Archivio del Tag ‘congiura’
-
Alieni, Covid, Atlantide: è la “resurrezione” della verità?
Ora non potranno più raccontarci la solita favoletta: l’ammissione della Us Navy ha la portata storica e definitiva di un cambio d’epoca, preceduta di pochissimo dall’annuncio – da parte di Donald Trump – della creazione di una Space Force, unità militare per la difesa aerospaziale. Roberto Pinotti è uno degli ufologi più prestigiosi che esistano: ha collaborato con autorità militari e, negli Usa, ha partecipato al grande progetto internazionale Seti, che ricerca le eventuali “intelligenze non terrestri”. Ha scritto libri tradotti in tutto il mondo, ha fondato e diretto il Cun (centro ufologico nazionale) che ha spesso cooperato con l’aeronautica militare italiana. Quando si parla di Ufo, Pinotti finisce spesso in televisione: nel 2019, ospite della Rai, ha sottolineato il carattere inequivocabile delle esternazioni della Us Navy sugli incontri (frequenti) con oggetti volanti non identificati. Affermazioni poi confermate ufficialmente dal Pentagono nel 2020, mentre il mondo era già intrappolato nel disastro globale chiamato Covid.
-
Eversione incompleta: niente impeachment a Trump
Battuto col favore delle tenebre dall’oceano di voti postali riconteggiati dai computer Dominion: schede arrivate anche fuori tempo massimo e grazie a regole elettorali cambiate all’ultimo minuto, in barba alla Costituzione di alcuni Stati-chiave. Ora lo ammettono, su “Time”, i manovratori a lungo rimasti nell’ombra come Mike Podhorzer, dirigente sindacale Afl-Cio. Potenti “illusionisti”, finanziati con mezzi larghissimi: rivendicano di aver congegnato una vasta “operazione” per escludere Donald Trump e insediare alla Casa Bianca l’esile Joe Biden, eletto in anticipo dagli stessi media che avevano tolto il diritto di parola al presidente degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia. Il partito repubblicano, complice della manovra, sa che Trump – poi massacrato per lo sgangherato assalto a Capitol Hill, largamente infiltrato – potrebbe scalare il Gop o addirittura svuotarlo, cambiando per sempre il tradizionale bipolarismo americano, avendo con sé almeno 75 milioni di elettori che si sentono defraudati da un voto percepito come non trasparente.I repubblicani però non hanno osato tradire Trump al punto da sostenere l’impeachment promosso dai baroni finto-progressisti come Nancy Pelosi. Così il Senato ha respinto l’ultima congiura contro l’uomo che, intanto, in Florida ha aperto l’Ufficio dell’Ex Presidente, non avendo mai ammesso la regolarità del risultato attribuito a Biden. Così ora The Donald festeggia: «La mia avventura politica è appena iniziata», avverte. Se fosse passato l’impeachment, il secondo che ha dovuto subire (caso unico, nella storia), non avrebbe potuto ricandidarsi nel 2024. Secondo tutti i sondaggi, la maggioranza degli americani è convinta che il risultato delle presidenziali sia stato tutt’altro che nitido: lo ammette anche una percentuale di elettori “dem”, ostili a Trump e insofferenti di fronte alla sua retorica. Nessuno infatti dimentica le immagini della campagna elettorale: folle straripanti ai comizi di Trump. Deserti invece i raduni del fantasmatico Biden, che peraltro – stando ai conteggi, stranamente sospesi nella notte – avrebbe poi colto un quasi-plebiscito, surclassando addirittura la popstar Obama.Al netto dei molti errori che Trump ha commesso nell’ultimo anno, resta in bocca il sapore amaro di una frode concepita da un Deep State eversivo, deciso a cancellare la libertà democratica sequestrando le elezioni. Trump ha sicuramente sottovalutato l’emergenza-Covid, lasciando che la sua gestione securitaria e psico-terroristica restasse nelle mani di personaggi come Anthony Fauci, sommo sacerdote di Big Pharma, alleato dei più acerrimi nemici di Trump, dall’iper-vaccinista Bill Gates a George Soros, grande vecchio della manipolazione politically correct. Prima ancora, Trump si era mostrato troppo timido di fronte agli abusi razzisti della polizia (che hanno armato la speculazione neofascista di Antifa, poi trasformatasi in violentissima strategia della tensione, con morti e feriti nelle strade). Accanto a sé, Trump ha tollerato la presenza dei gruppuscoli del suprematismo bianco, che hanno allarmato i moderati, così come gli appelli dell’ultra-tradizionalista monsignor Viganò (accorati, ma “medievali” nel loro millenarismo manicheo e reazionario) gli hanno alienato il voto dei cattolici progressisti.C’è chi valuta Donald Trump come uno dei migliori presidenti della storia statunitense, se si guarda al bilancio del suo quadriennio: ha azzerato la disoccupazione ricorrendo al deficit e tagliando le tasse, ha fatto letteralmente volare l’economia, ha risollevato lavoratori e classe media con misure quasi “socialiste”, di stampo keynesiano. Altro dato statistico, clamoroso: non ha avviato nessuna nuova guerra (vero record, per un presidente americano). Nonostante cio – o forse, proprio per questo – è stato letteralmente fatto a pezzi dal sistema mediatico, dominato dalla finanza che controlla Big Tech. Un ostracismo indegno di una democrazia, culminato con la censura spudoratamente imposta da televisioni e social media. Il grande merito di Trump, al di là della sua ruvida oratoria nazional-populista, sta nell’aver reso manifesto – e dalla Casa Bianca, addirittura – il male oscuro che minaccia il pianeta, ora anche manipolando l’epidemia di Wuhan nel modo indicato dagli oligarchi che a Davos hanno disegnato il loro ideale Great Reset, basato sulla retrocessione del cittadino al rango di suddito, senza più libertà.Si sottolinea, tra i meriti storici di Trump, quello di aver imposto l’alt alla dilagante egemonia dell’impero mercantile cinese, sdoganato dal gruppo di Kissinger già negli anni Settanta come possibile modello alternativo all’Occidente: massima efficienza economica, ma senza diritti democratici. Oggi, la sovragestione dell’amministrazione Biden conferma in modo bipartisan la politica strategica di Trump: non è più pensabile lasciare libertà di azione al regime di Pechino, l’unico che ha tratto enormi vantaggi (anche economici) dalla crisi pandemica, orchestrata da un’Oms filo-cinese. Per contro, il team che utilizza Biden come “presidente eletto” sta già esasperando le tensioni con la Russia, anche manovrando l’ex quasi-neonazista Navalny, secondo il collaudato modello-Ucraina, quello della “rivoluzione colorata” che ha arricchito la famiglia Biden con operazioni di estremo squallore, a cominciare dall’impero petrolifero Burisma affidato all’inquietante Hunter Biden.In un mondo letteralmente sfigurato dall’opaca gestione di un virus dall’origine misteriosa, al quale si pretende di rispondere solo con campagne vaccinali a tappeto (basate non su veri vaccini, ma su vettori genetici sperimentali e poco rassicuranti), ci si domanda quale ruolo potrà assumere, il grande perseguitato Donald Trump, a cui – si scopre – guardano con grandi aspettative ingenti masse di popolazione, non solo statunitensi. Con modalità forse anche ingenue, ci si attende una sorta di rigenerazione generale del pianeta, su base democratica, mettendo fine allo strapotere della menzogna mediatica che ha pervertito la realtà in stile orwelliano. Lascerà il segno, il fatto che a “picconare” il sistema sia stato il presidente degli Stati Uniti, trattato come un criminale dalle facce di bronzo che, quand’erano al governo, fingevano di non vedere le imprese mediorientali dell’Isis. Già, perché – come sa bene chi osserva le cronache – con l’avvento di Trump, il terrorismo “islamico” si era praticamente estinto, anche in Europa.L’apoteosi è stata raggiunta con la monumentale frode elettorale delle presidenziali 2020: centinaia di migliaia di schede-fantasma avrebbero costruito il “successo” di Biden, tale da certificare la fine della giustizia e della democrazia elettorale negli Stati Uniti. Scandalosi anche i dinieghi della Corte Suprema, che non ha mai accettato di pronunciarsi nel merito delle contestazioni: i ricorsi sono stati tutti respinti solo sulla base di rilievi procedurali. Per seppellire lo scandalo “occorreva” un contro-choc, come appunto l’assalto al Parlamento, utilizzato per tentare di cancellare Trump dall’anagrafe politica americana. L’operazione però è fallita, nonostante il tentativo – vagamente totalitario – di negare a Trump e ai suoi supporter anche il diritto alla rabbia, per la frode subita. Tutto il resto, naturalmente, rimane sul tappeto: se il gruppo che utilizza Biden come “presidente eletto” continuerà a cancellare i caposaldi dell’azione di Trump, a cominciare dalla politica fiscale, l’America dei dimenticati (maggioritaria, a quanto pare) tornerà prestissimo a far sentire la sua voce.Battuto col favore delle tenebre dall’oceano di voti postali riconteggiati dai computer Dominion: schede arrivate anche fuori tempo massimo e grazie a regole elettorali cambiate all’ultimo minuto, in barba alla Costituzione di alcuni Stati-chiave. Ora lo ammettono, su “Time”, i manovratori a lungo rimasti nell’ombra come Mike Podhorzer, dirigente sindacale Afl-Cio. Potenti “illusionisti”, finanziati con mezzi larghissimi: rivendicano di aver congegnato una vasta “operazione” per escludere Donald Trump e insediare alla Casa Bianca l’esile Joe Biden, “eletto” in anticipo dagli stessi media che avevano tolto il diritto di parola al presidente degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia. Il partito repubblicano, complice della manovra, sa che Trump – poi massacrato per lo sgangherato assalto a Capitol Hill, largamente infiltrato – potrebbe scalare il Gop o addirittura svuotarlo, cambiando per sempre il tradizionale bipolarismo americano, avendo con sé almeno 75 milioni di elettori che si sentono defraudati da un voto percepito come non trasparente.
