Archivio del Tag ‘conoscenza’
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Solange Manfredi: papà, uomo di potere, viveva nel terrore
Paolo (Franceschetti) in questo blog ha scritto alcuni articoli su alcune associazioni esoteriche che hanno fatto sorgere tra i lettori confronti, a volte, anche accesi. Diverse persone hanno commentato gli articoli scrivendo le proprie esperienze, e non solo. Altri sono intervenuti per mettere in guardia dal “fascino” che dette associazioni possono avere su alcune persone. In ultimo, ieri, un’amica di Paolo, letto il suo ultimo articolo sulla Rosa Rossa, gli ha detto che leggerlo fa venir voglia di iscriversi, più che di combattere il fenomeno… fa venire voglia di dire “voglio anche io avere conoscenze superiori, voglio anche io avere potere”. Ed ecco il perché del mio intervento. Ho avuto la straordinaria (nel senso letterale del termine, ovvero fuori dall’ordinario) possibilità di vivere in una famiglia che tale potere aveva, inserita ai massimi livelli italiani. Per tale motivo ritengo opportuno dare la mia testimonianza sull’altra faccia di questo potere che tante persone può affascinare. Questo tipo di potere ha un costo enorme ed è quello della vita e della libertà tua e della tua famiglia. Certo, la mia famiglia aveva potere e denaro, ma a che prezzo cercherò di spiegarvelo nel modo più semplice.Non ho mai visto, un solo giorno, mio padre senza la paura negli occhi. Non l’ho mai visto veramente sereno e sorridente. Era un bravissimo attore e, in società, era considerato un uomo bello, intelligente, simpatico, ironico, tollerante, comprensivo e disponibile. A casa era un uomo chiuso, sospettoso, iroso, intollerante e cinico. Era un uomo spaventato. Perché quando accetti di far parte di questo mondo, o di queste organizzazioni, il prezzo da pagare è questo. Non hai la possibilità di difendere né te stesso, né la tua famiglia. Tutto è loro concesso e tu non puoi rifiutare ai gradi pari, o superiori, nulla. Sei, sostanzialmente, al loro servizio. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che ti viene tolta la dignità e la libertà. Diventi, niente di più e niente di meno, che uno schiavo strapagato. Uno schiavo che deve essere sempre pronto ad esaudire i desideri dell’organizzazione, qualunque essi siano, legali o no.Uno schiavo che non ha la possibilità di difendere neanche la sua famiglia, perché anche quella appartiene all’organizzazione. Uno schiavo che potrà chiedere grandi vantaggi anche per la sua famiglia, certo, ma che se attaccata dall’organizzazione non avrà la possibilità di difenderla. Anzi, se chiesta, sarà lui a doverla concedere. Sarai a conoscenza, quando addirittura non complice od esecutore, di reati che servono sia agli scopi dell’organizzazione sia per renderti uomo ricattabile. Dovrai scattare ad ogni loro richiamo. Dovrai sottostare a qualsiasi loro richiesta. Vivrai nel terrore di sbagliare, sapendo che la pena per tale errore è la più atroce. Ogni giorno vivrai con l’ansia che il telefono squilli, o che qualcuno arrivi nel tuo studio a farti l’ennesima richiesta oscena a cui tu dovrai obbedire; perché hai potere, certo, ma c’è sempre qualcuno sopra di te. Perché magari un giorno, se ti verrà chiesto, dovrai dare l’ordine di uccidere un uomo onesto, solo perché, svolgendo il suo lavoro, si è avvicinato pericolosamente a scoprire l’organizzazione di cui fai parte.E sarà difficile prendere sonno quella notte. Ma lo sarà ancora di più la notte seguente all’attentato che hai ordinato di fare, quando saprai che l’autobomba imbottita di tritolo ha ucciso anche una madre con i suoi due figli, colpevoli soltanto di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Sarà difficile quella sera rientrare a casa e vederti correre incontro tua figlia, che ha più o meno la stessa età dei bambini morti nell’attentato che hai ordinato, per un abbraccio. Sarà difficile, quasi impossibile, ricevere quell’abbraccio, perché quel contatto potrebbe farti pensare a quei bambini, i cui corpi sono stati ritrovati a decine di metri di distanza, spiaccicati sulla facciata di un palazzo, e farti crollare emotivamente. E allora, probabilmente, allontanerai con rabbia tua figlia, le impedirai qualsiasi contatto, lasciandola delusa e confusa. O forse passerai settimane intere tornando a casa tardi la sera, per essere sicuro che già dorma, per poi svegliarti la mattina quando è già uscita per andare a scuola.Negli anni questo