Archivio del Tag ‘Come Don Chisciotte’
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Bankitalia può fabbricare miliardi, voi politici non lo sapete?
«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».Sul cosa fare, scrive Zibordi sul forum “Cobraf” ripreso da “Come Don Chisciotte”, il grillino Di Maio ha dichiarato: «Niente uscita dall’euro». E, nel caso ci fossero dubbi sulla logica, ha detto che il debito pubblico deve scendere di un 40% (rispetto al Pil). I soldi mancanti? Devono venire da 50 miliardi di taglio della spesa pubblica. Berlusconi? Anche lui si dichiara pro-euro, però «non parla di tagli come Di Maio e quindi è più “a sinistra”». Peccato però che, in questo modo, «i 70 o più miliardi per cancellare la Fornero, il “reddito di dignità” e la “flat tax” esistano solo nei suoi discorsi». Quanto a Salvini, «continua a lanciare frecciate contro l’euro, ma finora nelle proposte non parla più di EurExit e si è alleato con chi non ne vuole proprio uscire (e dice che lui, Salvini, ha cambiato idea)». In sostanza: i candidati alle politiche 2018 promettono spese per 100 miliardi, senza però dire come uscire dal sistema degli euro-vincoli. «Dire che li trovate tagliando le spese o reprimendo l’evasione come fa Di Maio – scrive Zibordi – è come dire che quei soldi li porterà la Befana, specie dopo l’esperienza di Monti».Ora che la Bce ha creato 2.400 miliardi dal 2012 e assieme alle altre banche centrali ha creato dal nulla 19.000 miliardi dal 2009, «forse la nozione che si possa creare denaro potrebbe essere spiegata agli elettori italiani». A differenza di altre elezioni, continua Zibordi, stavolte l’italiano medio sta ad ascoltare, se si parla di economia. «All’austerità, l’idea che c’è una quantità fissa di soldi e se ne occorrono da una parte ne devi tagliare dall’altra, sono rimasti a credere solo quelli che sentono Oscar Giannino». I candidati dovrebbero quindi spiegare che, invece, «non ci sono ostacoli pratici a creare 100 miliardi per lo Stato, sia in generale che nello specifico, visto che la Bce e le varie banche centrali nazionali hanno ricomprato 900 miliardi di debito sui mercati mentre i deficit pubblici erano di 200 miliardi». Cioè: negli ultimi anni il debito pubblico sui mercati si riduceva nell’Eurozona di 900 miliardi, e la quota dell’Italia era intorno ai 200 miliardi. Ovunque nel mondo, prosegue Zibordi, «le banche centrali hanno comprato una grossa fetta di debito pubblico facendolo sparire dai mercati». In certi casi anche il 40% del debito è stato ritirato dai mercati, «con il risultato che poi gli interessi non pesano più sullo Stato». Per cui, attenzione: «I miliardi per fare redditi di cittadinanza o pensioni o riduzioni di tasse vengono da qui, da quelli che le banche centrali hanno creato e poi usato per ridurre il debito pubblico». E’ un discorso così difficile da fare, per un politico?«Se prometti 100 miliardi di pensioni, redditi garantiti e tagli di tasse dicendo però che resti dentro i vincoli dell’Eurozona allora sì che vedi facce perplesse e incredule», scrive Zibordi. E perchè il discorso del ritorno alla lira non funziona? «Perchè la gente pensa che i soldi si riducano di valore, che svaluti, e alla fine poi in realtà ci sia meno denaro perchè vale di meno». Non è necessariamente vero: «Bankitalia in questo stesso momento sta stampando euro con cui compra Btp e lo ha fatto ormai per 300 miliardi di Btp senza conseguenze negative. Di questi 300 miliardi ne servono 100 miliardi per ridurre tasse e altre cose. Bankitalia e la Bce “stampano” miliardi e questo va bene, ma li usano solo per togliere il debito dai mercati, renderlo inoffensivo. E’ un ottima cosa, andrebbe fatto sempre nei prossimi anni fino a quando il debito pubblico sparisce quasi tutto dai mercati. Ma una frazione di questi soldi va anche girata alle famiglie e imprese. Nell’insieme, Bce e Bankitalia hanno ora 400 miliardi circa di titoli di Stato italiani, per cui ci si può permettere di darne 100 miliardi indietro al pubblico italiano». Bisogna però che i leader politici lo dichiarino, cioè dicano che la posizione dell’Italia, del prossimo governo italiano, è che il debito pubblico comprato da Bankitalia stampando centinaia di miliardi di euro vada sottratto dal totale.«Dato quindi che si sta già stampando denaro da parte della banca centrale, che opera per conto dello Stato, bisogna riconoscerlo e dire che non possono essere solo investitori e speculatori finanziari a beneficiarne». Il prossimo governo italiano, continua Zibordi, deve dire che ora tocca a lui creare anche solo una frazione di questi miliardi a beneficio di imprese e lavoratori italiani. Come? Ci sono diverse soluzioni: emissione di crediti fiscali, Btp fiscali, criptovalute. «Sono mezzi di pagamento per le tasse, cioè i crediti fiscali o Btp Fiscali o gli ItCoin: lo Stato li accetta per le tasse, ma non li impone per legge come moneta, altrimenti violerebbe i trattati per i quali solo l’euro è moneta legale». Bankitalia non è d’accordo? Ovvio: «E’ costretta dal suo ruolo istituzionale a mentire, o comunque a dire qualcosa di fuorviante, perché deve difendere il suo potere di creare miliardi dal nulla e impedire allo Stato di fare altrettanto». Ma la verità è che proprio la Banca d’Italia «può creare 300 o anche 600 miliardi senza vincoli, e lo Stato deve chiedere il permesso di spenderne 3 per delle emergenze». Tutto merito dell’euro. «Lo Stato italiano deve tornare a fare quello che per 30 anni ha delegato alla banca centrale, con i risultati di depressione economica, crollo demografico e milioni di sottoccupati e disoccupati», conclude Zibordi. Per farlo non c’è bisogno di tornare prima alla lira: basta denunciare «il bluff delle banche centrali, che creano migliaia di miliardi e predicano agli Stati l’austerità perchè “non ci sono i soldi”».«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».
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Zizek: solo i miliardari progressisti salveranno l’umanità?
Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?Perché sappiamo che le parole contano nei dibattiti pubblici: e anche se ciò di cui parla Gates non è “vero socialismo”, parla dei limiti fatali del capitalismo – e, ancora una volta, possiamo chiedere: gli autoproclamatisi socialisti attuali hanno una visione seria di cosa il socialismo debba essere oggi? Il paradosso della nostra situazione è quindi che, mentre la resistenza contro il capitalismo globale sembra non riuscire ad indebolirne l’avanzata, i suoi oppositori sembrano non essersi accorti dei vari trend che segnalano chiaramente la progressiva disintegrazione del capitalismo. Ed è come se le due tendenze (resistenza ed auto-disintegrazione) si muovessero a ritmi diversi e non riuscissero a incontrarsi: abbiamo dunque inutili proteste in parallelo a voci di imminente decadenza, ma sembra che non ci sia modo di riunire le due in un atto coordinato (come il superamento del capitalismo). Miliardari buoni? Come si è arrivati a questo? Mentre la sinistra (o perlomeno la maggior parte) cerca disperatamente di proteggere i diritti dei vecchi lavoratori contro l’assalto del capitalismo globale, è quasi esclusivamente il capitalismo più “progressista” (da Elon Musk a Mark Zuckerberg) che parla del post-capitalismo – come se il vero argomento del passaggio dal capitalismo, come lo conosciamo, ad un nuovo ordine post-capitalista sia stato appropriato dal capitalismo stesso.Di conseguenza, sta emergendo un nuovo gruppo di “intellettuali organici”, che esemplificano la privatizzazione dei nostri beni comuni. La figura di Elon Musk è emblematica, e appartiene alla stessa classe di Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed altri: tutti miliardari “socialmente consapevoli”. Rappresentano il capitale globale nella sua forma più seducente e “progressista”: in breve, nella sua forma più pericolosa. Ma allora questi ultra-ricchi possono salvarci? Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk non sarebbe Sloterdijk se non avesse tratto questa provocatoria conclusione: prima si pensava che solo i poveri (uniti) avrebbero potuto salvare il mondo, il ventesimo secolo ha invece mostrato le conseguenze catastrofiche di questo atteggiamento e la violenza distruttiva generata da un risentimento universalizzato. Ora, nel ventunesimo secolo, dovremmo finalmente avere il coraggio di accettare il fatto che solo i ricchi possono salvare il mondo, e possiamo dire che individui eccezionalmente creativi, che donano con generosità, come Gates e Soros, hanno fatto per le lotte per la libertà politica e contro le malattie più di quanto non abbia fatto qualsiasi intervento statale.La diagnosi di Sloterdijk non deve essere confusa con la solita protesta liberal-conservatrice contro il cosiddetto “risentimento di sinistra”. Perché l’idea centrale che sostiene questo sproloquio è che ne abbiamo avuto abbastanza della “tirannia del welfare” che abbonda nel nostro “dispotismo democratico”; come nel medioevo, l’orgoglio personale è oggi il più grande peccato, ed il nostro diritto fondamentale è sempre più semplicemente il “diritto alla dipendenza”. Approccio alternativo: «Il welfare oggi è una droga dalla quale dipendono sempre più persone. Una buona idea umana diventata una sorta di oppio dei popoli», ha detto Norbert Bolz, un altro pensatore tedesco. Quel che rende Sloterdijk diverso però è che intende la propria proposta come strategia per assicurare la sopravvivenza della più grande conquista economico-politica dell’Europa moderna, il social-democratico welfare State.Secondo Sloterdijk, la nostra realtà – perlmeno in Europa – è la democrazia sociale “oggettiva”, in contrapposizione alla democrazia sociale “soggettiva”. E per tenerla in vita, dovremmo creare una “nuova semantica”, un nuovo spazio di idee egemoniche in cui la cultura dell’orgoglio ed il riconoscimento dei vincenti (non solo in senso economico ma anche morale) avranno il proprio posto. Ma può funzionare? Io non la penso così. Torniamo a Bill Gates: individua correttamente la causa ultima dei nostri problemi (ecologici) nel capitalismo, e poi, invece di proporre cambiamenti al sistema stesso, fa appello al senso comune dei singoli capitalisti. Non sarebbe molto più appropriato cercare di creare un sistema non capitalista, che però premi anche i vincenti? Questi due desideri sono veramente inconciliabili?(Slavoj Zizek, “Solo i miliardari progressisti possono salvare l’umanità?”, da “Rt” dell’8 dicembre 2017; analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, con traduzione di Hmg).Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?
