare il ruolo di “sfogatoio” buono per assorbire e paralizzare il dissenso delle tante vittime di un sistema politico tradizionale violento, nazistoide e perverso. Oggi le cose sono cambiate. E come insegna il manuale dell’ipocrita perfetto si può dire la verità e difendere gli interessi dei poveri e dei deboli solo stando volutamente all’opposizione; quando si entra nella stanza dei bottoni, invece, bisogna assorbire concetti come “responsabilità” e “moderazione”, termini orwelliani che indicano la disponibilità a garantire continuità sostanziale con il passato fingendo di cambiare tutto solo in superficie. L’eterno risorgere del Gattopardo, insomma. Il Movimento 5 Stelle adesso mostra senza pudori il suo vero volto, passando all’incasso dopo avere per anni fatto diligentemente il “lavoro sporco”.
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Battiato rivelato: nei suoi testi, precisi messaggi esoterici
Cosa vogliono dire i testi delle canzoni di Franco Battiato? «Negli anni, nei decenni, in moltissimi si sono posti questa domanda, spesso però senza venirne a capo». Sul “Fatto Quotidiano”, Fabrizio Basciano svela, a puntate, alcuni dei riferimenti filosofico-letterari fondamentali per comprendere frasi o interi periodi di alcuni brani, altrimenti indecifrabili del grande cantautore siciliano. La ricerca parte da “L’era del Cinghiale Bianco”, disco del 1979. Nel brano che dà il nome all’album, «si fa riferimento a un periodo storico leggendario, a un’età dell’oro degli antichi popoli celti di periodo pre-romano: l’era della conoscenza spirituale incarnata dal suo stesso simbolo, il cinghiale bianco». Nello stesso disco, nel brano “Magic shop”, ascoltiamo le parole “una signora vende corpi astrali”. Di che si tratta? «Non senza una certa ironia e denunciando al contempo un consumismo irto di contraddizioni, Battiato tira in ballo il corpo astrale», ossia, secondo Georges Ivanovic Gurdjieff, un corpo “composto da elementi del mondo planetario” che “può sopravvivere alla morte del corpo fisico”. «Insomma, una sorta di secondo corpo (l’anima) in una scala che contempla il corpo fisico, quello astrale, quello mentale e, infine, il corpo causale».Andando ancora oltre, è il brano numero cinque de “L’Era del Cinghiale Bianco” a celare, dietro al suo stesso titolo, un intero mondo letterario: quello di René Guénon e del suo libro “Il Re del Mondo”, che dà il titolo al brano in questione. Chi è questo fantomatico ‘Re del Mondo’ che nel brano di Battiato “ci tiene prigioniero il cuore”? Come leggiamo nell’omonimo libro dell’esoterista francese, scrive Basciano, il titolo di ‘Re del Mondo’ serve a “designare il capo della gerarchia iniziatica”, ruolo attribuito propriamente a Manu, “il legislatore primordiale e universale il cui nome si ritrova, sotto forme diverse, presso numerosi popoli antichi, per esempio il Mina o Menes degli Egizi, il Menew dei Celti e il Minosse dei Greci”. Nel disco seguente, “Patriots”, uscito nel 1980, i messaggi in codice si infittiscono «facendosi tuttavia più sottili, meno espliciti», osserva Basciano. Il brano “Prospettiva Nevski” si chiude con la frase: “E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Per chi, come Battiato, crede nella reincarnazione, «potrebbe indicare la possibilità di una nuova vita oltre la morte, una nuova esistenza a cui solo la morte, se e solo se adeguatamente preparata, può traghettare».Nel brano “Arabian song”, il cantautore siciliano intona una sorta di frase in codice: “La mia parte assente si identificava con l’umidità”. Quello a cui Battiato si riferisce, spiega Basciano, è il concetto di “identificazione”, colonna portante di tutta la psicologia e l’insegnamento gurdieffiani: “L’uomo – come si legge nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Piotr Demianovic Ouspensky – è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l’oggetto della sua identificazione. L’uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva. Si identifica con una emozione, con un rumore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi”. Del brano “Frammenti” è invece la frase “che gran comodità le segretarie che parlano più lingue”. La segretaria, annota Basciano, è una delle figure-chiave degli insegnamenti della “Quarta Via” di Gurdjieff. «La segretaria, o anche dattilografa, è quella figura che Gurdjieff utilizza per descrivere l’“apparato formatore”, una parte dell’essere umano che il filosofo armeno paragona a un ufficio».«L’ufficio è il nostro apparato formatore, mentre la segretaria è la nostra educazione, con le sue concezioni automatiche, le sue formule ristrette, con le teorie e le opinioni che si sono formate in noi», scrive Gurdjieff. «Da questa ristrettezza di formule e opinioni, la necessità di una segretaria che parli più lingue, in grado cioè di recepire e codificare meglio e più velocemente tutti gli stimoli e le sollecitazioni provenienti tanto dall’esterno quanto dal nostro mondo interiore», sintetizza Basciano, che nella sua indagine su Battiato prosegue con l’analisi dei due album successivi, “La voce del padrone” (1981) e “L’Arca di Noé” (1982). Già a partire dal titolo, scrive il blogger del “Fatto”, “La voce del padrone” cela un significato esoterico: «Secondo un insegnamento antico – afferma Ouspensky in “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” – un uomo nel pieno senso della parola è composto di quattro corpi. Nel linguaggio figurato di certi insegnamenti orientali, il primo è la carrozza (corpo), il secondo è il cavallo (sentimenti, desideri), il terzo è il cocchiere (pensiero) e il quarto è il padrone (Io, coscienza, volontà). La carrozza è attaccata al cavallo per mezzo delle stanghe, il cavallo al cocchiere per mezzo delle redini, il cocchiere al suo padrone per mezzo della voce di lui».Annino La Posta, nel volume “Franco Battiato, soprattutto il silenzio” (Giunti), commenta così il passo di Ouspensky: «Eccola, più probabilmente, la voce del padrone: quella della coscienza, che il pensiero dell’uomo sveglio, teorizzato da Gurdjieff, deve saper ascoltare. E pensare che c’è chi parla di nonsense!». Andando oltre, sempre in questo disco del 1981, nel brano “Segnali di vita”, Basciano rileva ben due periodi che fanno riferimento a precisi concetti della filosofia gurdjieffiana. Il primo è questo: “Si sente il bisogno di una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni, da questa falsa personalità”. Battiato, ai tempi frequentatore dei gruppi gurdjieffiani, si riferisce qui al binomio essenza e personalità, che Ouspensky tratta diffusamente nel libro “L’evoluzione interiore dell’uomo” (Mediterranee): «È impossibile studiare l’uomo come un tutto, perché è diviso in due parti. Nel sistema che noi studiamo queste due parti sono chiamate essenza e personalità. L’essenza è un bene che gli è proprio; è ciò che gli appartiene. La personalità è ciò che non gli appartiene. Di regola l’essenza dovrebbe dominare la personalità. Il dominio della personalità sull’essenza produce i risultati