-
Magaldi: basta fiabe su Trump, da Leonardo a Q-Anon
Leonardo non è direttamente in grado di operare in termini fraudolenti negli Usa, così come altri invece potrebbero aver fatto. E’ un mito, questa storia in base a cui Renzi, Leonardo e altri avrebbero partecipato ai brogli in danno di Trump. Ogni mito nasconde un elemento di verità, che qui però è alla luce del sole: a suo tempo, Renzi si è legato al carrozzone di Obama e dell’ambiente “dem”. Renzi non ha più il potere di un tempo ma è rimasto un player della politica italiana: la sua azione è stata all’origine della formazione del governo Conte-bis. Oggi mette in difficoltà Conte, prova a rimodulare la maggioranza e cerca di ritagliarsi uno spazio anche in ambito internazionale: la sua più grande ambizione sarebbe quella di arrivare a fare il segretario generale della Nato, e quindi coltiva i suoi rapporti statunitensi. Ma di qui a fare questa piroetta abbastanza surreale, per cui sarebbe stato Renzi il grande burattinaio che avrebbe operato attraverso Leonardo, ce ne corre. Se non ci piace Renzi, non per questo dobbiamo pensare che improvvisamente diventi un genio del male che architetta con Leonardo una congiura nei confronti di Trump: sta’ a vedere che i nemici di Trump avevano bisogno di Renzi e di Leonardo, per fargli le scarpe.Agli italiani che si dicono solleciti nella difesa dell’interesse nazionale, ricordo che Leonardo (ex Finmeccanica) insieme ad Eni e Enel è l’unico strumento con cui ancora il sistema-Italia fa un briciolo di politica estera. La Farnesina è un luogo di perdigiorno: ormai da anni non c’è più un ministro degli esteri all’altezza, con un minimo di visione del ruolo dell’Italia. Escludo l’ipotesi che Leonardo abbia avuto parte in un’azione contro Trump: Leonardo peraltro è stata sottoposta a “balletti” in Borsa e ad azioni ostili da diversi ambienti. E sarebbe più serio parlare proprio di questo: da sempre esistono cordatesovranazionali ostili all’opera di Leonardo, ex Finmeccanica. Ogni volta che si tira in ballo in modo improprio Leonardo, si fa un danno al sistema-paese. Insomma, è il momento di parlare in modo serio. Avendo già messo a nudo il back-office del potere nel saggio “Massoni”, vorrei distinguere nettamente la mia narrazione, forte come un pugno nello stomaco ma rigorosa, basata su fonti ben selezionate, da quella di chi invece parla a vanvera. Il mio libro è severo: tanto verso l’affabulazione mainstream quanto verso il cospirazionismo dei complottisti, che inventano una cazzata al giorno.Voglio sottolineare quanto male ha fatto, allo stesso Trump e all’intera polemica politica negli Stati Uniti, tutta la messinscena di Q-Anon: una stronzata sesquipedale, che è diventata oggetto di dibattiti e persino fonte della morte di qualcuno, di recente, e dell’elezione di qualche citrullo nel nuovo Congresso americano. Da Q-Anon, così come da tutta una filiera priva di etichette troppo precise, Trump è stato raccontato come un capo-popolo che improvvisamente irrompeva sulla scena, impegnato contro il Deep State e una cupola mondiale di pedo-satanisti, con tutta una previsione di arresti imminenti. Previsioni sempre regolarmente smentite, ma nonostante ciò questa narrativa è continuata. L’ha creata Trump, questa cosa? Direi proprio di no. Trump si è trovato questa polpetta avvelenata e l’ha accarezzata, ritenendo di poter proseguire nella mitopoiesi su cui nasce la sua candidatura vincente del 2016. Vorrei ricordare che Steve Bannon, di professione, faceva lo sceneggiatore: e ha creato una sapiente sceneggiatura politica, per Trump, che però poi ha vinto sulle cose, sulla sostanza. E’ riuscito a captare il voto di importanti segmenti produttivi, di operai, di aziende che rischiavano di andare a ramengo, qualora avesse sposato con troppa facilità la visione “green” dei democratici, di Hillary Clinton e di tante anime belle.E’ giusto farla, la svolta “green”, se però tu garantisci l’adeguato ristoro, a quei settori produttivi che finirebbero a gambe all’aria. Devi dire: ti accompagno alla pensione, se ho deciso di mettere fuori uso l’estrazione del carbone. Devo avere un piano pubblico, importante, di tutela e riassorbimento della forza lavoro. Ecco: è in quell’elettorato, che Trump ha fatto breccia, e in generale in una classe media americana che è stata macellata, negli Usa come nel resto dell’Occidente, dalla competizione taroccata da parte del sistema-Cina. E’ lì che Trump ha vinto. Steve Bannon ha condito questa cosa con una serie di ingredienti anche poco utili, secondo me. Comunque sia, in capo a pochi mesi Trump ha licenziato Bannon. Ma poi si è lasciato irretire dalla narrazione di Q-Anon, nonché dai latrati reazionari e tradizionalisti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Ora, si può e si deve criticare un Bergoglio che ha preso una brutta china, non all’altezza delle promesse: ma la fumosità e l’inconcludenza del riformatore Bergoglio, per di più disposto a fare inaudite concessioni alla dittatura cinese, non è che ci deve gettare tra le braccia del tradizionalismo reazionario, antimoderno e antimassonico, clericale e antisecolare di Viganò.Eppure, anche lì, Trump ha ringraziato Viganò, non capendo che anche quella polpetta avvelenata gli avrebbe alienato moltissimi voti cattolici, negli Stati Uniti. Trump queste cose non le ha create: se l’è trovate, e ha creduto di poterle utilizzare. Ha fatto male, perché la chiave vincente di Trump stava nel riuscire a convincere un elettorato progressista, stanco delle finzioni dei democratici, di un’assenza di sostanza all’altezza della grande tradizione del partito democratico, che non è più quello di Roosevelt e dei Kennedy. E invece di cercare di accattivarsi quell’elettorato, Trump si è radicalizzato in una narrativa che è quella dei fuori di testa, degli “sciamani con le corna” ossessionati dai pedo-satanisti, che forse avrebbero bisogno di uno psichiatra (un medico che magari gli spiegherebbe che il pedo-satanista forse vive dentro di loro, sia pure a loro insaputa). E insomma: Trump si è lasciato fotografare, in qualche modo, in un ritratto di famiglia, accanto a personaggi che avrebbbe dovuto tenere ben lontani da sé. Da ultimo, il 6 gennaio, ha lasciato che le cose accadessero: quasi è stato a vedere cosa potesse succedere.E’ chiaro che quello che è accaduto a Capitol Hill, a un certo punto, potrebbe persino esser stato pilotato dai nemici di Trump per poter finalmente cogliere sul fatto questi facinorosi e dire: ecco finalmente il vero volto del puzzone Trump, estraneo al sistema democratico. Cosa che Trump non è stato: ha operato molto bene in politica estera e sul piano economico, e senza la pandemia dolosa avrebbe stravinto le elezioni. Inoltre, Trump non ha attivato quella opzione – che sarebbe stata spericolata, ma ancora costituzionale – dell’imposizione della legge marziale, nel caso di brogli, ove vi fosse stato un intervento di potenze straniere. In quel caso, in termini di Costituzione americana, avrebbe proabilmente potuto fare qualcosa di incisivo, in questa vicenda. Invece ha lasciato che montasse un clima velleitario (perché i golpe si fanno o non si fanno), e invece avrebbe dovuto operare – dentro i dettami della Costituzione – in modo incisivo e serio. Non l’ha fatto, e anche in questa tragicomica vicenda dell’assalto al Congresso ha offerto il fianco alla demonizzazione: non solo quella preventiva, che c’è sempre stata, ma anche a quella postuma, che però adesso si fonda su immagini trasmesse in mondovisione.Trump ha peccato di indecisione, di scarsa lucidità e di scarsa lungimiranza. Non so se avrà un’altra occasione. Certamente, se dovesse averla, farà bene a riconsiderare la sua proposta politica, magari attestandosi su quella che è la sua vera identità: Trump non è né un suprematista bianco, né un razzista, né un reazionario. E’ un magnate newyorkese, un bon vivant che ha frequentato ambienti progressisti ed è stato anche nel partito democratico americano. Ha poco da guadagnare, dalla china che ha preso la sua figura nell’immaginario collettivo. I nemici che ha sempre avuto, nel partito repubblicano, adesso sono particolarmente virulenti e cercheranno di nuocergli il più possibile: i più grandi nemici di Trump non sono tra i democratici, ma tra i repubblicani. E in questa storia, ripeto, Renzi e Leonardo c’entrano davvero molto poco. Vorrei che tutti coltivassero il dubbio e il senso critico. Nelle elezioni americane, i brogli sono una cosa quasi consustanziale. Quanti brogli, chi li abbia fatti e come: se questo deve essere uno strumento di contestazione del risultato elettorale, i brogli vanno provati.La stessa Corte Suprema aveva una maggioranza schiacciante di persone vicine a Trump: eppure ha respinto il ricorso principe che è stato avanzato. Questo non vi dice nulla? Io avrei gradito che Trump fosse rieletto, al netto di tutti gli errori coi quali lui stesso è caduto nelle mille trappole che gli sono state tese. Ma cerchiamo di essere razionali, guardiamo innanzitutto ai fatti: uno di questi è l’emergenza sanitaria. Proprio la pandemia ha creato, nell’opinione pubblica americana, una migrazione di consensi: un presidente che sarebbe stato rieletto facilmente è invece crollato, in molti casi, nei consensi. Non ha saputo gestire bene nemmeno la protesta dei Black Lives Matter: indubbiamente strumentalizzata dai nemici di Trump, ma lui c’è caduto con tutte le scarpe. Cerchiamo di essere seri: sforziamoci di pensare, di utilizzare più fonti e di metterle in confronto tra loro. Scegliamo la “gnosi”, cioè la conoscenza, e non la “pistis” fideistica. In troppi parlano senza sapere quello che dicono: ma per ammaestrare gli altri serve la formazione di una competenza, di un’esperienza. Un invito che rivolgo a tutti: meno parole, per favore, e più fatti.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate nella diretta web-streaming “Gioele Magaldi Racconta”, condotta su YouTube l’11 gennaio 2021 da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Leonardo non è direttamente in grado di operare in termini fraudolenti negli Usa, così come altri invece potrebbero aver fatto. E’ un mito, questa storia in base a cui Renzi, Leonardo e altri avrebbero partecipato ai brogli in danno di Trump. Ogni mito nasconde un elemento di verità, che qui però è alla luce del sole: a suo tempo, Renzi si è legato al carrozzone di Obama e dell’ambiente “dem”. Renzi non ha più il potere di un tempo ma è rimasto un player della politica italiana: la sua azione è stata all’origine della formazione del governo Conte-bis. Oggi mette in difficoltà Conte, prova a rimodulare la maggioranza e cerca di ritagliarsi uno spazio anche in ambito internazionale: la sua più grande ambizione sarebbe quella di arrivare a fare il segretario generale della Nato, e quindi coltiva i suoi rapporti statunitensi. Ma di qui a fare questa piroetta abbastanza surreale, per cui sarebbe stato Renzi il grande burattinaio che avrebbe operato attraverso Leonardo, ce ne corre. Se non ci piace Renzi, non per questo dobbiamo pensare che improvvisamente diventi un genio del male che architetta con Leonardo una congiura nei confronti di Trump: sta’ a vedere che i nemici di Trump avevano bisogno di Renzi e di Leonardo, per fargli le scarpe.