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Amazon è partner Cia, di Bezos anche il Washington Post
Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che la relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.«Bezos ha acquisito la sua ricchezza grazie allo sfruttamento della sua forza lavoro, circa 300.000 persone in tutto il globo», scrive “Dedefensa” citando il sito economico Wsws.org. «I lavoratori di Amazon guadagnano 233 dollari al mese in India, per una media di solo 12,40 dollari l’ora negli Stati-Uniti». I dipendenti hanno tutele minime, salari bassi, contratti flessibili e spesso temporanei, aggiunge “Dedefensa”, in un post tradotto da Vollmond per “Come Don Chisciotte”. A rischio, pare, anche le condizioni di sicurezza sul lavoro: «In settembre, quando Phillip Terry, di 59 anni, è stato schiacciato da un carrello elevatore in una fabbrica di Amazon a Indianapolis, il ministro del lavoro ha dichiarato che l’impresa potrebbe essere costretta a pagare 28.000 dollari d’ammenda. Bezos guadagna una cifra simile in un minuto, più dei suoi operai americani in un intero anno». La società, inoltre, «esige gli stessi privilegi dei governi del mondo, privilegi fiscali e altre agevolazioni gratuite in cambio della costruzione dei suoi magazzini». Amazon messo in competizione più di 200 città americane desiderose di diventare il secondo quartier generale della compagnia, ottenendo in cambio enormi donazioni. «Chicago, per esempio, ha offerto ad Amazon un “pacchetto di incentivi” da 2,25 miliardi di dollari, mentre Stonecrest, in Georgia, ha deciso di cambiare il suo nome in “Amazonie” e di nominare Bezos “sindaco a vita”».Ma il binonio Bezos-Amazon, aggiunge “Dedefensa”, ha un tratto assai particolare, ovvero «la sua relazione estremamente forte e pubblicamente ostentata con la Comunità di sicurezza nazionale (Csn), e in particolare la comunità dell’intelligence». La sua collaborazione con la Cia è ormai palese, rileva il blog, dopo il contratto firmato nel 2013 tra Amazon e l’agenzia di Langley: 600 milioni di dollari, con i quali Bezos ha comprato il “Washington Post”, da allora divenuto «l’organo officiale della sicurezza nazionale (in particolare della Cia) e, durante la campagna Usa-2016, l’organo anti-Trump», in nome della posizione assunta dalla stessa Central Intelligence Agency. Una vera e propria luna di miele, con la Cia che «afferma apertamente la sua soddisfazione per questa cooperazione». Da registrare anche una visita ad Amazon altamente mediatizzata dal segretario alla difesa, James Mattis, «che ci permette di comprendere che anche il Pentagono amoreggi con Bezos». Ovvero: «Non si lavora più in segreto, come accadeva prima dell’affare Snowden». Secondo le fonti citate da “Dedefensa”, «Bezos ha trasformato la sua società in un organo semi-ufficiale dell’apparato di informazione militare americana». Amazon e la Cia hanno appena annunciato il lancio di un nuovo sistema di cloud “regione segreta”, nel quale la società ospiterà dei dati per la Cia, l’Nsa, il Dipartimento della difesa e altre agenzie di informazione militare.Un portavoce della Cia ha recentemente qualificato l’accordo sull’acquisto del “Washington Post” da parte di Bezos come «la migliore decisione che abbiamo preso». Nel quadro delle spese militari approvate a novembre dal Senato, Amazon sarà tra i maggiori fornitori di attrezzature informatiche. «L’uomo da 100 miliardi di dollari – scrive “Dedefensa” – ha impiegato la propria ricchezza per esercitare un’influenza considerevole nei corridoi del potere. Quest’anno Amazon ha finanziato il governo federale sborsando più di 9,6 milioni di dollari». Bezos è ricorso alle pagine del “Washington Post” per promuovere l’agenda del Partito democratico. Il “Post”, sotto la gestione di Bezos, è stato uno dei principali difensori della campagna contro la Russia, pubblicando nel novembre 2016 la lista “PropOrNot”, «una finta compilation di agenzie di stampa presumibilmente “propagandisti russi” includente anche siti di informazione di sinistra». In più, Bezos «sta prendendo nettamente le distanze dal piccolo mondo dei super-ricchi, e soprattutto dai compari della Silicon Valley». Lo si evince «dall’affermazione quasi pubblica dei legami tra Bezos e il servizio di informazione ed eventualmente i militari», con la convinzione che la Cia sia priviligiata come interlocutrice principale.Beninteso: «Tutta la Silicon Valley, dalla preistoria di Gates alla sexy-semplicità di Zuckerberg, ha sempre camminato a braccetto con la Comunità di sicurezza nazionale, Snowden ce l’ha ampliamente dimostrato». Ma con Bezos è un’altra cosa, continua “Dedefensa”: «La relazione è alla luce del sole, ambo le parti ostentano soddisfazione, e nulla ci può dire dove essa possa portare, né chi dei due domini l’altro; c’è un problema di preponderanza del potere». Secondo un analista come Robert Parry, il “Washington Post” di Bezos ha influenzato tutta la stampa mainstream, compreso il “New York Times” e gli altri grandi media occidentali, anche non americani. «L’isteria del Russiagate – scrive Parry – ha provocato un enorme abbassamento del livello giornalistico», per il fatto che i principali media statunitensi hanno ignorato le regole fondamentali nell’acquisizione di vere prove, prendendo per buone semplici vociferazioni sulla presunta interferenza russa nelle elezioni presidenziali. «Dato che la creazione di questa isteria antirussa, avviata dal 2013-2014 (Siria e sopratutto Ucraina), poteva effettivamente essere un obiettivo strategico della Cia, si può concludere che la missione sia stata compiuta. Ma a che prezzo?».Quanto alla Cia, non può non destare attenzione «la sua maniera di uscire allo scoperto, come ha fatto e continua a fare, affermando pubblicamente la sua soddisfazione di “lavorare” con un tale partner». La Cia è incredibilmente potente, come lo stesso Bezos, rileva “Dedefensa”. Ma si ha l’impressione – rispetto alle operazioni che furono affettuate dall’agenzia nel primo mezzo secolo dalla sua fondazione – che si sia persa un po’ di quella “sottigliezza”, tipica del recente passato. «Tra questi due partner – conclude “Dedefensa” – ci sono diverse cose in comune: il potere, la brutalità, il cinismo, la falsa virtù affermata perentoriamente e, in breve, tutto ciò che caratterizza la politica-sistema dal 2001, ma ostentato, istituzionalizzato, ufficializzato, proclamato». Se si analizza il risultato dei primi 16 anni di geopolitica Usa a partire dalla data-spartacque dell’11 Settembre, osservando «questo mostro Bezos-Cia», secondo il blog «si ha un’impressione per certi aspetti temperata: la loro potenza combinata può dare la vertigine, ma la vertigine può anche generare errori di manovra e cadute ancora più brutali». L’unione tra Bezos e la Cia era nell’aria da tempo, ma «si tratta di un’unione eccessiva che nasconde in sé la chiave della propria autodistruzione».Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che ha relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.