peggiori».L’altro messaggio criptato del brano “Segnali di vita” è il seguente: “Ti accorgi di come vola bassa la mia mente? È colpa dei pensieri associativi se non riesco a stare adesso qui”. L’idea del pensiero automatico, o appunto associativo, pregna tutta la psicologia gurdjieffiana, collegandosi direttamente al concetto di presenza: la possibilità di essere qui e ora, liberi dalla prigionia del pensiero associativo e automatico. Ma il brano che più di ogni altro rivela la “filiazione gurdjieffiana” di Battiato, aggiunge Basciano, è “Centro di gravità permanente”. «Questo insegnamento – spiega sempre Ouspensky – suddivide l’uomo in sette categorie. L’uomo n. 4 differisce dall’uomo n. 1, 2 e 3 per la conoscenza di se stesso, per la comprensione della propria situazione e per il fatto di aver acquisito un centro di gravità permanente». Sorprendente pensare che proprio “La voce del padrone”, un album così profondamente ermetico, fu il primo in Italia a superare il milione di copie vendute, osserva Basciano.Quanto all’album immediatamente successivo, “L’Arca di Noè”, nel brano “Clamori” si ascolta il seguente verso: “Il mondo è piccolo, il mondo è grande, e avrei bisogno di tonnellate d’idrogeno”. Sempre in seno all’insegnamento gurdjieffiano, l’idrogeno è uno degli elementi più importanti per l’evoluzione interiore dell’uomo: «Se prendiamo il Raggio di Creazione – si legge nel libro “La Quarta Via” (Astrolabio, 1974) – diviso in quattro triadi e teniamo presente che la somma totale di ciascuna triade è un idrogeno preciso, otterremo quattro idrogeni e quattro precise densità di materia». Gli idrogeni, secondo Gurdjieff, sono quelle sostanze che servono da nutrimento per la coscienza dell’essere umano, e il cui accumulo (da qui le tonnellate d’idrogeno auspicate da Battiato) consentirebbe lo sviluppo, la realizzazione, dei cosiddetti centri superiori. Superfluo, a questo punto, soffermarsi sul periodo contenuto nel brano “New frontiers”: “L’evoluzione sociale non serve al popolo se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero”.La produzione pop di Franco Battiato, sottolinea Basciano, è interamente attraversata da continui richiami a culture e tradizioni religiose, mistiche ed esoteriche. «Il cantautore e compositore siciliano ha sistematicamente disseminato i suoi testi di sollecitazioni letterarie e sapienziali senza mai tuttavia uscire troppo allo scoperto, tanto da presupporre una certa conoscenza delle materie di volta in volta oggetto del suo interesse». Vale anche per due dischi usciti sempre negli anni ‘80, “Orizzonti perduti” (1983) e “Mondi lontanissimi” (1985). Nel brano “Un’altra vita”, quarto in scaletta dell’album “Orizzonti perduti”, il riferimento (esplicito) è alla pratica della meditazione quando, ad apertura di brano, l’autore de “La Cura” intona: “Certe notti per dormire mi metto a leggere, e invece avrei bisogno di attimi di silenzio”. «Come ha infatti più volte dichiarato pubblicamente – scrive Basciano – la sua giornata, da diverse decadi a questa parte, è sempre scandita da ben due meditazioni, una al mattino e l’altra all’imbrunire: una ricerca del silenzio senza la quale Battiato afferma che non riuscirebbe più a vivere».Sempre in “Orizzonti perduti”, nel brano “La musica è stanca”, ascoltiamo: “In quest’epoca di scarsa intelligenza ed alta involuzione qualche scemo crede ancora che veniamo dalle scimmie”. Qui l’autore fa riferimento a un approccio decisamente alternativo al tema delle origini e della possibile evoluzione dell’umanità, che trova sempre in Ouspensky, e dunque in Gurdjieff, il proprio mentore: «Devo dire subito – recita Ouspensky in “L’Evoluzione interiore dell’uomo” – che le concezioni moderne sull’origine dell’uomo e sulla sua evoluzione passata non possono essere accettate». Considerando l’umanità “storica”, ossia quella degli ultimi dieci o quindicimila anni, «possiamo trovare tracce incontestabili di un tipo di uomo superiore, la cui presenza può essere dimostrata da molteplici testimonianze». Il viaggio cifrato continua in “Mondi lontanissimi”. Nel primo brano, “Via Lattea”, ascoltiamo le parole: “Seguimmo certe rotte in diagonale dentro la Via Lattea”. «Questo delle rotte in diagonale è tema tanto caro a Battiato (che infatti lo riprenderà anche diversi anni dopo nel brano “Running against the grain” dell’album “Ferro Battuto”) quanto a tutto il mondo esoterico, e ha a che fare con le cosiddette griglie rappresentazionali, una sorta di tessuto sperimentale formato dall’interconnessione d’idee, valori e obiettivi, una “scacchiera” che può essere percorsa sia per vie orizzontali e verticali (espressioni di un pensiero lineare e metodico), che per vie, appunto, diagonali, seguendo le quali si manifesta lo spazio creativo».Nel brano “Chan-son egocentrique”, Battiato canta: “Dalla pupilla viziosa delle nuvole la luna scende i gradini di grattacieli per prendermi la vita”. Come mai la luna vuol prendersi la vita di Battiato? Sia secondo Gurdjieff che secondo miriadi di culture e tradizioni varie, spiega Basciano, la luna eserciterebbe un influsso negativo. In un’intervista, lo stesso Battiato la definisce «nefasto satellite, che non vedo l’ora si allontani definitivamente dalla terra». Per Ouspensky è «un pianeta allo stato nascente, al suo primissimo stadio di sviluppo», ma è anche un satellite che «dalla terra riceve l’energia necessaria alla sua crescita». Tradotto: «La vita organica alimenta la Luna. Tutto ciò che vive sulla superficie della terra, uomini, animali, piante, serve di nutrimento alla luna. Tutti gli esseri viventi liberano, nell’istante della loro morte, una certa quantità dell’energia che li ha animati. Questa energia viene attirata verso la luna come da una colossale elettrocalamita».Cosa vogliono dire i testi delle canzoni di Franco Battiato? «Negli anni, nei decenni, in moltissimi si sono posti questa domanda, spesso però senza venirne a capo». Sul “Fatto Quotidiano”, Fabrizio Basciano svela, a puntate, alcuni dei riferimenti filosofico-letterari fondamentali per comprendere frasi o interi periodi di alcuni brani, altrimenti indecifrabili del grande cantautore siciliano. La ricerca parte da “L’era del Cinghiale Bianco”, disco del 1979. Nel brano che dà il nome all’album, «si fa riferimento a un periodo storico leggendario, a un’età dell’oro degli antichi popoli celti di periodo pre-romano: l’era della conoscenza spirituale incarnata dal suo stesso simbolo, il cinghiale bianco». Nello stesso disco, nel brano “Magic shop”, ascoltiamo le parole “una signora vende corpi astrali”. Di che si tratta? «Non senza una certa ironia e denunciando al contempo un consumismo irto di contraddizioni, Battiato tira in ballo il corpo astrale», ossia, secondo Georges Ivanovic Gurdjieff, un corpo “composto da elementi del mondo planetario” che “può sopravvivere alla morte del corpo fisico”. «Insomma, una sorta di secondo corpo (l’anima) in una scala che contempla il corpo fisico, quello astrale, quello mentale e, infine, il corpo causale».