-
Giannuli: Renzi (e Cairo) per creare un’alternativa a Salvini
Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.«Gli hanno promesso di farlo entrare finalmente nel salotto che conta, se fosse riuscito a fermare i gialloverdi», sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista, legato a importanti ambienti massonici europei. Stando a Carpeoro – progressista, da sempre socialista – oggi Renzi può vantare una grande vittoria da esibire sui tavoli dei suoi veri mandanti: e potrebbe quindi anche alzare la posta, per chiedere per sé qualcosa di importante, con la minaccia di far cadere il Conte-bis. Semplici indiscrezioni, ma preziose: perché concorrono a delineare un quadro coerente, ben ancorato allo scenario internazionale da cui – come tutti hanno capito – dipendono le crisi italiane, compresa quella in corso. Giannuli invece preferisce attenersi al panorama di casa, articolando un’analisi ravvicinata sulle possibili mosse dei vari attori sul terreno. Renzi? Per ora è accreditato di pochi voti: dal 3 al 5% al massimo. «Ma sono convinto che si tratti solo di una base di partenza che, se il fiorentino ci saprà fare, è destinata a crescere, e non di poco», scrive Giannuli sul suo blog. Inutile negarlo: «Il sistema dei partiti esistente è tutto in crisi e c’è un diffuso malcontento dei cittadini per l’offerta politica: Forza Italia si sta liquefacendo, il M5S ha avuto una batosta alle europee dalla quale è difficile che si rimetta».Quanto al Pd, «la batosta l’ha presa alle politiche, e alle europee ha recuperato percentualmente solo per l’altissimo numero di astenuti, ma ha perso altri 100.000 voti reali)». Sinistra, +Europa e Fratelli d’Italia «non riescono a sfondare» e, di fatto, «galleggiano». Solo la Lega era esplosa: al 34% delle europee erano seguiti sondaggi che la davano prossima al 40%. «Ma la gestione scellerata della crisi di governo ha fatto crollare la credibilità di Salvini», sostiene Giannuli. «E se ancora questo non si riflette pienamente nei sondaggi, è lecito aspettarsi un calo lento ma costante, a meno che i giallorossi non ne facciano talmente tante da resuscitare la Lega e andare al voto in primavera». Dunque Renzi non sbaglia, quando dice che “c’è spazio”. La sua formazione, in primo luogo, «ha ancora da risucchiare al Pd: ci sono ancora renziani che non sono usciti, parecchi indecisi, e poi Zingaretti praticamente non esiste: Renzi non avrà difficoltà ad oscurarlo». Poi, se dovessse ingranare, «avrebbe da beccare molto nel pollaio di centro (da +Europa a Calenda, fino ai rimasugli di Dc»).Ma è soprattutto Forza Italia, col suo striminzito 6% residuo, che può dare un po’ di sangue alla neonata creatura renziana: anzi, non è neppure da escludere che i berlusconiani possano confluire nel nuovo soggetto renziano. «Insomma, un traguardo dell’11-12% potrebbe essere a portata di mano». E a quel punto, continua Giannuli, «potrebbe funzionare la sirena del fiorentino sia sul fianco della Lega che su quello dell’astensionismo». In concreto: «Non sono immaginabili particolari sfracelli, ma l’elettorato potenziale del nuovo partito potrebbe crescere sino al 15-18%», addirittura. Tornando alla realtà: «Bisognerà vedere molte cose: che farà il governo, che mosse farà Renzi, quali Salvini». Soprattutto, occorrerà valutare «se la mossa renziana di oggi sarà imitata da altri». In quel caso, alla fine ci sarebbe «un gran rimescolamento di carte che cambierà il volto del sistema dei partiti». Prima tappa, scontata, il pallido Pd: potrebbero rientrare quelli di Leu (Bersani e compagni), inducendo le ultime “sentinelle” renziane ad uscirne. Poi c’è il caso particolare di Conte: i sondaggi danno un modestissimo recupero al M5S dopo la soluzione della crisi di governo, ma un altissimo indice di consenso personale per il presidente del Consiglio. E c’è chi si spinge a ipotizzare che un suo partito possa raccogliere sino al 21%.«Certo i sondaggi vanno presi con le molle», premette Giannuli, però vanno monitorati con attenzione. «E qui la domanda sorge spontanea: che farà “Giuseppi” alle elezioni? Potrebbe ritirarsi a vita privata, come ha ripetutamente assicurato (e questo è una conferma che non si ritirerà affatto: tutti quelli che vogliono restare in campo dicono di star facendo le valide per ritirarsi). Oppure potrebbe presentarsi con il M5S, magari come candidato presidente del Consiglio». O ancora – terza opzione – potrebbe fare una sua lista, «più o meno apparentata coi 5 Stelle: dipenderà dal sistema elettorale». Secondo Giannuli, una “lista Conte” potrebbe attingere voti tanto al M5S quanto al Pd e persino all’area di centro (e quindi sottrarre voti a Renzi), ma potrebbe anche dare credibilità al partito di Renzi come possibile alleato. Altri sconvolgimenti, sempre secondo Giannuli, potrebbero investire la Lega: se si votasse tra un anno, il monte voti del Carroccio «potrebbe precipitare anche verso il 20%, e a quel punto non è detto che il partito resti integro». Ad esempio, Maroni «potrebbe uscire per fare altro». Oppure i maggiorenti della Lega (Giorgetti in testa) potrebbero «pensare a una qualche congiura per cacciare il “rais”».Se questo è lo scenario dell’attuale palazzo, poi ci sono quelli che premono da fuori: in primo luogo i Verdi, che «senza aver attaccato un solo manifesto, con pochissime apparizioni televisive e con una manciata di euro per la campagna elettorale, hanno preso il 2%», ovvero «un po’ di più della “Sinistra”, che pure aveva parlamentari, più spazi televisivi e decisamente più soldi». I Verdi avrebbero dalla loro «la simpatia dei giovani “gretisti”, il mutamento climatico che ormai non è più una previsione ma una realtà in atto, e di conseguenza una certa attenzione dei mass media». Gli ultimi eredi del “Sole che ride” potrebbero anche «fare liste comuni con quel che resta della sinistra o assorbirne un po’ di voti». Giannuli non prende nemmeno in considerazione il piccolo fronte rosso-bruno apertosi con “Vox Italia”, il sovranismo “socialista” capitanato da Diego Fusaro (che sembra autoemarginarsi da subito, peraltro, chiedendo l’uscita dall’euro, dall’Ue e dalla Nato). Una galassia, quella del voto-contro, che nel 2018 diede largamente fiducia ai 5 Stelle: milioni di voti che poi, di fronte al fallimento gialloverde incarnato da Di Maio, sono tornati a gonfiare l’oceano dell’astensionismo già alle europee, tornata in cui ha votato poco più di un italiano su due (un elettore su tre, invece, ha scommesso ancora su Salvini).Tornando a Renzi, Giannuli punta i riflettori sul grande centro: l’altra grande incognita esterna è l’editore Urbano Cairo, che recentemente ha concesso «un’intervista di due ettari» al “Foglio” «per spiegare che non ha intenzione di candidarsi», e che però, «se fosse costretto a farlo, avrebbe un programma fatto così e così». Tradotto: «La smentita, al solito, vale la conferma delle intenzioni di esserci». Su che seguito elettorale potrebbe contare, Cairo? «Impossibile a dirsi, allo stato attuale», che è quello di una intenzione «molto futura». E poi, candidarsi per fare che? «Un partito suo? Entrare in Forza Italia e rivitalizzarla? Fare il presidente di una qualche confederazione di centro con Renzi e lo stesso Cavaliere? Tutto possibile». Urbano Cairo possiede “La7” e il “Corriere della Sera”, «ma non sono più i tempi della discesa in campo del Cavaliere». Inoltre, «l’appporto dei suoi media è realisticamente molto più ridotto». Secondo Giannuli, poi, «un appoggio troppo sfacciato, soprattutto da parte del blasonatissimo “Corriere”, potrebbe costare molto in termini di audience e di lettori». Lo si è visto con il mitico “fate presto” con cui la grande stampa italiana accolse il finto salvatore Mario Monti nel 2011, salvo poi “scoprire” – fuori tempo massimo – che non si trattava esattamente di un benefattore della nazione.Resta virtualmente da spendere la carta del classico partito personale, a meno che Cairo non abbia già nella manica «un parterre da far paura» fatto di grandi nomi, «presidenti di associazioni», e magari la benedizione del Papa. Viceversa, avrebbe «qualche possibilità di successo in più la sua adesione a Forza Italia», che di fatto «potrebbe dare qualche goccia di sangue fresco alla moribonda creatura berlusconiama». Ma la cosa più ragionevole, per Giannuli, sarebbe «la confederazione con il fiorentino e il Cavaliere». Poi ci sono una serie di personaggi singoli molto noti (Tremonti, Sgarbi, Monti, Rutelli, magari anche Fini), che forse hanno «solo un po’ di seguito d’opinione», eppure «possono regalare visibilità a una forza politica nuova», anche perché «la parata di vecchie stelle del varietà funziona sempre», fino a un certo punto. L’unica vera notizia è che «le bocce sono in movimento, e altre – completamente nuove, che oggi neanche immaginiamo – possono entrare in campo». Molte cose cambieranno, conclude Giannuli, sempre senza tener conto del quadro internazionale, europeo e non solo, così determinante – finora – per la crisi italiana (dalla Via della Seta al decreto Golden Power contro Huawei, dal Russiagate anti-Salvini alla guerriglia con Macron e il voltafaccia dei 5 Stelle, fino all’elezione di Ursula von der Leyen).L’analisi di Giannuli, apprezzabile per i riflessi immediati sull’agenda di Palazzo Chigi e dintorni, non legge le ricadute italiane dei grandi giochi in corso, dalla Hard Brexit alla crociata contro Trump. Clamoroso il guanto di sfida lanciato dal governatore della Bank of England, uomo Rothschild: Mark Joseph Carney è stato applaudito a Wall Street, nientemeno, per aver annunciato la necessità di una valuta internazionale alternativa al dollaro. Corretto il focus di Giannuli su Cairo: ma come si schiererebbe, l’editore, rispetto allo scacchiere che conta, cioè quello dei veri poteri che telecomandano l’Italia? E poi: sicuri che Salvini sia sul viale del tramonto? Cosa c’è nella testa di quei milioni di italiani che tuttora fanno della Lega il primo partito? Salvini non è certo ostile a Putin, che peraltro non è un campione di democrazia. A sua volta, Putin non è assolutamente lontano da Trump, che pure sembra aver cessato di sostenere Salvini. Quello che si legge è un caos, nel quale sembra precipitata l’oligarchia di ieri. L’Italia gialloverde era vista – da fuori, forse a torto – come un “pericoloso” banco di prova per sperimentare un’alternativa al paradigma ordoliberista. Il pallottoliere di Giannuli, per ora, non ne fa cenno. Ma sarebbe ingenuo non cercare di mettere a fuoco la vera domanda: per chi sta lavorando, oggi, Matteo Renzi? Per se stesso, come al solito? Certo, anche. Ma si sa, le cose accadono a più livelli. I giochi sono tanti, così come i giocatori. E quelli italiani, visibili, sono solo la vetta dell’iceberg.Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.