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Pornografia e feticismo, la postmodernità delle anime morte
La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.Schiavitù economica contrabbandata come libertà per i singoli, ma fino a un certo punto, perché si mina alla base il concetto di uguaglianza (perché dovremmo essere uguali? L’individuo non deve essere uguale a nessun altro) per favorire l’individualismo thatcheriano. Negli ultimi 10 anni si sono diffuse in Europa vari tipi di forze politiche, che sono state definite dal potere “populismi”: Indignados, Sovranisti, Podemos, M5S. Ma secondo l’ordine simbolico e linguistico imposto dal potere, con il solo obiettivo di rinsaldare il proprio dominio sui dominati, è necessario controllare la popolazione, e mantenere la massa schiavizzata in una condizione di subalternità, in modo tale che la neolingua possa diventare veicolo di potenziamento dei valori del neoliberismo. Dal 1989 il capitale ha adottato una nuova neolingua, e chiunque metta in discussione il potere oligarchico viene demonizzato come disfattista, complottista, o populista. La categoria di populista serve esattamente a diffamare ogni prospettiva che assuma la parte del Servo e non del Signore (“Fenomenologia dello spirito”, W. Friedrich Hegel).Oggi viene diffamato chiunque prenda la difesa dei lavoratori precarizzati e schiavizzati, perché ciò contraddice il potere, che vuol contrabbandare i propri dogmi ideologici come fossero interessi universali: concorrenza, competitività, globalizzazione, delocalizzazione, cancellazione dell’articolo 18, licenziabilità senza giusta causa, flessibilità. Chiunque abbia il coraggio di svelare il vero significato oscurato della neolingua viene silenziato come populista e complottista, incapace di accettare la mera ricostruzione dei fatti e degli eventi prospettata dalla mediatizzazione della realtà, che il potere ci mostra quotidianamente sugli schermi televisivi. Il termine “populismo” o “antipolitica”, viene quindi usato dal potere con toni spregiativi e diffamatori, è diventato una specie di parolaccia. E i media ci presentano una realtà confusa e distorta, Grillo come Trump, Raggi come Obama, l’imperatore buono, Premio Nobel per la pace, in realtà ha sostenuto 7 guerre in contemporanea (Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria).Modernità e Postmodernità. Termini che indicano lo spirito di una civiltà, nel suo divenire storico, antropologico e culturale. La distinzione va ricercata secondo un’analisi marxista, l’aforisma di Marx, per cui «la cultura dominante coincide perfettamente con la cultura della classe dominante» (Karl Marx, “Ideologia tedesca”). Le realtà virtuali, l’iperrealtà, sono la matrice della Postmodernità, strettamente correlate all’uso di macchine creatrici di virtualità: Pc, Tablet, iPhone… Se la “produzione” è la cifra della Modernità, la “simulazione” è quella della Postmodernità. La Postmodernità ridimensiona la produzione per favorire la simulazione, sposta ingenti masse di salariati dalle fabbriche al terziario o oltre, azzera quella middle class che era il volano dell’economia dei consumi, chiude impianti produttivi. La disoccupazione di massa è la vera piaga della postmodernità: felicità virtuale e disperazione reale.L’Illuminismo aveva concentrato l’attenzione sull’impatto politico della nuova mentalità scientifica, che inneggiava all’“Homo faber fortunae suae”, e aveva indotto i nuovi uomini a sostenere le prime grandi rivoluzioni della storia, Rivoluzione Americana 1776, Rivoluzione Francese 1789. Il background filosofico culturale entro cui nasce il populismo è dunque l’età postmoderna, che propone una narrazione sempre più inquieta e socialmente devastante, dove le solide narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica. Diversi autori hanno percepito in anticipo l’avvento del postmoderno, e lo hanno interpretato attraverso la loro acuta sensibilità, a partire dagli anni ’70: Jean-François Lyotard, Guy Debord, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman. Al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni, favole illusionistiche, simulacri evanescenti, emersi direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, e dalla società dello spettacolo.Le nuove minacce metropolitane sono: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam; politiche di austerity che massacrano l’economia dell’Italia, divenuta il Sud Europa. La “notizia” della postmodernità è una fake news, consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a informare sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta deformandoli, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, “La scomparsa dei fatti”). Jean-François Lyotard, nel suo testo “La condizione postmoderna” (1979), conia il nuovo termine di “postmoderno” per definire l’epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Lo sviluppo tecnologico diventa sempre più invasivo per il benessere neurovegetativo umano (“Psyche e Techne”, Umberto Galimberti). La pornografia dei media produce la molteplicità dei linguaggi, la contaminazione degli stili, un citazionismo ossessivo (film di Quentin Tarantino), tipico di un’epoca che non ha più nulla da dire, se non ripetere all’infinito, in modalità sempre diverse, le stesse tematiche.Ne è derivata la perdita di centralizzazione nell’organizzazione dello Stato (federalismo), la perdita di sovranità (euro, Ue), un aumento dei “processi di disgregazione dello Stato Nazione”. L’Occidente sta vivendo una stagione sconcertante, attraversata dalle rapidissime trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna (secoli XVII e XX) e l’epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell’uomo, della società e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea forte dei moderni è il progresso umano, essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. L’idea forte della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di produrre il progresso, una sorta di nichilismo dei valori. Ne segue la negazione della scuola e dell’università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. La perdita di potere e di funzione sociale dell’intellettuale, che a partire dall’età dei Lumi era stato la coscienza della modernità. Tutto molto strano per quella che viene definita la «società della conoscenza».Guy Debord, di formazione hegeliana e marxista, è stato uno dei critici più importanti delle società occidentali avanzate. L’incipit della “Società dello Spettacolo” (1967) riprende a un secolo di distanza quello del “Capitale” (1867) di Marx: «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci». L’incipit dell’opera di Debord è: «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (“La Società dello Spettacolo”). Secondo Debord, La caratteristica principale del capitalismo moderno consiste nell’accumulazione del capitale, nell’espansione delle tecnologie della comunicazione, e nel «feticismo delle merci». Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente «la sua manifestazione sociale più opprimente» («Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini»). Tuttavia lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una parte della società.«Per il fatto stesso che lo spettacolo è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza». Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione. E poi, giacché la comunicazione dei media è unilaterale, il Potere giustifica se stesso attraverso un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte. «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere». Lo spettacolo del capitalismo presuppone quindi l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare. «Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento». Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato.È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. Debord descrive in questi termini l’alienazione del consumatore: «Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio». In una società mercificata, sostiene Debord, è la merce ad avere un ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.Questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”. Alle regionali siciliane Vittorio Sgarbi si presenta con un movimento, “Rinascimento siciliano”, insieme a Morgan e Giulio Tremonti, proponendo un trinomio decisamente bizzarro, composto da vecchi arnesi della politica spettacolo, camuffati da nuova proposta rinascimentale. La società è completamente dominata da immagini falsificate che sostituiscono la realtà, facendo scomparire qualsiasi verità al di là della falsificazione continua. Ciò determina una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e quindi anche della democrazia. La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo. «Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati».La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò che l’ha preceduta per un solo elemento, ma d’importanza decisiva. «Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza». Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che questo». Nella comunità la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune. Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato dovrebbe riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia.Jean Baudrillard poi, altro acuto osservatore del postmoderno, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Baudrillard inizia con la critica polemica verso il capitalismo. Smantellate le grandi teorie che guardavano alla realtà come un sistema complesso ma ordinato e descrivibile (“Idealismo o Positivismo”), il presente diventa ora un insieme di segni. Oggi predomina una iperrealtà virtuale, fatta di segni e simulacri (“Simulacri e simulazioni”, 1981). Ad essere messo in discussione è il concetto di realtà, non di verità, come spesso era accaduto in passato. Lo sguardo di Baudrillard che si proietta sul quotidiano è pessimistico, per non dire tragico e drammatico. La cultura produce qualcosa senza significato, e la sola branca del reale che è in grado di tenere in mano le sorti dell’uomo è l’industria, la società dei consumi.I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Nel suo libro “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?” (1996), Baudrillard ha spiegato come la televisione abbia sostituito la realtà. Tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Consideriamo Disneyland, Las Vegas, dove tutto è incastrato in un meccanismo di funzionamento invidiabilmente impeccabile, un mondo finto che però funziona alla perfezione. Ci rechiamo volontariamente in tali luoghi perché attratti dalla spettacolarità magnetica della ri-creazione, della meraviglia, del simulacro. Siamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne la differenza con criticità? Viviamo nei non-luoghi, definiti così da Marc Augé nel libro “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”. Gli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade, svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, campi profughi, sale d’aspetto, ascensori… ecc ecc. Spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare… l’esatto contrario dell’agorà di Atene, culla della democrazia. Sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.I nonluoghi sono prodotti della società della postmodernità, dove i luoghi della memoria sono confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, il protagonista, Tom Hanks, un cittadino di un immaginario Stato dell’Europa orientale, atterra a New York e dopo aver scoperto che nel suo paese è avvenuto un colpo di Stato, diviene improvvisamente un uomo senza nazionalità, e perciò impossibilitato sia a uscire nella tanto agognata New York, sia a fare ritorno a casa, quindi resta prigioniero e si integra perfettamente nel nonluogo. I nonluoghi sono presenti anche sulla moneta Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia, a differenza delle immagini presenti sulla Lira di Caravaggio, Verdi, Montessori, Galileo, Marconi, Colombo…Gli utenti si accontentano della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Da qui un paradosso: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi (“Villaggio globale”, Marshall McLuhan). Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/ passeggeri/ clienti/ consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole.La società che si vuole democratica non pone limiti all’accesso ai nonluoghi. Farsi identificare come consumatori solvibili, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare. Anche il concetto di “viaggio” è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: i grandi “nonluoghi” posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. Il più grande centro commerciale degli Stati Uniti d’America, il “Mall of America”, richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno. Scrive il critico Michael Crosbie nella rivista “Progressive Architecture”: «Si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland». Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico. Nell’Europa che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, si crea un’ambivalenza dei nonluoghi: quelli dell’abbondanza, e quelli della miseria, come campi profughi, centri di detenzione dei migranti et similia. In essi però l’identità è pericolosa per chi ci si trova, poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione.Zigmunt Bauman è stato forse il pensatore, che ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. Molti saggi di grande successo, a partire da “Dentro la globalizzazione” del 1998, o “Modernità liquida” del 2000, lo hanno decretato il guru del pensiero della postmodernità. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune (“Amore liquido”, 2003 o “Vita liquida”, 2005). La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. Dagli Indignados ad Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene fortemente contestato, con istanze naturalmente diverse ma sempre antisistema. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche.Al contrario, la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni sempre più intense”. Un mondo spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale (“La solitudine del cittadino globale”, 1999). Bauman in particolare nel libro “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” del 2014, parla di un approccio del tutto diverso rispetto alle strutture di potere. Jeremy Bentham e Michel Foucault avevano parlato di Panopticon, inteso come carcere centralizzato che controlla migliaia di detenuti, e in cui bastano pochi agenti di sicurezza per la custodia, metafora evidente del potere centralizzato della modernità e del suo controllo sulla società moderna. Bauman invece parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo.La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli Stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello Stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.Nascere in Italia 40 anni fa significava avere buone probabilità di vivere la propria vita in quegli stessi luoghi, avere la speranza di trovare un lavoro vicino a casa, di conoscere i propri concittadini, la possibilità di fare previsioni verosimili sul proprio futuro. Oggi, si nasce in luoghi che mediamente vengono lasciati nella prima adolescenza, i giovani seguono opportunità di lavoro fugaci, sempre più volatili ed evanescenti, i lavoratori vengono assunti in aziende che da un momento all’altro potrebbero delocalizzare. Le spinte all’individualismo e alla competizione determinano questo stile di vita veloce che porta con sé nuova alienazione: quella dell’uomo e dei suoi rapporti. Per il cittadino globale la leggerezza e la velocità di spostamento sono caratteristiche fondamentali, meno vincoli si hanno e più si è pronti alla sopravvivenza nella selva-mondo virtuale, senza barriere né confini. Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.Nella postmodernità è nata una nuova immagine di società, come spazio che racchiude una molteplicità di individui senza più alcuna cornice comune, sempre più uguali nei loro destini ma sempre più divisi e soli nelle proprie vite. Aumenta poi costantemente il divario tra la condizione dei poveri e quello dei ricchi. Il populismo, in modo particolare il M5S, per quanto riguarda la situazione italiana, è quindi la reazione culturale e politica rispetto alle condizioni sociali drasticamente mutate nel tempo della postmodernità, dopo il golpe messo in atto dalla nuova classe sociale dominante, quell’aristocrazia finanziaria che mira a distruggere i diritti del lavoro, a proletarizzare la middle class, a desovranizzare gli Stati, ad americanizzare l’Europa. Data la potenza propagandistica dei media, riuscirà veramente a vincere le prossime elezioni politiche e a prendere il potere? Oppure sarà costretto inevitabilmente ad abbandonare istanze essenziali delle proprie battaglie, soggiogato dalla potenza della restaurazione liberista?(Rosanna Spadini, “Populismi e postmodernità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 settembre 2017).La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.