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Giannuli: paura di agire, Syriza e Podemos come i riformisti
Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».Nel suo saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard spiega che, senza la collaborazione organica dei dirigenti della sinistra europea – partiti e sindacati – l’élite neoliberista non sarebbe mai riuscita a imporre la gigantesca restaurazione sociale, di cui oggi stiamo pagando il prezzo, progettata da Wall Street già all’inizio degli anni ‘70 col Memorandum di Lewis Powell: stroncare la sinistra radicale e “comprare” i leader della sinistra moderata, in modo che spacciassero per “riforme” l’abrogazione progressiva dei diritti dei lavoratori, dopo decenni di storiche conquiste. Di lì, a seguire: il neoliberismo come pensiero unico, imposto dal Wto e dai trattati internazionali (Europa in primis), governato da potentissimi organismi lobbistici (Commissione Trilaterale, Bilderberg, Forum di Davos) e imposto, come dogma, a partire dalle università e dai media. Lo Stato è un’inutile orpello, solo il Mercato ha sempre ragione. E quindi, globalizzazione delle merci, dei capitali, della forza lavoro, con la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione della finanza pubblica. Risultato: delocalizzazioni, disoccupazione, spirale di crisi senza vie d’uscita. E la sinistra dov’era? E’ stata “comprata”, dice Barbard: cooptata dal potere. Per la verità, aggiunge lo storico Giannuli, la sinistra riformista aveva già dato pessime prove, prima ancora dell’assalto finale del grande capitale finanziario.«Per capirlo – scrive Giannuli nel suo blog – è utile fare un passo indietro di quasi un secolo e mezzo». Al suo sorgere, ricorda il professore, il movimento socialista fu tutto rivoluzionario e antisistema (salvo gli inglesi, che sono sempre stati riformisti), tanto in Francia quanto in Italia, in Spagna e in Germania. «La svolta venne dopo il 1871, con la repressione della Comune di Parigi: un massacro di ferocia senza precedenti, con migliaia di comunardi fucilati o deportati. Lo shock fu molto forte e se, in seguito, questo spingerà le frange più di sinistra sulla strada dell’insurrezione armata ma preparata scientificamente (il leninismo, in primo luogo), nell’immediato la lezione venne vissuta piuttosto come un perentorio invito alla moderazione». La vittoria degli orientamenti riformisti, prima di tutto in Francia e Germania, poi in Italia e Spagna, venne fra gli anni ‘70 e i primi ‘90, proprio sulla base della riflessione sul tragico esito della Comune. «Parve che la via elettorale e riformista fosse una manifestazione di saggezza: scambiare la velocità del processo con la solidità dell’avanzata, e la sicurezza di non dover affrontare una repressione di quella gravità».Lo stesso Engels, nell’ultimo decennio della sua vita (Marx era morto nel 1883) fu molto cauto nel criticare questi orientamenti. Peraltro il clima culturale, dominato dall’evoluzionismo positivista, assecondava e sosteneva questo corso di cose: la storia aveva una sua direzione di marcia, dominata dalla legge fatale dell’evoluzione, che avrebbe spinto “naturalmente” il socialismo verso la vittoria. «Ne derivò una idea della lotta politica senza “salti”, come la natura; pertanto ogni rottura era rifiutata come un’avventura foriera di gravi pericoli. Sfortunatamente, non è vero che “natura non facit saltus”, e tantomeno la storia e la politica». Al contrario: «Esistono, quei salti, che dopo abbiamo imparato a chiamare “biforcazioni catastrofiche”, e la riprova venne subito con la crisi finanziaria del 1907, con la I guerra mondiale, con il fascismo, con la crisi del 1929… Tutti fenomeni che la socialdemocrazia non capì e non seppe affrontare: di fronte alla guerra si piegò anche a votare i crediti di guerra, poi di fronte alla crisi del dopoguerra non seppe lontanamente che fare».In Italia, il leader socialista Filippo Turati «non capì nulla del fascismo, e così i capi della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo». La sconfitta del movimento operaio? «Fu equamente responsabilità delle impazienze del movimento comunista (per tutte ricordiamo l’insurrezione spartachista)», quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, «e delle “prudenze” della socialdemocrazia». Da allora, riassume Giannuli, «tutte le volte che un partito del movimento operaio si è trovato ad affrontare una lunga guerra di posizione è impercettibilmente scivolato in una sonnolenta routine riformista che lo ha reso incapace di riconoscere i momenti di crisi». Motivo: «Il riformismo, più o meno socialdemocratico, è pensiero politico adatto ai momenti ordinari della vita politica. Ma quando arrivano i momenti di crisi del sistema, la socialdemocrazia, essendo interna al sistema stesso, non riesce a rendersene conto e regolarmente finisce travolta più degli altri, non avendo, come i liberali, il sostegno dei poteri forti». In altre parole, «un socialdemocratico si riconosce da una cosa: che vuol fare la frittata, ma ha paura di rompere le uova. Il guaio è che quando arriva una crisi di sistema si solleva un’ondata di protesta popolare e, se a dirigerla non sei tu, lo farà un altro. Che è precisamente quello che sta accadendo».Giannuli è pessimista: «La crisi finanziaria, che è diventata crisi dell’economia reale e sta diventando crisi dell’ordine politico militare, ormai è iniziata da sette anni (forse direi otto), e le sinistre sedicenti anti-sistema (dal “Front de Gauche” alla Linke, dalla sinistra arcobaleno a “Izquierda unida”) che, in teoria avrebbero dovuto avvantaggiarsene, in realtà sono andate in crisi, hanno perso voti e in qualche caso (come l’Italia) sono proprio scomparse, mentre montano fenomeni populisti che ne coprono lo spazio». E quello che colpisce, continua Giannuli, è che militanti e dirigenti di questi partiti non si chiedano minimamente il perché dei loro insuccessi e dei successi altrui. «Hanno fatto eccezione sinora Syriza e Podemos, perché non sono stati percepiti partiti di sistema, ma aspettate che venga fuori la loro natura sostanzialmente socialdemocratica e vedrete». E il M5S? «E’ un movimento in bilico che fa un po’ eccezione, ma prima o poi dovrà misurarsi anche lui con le dinamiche della crisi». Morale: «A volte è l’essere troppo prudenti ad essere la posizione meno realistica».Nessuno si stupisca se, negli ultimi decenni, tocca sempre al centrosinistra fare il “lavoro sporco”, che – se gestito da destra – provocherebbe rivolte: non a caso, col Jobs Act, è stato il Pd renziano a rottamare lo Statuto dei Lavoratori, obbiettivo solo e sempre sognato dal “truce” Cavaliere, contro il quale si sarebbero scatenati sinistra e sindacati. Compressione dei salari, tagli alle pensioni, erosione costante e continua del welfare: è l’applicazione del vecchio “Tina” della Thatcher, “there is no alternative”. Chi può persuadere le masse popolari? Non il centrodestra, ma la sinistra ufficiale – dall’Italia fino alla Grecia di Tsipras. Il che non deve sorprendere: la socialdemocrazia ha rivelato, storicamente, di non essere in grado di gestire nessuna crisi grave, ma solo di limitare i danni “in tempo di pace”. Lo afferma Aldo Giannuli, storico e politologo dell’ateneo milanese. «Quel che resta della sinistra europea (salvo nicchie occasionali di aree radicali, peraltro, non sempre molto aggiornate) ormai si divide fra un’ala neoliberista appena mascherata che va sotto il nome di “Internazionale Socialista”, o socialdemocrazia, e una sinistra che si dice radicale (Sel, Rifondazione, Syriza, Linke e, per certi versi Podemos) ma che, in realtà, è una pallida sinistra socialdemocratica».