-
De Magistris, giustizia militante: un politico del medioevo
L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».Da Rold polemizza col nostro sistema giudiziario: i Pm: sono rimasti gli ultimi, negli ordinamenti democratici occidentali, a essere ancora parificati ai giudici. E in più «si rifiutano di seguire la grande separazione di tutti i poteri che, sin dal Settecento, si teorizzava anche nella distinzione tra giudice e pubblica accusa». È vero che va di moda Jean-Jacques Rousseau, il filosofo radicale “adottato” da Casaleggio, «ma Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, appunto noto come Montesquieu, precisava con forza che se il giudice facesse lo stesso mestiere del pubblico accusatore sarebbe un abuso». La prova del nove? «Le democrazie di quasi tutto il mondo seguono Montesquieu». Famosi nemici della separazione tra magistratura inquirente e giudicante, due personaggi non proprio democratici: il leader fascista Dino Grandi e il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar, «anche lui appassionato dell’unicità di vedute tra accusa e chi formula il giudizio». I tempi cambiano, ma non per tutti: «Ora anche il Portogallo ci ha ripensato; l’Italia invece difende combattiva la non-separazione».Tornando alla cronaca: la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza della Corte d’Appello di Salerno che dichiarava prescritti i reati contestati all’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone, e all’avvocato generale Dolcino Favi, che avevano avocato i fascicoli sottraendoli all’attuale sindaco di Napoli. Resta dunque valida la sentenza di primo grado del tribunale di Salerno, che aveva assolto i due magistrati di Catanzaro. E l’assoluzione riguarda anche l’ex senatore e avvocato Giancarlo Pittelli, il procuratore Mariano Lombardi (nel frattempo deceduto) e l’imprenditore Antonio Saladino, assolti «per insussistenza del fatto, così come avvenuto in primo grado». A parole, de Magistris (due volte sconfitto) non si arrende: «Continuerà probabilmente a parlare di complotti», avverte Da Rold. «Ma tutta la sua vicenda – aggiunge – è degna di un libro (che infatti è in gestazione) per dimostrare lo strapotere, o forse l’unico potere forte, che è rimasto oggi in Italia: quello della magistratura, gestita principalmente – per un lungo periodo – proprio dai Pm alla de Magistris».Per rendersi conto di quanto capitato, continua Da Rold, vale la pena di vedere quale autogol de Magistris ha fatto in Cassazione e leggere la dichiarazione rilasciata dall’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Murone: «La Cassazione ha finalmente e definitivamente chiuso a mio favore la vicenda “Why not”. Tutte le mistificazioni, le bugie, le cattiverie sono finite. L’assoluzione di primo grado è stata ribadita, a dimostrazione che le vicende successe al signor de Magistris non sono il frutto di congiure e complotti, di poteri forti a livelli superiori, ma solo il suo modo di fare il pubblico ministero, già stigmatizzato dai provvedimenti di carriera che lo hanno colpito, portandolo fuori dalla magistratura». Insomma: per Da Rold, «Luigi de Magistris, tonitruante sindaco di Napoli, non rispettava neppure le regole della pubblica accusa su un impianto procedurale discutibile, come più volte hanno ricordato tanti uomini politici». Marco Pannella fece addirittura della battaglia per la separazione delle carriere una missione della sua vita e portò Enzo Tortora al Parlamento Europeo. «Ma la vocazione inquisitoria della tradizione italiana resiste», anche se «tutti sanno quanto è causa di autentici drammi umani».“Why not” è durata dodici anni. L’imprenditore Tonino Saladino ha visto sua moglie ammalarsi e i suoi figli storditi dalla sua vicenda umana, annota Da Rold. «Ogni tanto si ricorda sbigottito e sgomento il 12 marzo 2007, quando alle sette di mattina gli piombarono in casa i carabinieri per un’ispezione alla ricerca di carte che neppure sapevano che cosa fossero o rappresentassero». Tutta quella storia di “Why not” fu «uno scontro durissimo che coinvolse il governo dell’epoca, quello di Romano Prodi, che alla fine andò in crisi», travolgendo il ministro della giustizia, Clemente Mastella, e sua moglie. «Per placare le acque all’interno della magistratura e nel perenne scontro tra magistratura e politica dovette intervenire nel 2008 anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano». Non era una novità, in quegli anni della già affermata Seconda Repubblica: l’Italia, ricorda Da Rold, era un paese «destabilizzato da svendite di grandi aziende pubbliche, da una cronica mancanza di crescita e da una confusione demenziale della classe dirigente, politica e imprenditoriale», con i magistrati inquirenti spessissimo sopra le righe.Una fenomenologia cominciata in realtà nel 1992, quando la magistratura italiana, «risvegliatasi dal suo torpore, aveva “scoperto” le tangenti politiche, che esistevano dal 1946». Senza contare i circa 1.000 miliardi di lire (secondo Stéphane Courtois) che affluivano al Pci dall’Urss, «potenza ufficialmente nemica». E tutto poi «amnistiato, naturalmente». In fondo, continua Da Rold, la vicenda di “Why not” era il seguito inevitabile delle apparizioni televisive, in gruppo, del pool Mani Pulite: giornate scandite dalle “sensazionali rivelazioni” che qualche talpa del Palagiustizia passava sottobanco ai giornali. «È stata una lunga cavalcata non molto edificante, con alla fine un Francesco Saverio Borrelli che confessa i suoi dubbi a Marco Damilano; con la sempre cacofonica parlata giurisprudenziale italiana del “grande manettaro” Antonio Di Pietro; con la visione del “geniale” Pier Camillo Davigo che pensa di trovarsi di fronte a 60 milioni di italiani potenzialmente colpevoli, che naturalmente devono giustificare la loro condotta». Per non parlare della battaglia delle “correnti” all’interno della magistratura, fino alla pagina nera del Csm con il clamoroso “caso Palamara”, l’inciucio col Pd, di cui si cerca di parlare il meno possibile, sui media.Teoricamante il nostro è uno Stato di diritto, eppure «la giustizia segue tempi scoraggianti, dove gli aspetti inquisitori sono sempre prevalenti». E il peggio è, scrive Da Rold, che non si ha il coraggio di riconoscere che in Italia «questa amministrazione giudiziaria è gestita da una casta feudale, dove le procure rappresentano i feudi superstiti o dei nuovi feudi, che ogni tanto si fanno pure la guerra l’uno contro l’altro, spesso in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale o secondo interpretazioni delle norme che farebbero inorridire un filosofo del diritto come Hans Kelsen». Ogni speranza di riforma finisce per naufragare, grazie anche alle “intemerate” del fedelissimo Marco Travaglio, «che spesso anticipa i tempi persino delle sentenze». Buio pesto anche dal ministro Alfonso Bonafede, devoto a Giuseppe Conte, «quindi un visconte per tradizione feudale».«E pensare che la riforma della giustizia, in agenda del nuovissimo governo, ora che i grillini sono diventati europeisti con Ursula von der Leyen, dovrebbe rispettare, o almeno tenere in considerazione, la risoluzione numero 112/97 approvata dal Parlamento Europeo il 4 luglio 1997», chiosa Da Rold. In questo si dice: «È anche necessario garantire l’imparzialità dei giudici distinguendo tra la carriera dei magistrati – i cosiddetti “examining magistrates” – e quella del giudice, al fine di assicurare un processo giusto». Sentenze autorevolmente emesse, al termine di processi in cui si condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ha voglia di scherzare, Da Rold: «Perché non si organizza su questo tema un bel convegno tra de Magistris, Davigo, Di Pietro e Travaglio come moderatore?». In questo caso, aggiunge, «lo spettacolo sarebbe assicurato, e poi si potrebbe emigrare tranquillamente».L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».
-
Grillo decisivo: dalla “rivoluzione” alla palude giallorossa
Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.Eminente dietrologo, autore del saggio “Massoni” in cui smaschera i maggiori protagonisti della politica italiana rivelandone l’identità supermassonica (l’affiliazione alle superlogge internazionali), Magaldi inforca gli occhiali della politologia per rivendicare giustizia per i 5 Stelle: solo la “discesa in campo” di Grillo – sostiene, in video-chat su YouTube – ha reso fluido il panorama politico italiano, prima ingessato nel finto scontro tra centrodestra e centrosinistra. Due forze che hanno paralizzato per decenni qualsiasi riforma progressista, sottoponendo entrambe il paese alla ricetta imposta dal neoliberismo imperante, somministrato agli europei (sotto forma di austerity) attraverso la tecnocrazia di Bruxelles. Taglio dei deficit, aumento delle tasse, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro. Vero obiettivo, fissato dall’élite neo-oligarchica della massoneria reazionaria: impedire allo Stato di continuare a produrre benessere diffuso. Il sociologo Luciano Gallino la chiamò “lotta di classe alla rovescia”, sintetizzando: è stata un’operazione storica, che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, grazie alla finanziarizzazione globalizzata dell’economia che ha impoverito la classe media, erodendo i risparmi e costringendo i giovani alla disoccupazione o alla precarietà di lavoretti iper-flessibili e sottopagati. Risultato automatico: il boom dei grillini e ora della Lega.E’ stato proprio Grillo, ricorda Magaldi, a terremotare la palude italiana: senza di lui, staremmo ancora a parlare (in modo sempre più surreale) di destra e sinistra. Terminologie sepolte dalla storia e dall’attualità, oggi tornate in voga in modo abusivo: il nuovo ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in quota alla componente teoricamente “di sinistra” del governo “giallorosso”, in realtà «viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea», vale a dire «la destra economica più reazionaria». Non a caso, Gualtieri fu addirittura «applaudito da Christine Lagarde», la lady di ferro del Fmi che mise in ginocchio il popolo greco, costringenolo alla fame. Per contro, tra le fila della Lega spiccano gli unici economisti virtualmente “di sinistra” sulla scena politica, come i keynesiani Alberto Bagnai (Senato) e Antonio Maria Rinaldi (Parlamento Europeo). Meglio rottamarla, la dicotomia destra-sinistra, se serve solo a imbrogliare le carte. E il primo a farlo – ricorda sempre Magaldi – fu proprio Beppe Grillo, dieci anni fa, con il movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Magaldi, peraltro, non ha mai fatto sconti ai grillini, colpevoli di troppe confusionarie incongruenze e qualche imperdonabile ipocrisia. Per esempio, quella sulla massoneria: demonizzata in pubblico ma frequentata sottobanco.«Era massone, Gianroberto Casaleggio», dice Magaldi: «E fu lui stesso a dirmi che non intendeva rivelarlo». Il figlio, Davide, lo ha smentito a mezzo stampa: «Mio padre non è mai stato massone». Casaleggio junior, però, si è sottratto all’invito di Magaldi: «Partecipi con me a un incontro pubblico: gli spiegherò quando e come suo padre fu iniziato massone, e perché non voleva che si sapesse». Da Casaleggio a Di Maio, il passo è breve: «In modo ipocrita e anche incostituzionale, i 5 Stelle hanno vietato ufficialmente ai massoni l’accesso al Movimento e all’area gialloverde, pur sapendo che il primo governo Conte era imbottito di massoni, da Tria a Moavero, per non parlare dei sottosegretari». Primo: discriminare qualcuno per la sua appartenenza è contrario alla Costituzione. Secondo: era massone Meuccio Ruini, coordinatore della Costituente. «Niente di strano: se l’Italia fosse meno ipocrita, ammetterebbe che la stessa democrazia – libertà, diritti, suffragio universale – è una conquista storica della massoneria». Ma a parte i grembiulini, a sconcertare è stato il vuoto politico dei 5 Stelle. Ai tanti proclami non è mai seguito quasi nulla. In un solo anno, i grillini al governo hanno disatteso tutte le loro promesse: elettori traditi sull’obbligo vaccinale, sul Muos e gli F-35, sulle trivelle in Adriatico, sull’Ilva di Taranto, sul gasdotto Tap, e infine anche sul Tav Torino-Lione. Politica alternativa? Non pervenuta. Mai una parola chiara sul paradigma economico da adottare. Un caso?A proposito di gatekeeping: già nel 2016, Grillo tentò in modo tragicomico di traslocare il gruppo europarlamentare, lasciando l’Ukip populista di Farage per gli ultra-euristi dell’Alde. E questo, dopo aver agitato lo spettro di un referendum sull’euro. Almeno a parole, la Lega lo ha affrontato davvero, il problema-Bruxelles (i grillini, mai). Era stato Salvini, infatti, a candidare all’economia Paolo Savona: già ministro