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Incolore e insapore: la teologia Ikea, glaciazione dell’anima
Lo sguardo cade oltre l’enorme finestra, sulla balaustra con i colori aziendali della multinazionale: azzurro e giallo. Ormai anche nel Mediterraneo ci sono chiari segni di imminente glaciazione importata dal nord. Le dimensioni delle nostre finestre, una volta modeste in relazione al parallelo, oggi aumentano a dismisura come se l’effetto serra al suo interno fosse quello auspicato alle latitudini polari. I colori stessi sono slavati, spenti. Giallino e azzurrino, appunto. Siamo ben distanti dal bianco accecante delle case del sud o dalle colorite case pastello di San Francisco. Anche lì i colori non sono vivaci, ma quelle tinte pastello così varie non possono che mettere buonumore. Parola questa preclusa a giallini e azzurrini, a cui associo piuttosto noia e fastidio. Giallo noia e azzurrino fastidio, abbinamento perfetto per il ristorantino Ikea in cui mi trovo. Uscito dalle casse rigorosamente cashless con la libreria in kit nel carrello avevo visto quell’invitante immagine di fish and chips. “Perchè no?”, mi ero detto. Mi veniva in mente quell’abbuffata di fish and chips in quella bettola vicino a Londra, in quel fast food popolare, trafficato e senza pretese. Le porzioni erano abbondanti e unte, e avevo ancora in bocca quel gusto inesplicabile di merluzzo fritto assieme alle patate fresche. Perchè no?Mi armo quindi di buona volontà e mi avvicino al totem automatico. In teoria le cose erano semplici: con il touch screen si seleziona ciò che si vuole, si paga e si da lo scontrino all’assistente dietro al bancone. Tocco con l’indice il terminale che cambia schermata. Adesso devo pagare. Poco sotto c’è la feritoia dentro cui bisogna far scorrere la banconota. Certo, potrei anche pagare con il bancomat, ma ho una specie di idiosincrasia verso i pagamenti di spiccioli via banca: non ce la faccio, lo trovo di una miseria inenarrabile. Cerco prima con calma poi con un crescendo di disperazione di infilare la banconota ma non c’è verso. Il meccanismo pare rifiutare qualsiasi tentativo. Mi guardo intorno. C’è una coppia di coetanei a cui chiedo lumi. Mi dicono di non saperne granché, osserviamo imbarazzati quel macchinario infernale che mi nega la possibilità di pagare. Poi la signora vede la luce: bisogna dare un consenso via touchscreen.I computer hanno sempre qualche cazzo di meccanismo prioritario che non esiste nelle relazioni tra noi umani. Vogliono sempre qualcosa in più che noi non siamo abituati a dare. Addirittura la meccanica è più umana: l’auto mica ti domanda “sei sicuro che mi vuoi spegnere?” (o che vuoi accendere il tergicristallo e che ne hai diritto) al contrario del computer. Se devo pagare un cassiere non esiste motivo per cui quest’ultimo mi chieda se voglio davvero pagare e resti in attesa che io pigi un preciso tasto che non riesco ad individuare. Se mi trovo davanti a lui è solo per un motivo: devo pagare. Lui incassa e lì finisce la storia. Con i computer questa banale e ampiamente consolidata razionalità non fa parte dell’insieme di logiche perverse che lo animano. A questa incongruenza si somma il delirio del touchscreen. Mi torna in mente quella coppia di turisti a Firenze che mi chiedono se posso fare loro una foto con lo smartphone di ordinanza. No problem, I’m happy to help you. Certo, come no? Ogni volta che lo toccavo quell’oggetto insensato si trasformava in lettore Mp3, client di posta elettronica o qualsiasi altra diavoleria. Niente foto. Alla fine ho dovute passare l’ordigno multifunzione a mia figlia, che ha saputo domarlo.Ecco, quelle logiche non mi appartengono, lo voglio affermare con tutto me stesso. Purtroppo la società digitale non ne può più fare a meno. Lo scopo fu dichiarato nel lontano 1933 alla World’s Fair di Chicago: «Science finds, industry applies, man conforms». Lo scontro è epocale: i comportamenti umani devono fare i conti con procedure di astrazione sempre maggiori voluti da scienza e messi in opera dalla tecnologia. Millenni di consuetudini sociali vanno riviste in funzione dei desiderata di banchieri, tecnologi e scienziati. Maledicendo il momento in cui avevo deciso di dedicarmi alla ristorazione nordica e incapace di accettare la sconfitta inflittami dalla tecnologia cashless, riesco finalmente ad inserire la banconota nella fessura, opportunamente apertasi dopo il complicato comando touchscreen. L’inserviente strappa il biglietto emesso dal totem e in cambio mi porge l’agognata vaschetta. Lascio il carrello fuori ed entro nell’area ristorazione. L’ambiente è anonimo in stile ecochic. Fanno bella mostra di sé l’arredamento in pseudo legno stile nordico dai colori slavati, l’angolo per la raccolta differenziata del pattume ed il finestrone di cui sopra. Nessun accenno ad una qualsiasi vivacità. Alzo lo sguardo oltre la balaustra: anche il mondo lì fuori sembra accogliere il diktat svedese. Un viavai di grigi camion e auto che rallentano per entrare in autostrada, o accelerano per uscirne. Trasporto gommato di merci che vanno a riempire magazzini piccoli e grandi come l’Ikea e agenti di commercio che propongono tali merci. Non riesco ad immaginare altro in quel traffico.Mi appoggio ad un tavolo alto senza sedermi e inizio a mangiare. Nessun gusto particolare, evitiamo le cose definite quindi anche i gusti decisi come capperi e acciughe. Niente che mi ricordi quel fish and chips dei britannici. Eppure anche loro sono ben al nord. Ma hanno le cabine del telefono rosso acceso, scusa se è poco. Per curiosità sono andato a vedere come sono le cabine telefoniche svedesi. Che ci crediate o meno sono colorate sempre in stile “evitiamo ogni entusiasmo”. Tipico il verde affanno, variante del verde marcio. Non se ne esce vivi. Mi viene sete e con un euro si ha la possibilità di bere fino a scoppiare (non di salute, non preoccupatevi). La scelta è enorme: un sacco di distributori automatici. Peccato che i relativi gusti non siano poi così differenti. A parte la base sostanziosa di aspartame (ci scommetto che per dare un bel po’ di gusto dolce non usano lo zucchero) ci sono vari coloranti. Me ne verso un dito alla volta per tipo dentro al bicchiere di carta riciclabile e decido che della semplice acqua è mille volte meglio di quegli intrugli chimici. Ma l’acqua non è presente nei distributori, la vendono solo in bottiglie di plastica (riciclabile) e bisogna fare un altro biglietto al totem. No, grazie. Per oggi basta così. Butto la vaschetta ed il bicchiere di carta nel bidone del riciclo ed esco da quel posto sconsolato.“Ma se ti fa così schifo perché ci vai, allora?”. Giusta domanda. La risposta è semplice: con gli stipendi che girano il risparmio è d’obbligo. Non sarei mai riuscito a comprare l’arredamento della camera di mia figlia da un artigiano senza vendermi un rene. Per carità, paragonare il lavoro di un falegname mobiliere al prodotto industriale svedese è una bestemmia urlata in chiesa alla domenica mattina durante la messa. Diciamo che se mi serve un letto con cassettoni ed un armadio laccato bianco e sono disposto a sorvolare sul fatto che la laccatura in realtà è un deposito di plastica melaminica su strato di avanzi di legno e cartone pressati questa soluzione economica e presuntuosamente ecochic (sempre di riciclo si tratta) può andare bene. Ed il mio rene rimane sempre lì, a mia disposizione. In realtà la multinazionale in questione ha catapultato il gusto verso l’amore (dettato da necessità economiche) per il falso. Anche i poveri possono permettersi il lusso, basta che sia apparente. E qui non c’entrano per nulla i cinesi: è tutta roba made in Eu. Inesorabilmente la nostra percezione, telecomandata dalle lobbies, sta sviluppando un interesse morboso verso l’estetica dimenticandosi l’anima delle cose.Il telefonino è diventato oggetto di culto in quanto virtualizza esteticamente ogni relazione con il reale. La virtualità è oggi la parola d’ordine: gli amici non si incontrano a casa ma su Facebook, i contanti spariscono per lasciare spazio al cashless, il legno viene sostituito da melaminico stampato con venature di varie essenze, il succedaneo dei musicisti si chiama sequencer e via elencando. E’ il trionfo del ready made: i centri commerciali devono essere zeppi di cheap solutions predisposte ad hoc per chi non ha tempo né soldi da perdere in lente operazioni e pianificazioni. E il ready made è l’esatta contrapposizione all’animismo: nulla ha più anima, esiste solo un’unica ontologia digitale. Il trionfo del monoteismo virtuale ed astrattivo. Sconfitta l’idea antica che anche gli oggetti possano avere una propria ontologia con un preciso senso del Sé a cui possiamo essere legati, la postmodernità ci ha consegnato una panoplia di insensatezze il cui unico riferimento è la fenomenologia del digitale. Pensateci un momento: se togliete il digitale dalla vostra vita, cosa resta oggi? Niente Internet, niente computer, niente telefonini, niente tv. Non si salvano neanche le auto: senza il digitale spariscono praticamente tutte quelle che si vedono in giro.In realtà le nostre vite sono comandate dal digitale: la noiosissima e lunghissima serie di zeri ed uno ha preso il sopravvento sull’analogico, ovvero la variazione infinita tra un minimo ed un massimo, capace di sfumature quasi impercettibili. L’oggetto analogico ha un’anima che la mente digitale non riesce più ad individuare e riconoscere. Viviamo in un universo on-off e la narrazione primaria (Big Bang) ci vuole figli casuali di una fluttuazione quantistica. Il ready made nato esattamente un secolo fa come denuncia di un sistema di valori senz’anima (urinoir di Duchamp) è diventato oggi il riferimento culturale primario. L’osservanza delle procedure ha soppiantato la comprensione del disegno generale che non appartiene più all’uomo. Siamo oggetti a disposizione delle macchine e del caso, dice Heisenberg. Triste epilogo della Res Cogitans cartesiana. «I believe that the horrifying deterioration in the ethical conduct of people today stems from the mechanization and dehumanization of our lives. A disastrous by-product of the development of the scientific and technical mentality» (Albert Einstein).