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Conoscere la verità, ecco la grande rivoluzione che faremo
Che altro deve succedere perché la mia generazione scenda in piazza e faccia una rivoluzione? E pure basta guardare a tassazione, disoccupazione (in particolare quella giovanile), precariato, il deficit democratico delle istituzioni europee, la violenta politica imperialista dei paesi Nato (Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, e Ucraina sono le medaglie insanguinate che portiamo al petto) per rendersi conto che la società sta regredendo e l’Europa ha preso una svolta di tipo autoritario sia pure nascosta dagli specchi di istituzioni internazionali paramassoniche al servizio di forze reazionarie; la gente non lo capisce o se ne frega? Spesso sento dire che in Italia non faremo mai una rivoluzione perché siamo un paese di vecchi o perché il 70% degli italiani ha una casa di proprietà o anche perché ci basta guardare il calcio in televisione mangiare un piatto di pasta e fumarci una sigaretta con il caffè. La verità che è che il malcontento può portare la gente in piazza ma questo non basta a fare una rivoluzione, per quello ci vuole un’organizzazione pronta a succedere all’amministrazione uscente e tanti soldi, come ci ha mostrato il Dipartimento di Stato Americano, fabbrica di tutte le ultime rivoluzioni in giro per il mondo (il Venezuela o l’Ucraina sono esempi perfetti).La verità è che una rivoluzione la possiamo fare anche senza scendere per strada informandoci e informando chi ci circonda. Il sistema informazione in Italia è sotto lo stretto controllo di gruppi (lobby, massonerie, servizi segreti, gruppi bancari e multinazionali) filo-atlantici come voluto nel piano di rinascita democratica della P2; lo stesso succede negli altri paesi occidentali ed infatti questi sistemi sono coordinatissimi quando si tratta di argomenti sensibili come guerre e rivoluzioni, Unione Europea. E’ risaputo che prima di intervenire militarmente le oligarchie occidentali devono vendere la guerra all’opinione pubblica il controllo totale dei mezzi di informazione è cruciale alla raggiungimento di tale obbiettivo. Vi basterà osservare come prima di un intervento militare i telegiornali riportino notizie di odiose violenze contro donne e bambini, servono esattamente a vendervi la guerra. Se pensate che quello che è successo in Iraq o in Libia, dove sono morte centinaia di migliaia di persone, sia il risultato di una guerra ‘giusta’, non è perché siete cretini ma semplicemente vivete in un contesto di precarietà lavorativa, distratti dall’industria dell’intrattenimento e sovraesposti ad una propaganda bellica contro la quale non avete ne voglia ne tempo di assumere un ruolo critico.Ci confondono con il teatro della politica dove la dialettica destra e sinistra è solo intrattenimento che persegue un pensiero unico trasversale sintesi di interessi privati, aziendali, finanziari, militari, massonici e criminali. Mi rendo conto che potrei scrivere pagine e pagine per argomentare alcuni temi toccati ma preferisco suggerire al lettore un modo pratico per cominciare la propria rivoluzione… culturale. In un mondo dove l’informazione è un prodotto come un altro e l’acquirente sono i grossi gruppi di potere che governano il mondo, il sistema produce l’informazione commissionata selezionando in modo darwiniano i compiacenti giornalisti allineati. Negli ultimi tempi c’e’ un grande sforzo di creare raccoglitori di news da parte di giganti come Yahoo o Google per poter controllare quello che la gente legge. Spezzate le catene con il mainstrean e cominciate a leggere anche le news di fonti alternative. Il modo migliore e scaricare un’app che si chiama feedly o anche semplicemente salvare queste fonti nel folder del vostro browser.(Ludovico Nobile, “Impariamo a informarci in tempi moderni”, da “Conflitti e strategie” del 29 marzo 2015).Che altro deve succedere perché la mia generazione scenda in piazza e faccia una rivoluzione? E pure basta guardare a tassazione, disoccupazione (in particolare quella giovanile), precariato, il deficit democratico delle istituzioni europee, la violenta politica imperialista dei paesi Nato (Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, e Ucraina sono le medaglie insanguinate che portiamo al petto) per rendersi conto che la società sta regredendo e l’Europa ha preso una svolta di tipo autoritario sia pure nascosta dagli specchi di istituzioni internazionali paramassoniche al servizio di forze reazionarie; la gente non lo capisce o se ne frega? Spesso sento dire che in Italia non faremo mai una rivoluzione perché siamo un paese di vecchi o perché il 70% degli italiani ha una casa di proprietà o anche perché ci basta guardare il calcio in televisione mangiare un piatto di pasta e fumarci una sigaretta con il caffè. La verità che è che il malcontento può portare la gente in piazza ma questo non basta a fare una rivoluzione, per quello ci vuole un’organizzazione pronta a succedere all’amministrazione uscente e tanti soldi, come ci ha mostrato il Dipartimento di Stato Americano, fabbrica di tutte le ultime rivoluzioni in giro per il mondo (il Venezuela o l’Ucraina sono esempi perfetti).