con Ciampi – e non a caso temuto da Draghi e Juncker – Savona avrebbe avuto l’autorevolezza necessaria a rinegoziare condizioni favorevoli all’Italia. Azzoppato sul nascere, il governo gialloverde si è ridotto alla misera elemosina del “reddito di cittadinanza” trasformato in un’amara beffa, mentre solo la Lega (con le pensioni facilitate da Quota 100) ha messo mano, davvero, all’economia delle famiglie. La Flat Tax? Sabotata con le dimissioni forzate del suo ideatore, Armando Siri, e poi insabbiata da Tria e da Conte insieme all’altro escamotage leghista per aggirare l’euro-rigore, cioè l’introduzione di moneta parallela (“minibiot”, crediti fiscali scambiabili). Dai grillini, nessuna vera battaglia. Ma peggio: i 5 Stelle hanno gatto harariki facendo eleggere la tedesca Ursula von der Leyen, candidata della Merkel, alla Commissione Europea: un ceffone plateale, rifilato a Salvini (e agli italiani).Checché ne pensi Bordin, che evoca il possibile giallo politico sul figlio di Grillo, non stupisce più di tanto il voltafaccia del Beppe nazionale, che ora ha costretto Di Maio a ingoiare Renzi e accettare Conte come nuovo “leader di fatto”, perfetto supplente per la smarrita scolaresca grillina, terrorizzata all’idea di perdere la poltrona in caso di elezioni anticipate. Nemmeno Salvini, peraltro, sarebbe sufficiente a cambiare le regole del gioco. A differenza della maggioranza degli osservatori, Magaldi sostiene comunque che il leader della Lega abbia scelto accuratamente di rompere, consapevole del fatto che, viceversa, sarebbe finito in trappola: la nuova finanziaria lo avrebbe costretto a deludere gli elettori, grazie all’azione frenante esercitata da Conte su ordine dei poteri eurocratici anche attraverso i consueti terminali italiani, dal Quirinale a Bankitalia. Ci si sono messi anche i giornali, che hanno gonfiato la barzelletta del Russiagate, polpetta avvelenata cucinata da servizi segreti (di quelli italiani la delega è rimasta a Conte, non al ministro dell’interno). Ma neppure i magistrati hanno scherzato: quelli siciliani hanno accusato Salvini di “sequestro di persona” per aver impedito lo sbarco di migranti (che in realtà erano liberi di andarsene altrove). E quelli di Genova hanno condannato la Lega a versare 49 milioni di euro allo Stato: il conto esorbitante di un ammanco presunto, solo teorico, calcolato in base ai rimborsi elettorali pluriennali, e non legato alla cifra contestata a Bossi (inferiore al milione di euro) quando Salvini era solo consigliere comunale a Milano. Messaggio chiarissimo: tagliare i fondi a un partito, impedendogli materialmente di fare politica, significa privare gli elettori di precisi diritti democratici. Evidente il fine: sbarazzarsi di Salvini, con ogni mezzo. Magari il più classico: la congiura di palazzo all’italiana, attingendo all’endemico trasformismo parlamentare, alla faccia degli elettori.Attenzione: Salvini non ha subito gli eventi. Secondo Magaldi, al contario, li ha calcolati con precisione e tempismo. Se ha tardato tanto a staccare la spina (Giorgetti premeva per la rottura già alle europee) è stato per lasciare pochissimo tempo all’inciucio, di fronte allo spettro dell’aumento dell’Iva nel caso saltasse la finanziaria: se avessero voluto davvero evitare le elezioni, o almeno un super-rimpasto (cacciando Conte e Tria) i “traditori” avrebbero dovuto ribaltare la loro posizione dalla sera alla mattina, di fronte agli italiani – come infatti è avvenuto. Risultato: lo sconcio è visibile dalla Luna. E questo pone Salvini (non vittima, ma regista dell’operazione) in una posizione privilegiata: potrà demolire ogni giorno gli eroi del Conte-bis, preparandosi all’incasso. Non senza prima “aver studiato”, aggiunge Magaldi: Salvini sa benissimo che la sua Lega – già profondamente migliorata, rispetto al Carroccio nordista di Bossi – non è ancora adeguata alla guida del paese. Per molti aspetti è assai meglio della concorrenza, ma non basta: occorre crescere ancora in senso keynesiano, per sfidare la Disunione Europea – non con l’arma spuntata del sovranismo, opportunistico e miope, ma chiedendo a Bruxelles una Costituzione democratica capace di restituire vera sovranità ai cittadini europei.Senza riscrivere i trattati non si va da nessuna parte: il Conte di turno non potrà che replicare gli inchini di Letta, Renzi e Gentiloni, sperando solo nelle briciole (come quelle che ora probabilmente saranno elargite, assolutamente insufficienti a rilanciare l’economia italiana). Primo passo: chiedere di stralciare dal bilancio le misure salva-Italia. E cioè: taglio del cuneo fiscale per le aziende, abbattimento delle tasse per tutti, investimenti produttivi e rigenerazione delle infrastrutture strategiche. Temi su cui insiste il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi, tra i padri del cantiere politico del “Partito che serve all’Italia”. Obiettivo: rianimare la prospettiva progressista, resuscitando la democrazia sostanziale. «Non serve creare l’ennesimo partitino autoreferenziale», chiarisce Magaldi: occorre un partito di massa, capace di cavalcare «le praterie che si sono aperte». Alle europee un elettore su tre ha votato Lega, ma quasi metà degli aventi diritto ha disertato le urne: italiani nauseati dal Pd, delusi dai 5 Stelle, non convinti da Salvini. Magaldi appare fiducioso: presto o tardi, sembra dire, la verità risulterà evidente anche ai più sprovveduti. E chi ancora dorme sarà svegliato dalle “meraviglie” del Conte-bis, condannato in partenza a obbedire ai diktat di chi ha messo l’Italia nei guai. Con buona pace dei grillini, che hanno sconcertato il loro elettorato. Oggi risalirebbero nei sondaggi manistream? Strano: alle ultime regionali sono letteralmente scomparsi. E ora il voto in Umbria e in Emilia dirà cosa resta, davvero, del grande bluff pentastellato.08:37 11/09/2019Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.
-
Grillo coi nemici dell’Italia che vogliono Draghi al Quirinale
Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.Si commenta da solo lo sconcio offerto al pubblico, anche internazionale: un governo di nani obbedienti, coalizzati per disperazione e con sprezzo del ridicolo. Missione: emarginare Salvini, come vuole il padrone, e impedire agli elettori di tornare a votare. La classica manovra di palazzo, che comporterà conseguenze spiacevoli per i congiurati: il discredito definitivo del Pd e l’estinzione politica dei 5 Stelle, condannati a essere presi a pesci in faccia dagli elettori di oggi e di domani. Si aprono praterie sconfinate per chiunque ambisca a portarsi a casa i milioni di voti in fuga dall’increscioso e indecente equivoco pentastellato. Ma intanto, al padrone interessa innanzitutto “la roba”: vale a dire le 500 nomine pesanti in arrivo l’anno prossimo, nei posti che contano. Sfrattato l’intruso leghista grazie al signor Beppe e ai suoi diligenti camerieri travestiti da parlamentari, i posti-chiave saranno scelti accuratamente tra Berlino, Parigi e Bruxelles; i nomi saranno comunicati a tempo debito ai prestanome italiani, in quota al Pd e ai 5 Stelle. Dopo il varo dell’impresentabile Conte-bis, quello sarà il secondo step della Lunga Marcia. Il terzo, definitivo, si avrebbe con l’incoronazione del venerabile maestro Mario Draghi, come tredicesimo presidente della Repubblica italiana.La leggenda di Super-Mario? Salvatore dell’euro e santo protettore della sventurata Penisola. Vero il contrario, purtroppo: di formazione progressista e keynesiana, studente cresciuto alla corte dell’insigne ecomomista democratico Federico Caffè (scomparso nel nulla dalla sua abitazione romana nel 1987), Draghi è l’emblema stesso del tradimento: il cattivo allievo, lo ribattezzò Bruno Amoroso, formatosi con Caffè insieme a Nino Galloni. Amoroso e Galloni hanno tenuto alto l’onore dell’antico maestro, tramandandone la lezione. Che è questa: lo Stato non è una famiglia, perché – a differenza delle famiglie e delle aziende – dispone del potere monetario. Può emettere moneta in modo virtualmente illimitato. Ergo: il deficit, in termini di spesa pubblica strategica, è puro ossigeno per i cittadini, le famiglie, le imprese. Viceversa, il suo contrario – il pareggio di bilancio – condanna l’economia. E se migliaia di imprese si arrendono alla crisi, strangolate dalle tasse, il loro business viene letteralmente rastrellato dai grandi gruppi, dotati di elevato potenziale finanziario. L’alleanza storica tra multinazionali, banche d’affari e vertice politico in Europa ha un nome esemplare: Mario Draghi.Per via delle altissime responsabilità rivestite nel disastro sociale europeo, proprio Super-Mario rappresenta al meglio, da grande tecnocrate, il potere oligarchico che ha piegato i governi, confiscato la democrazia, ridotto le elezioni a pura ritualità. Lo si vede anche oggi, ancora una volta, con l’immondo esito della crisi parlamentare italiana. In Europa, la menzogna neoliberista (più tagli, più cresci) è aggravata dalla prassi mercantile dell’ordoliberismo di marca teutonica: all’impoverimento programmato del popolo si aggiuge la sottomissione sociale dei dominati. Dopo la Grecia, l’Italia è scandalosamente in cima alla classifica dello sfruttamento: da moltissimi anni il nostro paese, a cui i tizi come Draghi rimproverano di aver vissuto “al di sopra delle sue possibilità”, è addirittura in avanzo primario. Ovvero: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini versino in tasse. In questo, proprio Draghi – massimo sacerdote dell’austerity (altrui) – incarna il massimo tradimento possibile della dottrina di Keynes e di Caffè, economisti progressisti cui si deve – nel mondo, e anche in Italia – l’archiettura dell’economia statale espansiva che permise ai popoli di risollevarsi, accedendo a stagioni di grande benessere, mobilità sociale, futuro da costruire con fiducia e ottimismo.Tutto questo doveva finire: non per via di leggi economiche, ma a causa di determinazioni politiche, in parte palesi (il neoliberismo di Milton Friedman e soci) e in parte occulte, di matrice iniziatica. Già nell’Ottocento, il medico francese Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, teorizzò la dottrina della “sinarchia”. In spiccioli: la politica è un affare troppo serio perché sia lasciata al popolo bue. A guidarlo dev’essere un’élite illuminata. Questa élite reazionaria si è nascosta, nel Novecento, dovendo subire l’offensiva delle democrazie sociali, le conquiste dei diritti del lavoro. Poi è rimersa, lentamente, a partire dagli anni Settanta. In Europa, l’Italia era un boccone golosissimo: eravamo il paese del boom, trainato dal maggior conglomerato industriale d’Europa, l’Iri, gestito dallo Stato. Le vaste inefficienze dell’Iri, di origine clientelare, erano largamente compensate dalle enormi ricadute sull’indotto privato. A demolire l’Iri fu chiamato il tecnocrate di turno, l’allora semisconisciuto Romano Prodi, mentre a Draghi – direttore del Tesoro – fu chiesto di oliare lo smembramento privatizzatore gli altri gioielli industriali italiani: Telecom, Eni, Enel, Comit, Credito Italiano.Dal Britannia in poi, Mario Draghi si è fatto apprezzare dai padroni del mondo, che l’hanno ricompensato da par loro. Una marcia trionfale: Goldman Sachs, Bankitalia, Bce. Ora, Draghi ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde al vertice del Fmi. Si è tenuto libero per Palazzo Chigi? No: per il Quirinale. Vanta crediti importanti, sulla strada del Colle. D’intesa con Napolitano, nel 2011 disarcionò Berlusconi (ultimo premier eletto dagli italiani, nel 2008: da allora, alla guida del governo si sono succeduti soltanto politici non eletti dai cittadini, da Monti fino a Conte). E’ la declinazione italica della “sinarchia” del marchese Saint-Yves d’Alveydre: guai a lasciare che il popolo si governi da sé. A tener aperta la strada del Quirinale per Mario Draghi è il finto outsider e falso rivoluzionario Beppe Grillo: solo grazie all’inventore dei 5 Stelle il super-banchiere dell’élite può sperare, domani, di raggiungere la meta. Non è solo, ovviamente: oltre a Grillo e al solito servizievole Pd, Draghi può contare sulle potenti superlogge massoniche internazionali in cui milita. E’ affiliato a ben 5 Ur-Lodges di stampo reazionario: si chiamano “Three Eyes” e “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Der Ring” e “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. E’ per questi signori che in fondo lavorano Beppe Grillo e il suo figurante sistemato a Palazzo Chigi, il carneade “Giuseppi” Conte, sedicente “avvocato degli italiani”: un piccolo e infido mestierante, di cui oggi i connazionali farebbero volentieri a meno.Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.