(Tonguessey, “Ikea”, da “Come Don Chisciotte” del 24 ottobre 2017).Lo sguardo cade oltre l’enorme finestra, sulla balaustra con i colori aziendali della multinazionale: azzurro e giallo. Ormai anche nel Mediterraneo ci sono chiari segni di imminente glaciazione importata dal nord. Le dimensioni delle nostre finestre, una volta modeste in relazione al parallelo, oggi aumentano a dismisura come se l’effetto serra al suo interno fosse quello auspicato alle latitudini polari. I colori stessi sono slavati, spenti. Giallino e azzurrino, appunto. Siamo ben distanti dal bianco accecante delle case del sud o dalle colorite case pastello di San Francisco. Anche lì i colori non sono vivaci, ma quelle tinte pastello così varie non possono che mettere buonumore. Parola questa preclusa a giallini e azzurrini, a cui associo piuttosto noia e fastidio. Giallo noia e azzurrino fastidio, abbinamento perfetto per il ristorantino Ikea in cui mi trovo. Uscito dalle casse rigorosamente cashless con la libreria in kit nel carrello avevo visto quell’invitante immagine di fish and chips. “Perchè no?”, mi ero detto. Mi veniva in mente quell’abbuffata di fish and chips in quella bettola vicino a Londra, in quel fast food popolare, trafficato e senza pretese. Le porzioni erano abbondanti e unte, e avevo ancora in bocca quel gusto inesplicabile di merluzzo fritto assieme alle patate fresche. Perchè no?
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Banche, moneta-debito: prigionieri della caverna di Platone
Cercare di aumentare la consapevolezza delle persone sui temi economici e monetari è un processo lungo e difficile, soprattutto perché si scontra con tutta una serie di “resistenze umane” che erano già state descritte sapientemente nel Mito della Caverna di Platone, all’inizio del libro settimo de “La Repubblica”. Ho provato ad elaborarne una versione liberamente modificata per adattarla ai nostri tempi. Della serie “nulla di nuovo sotto il sole”. Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano fissare solo la parete dinanzi a loro. Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, corra una strada lungo la quale i banchieri gestiscono vari tipi di monete, sia metalliche che banconote. Queste monete, dette “contanti”, vengono usate dai banchieri per creare una versione di “moneta elettronica” sul muro di fondo della caverna, e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri.Tra i banchieri e i prigionieri, però, è stato eretto un muro di leggi che impediscono loro di usare i contanti, costringendoli a utilizzare solo la moneta elettronica creata sul fondo della caverna, spingendoli a pensare che questa versione sia quella vera. Ma per usarla devono pagare continuamente un interesse che li mantiene prigionieri delle catene del debito. Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (dove la moneta è di proprietà dei cittadini e libera dal debito), sarebbero portati a credere che la moneta elettronica creata dalle banche sia l’unica possibile. Si supponga che un prigioniero riesca a liberarsi dalle catene e sia costretto a guardare verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce e proverebbe dolore. Inoltre, le monete utilizzate dalle banche dietro il muretto gli sembrerebbero meno reali delle versioni elettroniche alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati i contanti e gli fosse spiegato il trucco, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e preferirebbe seguitare a usare la moneta elettronica bancaria.Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto a uscire dalla caverna e gli venisse esposta la verità, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a credere ad alcunché. L’idea che la moneta possa essere creata dal nulla dallo Stato senza alcun problema, dopo aver vissuto una vita incatenato ad una moneta-debito creata dalle banche, è troppo forte per essere accettata come possibile. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo. Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero potrebbe inizialmente percepire l’importanza della produzione di beni e servizi per garantire il valore di una moneta; solo con il passare del tempo potrebbe capire che, essendo la moneta generata dall’attività degli uomini, non può essere presa in prestito da altri, ma deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito. Successivamente egli potrebbe considerare quanto la moneta sia fondamentale per regolare l’economia e produrre lavoro e benessere, mentre la moneta bancaria costringe al pagamento continuo di interessi e produce solo debito, arricchendo pochi privilegiati e rendendo tutti gli altri uomini sempre più schiavi.I prigionieri, invece, immobilizzati davanti al muro, resi incapaci di guardare indietro, fissano la parete e vedendo solo la moneta bancaria senza rendersi conto di come viene generata, credono che quella sia l’unica moneta possibile. L’uomo libero, resosi conto della situazione, vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi al buio della caverna, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad aggredirlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare a provare le cose da lui descritte.Quando provo a spiegare il funzionamento del sistema economico e monetario e cerco di confutare le falsità che hanno usato per convincerci che non ci sono alternative alla moneta-debito, ottengo diverse tipologie di reazioni negative: incredulità e scetticismo, della serie “se fosse così facile lo avrebbero già fatto”; derisione e denigrazione, della serie “chi sei tu per avere la presunzione di aver capito tutto?”; opposizione e pessimismo, della serie “tutto vero, ma non te lo faranno mai fare”. Purtroppo anch’io reagivo in questi modi fino a pochi anni fa, prima di aprire completamente gli occhi. Quindi non è mai troppo tardi per nessuno. Se ci sono arrivato io che sono un semplice ingegnere, ci possono arrivare tutti. A queste persone, che fortunatamente sono sempre di meno, va tutta la mia comprensione e il mio affetto. Poi trovi anche quelli che traggono vantaggio da questa situazione, e quindi fanno di tutto per convincerti che il sistema economico funziona e che le cause della crisi economica sono altre: la corruzione, l’evasione, gli sprechi. Sono solo ipocriti che, per mantenere i privilegi che hanno, sfruttano le persone e usano la loro posizione di potere in modo subdolo per raccontare una realtà diversa da quella vera. Li disapprovo con tutto il cuore. Speriamo di riuscire insieme a convincere i nostri concittadini a liberarsi dalle catene della moneta-debito, per andare consapevoli e risoluti verso la luce della verità.(Fabio Conditi, estratto da “Il mito della caverna di Platone oggi”, da “Come Don Chisciotte” del 21 ottobre 2017. Conditi è presidente dell’Associazione Moneta Positiva, che conduce una campagna per riformare il sistema monetario al fine di ottenere una moneta di proprietà dei cittadini e libera dal debito. Dopo “Manuale in 12 passi per uscire dalla crisi” ha scritto “Moneta Positiva – Riforma del sistema monetario”, sottotitolo “La moneta deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito”).Cercare di aumentare la consapevolezza delle persone sui temi economici e monetari è un processo lungo e difficile, soprattutto perché si scontra con tutta una serie di “resistenze umane” che erano già state descritte sapientemente nel Mito della Caverna di Platone, all’inizio del libro settimo de “La Repubblica”. Ho provato ad elaborarne una versione liberamente modificata per adattarla ai nostri tempi. Della serie “nulla di nuovo sotto il sole”. Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano fissare solo la parete dinanzi a loro. Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, corra una strada lungo la quale i banchieri gestiscono vari tipi di monete, sia metalliche che banconote. Queste monete, dette “contanti”, vengono usate dai banchieri per creare una versione di “moneta elettronica” sul muro di fondo della caverna, e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri.