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Da Moro a Renzi, la democrazia italiana chiude i battenti
Forse qualcuno non si è ancora accorto che il diritto rappresentativo democratico, affermatosi nell’Italia repubblicana dal dopoguerra, si sta polverizzando sotto i nostri occhi, frantumato dal revisionismo costituzionale «in atto da diverso tempo, ma ora arrivato tragicamente alle ultime battute d’arresto», grazie al «golpe finanziario euroatlantico». E’ appena accaduto «qualcosa di assolutamente inedito negli ultimi 70 anni di storia repubblicana», scrive Rosanna Spadini: nella notte del 13 febbraio 2015 «un governo ha modificato la Costituzione unilateralmente». Ovvero: un gruppo di parlamentari “nominati”, «pur non avendo avuto la maggioranza alle ultime elezioni, ma avendola ottenuta solo in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale», ha modificato la Costituzione «asfaltando in un solo colpo la democrazia». Il “golpe notturno” è stato eseguito «in apnea di democrazia», da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte. La Costituzione? Ormai «obsoleta e superflua», un intralcio al profitto dei bankster. Con Renzi, va a segno il piano antidemocratico nato trent’anni fa.Il “Porcellum”, osserva la Spadini su “Come Don Chisciotte”, è una legge ancor più devastante dei diritti di rappresentanza democratica della Legge Acerbo imposta da Mussolini. «Infatti non c’è nemmeno bisogno del 25% dei voti per ottenere il premio di maggioranza: chi arriva primo fra le varie liste e coalizioni, quale che sia la percentuale, ottiene la maggioranza di 340 seggi a Montecitorio». Di qui la tendenza alla formazione di “larghe intese”, «sottoposte al ricatto». La riforma del Senato promossa dal governo Renzi, poi, «prevede la fine del bicameralismo perfetto e l’abolizione del Senato elettivo, sostituito con una Camera composta da consiglieri regionali e sindaci e ridotta da 315 a 100 membri». Il nuovo Senato non voterà più la fiducia al governo, né gli sarà consentito di legiferare (tranne che su alcuni temi: riforme costituzionali e trattati internazionali). Di fatto, l’abolizione del Senato elettivo «sospende il diritto repubblicano e si inserisce in una fase di “anomalia legislativa”», inaugurando la transizione «da un regime rappresentativo, espressione dialettica tra i vari gruppi sociali e politici, a uno autocratico, che tende ad semplificare i metodi deliberativi, per imporre la volontà esclusiva di gruppi di potere oligarchico».La logica, sintetizza Spadini, non è più quella della collaborazione e del compromesso, di conciliazione delle diverse istanze, ma espressione della richiesta di più spedita efficienza del processo deliberativo, inteso come mera applicazione di una volontà autocratica. «Le ultime riforme previste dunque prevedono una riduzione ulteriore dei poteri democratici del Parlamento attraverso la trasformazione di un ramo delle Camere, da organo legislativo a pieno titolo a mera funzione di collegamento tra Stato ed enti locali». Questo, assieme alla nuova legge elettorale (con ampio premio di maggioranza al partito più votato), «assegnerà più potere alle maggioranze e ai governi, indebolendo invece il Parlamento e le opposizioni». Un uomo solo comando, non eletto da nessuno: Renzi, il maggiordomo dei poteri forti che «sta rottamando la democrazia», in una situazione «molto vicina al colpo di Stato». Il problema? Salvare la Costituzione, prima che gli italiani diventino definitivamente sudditi senza più diritti. «Eroe del populismo postmoderno», Renzi finora è stato «un abile impresario politico della virtualità rassicurante, un valido affabulatore della narrazione neoliberista blairiana», idolatrato da elettori raggirati e destinati «a un’esistenza di precariato professionale perpetuo».Certo, ammette Spadini, il “golpe” viene da lontano, «e fu segnato da passaggi chiave nella storia economico-politica italiana». L’assassinio di Moro, nel maggio 1978, «serviva per impedire la partecipazione dei comunisti al governo, evento traumatico per gli Usa», ma «giovò anche al progetto dell’area valutaria europea». Infatti, «nel marzo del ’79 ci fu l’incriminazione del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, il quale poi, benché prosciolto da tutte le accuse, dovette dimettersi». Subito dopo, il capo del governo Giulio Andreotti ufficializzerà l’entrata dell’Italia nello Sme. «Nel 1981, con l’accordo Ciampi-Andreatta, verrà sancito il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, dando inizio così all’impennata dell’aumento degli interessi sul debito pubblico». Nel ’92 poi si aprì la stagione di Mani Pulite, una “rivoluzione mediatico-giudiziaria” che avrebbe provocato la demonizzazione della classe politica dirigente della Prima Repubblica, «ovvero quella casta che, pur tra episodi di corruzione, aveva permesso la crescita economica e l’aumento dei salari». A seguire, il primo processo di liberalizzazioni e privatizzazioni. «Infine le dimissioni di Berlusconi nel 2011, pilotate dalla Bundesbank, provocarono il succedersi dei governi Monti, Letta e Renzi, non votati da nessuno, e il via libera per la strategia Usa di destabilizzazione del Medio Oriente, in un’ottica ostile alla Russia».Ora, continua Spadini, le famigerate e sbandierate “riforme” «transiteranno la società italiana verso un assetto sociale darwininiano, dove la distanza tra le classi si farà sempre più marcata», difendendo privilegi e «demolendo quel sistema di welfare che ha salvaguardato il benessere dei cittadini fino ad ora». Privatizzazioni, abbattimento dei diritti del lavoro, tassazione spietata sulle fasce più basse, riduzione degli ammortizzatori sociali e della pubblica amministrazione, limitazione della democrazia. «Renzi – scrive il “Daily Mirror”– è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La Jp Morgan». Riforma della Costituzione, del Senato, della Rai, del lavoro (Jobs Act), della pubblica amministrazione, della giustizia, della scuola, del sistema elettorale. «Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi, su suggerimento della banca d’affari Jp Morgan, che ha arruolato proprio Blair tra i suoi consiglieri strategici», conclude Spadini. «Benvenuti nel nuovo mondo dei licantropi, che praticano quotidianamente l’equilibrio funambolesco del potere, oscillante tra virtualità rassicuranti e rovine sociali».Forse qualcuno non si è ancora accorto che il diritto rappresentativo democratico, affermatosi nell’Italia repubblicana dal dopoguerra, si sta polverizzando sotto i nostri occhi, frantumato dal revisionismo costituzionale «in atto da diverso tempo, ma ora arrivato tragicamente alle ultime battute d’arresto», grazie al «golpe finanziario euroatlantico». E’ appena accaduto «qualcosa di assolutamente inedito negli ultimi 70 anni di storia repubblicana», scrive Rosanna Spadini: nella notte del 13 febbraio 2015 «un governo ha modificato la Costituzione unilateralmente». Ovvero: un gruppo di parlamentari “nominati”, «pur non avendo avuto la maggioranza alle ultime elezioni, ma avendola ottenuta solo in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale», ha modificato la Costituzione «asfaltando in un solo colpo la democrazia». Il “golpe notturno” è stato eseguito «in apnea di democrazia», da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte. La Costituzione? Ormai «obsoleta e superflua», un intralcio al profitto dei bankster. Con Renzi, va a segno il piano antidemocratico nato trent’anni fa.