-
Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda
C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.Vista da fuori, la crisi italiana è una catastrofe: a vincere sono i peggiori, che spengono sul nascere il sussulto democratico (confuso, contraddittorio) nato nel 2018 dalla rivolta dei cittadini esasperati dagli abusi dell’impero finto-europeista, mercantilista e bugiardo, squallidamente privatistico anche se ammantato di istituzionalità. E’ un complotto che viene da lontano, accusa Salvini dal Quirinale, indicando tra i mandanti le oligarchie di Parigi, Berlino e Bruxelles. Non è privo di colpe lo stesso Salvini: gli errori tattici sembrano averlo spiazzato di fronte all’incredibile disinvoltura trasformistica dei congiurati grillini e renziani, semplici manovali della cospirazione contro l’Italia. Ma il capo della Lega si è esposto a facili accuse anche infamanti, con la sua visione unilaterale della tragedia dell’immigrazione: accuse disoneste, che avrebbe potuto neutralizzare allargando l’orizzonte all’Africa, alle vere cause del malessere africano e ai suoi possibili rimedi. L’errore più grande compiuto da Salvini sta probabilmente nell’essersi rifugiato nella solitudine del cosiddetto sovranismo, falsa piattaforma di opportunismi nazionalistici che infatti hanno puntualmente isolato la Lega dopo il grande successo delle europee. Non lo si sarebbe potuto liquidare così facilmente, Salvini, se avesse combattuto, in modo dialettico e inclusivo, per reclamare una Costituzione Europea finalmente democratica.Ma gli errori ottici di Salvini, peraltro non irrimediabili, non sono nulla in confronto allo scempio di verità e di decenza di cui si sono macchiati i 5 Stelle pilotati da Grillo, pronti a voltare le spalle nel modo più spregevole ai cittadini italiani che appena 14 mesi fa li avevano eletti con un mandato chiarissimo: restituire sovranità democratica alle persone comuni. Dopo aver appaltato la politica che conta (esteri, economia) a mercenari non-eletti come Conte, Tria e Moavero, il signor Grillo ha gettato la maschera: prima silurando Salvini attraverso Angela Merkel (Ursula von der Leyen alla Commissione Europea) e ora imponendo ai parlamentari pentastellati – contro la stessa base grillina, ancora una volta costretta al silenzio – il disperato, desolante matrimonio servile con il padrone europeo tramite il suo tradizionale proconsole italiano, il detestato Pd, ancora e sempre al servizio dell’establishment che ha svenduto il paese. La scommessa di Grillo è tristemente imbarazzante: dimostra che i grillini sarebbero dei poveri idioti, raggirabili anche stavolta. In realtà, milioni di elettori stanno già abbandonando la navicella populista, che è comunque servita – al regime di cui Grillo è l’occulto, grande protagonista – a non inquadrare mai il bersaglio vero, indispensabile per cambiare realmente le regole del gioco, cioè il rapporto tra governanti e governati.E’ possibile che gli attivisti grillini aprano finalmente gli occhi di fronte a un simile spettacolo, e imparino a non fidarsi mai più dei demagoghi autoritari ed estremisti, amici del popolo solo a parole ma in realtà nemici della democrazia. Li si riconosce a distanza, da una caratteristica invariabile: ai decibel, alle urla e ai Vaffa non corrisponde mai un piano preciso, fatto di soluzioni realistiche. Di qui l’inevitabile vaghezza dei programmi, che poi si traduce regolarmente in un nulla di fatto, nella migliore delle ipotesi, dopo gli altisonanti proclami rivoluzionari. Nella peggiore delle ipotesi, invece – quella italiana, incarnata dai 5 Stelle – la finta rivoluzione (alimentata dalla passione sincera di migliaia di attivisti) – finisce nella vergogna: parlamentari ricattati dal terrore di perdere la poltrona fingono di non udire lo sdegno dei loro stessi elettori e si accasano con la cricca dei perdenti, ripetutamente bocciati dagli italiani, per tenere in piedi un esecutivo pronto a obbedire ai diktat di Bruxelles. E’ il capolavoro di Grillo: dimostrare – all’Italia, e non solo – che la politica è un sordido imbroglio, e che i maggiori imbroglioni sono proprio loro, gli ex “avvocati del popolo”.Gli europei guardano, e prendono nota: dopo la falsa partenza dell’Italia gialloverde, il terreno del possibile riscatto democratico viene ora accuratamente diserbato. L’intero Parlamento di un paese avanzato, membro del G7, è manipolato da un privato cittadino, elusivo e potentissimo: mai presentatosi alle elezioni, mai neppure sottopostosi al vaglio di un regolare congresso di partito. Ha dunque ragione, Grillo, nel mostrare che al popolo bue si può davvero far credere qualsiasi cosa? Come sempre, dal letame nascono i fiori: oggi la verità finalmente emerge, anche se in modo feroce. Se il Movimento 5 Stelle è servito essenzialmente a depistare la richiesta popolare di cambiamento, dando tempo all’establishment di prendere le sue contromisure, di fronte al declino – consenso a picco, 6 milioni di voti persi in un solo anno – il signor Grillo ha deciso di suicidare la sua creatura rendendo al potere l’ultimo servizio possibile: il governo-ignominia col Pd, fingendo di non sentire che gli italiani vorrebbero tornare alle urne, per dire la loro. Giullare di razza, l’ex comico genovese non viene mai meno al senso dello spettacolo: sul suo blog si raffigura come una specie di Mosè, di fronte alle acque del Mar Rosso che si separano per intervento divino. Peccato che nella Bibbia non ci sia nessun Mar Rosso: il popolo dell’Esodo si limitò a guadare uno Yam-Suf, un acquitrino. Una palude, come quella in cui Giuseppe Grillo, detto Beppe, ha deciso di far annegare i suoi 5 Stelle, ormai utili solo come compari provvisori dell’ex impresentabile Matteo Renzi.(Giorgio Cattaneo, “Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 agosto 2019).C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.
-
Berlusconi gioca la carta Draghi: è la trappola per Salvini
Tramite Alessandro Sallusti, il vecchio Berlusconi – in apparenza fuori gioco, costretto all’angolo – prova a giocare la carta Mario Draghi. Lo conferma l’editoriale del 20 agosto del direttore del “Giornale”. Titolo: “Una telefonata a Draghi ci allungherebbe la vita”. Sortita che conferma l’allarme lanciato settimane fa dal saggista Gianfranco Carpeoro, in contatto con l’élite massonica progressista europea. Già la scorsa estate, Carpeoro aveva rotto le uova nel paniere ai congiurati italo-francesi, intenzionati a impedire che Marcello Foa, candidato da Salvini, conquistasse la presidenza della Rai. Le rivelazioni di Carpeoro, in web-streaming su YouTube, avevano sortito l’effetto di smontare il piano. La notizia veicolata dall’avvocato milanese: il mentore di Macron, Jacques Attali, aveva telefonato nientemeno che a Giorgio Napolitano per chiedere lumi su come fermare Foa. Napolitano avrebbe consigliato ad Attali di contattare Antonio Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo. «In seguito, Tajani ha sentito direttamente il Cavaliere». Una consuetudine che da allora non si sarebbe interrotta, e che – sempre secondo Carpeoro – oggi coinvolgerebbe in modo stabile anche lo stesso Beppe Grillo e Davide Casaleggio, figlio del massone occulto Gianroberto Casaleggio («fu lo stesso Gianroberto – dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – a spiegarmi perché non voleva che si sapesse della sua affiliazione alla massoneria»).Ora la rete sotterranea di contatti sarebbe in pieno fermento. Il nuovo piano, secondo Carpeoro, fino a ieri era il seguente: “cucinare” Salvini a fuoco lento, per costringerlo alla resa entro fine anno e aprire le porte a un “governo di salvezza nazionale”, presieduto proprio da Draghi, che nel frattempo – curiosa coincidenza – ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde alla guida del Fmi. Poltrona prestigiosa, almeno quanto quella della Bce. Perché rifiutarla? Per tenersi libero in vista dell’approdo a Palazzo Chigi? Avverte Magaldi: l’Italia è l’epicentro di uno scontro epocale tra progressisti e reazionari a livello mondiale. E spiega: proprio in Europa si è sperimentato l’attuale modello di governance post-democratica, dove le elezioni non contano più. E l’Italia è l’unica trincea spendibile, per un cambio di rotta, perché i sistemi politici di Francia e Germania sono bloccati. Ma perché Berlusconi insiste tanto su Draghi, l’uomo che nel 2011 lo defenestrò dal governo? Risposta: essere garante della carta-Draghi, emarginando Salvini, per il Cavaliere è l’unico modo per tentare di rientrare nel grande giro. Possibile? Sembra proprio di sì, a leggere l’editoriale di Sallusti, evidentemente “ispirato” dall’editore.«Senza un leader forte non c’è governo che tenga – scrive Sallusti – e un’ammucchiata di mezzi leader non farà mai un leader, così come nessuno dei pochi leader in circolazione è proponibile, per ovvi veti incrociati tra le forze che andranno a comporre questo eventuale nuovo governo-ammucchiata». E allora? Sallusti premette di non voler “dare consigli” a Mattarella, ma poi lo fa: «Io una telefonatina a Mario Draghi la farei. Così, tanto per non lasciare nulla di intentato». Ma come, Sallusti invoca l’uomo-simbolo del peggior rigore? «Si tratta di un pregiudizio, di una falsa vulgata», cinguetta il Sallusti edizione agosto 2019. «Mario Draghi è in realtà un arci italiano, europeista convinto e intelligente che da presidente della Banca Centrale Europea ha tenuto testa agli egoismi e alle spinte franco-tedesche». Bingo: ci siamo. Questo ritratto di Draghi (falsissimo) è esattamente quello che lo stesso Draghi – vero cannibale e devastatore dell’Italia, dai tempi del Britannia – ha voluto che i media gli cucissero addosso. «Non penso a un governo tecnico, ma politico e soprattutto finalmente autorevole e rispettato», chiosa Sallusti, che osa scrivere che il killer Draghi avrebbe «salvato l’Europa dal default». Salvini è avvertito: il piano avanza, anzi galoppa, con la benedizione di Silvio e l’entusiastica collaborazione di Renzi e Grillo, pedine italiane dell’euro-circuito massonico oligarchico.Tramite Alessandro Sallusti, il vecchio Berlusconi – in apparenza fuori gioco, costretto all’angolo – prova a giocare la carta Mario Draghi. Lo conferma l’editoriale del 20 agosto del direttore del “Giornale”. Titolo: “Una telefonata a Draghi ci allungherebbe la vita”. Sortita che conferma l’allarme lanciato settimane fa dal saggista Gianfranco Carpeoro, in contatto con l’élite massonica progressista europea. Già la scorsa estate, Carpeoro aveva rotto le uova nel paniere ai congiurati italo-francesi, intenzionati a impedire che Marcello Foa, candidato da Salvini, conquistasse la presidenza della Rai. Le rivelazioni di Carpeoro, in web-streaming su YouTube, avevano sortito l’effetto di smontare il piano. La notizia veicolata dall’avvocato milanese: il mentore di Macron, Jacques Attali, aveva telefonato nientemeno che a Giorgio Napolitano per chiedere lumi su come fermare Foa. Napolitano avrebbe consigliato ad Attali di contattare Antonio Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo. «In seguito, Attali ha sentito direttamente il Cavaliere». Una consuetudine che da allora non si sarebbe interrotta, e che – sempre secondo Carpeoro – oggi coinvolgerebbe in modo stabile anche lo stesso Beppe Grillo e Davide Casaleggio, figlio del massone occulto Gianroberto Casaleggio («fu lo stesso Gianroberto – dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – a spiegarmi perché non voleva che si sapesse della sua affiliazione alla massoneria»).