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Cripto-rublo a tasso zero: Mosca, rivoluzione trasparente
Il cripto-rublo confonde molte persone. Non dovrebbe. Putin ha appena preso il comando della cripto-tecnologia. Sono settimane che dal governo russo riceviamo segnali confusi sulle criptovalute. Da una parte lo vediamo abbracciare questa nuova tecnologia, dall’altra dichiararle guerra. Per questo non si capiscono bene le intenzioni di Mosca in materia. Cercherò di eliminare questa confusione basandomi sui dati a disposizione. Basta dire che questa è una buona notizia sia per i Bitcoin che per l’economia russa. Datemi qualche minuto e vi spiegherò perché. Putin crede fermamente nelle leggi. Nell’arena pubblica opera sempre in loro conformità. E le criptovalute, nonostante la loro flessibilità, operano al limite della legalità, il che lo mette a disagio. La posizione dei russi sulle criptovalute è dunque quella di eliminare le attività illegali – riciclaggio di denaro, finanziamento del terrorismo, traffico di esseri umani, ecc. – e allo stesso tempo sfruttare questa tecnologia per modernizzare le capacità di gestione dei capitali interni. Il cripto-rublo è un ponte tra il cripto-mondo e il mondo reale. Garantisce che questa nuova forma di rubli rispetti correttamente il flusso di capitali.Tassando i cripto-rubli a chi non è in grado di fornire una documentazione della proprietà, Putin sta incentivando lo sviluppo di sistemi di cripto-pagamento a basso costo. L’obiettivo è quello di scambiare rubli per merci solo in criptovalute che traccino anche la proprietà, come Ethereum ed altri che hanno una cronologia dei propri Blockchain trasparente. Putin sta apertamente invitando investimenti legali e alla luce del sole. A prescindere dalla moneta, la Russia vuole sul proprio suolo solo imprese legittime. Il cripto-rublo fornisce i mezzi per convertire, senza spese di transazione, nuovamente nella moneta nazionale ‘fiat’, per pagare bollette, tasse e simili. Questo in opposizione diretta al modo con cui gli Stati Uniti, ad esempio, trattano le criptovalute. Il regolamento Irs del 2014 che ha classificato i Bitcoin come “proprietà” implica che ogni transazione Bitcoin, non importa quanto piccola, crea un potenziale utile. Ciò significa che prendere un caffè da Starbucks via Bitcoin è imponibile sia per l’acquirente che per Starbucks quando andrà a vendere tali Bitcoin e li convertirà in dollari per pagare salari, ordini di consegna, ecc.È per questo che il capitale che si è spostato sulle criptovalute non tornerà indietro. È per questo che è esploso il mercato delle Ico. Miliardi di profitti, non tassati, pronti per essere reinvestiti. È anche il motivo principale per cui Amazon, ad esempio, non accetta Bitcoin. Chi vorrebbe questa seccatura? La struttura del cripto-rublo aggira l’ostacolo per chi dimostra la proprietà dal Blockchain. Bitcoin consente la trasparenza delle transazioni, così come Ethereum, Litecoin e molti altri. Ora, le due valute possono convivere senza doversi preoccupare della doppia tassazione, a meno che uno non guadagni in modo oscuro, nel qual caso Mosca vuole il 13% degli utili. Questo nuovo sistema non riporterà il capitale nell’economia russa, ma tanto non sarebbe tornato comunque. Definendo i Bitcoin come uno schema Ponzi e un modo per riciclare denaro, Putin e la Banca di Russia stanno semplicemente attaccando tecnologie non autoctone. Putin preferirebbe che si usassero piattaforme russe. Ricordate, è un nazionalista, e vuole portare il proprio paese in questo mercato che sarà molto importante in futuro.Ethereum e Waves sono entrambe piattaforme progettate e costruite per la Russia. Notate che Vlad non ha mai parlato male di Ethereum. Waves continua ad essere poco considerato, ma è potente come Ethereum. Entrambi forniscono una piattaforma per agire come “Infrastructure as a service” (Iaas) per la prossima generazione di applicazioni basate su Internet. Ethereum è un sistema operativo per Internet 3.0 mentre Waves è un mercato valutario di prossima generazione, che fornisce una piattaforma semplice per investimenti in private e public equity. Waves sosterrà la mossa di Mosca di scambiare criptovalute e relativi derivati. Agirà sulla soglia di ogni scambio di valuta. Per cui, se avete dollari, Bitcoin, rubli o Ethereum alla fine potrete acquistare e vendere titoli presso la Borsa di Mosca. Tutto pulito e legale. E alla luce del sole. Il cattivo Putin, vedendo che i titoli russi vendono oltre il 7%, cerca investitori in fondi pensione: attraverso la via cripto, ha appena dato ai manager di tali fondi un modo per entrare. Non pensate neanche per un attimo che a Putin non piacciano i Bitcoin come mezzo per attirare investimenti.Questa è l’essenza del Russian Miner Coin. Vuole solo che il settore venga regolamentato, così da massimizzare i profitti per la sfera pubblica. Il capitale va dove viene trattato meglio. Data la fragile situazione dei sistemi finanziari e politici globali, lo stabile governo russo è un asset. Ciò di cui gli investitori hanno bisogno è esser sicuri di trarci un guadagno. Lo schema del cripto-rublo fa parte di questo processo di costruzione della fiducia. Da investitore americano, ora so di poter, ad esempio, investire direttamente in un’offerta di stock o bond di un’azienda russa. Posso veder convertiti i miei dividendi o cedole in cripto-rubli, scambiarli immediatamente con Bitcoin o qualsiasi valuta di mia scelta. E posso non pagarci le tasse fino a che non li riconverto in dollari. Al momento non è tecnicamente possibile, specialmente con le sanzioni. Dove è possibile, è costoso ed è una grossa lungaggine. Putin è intelligente, e ha ottimi consiglieri. Mosse come questa sono una risposta a quelle fatte dagli americani per privare la Russia di capitali (vedasi le sanzioni decise da McCain).Fornire una piattaforma con cui il capitale possa entrare in Russia senza essere bloccato è ora fondamentale per sopravvivere nei prossimi due anni. Non è sua responsabilità controllare gli investitori statunitensi, solo verificare che rispettino la legge russa. Il vantaggio della prima mossa qui è importante. Se la Russia continua a sviluppare la tecnologia Blockchain e ad abbracciarla in modo relativamente privo di imposte, non importa che stia “regolamentando” il meraviglioso mercato decentrato delle criptovalute. Quel che importa è che la Russia tratti i cripto-investitori meglio degli altri. Nella lotta per i flussi globali di capitali, non devi essere perfetto, solo essere leggermente meglio degli altri. L’arbitraggio si prenderà cura del resto. E lo scambio rublo/cripto-rublo, esente da tasse, è l’applicazione che il cripto-mercato cercava per portarlo al livello successivo. La Russia ci è arrivata per prima.(Tom Luongo, “Il cripto-rublo ha appena cambiato le carte in tavola”, dal blog di Luongo del 16 ottobre 2017, ripreso da “Come Don Chisciotte” con traduzione di Hmg).Il cripto-rublo confonde molte persone. Non dovrebbe. Putin ha appena preso il comando della cripto-tecnologia. Sono settimane che dal governo russo riceviamo segnali confusi sulle criptovalute. Da una parte lo vediamo abbracciare questa nuova tecnologia, dall’altra dichiararle guerra. Per questo non si capiscono bene le intenzioni di Mosca in materia. Cercherò di eliminare questa confusione basandomi sui dati a disposizione. Basta dire che questa è una buona notizia sia per i Bitcoin che per l’economia russa. Datemi qualche minuto e vi spiegherò perché. Putin crede fermamente nelle leggi. Nell’arena pubblica opera sempre in loro conformità. E le criptovalute, nonostante la loro flessibilità, operano al limite della legalità, il che lo mette a disagio. La posizione dei russi sulle criptovalute è dunque quella di eliminare le attività illegali – riciclaggio di denaro, finanziamento del terrorismo, traffico di esseri umani, ecc. – e allo stesso tempo sfruttare questa tecnologia per modernizzare le capacità di gestione dei capitali interni. Il cripto-rublo è un ponte tra il cripto-mondo e il mondo reale. Garantisce che questa nuova forma di rubli rispetti correttamente il flusso di capitali.
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Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti
Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niail Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steym, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».«Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steym. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Europea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). «Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
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Craig Roberts: americani folli, stanno ammazzando i russi
La Russia ha portato le prove che Washington sta collaborando con l’Isis negli attacchi contro le forze armate della stessa Russia. In un attacco condotto da Washington, l’Isis ha cercato di catturare 29 poliziotti militari russi. Tuttavia, sono entrate in azione le forze speciali russe e il risultato ha prodotto perdite incredibili per l’Isis. In un altro attacco condotto da Washington, il generale Valery Asapov e due colonnelli russi sono stati uccisi durante un assalto in violazione degli accordi. Prima o poi il governo russo si renderà conto che quello di Washington non è un governo razionale con cui si può parlare di diplomazia, perseguire la pace o raggiungere qualche accordo. Prima o poi il governo russo si renderà conto che, lungi dall’essere razionale, Washington è un insieme di psicopatici, pazzi criminali che sono arrivati a capo di tutto il complesso militare e della sicurezza che, a turno, badano solo a tutelare i loro enormi profitti. In altre parole, per i poderosi gruppi di interesse che controllano il governo degli Stati Uniti, la guerra è un centro di profitto.Non c’è diplomazia russa che basti per far qualcosa su questo punto. È un peccato che il governo russo non si sia reso conto di chi erano quelli con cui stavano trattando. Se il governo russo non avesse dovuto sottoporre la propria razionalità all’ombra di Washington, la guerra in Siria sarebbe già finita da un paio di anni; invece, sperando di giungere ad un accordo, i russi hanno accettato i tanti “stop-&-go” che chiedeva Washington per guadagnare tempo e per riprendere fiato dallo shock prodotto dall’intervento dei russi e per mettere in atto il piano per dividere la Siria e mantenere così il conflitto vivo per sempre. Ma le speranze di una pacificazione sono venute a mancare e il pericolo di cui il ci avvertiva “The Saker” è diventato reale.Le proteste dei calciatori neri che si sono rifiutati di restare sull’attenti durante l’inno nazionale sono arrivate in un momento sfortunato. Fanno buon gioco a tutto il complesso militare e della sicurezza, che sta usando la voce forte del presidente Trump – che sfida l’“anti-americanismo” – per fustigare il fervore patriottico. È incredibile come le persone ci caschino ogni volta. Il complesso militare e di sicurezza e le loro “press-titutes” stanno facendo sollevare la rabbia della gente contro coloro che “attaccano il nostro paese”. Questa rabbia si sposterà presto ai giocatori-neri di football contro la Russia. Dopo essersi messi in tasca la gente, il complesso militare e di sicurezza potrà alzare il livello delle sue sconsiderate provocazioni contro la Russia fino a quando non saremo tutti morti.(Paul Craig Roberts, “Washington ha cominciato il suo conflitto militare contro la Russia”, dal blog “LeRockWell.com” del 27 settembre 2017, tradotto da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte”. Prestigioso analista geopolitico, Craig Roberts è stato viceministro del Tesoro nel governo di Ronald Reagan).La Russia ha portato le prove che Washington sta collaborando con l’Isis negli attacchi contro le forze armate della stessa Russia. In un attacco condotto da Washington, l’Isis ha cercato di catturare 29 poliziotti militari russi. Tuttavia, sono entrate in azione le forze speciali russe e il risultato ha prodotto perdite incredibili per l’Isis. In un altro attacco condotto da Washington, il generale Valery Asapov e due colonnelli russi sono stati uccisi durante un assalto in violazione degli accordi. Prima o poi il governo russo si renderà conto che quello di Washington non è un governo razionale con cui si può parlare di diplomazia, perseguire la pace o raggiungere qualche accordo. Prima o poi il governo russo si renderà conto che, lungi dall’essere razionale, Washington è un insieme di psicopatici, pazzi criminali che sono arrivati a capo di tutto il complesso militare e della sicurezza che, a turno, badano solo a tutelare i loro enormi profitti. In altre parole, per i poderosi gruppi di interesse che controllano il governo degli Stati Uniti, la guerra è un centro di profitto.