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Ma il povero renziano Baricco non può capire Houllebecq
Nella repubblica delle lettere ha prodotto qualche trapestio la stroncatura di “Sottomissione”, l’ultimo discusso libro di Michel Houellebecq, a opera di Alessandro Baricco. Con tutto il rispetto, che Baricco stronchi Houllebecq è l’ultimo dei problemi: è come se un barboncino tentasse di azzannare un lupo. Solo, non vorrei che domani, in qualche cartoleria francese, Houellebecq trovasse, immediatamente tradotta, la stroncatura di Baricco, e – cattivo com’è – ci massacrasse definitivamente il nostro maggiore scrittore renziano. Anche per questo, e non solo perché “Sottomissione” merita davvero di essere preso maggiormente sul serio, provvedo personalmente a un massacro preventivo di Baricco. Voglio dire, molto meglio che lo faccia io, che sono infinitamente meno cattivo di Houellebecq. “Sottomissione” è uscito in Francia mercoledì 7 gennaio, preceduto da un infernale battage pubblicitario; l’anno scorso, d’altronde, Houellebecq ha avuto una sovraesposizione mediatica senza precedenti, soprattutto dopo che il premio Goncourt 2010, assegnatogli per il suo libro meno acre, “La carta e il territorio”, aveva fatto pensare che gli sarebbe bastato rabbonirsi un po’ per puntare addirittura al Nobel.Per fortuna, invece, Houellebecq ha scritto “Sottomissione”, che rinvia sin dal titolo al film del regista olandese Theo van Gogh, assassinato da un islamista nel 2004: roba forte, dunque, anche senza il successivo macello di “Charlie Hebdo”. La traduzione italiana, uscita a tambur battente, ha esaurito subito la prima edizione, e la stroncatura di Baricco, intitolata “L’inutile lezione del professore”, è uscita su “Repubblica” il 20 gennaio, quand’era già tardi per impedire il successo del libro, per giunta perfidamente accostata alla recensione di un libro di Giuliano Amato. È inutile girarci attorno: di “Sottomissione”, Baricco non ha capito nulla. Del resto, potrebbe mai un intellettuale da salotto capire quel che passa per la testa di un predatore? L’esordio è solenne: «Se ancora esiste una pratica che si chiama letteratura – scandisce Baricco – non sono poi molti gli scrittori che vi si dedicano con risultati memorabili: per quel che ne capisco io, uno è Houellebecq». Con queste poche righe trasudanti ammirazione, però, l’inventore di “Holden – Scuola di Storytelling & Performing Arts”, il più costoso Dams italiano – prende due granchi con una sola frase.Primo granchio: c’è un fottio di buona letteratura in giro, persino i libri di Baricco non sono poi così male, a parte titoli come “Castelli di rabbia” (1991) che produrrebbe rabbia vera se non producesse costernazione. Ma la gran parte è letteratura d’intrattenimento, questo è il problema, e Houllebecq è tutt’altra cosa. Secondo granchio: Baricco pensa ancora alla Letteratura con la elle maiuscola, al Grande Romanzo Ottocentesco. Subito dopo, infatti, scrive che “Sottomissione” non attinge a quei livelli, limitandosi a cucire insieme «un romanzetto di fantapolitica, un racconto dedicato al mesto declino umano di un accademico parigino e un saggio su J. K Huysmans». Ora, come spiegare a uno scrittore d’intrattenimento che la letteratura più viva di quest’inizio millennio è proprio quella à la Houellebecq, che contamina romanzo, saggistica, reportage, dossier scientifico, e molte altre cose ancora? È, per citare i primi due titoli che mi vengono in mente, “Limonov” (2012) di Emmanuel Carrère, o il “Progetto Kraus” (2014) di Jonathan Franzen.Lo stesso Baricco, in “Castelli di rabbia”, cerca di fare qualcosa del genere, senza riuscirci. “Sottomissione”, invece, ci riesce perfettamente, direi con disinvoltura: vogliamo trattarlo come un «romanzetto di fantapolitica» solo per questo? Il terzo granchio è aver perso completamente di vista, a differenza dei critici d’Oltralpe, il tono satirico, paradossale, di tutta l’operazione. Come può essere sfuggito a uno scrittore, benché da salotto, che “Sottomissione” è un capolavoro dell’humour nero, nel solco di André Breton, autore che oltretutto cita? Come si fa a non capire che tutta la storia dell’islamizzazione della Francia, lungi dall’essere «una boutade buona per ravvivare una cena con dei colleghi», come crede Baricco, è un apologo sulla perdita d’identità francese ed europea, perdita che rende disponibili a votare il “Front National” o a convertirsi all’islamismo, indifferentemente, pur di ridarsi un’anima conservando il confort? Lo scrive Philippe Lançon su “Libération” del 3-4 gennaio: «L’humour è buona educazione per disperati – o maleducazione, come più vi piace».Nel libro c’è una tale quantità di battute politicamente scorrette, soprattutto sulle donne, che mi limito a citarne una, quasi inevitabile, sul presidente francese in carica. A proposito di François Hollande, “Sottomissione” si esprime con la seguente tranquilla ferocia: «Alla fine di due quinquennati catastrofici, con una rielezione dovuta solo alla strategia miserabile di favorire l’ascesa del Fronte nazionale, il presidente uscente aveva praticamente rinunciato a esprimersi, e la maggior parte dei media sembrava averne addirittura dimenticato l’esistenza. Quando, sulla soglia dell’Eliseo, davanti a una sparuta dozzina di giornalisti, si presentò come “l’ultimo baluardo dell’ordine repubblicano”, ci fu qualche risata, breve ma inequivocabile» (p. 101). Ve l’immaginate Baricco che scrive una cosa così, non dico del suo idolo Renzi, ma di Graziano Delrio?Houellebecq qualifica il politico francese di centrosinistra François Bayrou come «l’uomo politico ideale per incarnare l’umanesimo», incontrando «una certa popolarità nell’elettorato cattolico, che si sente rassicurato dalla sua idiozia» (p. 131). A proposito di umanesimo, la sua bestia nera, Houellebecq scrive che la sola parola «mi metteva una leggera voglia di vomitare» (p. 213). Ora, cosa può capire di tutto questo Baricco, che confonde l’ironia con la propria, finta, trasandatezza subalpina, a base di «robe», «quella cosa lì», «per quel che ne capisco io»? Ma sì, quella specie di understatement che tanto impressiona gli aspiranti romanzieri di “Holden”, lasciandogli credere che il loro guru, da un momento all’altro, potrebbe stupirli con effetti speciali. Io ho consultato persino Wikiquote, e mi permetto di disilluderli: gli effetti speciali non arrivano mai.Il quarto granchio di Baricco, sul quale il titolista di “Repubblica” ha fatto il titolo, riguarda «quello che sembra essere […] il vero nervo centrale del libro e in definitiva la sua ragion d’essere: il racconto dello strisciante declino, grottesco e rancoroso, di un cattedratico di mezza età». Senza accorgersi che il protagonista si chiama François, come se uno, in Italia, si chiamasse Italiano, lo stroncatore conclude che «difficilmente [un protagonista del genere] può assurgere a personaggio memorabile». Il granchio è condiviso con Bifo Berardi, il quale però, in una lunga recensione pubblicata online, molto più acutamente suggerisce: «Il dolore di cui [Houllebecq] parla in tutti i suoi romanzi non è solo il suo personale dolore, ma la chiave attraverso cui raccontare un’epoca». Ovvio: i traumi esibiti, la depressione, la paura della morte, sono solo le lenti attraverso cui Houellebecq guarda il meticoloso naufragio di una civiltà.Quinto e ultimo granchio – per ora: ma si attendono repliche – la totale ignoranza da parte di Baricco della metafisica di Houellebecq: che è poi ciò che rende i suoi libri così spiazzanti, così sgradevoli per le anime belle, ma anche così contagiosamente umoristici. Sulla base delle proprie esperienze personali, chirurgicamente raccontate nel suo libro migliore, “Le particelle elementari” (1998), Houellebecq ritiene questo nostro