-
Tra CasaPound e NoTav, a Torino il Salone dell’Ipocrisia
Centomila persone alla camera ardente dell’Avvocato, ma solo duemila al funerale di Primo Levi. Due lutti che in qualche modo fotografano Torino: folla oceanica per il patron della Fiat e dalla Juventus, di cui ora si scoprono i miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano. Molto più intime, invece, le esequie dell’autore di “Se questo è un uomo”, massimo capolavoro della memorialistica mondiale sulla Shoah. Unico paese in cui il libro non fu tradotto, per decenni: Israele. Motivo tutto politico: Primo Levi non tollerava gli abusi del sionismo contro i palestinesi. Il regime di Tel Aviv fu costretto a “sdoganarlo” solo dopo la spettacolare operazione di Philip Roth, che finalmente presentò il chimico-scrittore al pubblico statunitense negli anni ‘80, tributandogli gli onori di un eroe civile e di una grande firma della letteratura internazionale. Ebrei e antifascismo? Torino non smentisce la sua ambivalenza: scatena l’inferno per mettere al bando CasaPound dal Salone del Libro, ma tace sul brutale pestaggio inflitto, pochi giorni prima, ai NoTav che sfilavano pacificamente per le strade del centro, al corteo del Primo Maggio.La città che esibisce la sua ostilità militante verso l’apologia del fascismo (nostalgia ostentata da Francesco Polacchi, presidente della casa editrice Altaforte), poi non riesce a tollerare il popolo della vicina valle di Susa, che resiste da vent’anni contro un progetto-monstre dalla comprovata inutilità, imposto al territorio da tutte le forze politiche (tranne una, i 5 Stelle) ridotte a cinghie di trasmissione del potere neoliberista europeo che lucra in modo imperiale e feudale sulle grandi opere, impedendo alla politica di far emergere la voce dei cittadini. Tecnicamente: sospensione della democrazia. Destra o sinistra, è uguale: sul Tav Torino-Lione, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (e pure CasaPound) la pensano come il Pd. Che i centomila valsusini siano contrari all’opera, a loro non importa. In questi anni, con l’aiuto dei migliori tecnici universitari, i NoTav hanno demolito sistematicamente qualsiasi ragione a supporto dell’infrastruttura, ma invano. L’Italia ha un bisogno disperato di infrastrutture utili, eppure Torino preferisce svenare il bilancio nazionale per una ferrovia desolatamente inutile. E tace, la città, se la polizia carica i manifestanti al corteo del Primo Maggio, colpevoli di sventolare bandiere NoTav.Perché il Pd torinese aveva tanta paura dei valsusini, nel giorno della festa del lavoro? Ovvio: avrebbero contestato i sindacati-fantasma che – Cgil in testa – il lavoro se lo sono lasciato sfilare di mano a colpi di controriforme neoliberali convalidate dai funesti governi di centrosinistra. Precarizzazione, flessibilità, delocalizzazioni, cancellazione dei diritti sociali. Arresasi su ogni fronte, la Cgil però tiene duro sul Tav, un feticcio ridicolo – poche centinaia di addetti, a tempo determinato – per il quale però Sergio Chiamparino s’è inventato le “madamine”, pronte a scendere dalle residenze in collina (zona Agnelli) per invocare il ritorno dell’occupazione (e soprattutto seppellire mediaticamente gli insopportabili NoTav). Così piovono manganellate sugli inermi, che il Primo Maggio avrebbero contestato l’ignavia dei sindacati italiani di fronte allo sfacelo del paese, culminato con la strage sociale messa in atto dai tecnocrati di Monti, coadiuvati dalla torinese Fornero, fino al pareggio di bilancio inserito nella Costituzione anche con i voti delle anime morte del Pd guidate da Bersani.A salvare la situazione – ripulendo le cattive coscienze – ora ci pensano i brutti e cattivi di CasaPound: che fortuna, per molti torinesi, potersela vedere con loro, rispolverando (piuttosto abusivamente) l’identità antifascista della città di Gobetti, la capitale operaia dove Gramsci e Togliatti studiavano da rivoluzionari nel biennio rosso, quasi cent’anni prima che gli stessi torinesi applaudissero Marchionne, il manager venuto dalla finanza per smontare la Fiat per portarla lontano da Torino. Sfila l’orgoglio antifascista, al Salone dell’Ipocrisia, tra i cerotti e i lividi dei manifestanti ai quali, il Primo Maggio, è stato fisicamente impedito di presenziare in piazza, sotto il palco dei sindacalisti che hanno svenduto i diritti del lavoro e puntellato la guerra sociale dell’élite contro il popolo lavoratore. Il primo a denunciarlo fu l’ennesimo grande torinese, il sociologo Luciano Gallino, anch’esso scomparso senza che la sua città se ne accorgesse.Centomila persone alla camera ardente dell’Avvocato, ma solo duemila al funerale di Primo Levi. Due lutti che in qualche modo fotografano Torino: folla oceanica per il patron della Fiat e dalla Juventus, di cui ora si scoprono i miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano. Molto più intime, invece, le esequie dell’autore di “Se questo è un uomo”, massimo capolavoro della memorialistica mondiale sulla Shoah. Unico paese in cui il libro non fu proposto nelle scuole, per decenni: Israele. Motivo tutto politico: Primo Levi non tollerava gli abusi del sionismo contro i palestinesi. Il regime di Tel Aviv fu costretto a “sdoganarlo” solo dopo la spettacolare operazione di Philip Roth, che finalmente presentò il chimico-scrittore al pubblico statunitense negli anni ‘80, tributandogli gli onori di un eroe civile e di una grande firma della letteratura internazionale. Ebrei e antifascismo? Torino non smentisce la sua ambivalenza: scatena l’inferno per mettere al bando CasaPound dal Salone del Libro, ma tace sul brutale pestaggio inflitto, pochi giorni prima, ai NoTav che sfilavano pacificamente per le strade del centro, al corteo del Primo Maggio.
-
Magaldi: 5 Stelle, bugie sul Venezuela e fallimenti in Italia
Mascalzoni: o siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».L’accusa: è semplicemente folle dare del “golpista” a Guaidò, solo perché è sostenuto dagli Usa. «L’autoproclamato presidente non ha fatto nulla che non fosse previsto dalla Costituzione del Venezuela: e il governo italiano non può fingere di non saperlo, come invece fanno i 5 Stelle». Scandisce i termini della questione, il presidente del Movimento Roosevelt: per chi non l’avesse ancora capito, ribadisce, Guaidò non è un “signor nessuno” messo lì dalla perfida America per rovesciare un governo legittimo. E’ il presidente del Parlamento. E la Costituzione del suo paese – in circostanze straordinarie, come queste – gli conferisce il potere, legale, di disconoscere il presidente in carica, sostituendolo in via strettamente provvisoria. Con un unico obiettivo: indire elezioni. Dove starebbe il golpismo? Per colpo di Stato si intende: presa del potere con metodi violenti, mediante l’uso della forza. Guaidò vuole forse cacciare Maduro per insediarsi stabilmente alla presidenza? No: si limita a compiere un passaggio costituzionale necessario, per imporre a Maduro il ripristino della legalità democratica. Vuole che i venezuenali possano tornare a votare. L’ultima volta che l’hanno fatto, lo scorso anno, il partito di Maduro ha praticamente vinto da solo: l’opposizione incarnata da Guaidò non si era neppure candidata, non ravvisando l’agibilità democratica della consultazione. Come si può parlare, seriamente, di golpe?Certo, il Venezuela è ricchissimo di petrolio: ha la prima riserva petrolifera del mondo, e ora è boicottato dagli Stati Uniti. Come ricorda Eugenio Benetazzo, c’è proprio il petrolio nel destino di Caracas, nel bene e nel male: usando i proventi del greggio, Hugo Chavez riuscì a condurre uno spettacolare programma di welfare, di stampo socialista. Maduro avrebbe voluto imitarlo, ma il crollo del prezzo del barile gliel’ha impedito. E quando il paese è scivolato nella crisi, l’erede di Chavez – a differenza del suo precedessore – non ha esitato a ricorrere alla repressione, di fronte alle proteste popolari. Maduro ha forzato ripetutamente la Costituzione, cosa che invece Chavez s’era ben guardato dal fare: aveva proposto una modifica costituzionale in senso presidenziale, ma aveva accettato (democraticamente) il verdetto contrario dei venezuelani. «Maduro – sintetizza Magaldi – ha letteralmente rovinato il gran lavoro svolto da Chavez». Non ci credete? E allora, suggerisce il presidente del Movimento Roosevelt, magari leggetevi su “L’Intellettuale Dissidente” le illuminanti analisi di un osservatore privilegiato come Giuseppe Angiuli, grande estimatore di Chavez e oggi rassegnato a descrivere “la triste parabola del socialismo bolivariano”, con ormai quasi 3 milioni di venezuali in fuga – per fame – nei paesi vicini.Lo fa notare lo stesso Benetazzo: è vero, il regime di Maduro si è trovato ad affrontare difficoltà serissime ed è stato progressivamente “accerchiato”. Ma la sua evidente incapacità è ormai diventata un problema insormontabile: al di là dell’avversione ideologica per il governo di Caracas, paesi come Brasile, Argentina ed Ecuador percepiscono Maduro come un ostacolo da rimuovere, non essendo in grado di impedire che il Venezuela si trasformi in una bomba sociale, nel teatro regionale di una catastrofe umanitaria. Alle Sette Sorelle – fa notare Gianni Minà – fa gola il petrolio venezuelano: il loro grande obiettivo è appropriarsi della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, tuttora statale. Tutto sembra congiurare contro Maduro: l’Ue lo ha scaricato, e la Banca d’Inghilterra rifiuta di restituire al Venezuela l’ingente riserva aurea di cui il paese virtualmente dispone, nei forzieri di Londra. Ma in tutto questo – insorge Magaldi – come si fa a non vedere da che parte sta, Juan Guaidò? Non agisce a nome delle perfide multinazionali, bensì del popolo venezuelano mortificato e affamato dalla crisi che Maduro non ha saputo affrontare, preferendo silenziare l’opposizione e reprimere ferocemente le proteste, anche calpestando la Costituzione che Hugo Chavez aveva sempre rispettato.Magaldi considera Guaidò un patriota, un vero sindacalista civile del suo paese. Un uomo coraggioso, pronto a rischiare la pelle in nome della democrazia. Il suo partito, “Voluntad Popular”, non è affatto neoliberista: è di ispirazione dichiaratamente liberaldemocratica. Magadi è trasparente: lui stesso, precisa, milita nello stesso network massonico internazionale di Guaidò, quello che si dichiara progressista e si oppone al dominio neo-oligarchico che ha confiscato la democrazia in tutto il pianeta. Come dire: di Guaidò potete fidarvi. In Venezuela, antichi supporter di Chavez masticano amaro, di fronte a quello che interpretano come un tradimento, e vedono in Guaidò un leale traghettatore. Ipotesi: un nuovo Venezuela, non più affamato né “normalizzato”, non ridotto a colonia neoliberale. Un paese senza più il carisma del chavismo, certo, ma senza neppure «gli eccessi statalistici che, in altri tempi, in Cile, prepararono le condizioni del golpe Usa che costò la vita ad Allende, altro massone progressista». Ma, a parte l’orientamento politico di Guaidò, «socialdemocratico, non certo reazionario», l’oppositore di Maduro – insiste Magaldi – riveste oggi un profilo istituzionale perfettamente legale, che solo un cieco potrebbe non vedere. Per questo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la vacuità bugiarda e cialtrona dei 5 Stelle, di fronte alla tragedia venezuelana, è pari alla fellonia parolaia del “governo del cambiamento”, che in Italia non sta cambiando proprio niente.Sparare proclami a vanvera su uno scenario lontano come il Venezuela, fa notare Magaldi, serve anche a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle miserie domestiche dell’infimo governo gialloverde. Nelle parole dei leader pentastellati risuonano echi terzomondisti e vetero-antiamericanisti? Male, dice Magaldi (atlantista dichiarato), perché è facile giocare con gli slogan, come fanno gli anonimi “eroi” del web complottista. L’imperialismo yankee è