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Conditi: moneta fiscale, e usciamo dalla crisi in 100 giorni
Molti mi chiedono: “Cosa faresti per uscire dalla crisi se tu fossi al governo?”. Bella domanda, perché è facile parlare di soluzioni finchè sai che non sarai tu a doverle attuare, altra cosa è essere lì ed avere la responsabilità della vita di 60 milioni di persone. Noi italiani. Tutti sanno che il problema dell’attuale crisi economica è la mancanza di soldi nell’economia reale, ma nessuno lo dice. Tutto il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Ci dicono sempre che le cause sono la corruzione, l’evasione fiscale, il debito pubblico, gli sprechi, l’automatizzazione, la globalizzazione, ma noi sappiamo che non sono il problema principale. Ci distraggono in continuazione con discussioni su temi diversi come i vaccini, l’immigrazione, i cambiamenti climatici, gli attentati terroristici, gli stupri e qualsiasi altra cosa riesca a distogliere la nostra attenzione dall’unico e vero problema. La crisi economica deriva dalla mancanza di soldi nell’economia reale. Ma i problemi dovrebbero essere la scarsità di risorse umane e materiali, certamente non i soldi che si possono creare e vengono anche oggi creati in grandi quantità e senza alcun limite. Solo che finiscono nelle mani di pochi privilegiati, che si arricchiscono a scapito di tutti gli altri.Siamo una delle nazioni al mondo più ricche di risorse materiali, con un patrimonio artistico, culturale ed ambientale che tutti ci invidiano, ma soprattutto abbiamo risorse umane di qualità, perché abbiamo cultura, capacità, genio ed inventiva come nessun’altra popolazione al mondo. Tuttavia, siamo incapaci di trovare l’unica risorsa che può essere creata dal nulla senza alcun problema: i soldi. Supponiamo che ci sia un governo illuminato che voglia seguire la nostra strada, questi dovrebbero essere gli interventi legislativi nei primi cento giorni: 1) Istituire una moneta fiscale elettronica chiamata Sire, che gira su un circuito fiscale indipendente dalle banche, che fa capo al ministero dell’economia e delle finanze. Stampa anche biglietti di Stato in Sire e monete metalliche da 5 e 10 euro in Sire. Essendo materia fiscale, né la Bce né l’Ue possono dire niente; l’importante è che siano ad accettazione volontaria e utilizzabili per pagare le tasse.2) Lo Stato diventa istituto di moneta elettronica come prevede l’articolo 114/bis del Tub (Testo unico bancario), per cui con la stessa carta di credito fiscale posso anche effettuare pagamenti in euro, magari con tecnologia blockchain. 3) Riprendere il pieno controllo della Banca d’Italia da parte dello Stato, procedendo al rinnovo delle cariche direttive e riacquistando le quote di partecipazione attualmente detenute da privati, per rispettare quanto previsto dall’articolo 47 della nostra Costituzione. 4) Procedere al consolidamento dei titoli di debito pubblico dello Stato attualmente detenuto da Banca d’Italia, circa per 400 miliardi di euro, in modo che il famigerato rapporto debito/Pil possa scendere vicino al 100%. 5) Creare un sistema di banche pubbliche sul modello tedesco, nazionalizzando ed acquisendo il controllo di quelle in difficoltà, trasferendo tutte le sofferenze che gravano sul settore bancario presso la Banca d’Italia.6) Disporre il pagamento immediato di tutti i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende private e finanziare, con denaro creato direttamente dallo Stato, il sostegno ai cittadini in difficoltà, la ricostruzione del terremoto, gli investimenti produttivi ed innescare lo sviluppo economico in tutti i settori strategici dell’economia reale. Mentre diventano operativi questi 6 punti, viene contemporaneamente inoltrata, al Parlamento Europeo e alla Corte di Giustizia Europea, una denuncia per il mancato rispetto dei Trattati da parte della Bce e della Commissione Europea, citando nello specifico gli obiettivi dell’articolo 3 del Tue (Trattato sull’Unione Europea) e dell’articolo 127 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), oltre a tutte le altre norme a favore degli Stati che non sono state rispettate: l’accusa è di aver adottato politiche monetarie solo a favore di banche e mercati finanziari, mentre i Trattati hanno ben altri obiettivi.Nell’eventualità la Bce adottasse provvedimenti di blocco del sistema bancario, tenere pronto un decreto legge con il quale trasformare il sistema “fiscale” Sire, già utilizzato negli scambi, in un sistema monetario vero e proprio, dichiarandone la validità a corso legale e l’accettazione obbligatoria. In questo caso si usce dall’euro, ma senza traumi e con un sistema monetario pronto e già funzionante. Parleremo di questo e di molto altro a Roma il 9 ottobre 2017, presso il VII Municipio in un incontro pubblico con Nino Galloni e Paolo Tintori. Siete tutti invitati. Perchè se vogliamo davvero un cambiamento radicale e profondo delle politiche economiche e monetarie, dobbiamo aumentare la consapevolezza di tutti su questi temi fondamentali ed essere capaci di immaginare un sistema diverso, altrimenti saremo noi stessi un freno al cambiamento. Ho anche realizzato 6 video brevissimi e chiari, che potete trovare sul mio profilo pubblico su Facebook da condividere con i vostri amici.(Fabio Conditi, “Come risolvere la crisi in soli 100 giorni”, da “Come Don Chisciotte” del 17 settembre 2017. Conditi è presidente dell’associazione “Moneta Positiva”).Molti mi chiedono: “Cosa faresti per uscire dalla crisi se tu fossi al governo?”. Bella domanda, perché è facile parlare di soluzioni finchè sai che non sarai tu a doverle attuare, altra cosa è essere lì ed avere la responsabilità della vita di 60 milioni di persone. Noi italiani. Tutti sanno che il problema dell’attuale crisi economica è la mancanza di soldi nell’economia reale, ma nessuno lo dice. Tutto il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Ci dicono sempre che le cause sono la corruzione, l’evasione fiscale, il debito pubblico, gli sprechi, l’automatizzazione, la globalizzazione, ma noi sappiamo che non sono il problema principale. Ci distraggono in continuazione con discussioni su temi diversi come i vaccini, l’immigrazione, i cambiamenti climatici, gli attentati terroristici, gli stupri e qualsiasi altra cosa riesca a distogliere la nostra attenzione dall’unico e vero problema. La crisi economica deriva dalla mancanza di soldi nell’economia reale. Ma i problemi dovrebbero essere la scarsità di risorse umane e materiali, certamente non i soldi che si possono creare e vengono anche oggi creati in grandi quantità e senza alcun limite. Solo che finiscono nelle mani di pochi privilegiati, che si arricchiscono a scapito di tutti gli altri.