universo, retto dalle leggi darwiniane della selezione naturale, lo scherzo di un creatore malvagio, o mostruosamente stupido: una di quelle divinità dementi che affollano gli incubi di Howard Philip Lovecraft, uno dei suoi autori di culto. La vita degli umani segue le leggi dettate da questo semidio gnostico: soffrire, riprodursi e, appunto, sottomettersi alla necessità.Di sottomissione Houllebecq parla già in una delle pagine più hard delle “Particelle elementari”, dove descrive le angherie subite da ragazzo nel collegio, o piuttosto nella fossa dei serpenti, dove lo avevano parcheggiato i genitori dopo la loro separazione. Tutte le società animali, scriveva allora, compresa la società umana, «si reggono su un sistema di dominazione basato sulla forza relativa dei loro membri». Nel suo solito modo puntuale e disturbante, dunque, Houllebecq concludeva già allora che «l’animale più debole ha la possibilità di evitare il combattimento adottando una posizione di sottomissione (assunzione di stazione supina, esposizione dell’ano)» (p. 47 della trad. it., corsivo nel testo).Bene, anzi male, ma fatto sta che “Sottomissione” applica questa metafisica, desolante però esatta, alla situazione odierna della Francia, ma si potrebbe pure dire, contraddicendo anche qui Baricco, dell’Europa, se non della cultura occidentale in genere. Perché non ditemi che l’Italia è messa meglio della Francia, o che la nostra università pubblica non rischia, prima o poi, di essere rasa al suolo come quella francese nella finzione letteraria, o che le nostre povere vite sono molto più esaltanti della vita dell’accademico François. Chiaro che il protagonista di “Sottomissione”, alla fine, sia ridotto a convertirsi all’Islam: e neppure per ridare senso alla propria vita – espressione che a Houllebecq non produrrebbe neppure un sorriso di compatimento, ma il vomito, direttamente – bensì per avere una moglie, anzi tre, che finalmente lo accudiscano, come non avrebbe mai fatto, a credergli, la sua mamma snaturata.Ma tutto questo potrebbe sembrare semplicemente penoso, o palloso, come direbbe lo stesso Houllebecq, e non renderebbe giustizia all’assoluta godibilità del libro: che fa proprio ridere, da scompisciarsi, se solo uno sa coglierne l’ironia paradossale, e qua e là abissale, come sarebbe stato troppo pretendere dal malcapitato Baricco. Già che ci sono, anzi, mi permetto di rinviare al capolavoro di Houellebecq, “Le particelle elementari”, per suggerire un’interpretazione psicologica, sociologica, oserei dire antropologica, dell’incomprensione di Baricco. Il libro del 1998, come ho già detto, ha pagine autobiografiche tremende, che se fossero scritte da un altro lo farebbero semplicemente chiudere per non riaprirlo mai più. Eppure, o forse proprio per questo – se vi siete annotati la definizione dell’humour come buona o cattiva educazione per disperati – ha anche, nel capitolo terzo della parte seconda, alcune delle pagine più esilaranti della letteratura contemporanea.Succede che il co-protagonista delle “Particelle elementari”, Bruno, praticamente un maniaco sessuale, fa una disperata vacanza in un campeggio alternativo, sempre con il chiodo fisso di rimorchiare, ma con l’alibi, fornito dai sagaci gestori, di fare esperienze culturali estreme, dal massaggio erotico a tutte le varianti dello yoga sino alle più sofisticate forme di misticismo. In questa sorta di Disneyland dell’immaginario tipico della sinistra anni Settanta, che ha in realtà sdoganato l’individualismo e l’edonismo reaganiano degli Ottanta, per non parlare degli sputtanamenti ancora successivi, il nostro co-protagonista sceglie, fra i tanti a disposizione, anche un corso di scrittura creativa, tipo “Holden”. Solo che, trattandosi pur sempre di un alter ego di Houellebecq, non riesce a resistere dallo sfornare, su richiesta, questo distico indimenticabile: “I tassisti sono proprio dei froci / non ce n’è uno che si fermi agli incroci”.Ora, ditemi pure che Houellebecq e io, indifferentemente, siamo degli irresponsabili, dei goliardi, degli psicolabili: ma io non riesco a smettere di ridere, convulsamente, da quando ho letto questi versi la prima volta. E siccome penso che il riso, come ci hanno insegnato quelli di “Charlie Hebdo”, sia la sola religione per la quale vale la pena di vivere, e persino di morire, aggiungo solo una minuscola considerazione conclusiva. Altro che scrittura creativa e letteratura d’intrattenimento: se finalmente la gente si abitua alla buona letteratura, quella che fa semplicemente ridere e piangere, una risata le seppellirà.(Mauro Barberis, “Massacro preventivo, su Baricco critico di Houllebecq”, da “Micromega” dell’11 febbraio 2015. Il libro: Michel Houllebecq, “Sottomissione”, Bompiani, 252 pagine, euro 17,50).Nella repubblica delle lettere ha prodotto qualche trapestio la stroncatura di “Sottomissione”, l’ultimo discusso libro di Michel Houellebecq, a opera di Alessandro Baricco. Con tutto il rispetto, che Baricco stronchi Houllebecq è l’ultimo dei problemi: è come se un barboncino tentasse di azzannare un lupo. Solo, non vorrei che domani, in qualche cartoleria francese, Houellebecq trovasse, immediatamente tradotta, la stroncatura di Baricco, e – cattivo com’è – ci massacrasse definitivamente il nostro maggiore scrittore renziano. Anche per questo, e non solo perché “Sottomissione” merita davvero di essere preso maggiormente sul serio, provvedo personalmente a un massacro preventivo di Baricco. Voglio dire, molto meglio che lo faccia io, che sono infinitamente meno cattivo di Houellebecq. “Sottomissione” è uscito in Francia mercoledì 7 gennaio, preceduto da un infernale battage pubblicitario; l’anno scorso, d’altronde, Houellebecq ha avuto una sovraesposizione mediatica senza precedenti, soprattutto dopo che il premio Goncourt 2010, assegnatogli per il suo libro meno acre, “La carta e il territorio”, aveva fatto pensare che gli sarebbe bastato rabbonirsi un po’ per puntare addirittura al Nobel.
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Tsipras e il tecno-nazismo del venerabile maestro Draghi
Alexis Tsipras ha vinto con largo margine. Si tratta di un risultato ampiamente in linea con le previsioni. D’altronde i partiti tradizionali, a partire da “Nuova Democrazia” al Pasok, hanno negli ultimi anni pianificato e attuato un vero e proprio sterminio in danno del popolo greco; uno sterminio, mascherato da una melliflua retorica sul risanamento dei conti, che ha generato un numero imprecisato di morti, ammalati, suicidi e indigenti. In Grecia, nel cuore della civilissima Europa, è aumentata la mortalità infantile, sono cresciuti i casi di malnutrizione e sono ricomparse malattie da degrado che parevano sconfitte per sempre. Insomma la Troika capitanata da Draghi, Lagarde e Juncker, successore del vile Barroso a capo della Commissione Europea, ha oggettivamente rinverdito nell’Ellade i fasti hitleriani, inseguendo il mito della “soluzione finale” con la stessa fanatica testardaggine che in altre epoche accompagnò la furia sanguinaria dei vari Himmler e Goebbels.Tra Draghi e Rosenberg, lo riconosco per amore di verità, esiste però una differenza che sarebbe scorretto occultare: pur condividendo entrambi nella sostanza la stessa gnosi feroce ed anti-umana, i metodi utilizzati dai tecno-nazisti moderni sono decisamente più sottili ed incruenti. In sintesi, tanto i nazisti classici capitanati da Hitler quanto i tecno-nazisti contemporanei guidati da Draghi puntano ad una selezione eugenetica della “razza europea”; ma mentre il primo pensava di dover salvaguardare la purezza germanica a colpi di mitraglia e campi si concentramento, il secondo si limita in maniera darwiniana a rendere impossibili le condizioni esistenziali delle masse popolari, perseguendo il dissimulato scopo