brutto? «Tutte le potenze del mondo, da sempre, attuano politiche di quel tipo». L’egemonia Usa è stata determinante per l’Italia? Eccome: «Ma chi demonizza gli Stati Uniti dimentica cos’era, l’Italia feroce di Mussolini con le sue leggi razziali. Dimentica che, senza il Piano Marshall, il paese – in macerie – non sarebbe mai diventato quello del boom economico. I detrattori degli Usa avrebbero preferito l’egemonia dell’Urss? Volevano che l’Italia diventasse come l’Albania? La Cecoslovacchia? L’Unghieria?». Ovvio, non c’è rosa senza spine: e l’Italia ne ha assaggiate parecchie. Bombe nelle piazze, stragismo, strategia della tensione, tentativi di golpe. Tutta roba americana, anche quella. Chi lo dice? Sempre Magaldi, nel saggio “Massoni”.Col piglio dello storico e del politologo, l’autore ha svelato retroscena mai prima chiariti: erano massoni statunitensi i burattinai della Loggia P2 di Licio Gelli, con la sua rete di servizi deviati e terroristi pilotati. Ma erano massoni statunitensi – di segno opposto, progressista – gli uomini come Arthur Schlesinger Jr., capaci di manovrare dietro le quinte per sventare tutti e tre i tentativi di colpo di Stato organizzati dai signori della “Three Eyes” capitanata da Kissinger, l’ispiratore del golpe in Cile, dall’onnipresente David Rockefeller (grande padrino della Trilaterale) e dal raffinato stratega Zbigniew Brzezinski, l’uomo che arruolò Osama Bin Laden in Afghanistan. Poi però, annota Magaldi, lo stesso Brzezinski ci riomase male, quando Bin Laden lasciò la “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha” dei Bush, cupola eversiva e terroristica, capace di progettare (con l’11 Settembre) la strategia della tensione internazionale che stiamo ancora scontando, per imporre – a mano armata – la peggior forma di globalizzazione. Uno schema a cui il pavido Obama non ha osato opporsi, e che oggi vede come il fumo negli occhi l’outsider assoluto che siede alla Casa Bianca, Donald Trump, l’uomo che oggi vorrebbe liberarsi di Maduro. Come dire: niente è come sembra, l’apparenza inganna. Più che gli Stati, la geopolitica la dettano gruppi ristretti, in lotta fra loro. Ma appena sale la tensione, ricompaiono le bandiere: e il derby lo vince l’emotività. Peccato veniale, prendere lucciole per lanterne, a patto che non si sieda al governo di un paese come l’Italia.Magaldi è stato un franco sostenitore del governo Conte, come unico possibile esecutivo “eretico” rispetto al dogma finto-europeista. Aveva scommesso sulla freschezza dei 5 Stelle e sulla conversione nazionale di Salvini, a capo di una Lega non più nordista. Sperava che l’esecutivo avesse il coraggio di resistere alle pressioni internazionali, esercitate prima ancora che il governo nascesse, con il “niet” su Paolo Savona all’economia. Ad ogni sconfitta, leghisti e grillini hanno alzato la voce: grandi proclami, per nascondere l’imbarazante verità. L’ipotesi di deficit al 2,4%? Troppo debole, per aiutare l’economia. Ma si sono dovuti rimangiare pure quella, piegandosi agli oligarchi di Bruxelles. Non hanno osato tener duro, i gialloverdi, neppure di fronte al clamoroso assist offerto in Francia, contro l’establishment eurocratico, dai Gilet Gialli. L’ultima cosa che oggi possono permettersi di fare, i 5 Stelle, è di dire stupidaggini su Juan Guaidò, insiste Magaldi: prima di parlare, si leggano la Costituzione del Venezuela. E smettano di essere ipocriti: «Il governo è pieno di massoni, anche se nel “contratto” (in modo discriminatorio, ledendo un diritto democratico) avevano scritto che non avrebbero dato spazio a esponenti della massoneria». Peggio: «Qualche settimana fa, esponenti della maggioranza erano venuti a chiedere la mia personale intercessione per essere aiutati, a livello europeo, dai circuiti massonici progressisti». E adesso vogliono farci la lenzioncina sul Venezuela?O siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».
-
Magaldi: la sinistra ignorante che vorrebbe spegnere Rinaldi
Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiedere l’allontanamento dell’economista dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’appartenenza supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?Nonostante lo sgangherato assalto al promotore del blog “Scenari Economici”, liquidato come «narcisista e caciarone», economista senza prestigio accademico e piccolo opportunista a caccia di poltrone, Magaldi invita lo stesso Steven Forti, e gli analoghi missionari neoliberali asserragliati tra i ranghi dell’ex sinistra, a farsi avanti in modo aperto: perché non intervistare lo stesso Magaldi, per parlare finalmente del suo libro e magari anche del Movimento Roosevelt e del “partito che serve all’Italia”, progetto al quale Antonio Maria Rinaldi si è accostato in modo interlocutorio, «come battitore libero e autonomo pensatore», per prendere nota di quanto si va discutendo? Scoprirebbero, Steven Forti e i suoi sodali, che i problemi del mondo hanno sempre almeno due spiegazioni, in democrazia. Sono le famose due campane, che un tempo i giornalisti si peritavano di ascoltare, non foss’altro che per un elementare rispetto dei loro lettori. Intanto prendano nota, alla redazione di “Rolling Stone”: sono tutti invitati alla London Metropolitan University, il 30 marzo, dove parleranno un bel po’ di economisti post-keynesiani, impegnati a spiegare come mai questa Europa è sempre in crisi, perde i pezzi (Gran Bretagna) ed è diventata una Disunione Europea dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Vuoi vedere che la politica di austerity introdotta dall’Eurozona è una catastrofe, e in ultima analisi si è trasformata in una fabbrica di sovranismi, nazionalisti, populismi e Gilet Gialli?Il mainstream che si trincera dietro il politically correct non perdona a Rinaldi di tifare per i gialloverdi: fa scialo del più convenzionale corredo squadristico a base di insulti (razzismo, xenofobia, fascismo) per infangare Salvini, il nuovo mostro da sbattere in prima pagina, ma si guarda bene dall’interrogarsi sulle ragioni del fenomeno. Pensiero magico: la demonizzazione dell’Uomo Nero a questo serve, a evitare di chiedersi il perché delle cose. Un consiglio? Tornare a essere laici, smettendo i panni del fanatismo religioso. E magari, cessare di considerare l’avversario un nemico da abbattere. In altre parole, converrebbe ragionare. A proposito, aggiunge Magaldi: hanno una proposta, i coristi “di sinistra” come Steven Forti, su come uscire dalla crisi? Sono bravissimi a censurare le idee altrui, e a demolirle in modo unilaterale, senza mai dialogo, quando non riescono più a soffocarle (come nel caso di Rinaldi, spesso ospitato in televisione). Ma ce l’hanno, in tasca, un Piano-B? E se ce l’hanno, perché non ne parlano mai? Non sarebbe ora di cominciare a farlo? «Informo Steven Forti che diversi esponenti di quella che immagino sia la sua area di riferimento, cioè il Pd e LeU, fanno parte del Movimento Roosevelt». Non solo, aggiunge Magaldi: «Alcuni di loro, come Rinaldi, guardano con interesse anche alla prospettiva del “partito che serve all’Italia”, dato che – dalle loro parti – vedono che si va verso il disfacimento».“Rolling Stone” definisce «un gruppetto», la pattuglia di intellettuali, da Nino Galloni a Ilaria Bifarini, aggregati per ora nelle prime riunioni convocate per valutare la possibilità del nuovo soggetto politico, «il cui sviluppo, a partire dal nome, sarà a cura dei costituenti, dato il rispetto che abbiamo per il metodo democratico». Gruppetto? Sui numeri sarà il tempo a dire la sua, perché siamo solo ai preliminari, assicura Magaldi. Che però aggiunge: anche se alla fine non fossimo in tantissimi, «informo Steven forti che un “gruppetto” di massoni riuniti intorno alla Loggia delle Nove Sorelle, alla fine del ‘700, determinò tanto i preparativi per la Rivoluzione Americana, quindi per la Guerra d’Indipendenza, che quelli per la Rivoluzione Francese: talvolta i gruppetti, se ben coesi e agguerriti, fanno le rivoluzioni». Se Steven Forti non afferra il concetto, prosegue Magaldi, forse è perché «non ha grande dimestichezza con lo studio della storia», benché il suo curruculum accademico lo accrediti come esperto in storia contemporanea. Iniste Magadi: «Steven Forti mi sembra carente di letture», se in qualche modo associa la massoneria al cospirazionismo. L’autore di “Massoni”, libro che smonta moltissime tesi complottistiche, cita il filosofo Gian Mario Cazzaniga, che nel saggio “La religione dei moderni” «spiega come la religione dei moderni sia la politica, e spiega anche che la politica, nel senso moderno e contemporaneo, l’hanno creata i proprio massoni».Altre letture consigliate alla redazione di “Rolling Stone”: le opere di un grande sociologo come Jürgen Habermas, «che ha spiegato come lo stesso concetto di opinione pubblica sia nato da ambienti massonici». E cioè: si prenda atto, meglio tardi che mai, che «la massoneria è un soggetto storico importante». Se poi il giovane Steven Forti leggesse pure il saggio di Magaldi, scoprirebbe che negli ultimi decenni un’élite massonica internazionale, reazionaria e neoaristocratica, ha progettatto e gestito la globalizzazione neoliberista che ha privatizzato il pianeta, rottamando i caposaldi del welfare tanto cari alla sinistra, a loro volta “fabbricati” sempre da massoni, ancorché progressisti, come il massimo economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes, e il connazionale William Beveridge, l’inventore del “welfare system”. Per inciso: il progressista Keynes era iscritto al partito liberale. I laburisti, invece – come i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e l’ex Pci italiano – sono stati i più zelanti esecutori, negli ultimi decenni, delle direttive antidemocratiche dell’élite globalista: è stata proprio la sedicente sinistra a obbedire alla peggiore destra economica. In Italia l’ha fatto prima con Prodi e Draghi, poi con il governo Monti: Fiscal Compact votato senza fiatare, così come la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio inserito proditoriamente nella Costituzione, con lo Stato terremotato dal ricatto dallo spread.Non la si vuole vedere, la realtà? E allora all’intellighenzia dell’ex sinistra non resta che godersi Salvini, dandogli ogni giorno del fascista. Almeno, puntualizza Magaldi, si eviti di scadere nella disinformazione più scorretta, rinfacciando come una colpa – a un uomo come Antonio Maria Rinaldi – la libertà intellettuale di cui gode: avrà diritto o no, di dirsi scontento della manovra economica del governo gialloverde? Proprio non glielo si vuole riconoscere, il diritto di aspettarsi di più dall’esecutivo Conte? Scherno, disprezzo e criminalizzazione di chi non la pensa come te, riassume Magaldi, non fanno parte dell’abc dell’informazione, che può essere anche fortemente critica, ma mai scorretta. I media mainstream sembrano lo specchio della politica italiana, basata su scontri quotidiani dal sapore tribale. Puoi anche farlo cadere, un avversario, ma poi sapresti come agire, al suo posto? Qualcuno ricorda un’idea – una sola – che negli ultimi vent’anni la sedicente sinistra abbia partorito, per migliorare la situazione, mentre passava il tempo a tuonare contro l’orrido Berlusconi – per poi fare persino peggio, una volta a Palazzo Chigi? Il punto è che c’è bisogno di tutti, sembra dire Magaldi. Oggi più che mai, nessuno deve sentirsi escluso. Lo gridano, gli elettori, quando votano per i cosiddetti populisti. Ormai vedono benissimo quant’è infame, la post-democrazia Ue. E’ tanto comodo, ricamare indignati elzeviri sui tweet di Salvini: serve a continuare a non vedere cosa sta succedendo, lassù, dove un pugno di decisori tiene in ostaggio mezzo miliardo di persone, in Europa. Fino a quando?Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiederne l’allontanamento dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’identità supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?