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Guénon e l’aria condizionata, l’inizio della fine (del mondo)
Nel suo libro “Oriente e occidente”, René Guénon credeva fosse ancora possibile recuperare spiritualmente l’Occidente e porlo entro una prospettiva più serena, meno materialista e meno neospiritualista, oserei dire. Sono trascorsi quasi cent’anni da allora. Ciò che vedeva era un Oriente ancora tradizionale, nemmeno troppo logorato dalle conquiste coloniali, capace ancora di opporsi alla supremazia materialista e scientista occidentale. Si deve notare che se da un lato siamo andati ben oltre il declino dell’Occidente (come dice un amico, professore di informatica in una facoltà euroamericana, l’Occidente ha toccato il fondo, ma continua a scavare – pensate ai debiti), dall’altro l’Oriente ha smesso da tempo di interessarci spiritualmente e di farci sognare. Il tempo dei guru per i Beatles e degli hippies (sic) è passato. Il Dalai Lama festeggia il suo compleanno con George Bush e si aspetta la scelta del suo successore. Da più di cinquant’anni anche l’Oriente si è gettato a testa bassa e voracemente nel capitalismo, nella corruzione, nell’inquinamento, nella distruzione-recupero del suo patrimonio spirituale e culturale (a quando una grande muraglia contro il turismo, una grande muraglia della quale Guénon intravedeva le crepe nella sua ultima e fondamentale opera, “Il regno della quantità e i segni dei tempi”?). L’Oriente è diventato come noi, stanco, materialista, inquinato e civilizzato.Il demiurgo di questa umanità luciferina resta l’America e ciò che essa rappresenta. Sono i messicani (povero Antonin Artaud), gli indiani e i cinesi che fanno incrementare il mercato immobiliare statunitense (“Zerohedge.com” e “Nbc”). E ciò dimostra che il sogno americano, per quanto malridotto, continui ad affascinare gli infelici che nel giro di una o due generazioni sono passati dalla loro società tradizionale alle periferie degradate, agli alti e bassi della Borsa, ai deliri immobiliari, alla competizione dei mercati – che necessitano di rinchiudere cento o duecento milioni di contadini e bambini sottopagati in ripugnanti fabbriche tessili, il tutto per soddisfare un gruppetto di grossi azionisti. Mille uomini (entità?) sono diventati più ricchi del resto dell’umanità, che tra l’altro sognano di rimpiazzare. Come si è arrivati a ciò? Una breve spiegazione. Noi tutti conosciamo il nome di un qualsiasi scrittore di seconda categoria, di un cantante bidone, di un pittore di terzo livello, di un attore televisivo, di un politico cretino, di uno stupido sapientone. Ma non conosciamo il nome di coloro che hanno realmente cambiato il mondo – e bypassato le idee guenoniane e soprattutto le ultime società tradizionali.Tra questi Willis Haviland Carrier. Io non sono un ingegnere né un erudito, pertanto consultate direttamente Wikipedia e poi i manuali professionali. Carrier è l’inventore dell’aria condizionata. Proprio lei ha liquidato René Guénon, il sud, l’Oriente, le terre spirituali e cavalleresche che avevano preservato la loro identità spirituale e religiosa. E’ stata messa ovunque, sul posto di lavoro, nelle fabbriche, negli uffici, ovunque vogliate. Wikipedia ci informa che lo sfruttamento e lo sviluppo (dunque la distruzione delle autoctone strutture antropologiche e culturali, questa brutta espressione ereditata dalle scienze umane offre suggerimenti poco guenoniani) della Sunbelt è stata resa possibile grazie all’aria condizionata. L’aria condizionata ha posto fine a ciò che restava del vecchio sud e poi al resto del mondo. Pensateci e vedrete che non mi sbaglio di molto. L’aria condizionata ha condizionato, accelerato e accompagnato la degenerazione (chi osa parlare ancora di decadenza?) irreversibile del nostro mondo. Willis Haviland Carrier. L’uomo che ha vinto Guénon e le tradizioni. Non è un caso che la Russia sia il solo paese spirituale rimasto.(Nicolas Bonnal, “L’aria condizionata e la fine del mondo”, dal blog “Dedefensa.org” del 23 luglio 2017, tradotto per “Come Don Chisciotte”).Nel suo libro “Oriente e occidente”, René Guénon credeva fosse ancora possibile recuperare spiritualmente l’Occidente e porlo entro una prospettiva più serena, meno materialista e meno neospiritualista, oserei dire. Sono trascorsi quasi cent’anni da allora. Ciò che vedeva era un Oriente ancora tradizionale, nemmeno troppo logorato dalle conquiste coloniali, capace ancora di opporsi alla supremazia materialista e scientista occidentale. Si deve notare che se da un lato siamo andati ben oltre il declino dell’Occidente (come dice un amico, professore di informatica in una facoltà euroamericana, l’Occidente ha toccato il fondo, ma continua a scavare – pensate ai debiti), dall’altro l’Oriente ha smesso da tempo di interessarci spiritualmente e di farci sognare. Il tempo dei guru per i Beatles e degli hippies (sic) è passato. Il Dalai Lama festeggia il suo compleanno con George Bush e si aspetta la scelta del suo successore. Da più di cinquant’anni anche l’Oriente si è gettato a testa bassa e voracemente nel capitalismo, nella corruzione, nell’inquinamento, nella distruzione-recupero del suo patrimonio spirituale e culturale (a quando una grande muraglia contro il turismo, una grande muraglia della quale Guénon intravedeva le crepe nella sua ultima e fondamentale opera, “Il regno della quantità e i segni dei tempi”?). L’Oriente è diventato come noi, stanco, materialista, inquinato e civilizzato.
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Musica infelice, poi non stupiamoci se la rockstar si suicida
Non molto tempo dopo lo scioccante suicidio di Chris Cornell, frontman di Audioslave e Soundgarden, il mondo musicale ha perso un altro talento il 21 luglio. Chester Bennington, 41 anni, frontman dei Linkin Park, si è tolto la vita dopo anni di dipendenza da droga e depressione. Ha lasciato la moglie e sei figli. Queste morti non sono del tutto inaspettate, visti i frequenti casi di depressione e morti premature nel mondo della musica. Negli ultimi decenni, suicidi, omicidi e morti accidentali sono diventati cosa comune per i musicisti. Da Elvis a Kurt Cobain, da Jim Morrison ad Amy Winehouse, molti grandi artisti hanno perso la vita prematuramente a causa di stili di vita distruttivi. Uno studio condotto da Diana Kenny dell’Università di Sydney ha infatti mostrato che le rockstar tendono a vivere fino a 25 anni meno del resto della popolazione e che i loro tassi di suicidio, omicidio e mortalità accidentale sono molto più alti. Ma perché? In realtà, parte della risposta è facile: la cosiddetta “fast life”, in cui questi giovani artisti si trovano catapultati, è estremamente tossica, nonostante il glamour con cui i media la ritraggono.L’arrivo improvviso della fama, assieme ad un’indulgenza eccessiva e ad alcool e droghe, troppo spesso si dimostra essere una formula fatale. Certo, non tutti i musicisti sono colpiti allo stesso modo, ma troppi sono caduti in questo circolo vizioso. Soprattutto quando questi eccessi incontrano la cultura dell’odio e del materialismo oggi dominante, emergono sentimenti distruttivi che iniziano a perseguitare molti artisti di talento. Odio, ostilità e crudeltà sono pandemici su Internet. La gente si attacca senza sosta solo perché ha pensieri o look diversi. Per le celebrità, tuttavia, la storia è totalmente diversa. Sono costantemente perseguitati, insultati, minacciati e criticati sia dai media che dal pubblico. Non importa quanto successo abbiano, bisogna sempre fare di più. Sono giudicati per ogni piccola cosa che fanno. Dalle loro acconciature alla loro arte e ai loro sguardi ai figli, sono costantemente sottoposti ad impensabili quantità di scrutinio ed animosità; in aggiunta, non riescono quasi mai a trovare persone attorno a loro di cui possano davvero fidarsi.Questo persistente isolamento spesso apre profonde ferite che, nella negatività del mondo della musica, trovano terreno fertile. Di conseguenza, molti musicisti commettono l’errore di rivolgersi ad alcool e droghe, che non fanno altro che aggravare i problemi. Tutti questi fattori inevitabilmente si riflettono nella loro musica. Innumerevoli giovani impressionabili in tutto il mondo li guardano in tutto ciò che fanno e di conseguenza anche loro sono travolti da angoscia e pessimismo. Questa negatività si impossessa facilmente delle loro vulnerabili menti ed anime. Questa è una delle ragioni dietro l’aumento dei tassi di depressione, ansia, delinquenza, abuso di sostanze e suicidio tra gli adolescenti. Secondo uno studio, il tasso di suicidio tra gli adolescenti è aumentato del 200% tra il ’62 e l’82. L’Oms stima che ogni anno più di 800.000 persone muoiono per suicidio e che il gruppo di età 15-29 – i seguaci più attivi dell’industria musicale – ne sono i maggiormente colpiti. Certo, i fattori che contribuiscono a questa tendenza sono molti, ma non c’è dubbio che la cultura della depressione promossa da alcune rockstar svolga un ruolo importante.Molti studi dimostrano che ascoltare musica triste può essere molto pericoloso, soprattutto per persone già affette da ansia e depressione. In uno studio, i ricercatori hanno fatto ascoltare ai partecipanti musica felice, aggressiva e triste: hanno scoperto che chi aveva ascoltato musica triste presentava livelli più elevati di ansia. Milioni di giovani che già hanno problemi di angoscia e bassa autostima ignorano il fatto che ascoltare musica triste peggiori le cose. Non è difficile immaginare come questa tendenza possa influire sul futuro del nostro mondo. Se l’industria musicale però capisse che i valori spirituali sono più importanti di quelli materiali, potrebbe favorire una diversa visione del mondo, che aiuti le persone a superare la propria tristezza e a diventare migliori.Non c’è dubbio che la musica e l’arte possano essere modi estremamente efficaci per sollevare gli spiriti della gente ed aiutarli verso un percorso di costante automiglioramento. Infatti, in molti studi diversi, gli scienziati hanno scoperto che l’ascolto di una musica felice migliora la salute e le sensazioni complessive di soddisfazione. Una volta che i musicisti si saranno messi in testa di rendere il mondo un posto migliore, capiranno rapidamente che il loro contributo è estremamente importante. Questo è fondamentale, non solo per il bene dei talenti musicali, ma anche per i loro milioni di fan che formeranno il nostro mondo futuro.(Harun Yahya, “Quando finiranno i suicidi delle rockstar?”, da “AhTribune” del 24 luglio 2017, ripreso da “Come Don Chisciotte” con traduzione a cura di Hmg).Non molto tempo dopo lo scioccante suicidio di Chris Cornell, frontman di Audioslave e Soundgarden, il mondo musicale ha perso un altro talento il 21 luglio. Chester Bennington, 41 anni, frontman dei Linkin Park, si è tolto la vita dopo anni di dipendenza da droga e depressione. Ha lasciato la moglie e sei figli. Queste morti non sono del tutto inaspettate, visti i frequenti casi di depressione e morti premature nel mondo della musica. Negli ultimi decenni, suicidi, omicidi e morti accidentali sono diventati cosa comune per i musicisti. Da Elvis a Kurt Cobain, da Jim Morrison ad Amy Winehouse, molti grandi artisti hanno perso la vita prematuramente a causa di stili di vita distruttivi. Uno studio condotto da Diana Kenny dell’Università di Sydney ha infatti mostrato che le rockstar tendono a vivere fino a 25 anni meno del resto della popolazione e che i loro tassi di suicidio, omicidio e mortalità accidentale sono molto più alti. Ma perché? In realtà, parte della risposta è facile: la cosiddetta “fast life”, in cui questi giovani artisti si trovano catapultati, è estremamente tossica, nonostante il glamour con cui i media la ritraggono.