di far rimanere in vita solo i ceppi più resistenti, quelli in grado cioè di adeguarsi ad una vita di fame, privazione e stenti. Il tecno-nazismo poi, a differenza del nazismo classico, può trionfare senza formalmente sopprimere i cardini della democrazia liberale: ovvero elezioni periodiche e libertà di espressione.Il senso di tale dottrina è stato brillantemente cristallizzato tempo fa dallo stesso Draghi, bravo nel formulare limpidamente la teoria del “pilota automatico”, quella che spiega al mondo come e perché la dialettica formalmente democratica in voga nei rispettivi paesi dell’area euro non possa in ogni caso influenzare per nulla il tracciato disegnato nell’ombra dal banchiere centrale e dai suoi relativi fratelli. Per quanto riguarda la libertà di espressione, il militare controllo dei principali mezzi di informazione permette la costruzione in vitro di una realtà apparente che disabilita scientificamente il senso critico della maggior parte dei cittadini. E quand’anche la propaganda martellante dovesse infine risultare insufficiente per favorire l’elezione del burattino di turno gradito al Venerabile Maestro Mario Draghi, sarà sempre possibile corrompere o minacciare gli eventuali outsider riportandoli tosto a più miti consigli.Qualche esempio? Che fine ha fatto l’Hollande che in campagna elettorale prometteva la fine dell’austerità? Cosa ha fatto Renzi, a parte qualche battuta di cabaret, per invertire l’attuale paradigma economico in voga in Europa? Domande sospese. E, alla luce dei precedenti testé citati, chi vi dice che Tsipras non abbia già formalmente baciato la pantofola dei padroni per godersi finalmente in tranquillità la tanto agognata ascesa al potere? Non vi pare quantomeno strana la dichiarazione con la quale Tsipras certifica di essere un sostenitore del pareggio di bilancio? A parte i cialtroni e gli idioti, tutti sanno come sia impossibile attuare politiche per favorire la crescita e l’occupazione perseguendo sulla strada anti-keynesiana del rigore dei conti. Capiremo presto se Tsipars rappresenti per davvero una opportunità di rinascita per il suo popolo o se, più probabilmente, il suo governo assumerà piuttosto le sembianze di una “merchant bank” indispensabile per arricchire i tanti lanzichenecchi rossi finalmente entrati nelle stanze del potere. In Italia di simili prassi ne sappiamo certamente qualcosa.Ogni cambiamento epocale deve essere preceduto da un segno che attesti urbi et orbi e in forme eclatanti la fine del vecchio mondo. Il nazismo classico non è più riemerso perché in molti si ricordano ancora oggi i corpi dei gerarchi nazisti penzolanti sulla forca. Se Tsipras intende davvero dichiarare sconfitto per sempre il tecno-nazismo greco personificato dai vari Samaras e Venizelos, apra fin da subito una discussione all’interno del Parlamento al fine di chiarire la natura, stragista o meno, degli ultimi governi alternatisi al potere. Samaras e Venizelos potranno cioè rispondere liberamente alle domande di una libera e democratica commissione d’inchiesta, chiamata appositamente a verificare l’eventuale dolosa consumazione di ripetuti “crimini contro l’umanità”. Se Tsipras, come credo, non farà nulla di tutto ciò, sarà chiara immediatamente a tutti la natura falsa ed infingarda del giovane pifferaio greco.(Francesco Maria Toscano, “Alexis Tsipras è l’ultimo coniglio estratto dal cilindro del venerabile maestro Mario Draghi?”, dal blog “Il Moralista” del 29 gennaio 2015).Alexis Tsipras ha vinto con largo margine. Si tratta di un risultato ampiamente in linea con le previsioni. D’altronde i partiti tradizionali, a partire da “Nuova Democrazia” al Pasok, hanno negli ultimi anni pianificato e attuato un vero e proprio sterminio in danno del popolo greco; uno sterminio, mascherato da una melliflua retorica sul risanamento dei conti, che ha generato un numero imprecisato di morti, ammalati, suicidi e indigenti. In Grecia, nel cuore della civilissima Europa, è aumentata la mortalità infantile, sono cresciuti i casi di malnutrizione e sono ricomparse malattie da degrado che parevano sconfitte per sempre. Insomma la Troika capitanata da Draghi, Lagarde e Juncker, successore del vile Barroso a capo della Commissione Europea, ha oggettivamente rinverdito nell’Ellade i fasti hitleriani, inseguendo il mito della “soluzione finale” con la stessa fanatica testardaggine che in altre epoche accompagnò la furia sanguinaria dei vari Himmler e Goebbels.
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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Reclus: la strage degli animali prepara guerra e genocidio
Il reduce della Comune di Parigi ha scritto acutamente circa il processo che permette agli esseri umani di commettere la violenza sugli animali, «un processo che potremmo chiamare di socializzazione specista», afferma Hochschartner. La reazione inorridita di un bambino di fronte allo sfruttamento degli animali «svanisce nel tempo, cedendo davanti alla perniciosa influenza dell’educazione quotidiana», ha dichiarato Reclus. «I genitori, gli insegnanti, in modo ufficiale o amichevole, i medici, per non parlare del singolo potente che noi chiamiamo “tutti”, lavorano tutti quanti insieme per “indurire” il carattere del bambino rispetto a questo alimento a quattro zampe che, tuttavia, ama come facciamo noi, e sente come noi».Forse anticipando il lavoro di scrittori come Joan Dunayer, Reclus ha riconosciuto il ruolo dei giochi linguistici nel negare o razionalizzare lo sfruttamento degli animali. «Gli animali sacrificati per l’appetito dell’uomo sono stati sistematicamente e metodicamente resi orrendi, informi, e sviliti in intelligenza e valore morale», ha scritto Reclus. «Anche il nome degli animali è stato trasformato, il cinghiale viene utilizzato come grossolano insulto, la massa di carne che vediamo sguazzare nelle piscine rumorose è talmente ripugnante da guardare che evitiamo ogni somiglianza tra il nome della bestia e quello dei piatti che se ne ricavano». Naturalmente, Reclus credeva nel collegamento tra la violenza sugli animali e quella contro gli esseri umani: «C’è poi così tanta differenza tra il corpo morto di una giovenca e quello di un uomo?».«Gli arti mozzati, le interiora mescolate uno con l’altro, sono molto simili», scrive Reclus. «Il massacro del primo rende facile l’omicidio del secondo, soprattutto quando fuori squilla l’ordine di un leader, o da lontano arriva la parola del maestro incoronato, “essere senza pietà”». Elisée Reclus è morto nel 1905 all’età di 75 anni. «Si dice che i suoi ultimi giorni siano stati resi particolarmente felici dalla notizia della rivoluzione popolare in Russia», secondo Camille Martin e John P. Clark. «Morì poco dopo aver sentito della rivolta dei marinai sulla corazzata Potemkin».Si illude, chi crede che macellare un vitello sia poi tanto diverso dal massacrare un cristiano: e non capisce che l’assuefazione alla strage quotidiana degli animali ci “prepara” all’indifferenza verso l’omicidio, la guerra, il genocidio. Parola di Elisée Reclus, anarchico francese e geografo nonché vegetariano militante: aveva, per l’epoca, idee molto progressiste riguardo ai diritti degli animali. Servendo come membro della milizia, partecipò attivamente alla rivolta che diede vita alla mitica Comune di Parigi del 1871, storica ribellione della classe operaia che lo stesso Marx definì «il presagio glorioso di una nuova società». Dopo la sua cattura da parte delle forze governative, Reclus venne inizialmente deportato in Nuova Caledonia, remoto arcipelago al largo delle coste dell’Australia. Ma grazie all’intervento dei suoi sostenitori, che secondo alcune fonti includevano anche Charles Darwin, una nuova sentenza ridusse la distanza del confino, permettendogli di vivere in Svizzera.