stato ti porterà a chiuderti dentro una corazza, che ogni giorno si farà più stretta, fino a soffocarti. Perché denaro e potere non riescono a cancellare il fatto che ti hanno annullato come uomo, privandoti di dignità e libertà. E anche quando qualcuno dell’organizzazione causerà un danno alla tua famiglia e questa ti chiederà tutela, il non poterla dare, il non poter loro spiegare che quel danno, o quel reato, non può essere denunciato, sarà difficile. Perché tra voi non vi potete denunciare, in quanto considerate i tribunali dello Stato “tribunali profani”, indegni di giudicarvi. Cercherai scuse per non agire e, se la tua famiglia cercherà di tutelarsi da sola, arriverai perfino a rubare da casa i documenti che comprovano il reato per impedire la denuncia. E allora per la tua famiglia diventerai, nella migliore delle ipotesi, un uomo che causa sofferenza e incomprensioni.Sarà difficile reggere tutto ciò. Perché sarà difficile da reggere la recita in pubblico, sempre in tensione ad ogni persona che ti si avvicina e ti dice: “Sono un amico di….le posso parlare?”. Con una “corte” attorno a te di uomini che ti adulano, certo, ma che – tu sai perfettamente – aspettano solo un momento di tua debolezza per pugnalarti alle spalle e prendere il tuo posto, e il relativo potere, nell’organizzazione. E sarà difficile reggere le incomprensioni che il tuo atteggiamento ha causato in casa. Certo, cercherai disperatamente di compensare quelle incomprensioni con quel denaro tanto facile e immeritato che a fiumi ti viene fatto scorrere nelle tasche. Ma può capitare che alla tua famiglia non interessi tanto denaro, interessi avere un padre ed un uomo, ovvero quello che tu non sei più. E allora ogni giorno sarà una sofferenza per te e per chi ti sta accanto.Il momento peggiore, poi, sarà quando non riuscirai più a sopportare tutto ciò e cercherai un modo per uscirne, per trovare una scusa all’ennesima indecente richiesta. Sarà proprio allora che ti verrà ricordato che non sei libero di scegliere, e te lo ricorderanno nei modi peggiori. Magari faranno avvicinare tua figlia da qualcuno che le farà un discorso strano, che lei non sarà in grado di capire, ma che le verrà chiesto di riferirti, perché tu, invece, ne comprenderai perfettamente il significato. E allora inizierà il panico. Un panico incontrollato. E inizierai a tremare ogni qualvolta tua figlia uscirà di casa, ogni volta che ti racconterà di aver conosciuto un ragazzo. Reagirai con la tipica rabbia dettata dalla paura chiedendole di non vedere mai più quella persona, adducendo scuse a tale richiesta, scuse banali e per tua figlia incomprensibili. Questo allontanerà ancora di più tua figlia che, per vivere, inizierà a mentirti e a nasconderti la propria vita. Tutto ciò aumenterà ancora di più la tua paura e la tua sensazione di impotenza.Così avanzerai verso di lei pretese sempre più assurde, cercando di controllare ogni sua amicizia, ogni suo spostamento e, quando tua figlia ti chiederà spiegazioni per questo tuo comportamento, non saprai cosa dire. Perché probabilmente non avrai la forza di spiegarle che rischia la vita, che è pericoloso uscire con un ragazzo incontrato in discoteca, perché lei è usata come strumento di pressione e di ricatto perché tu obbedisca. Perché non potrai spiegarle che quella persona con cui lei ti dice aver passato una bella serata e che, conoscendoti, ti manda i suoi saluti, in realtà voleva farti sapere che è stato così vicino a tua figlia da poterla uccidere con una sola mano. Non potrai. Né potrai spiegarle che vive questa situazione perché tu hai scelto anni prima di avere potere e denaro per poter avere una bella casa, per poter avere incarichi che non meritavi, per non rispondere giudizialmente di eventuali errori nella tua professione, per poter fare le vacanze nei posti più esclusivi, per poter ottenere con facilità cose che non ti spettavano, ecc..Non potrai spiegarle che la sua vita appartiene ad altri perché tu volevi il potere. E non potrai spiegarlo perché, anche se tu trovassi la forza di farlo, sapresti perfettamente che non servirebbe a nulla, se non a far vivere nel panico anche i tuoi cari. E’ a questo punto che ti accorgerai di quanto ti sia costato quel potere, ma non potrai più tornare indietro. Non potrai più porre rimedio a quella scelta fatta per l’ambizione di arrivare dove altrimenti non saresti mai arrivato. Non avrai più via di scampo, come non ce l’avrà la tua famiglia, che vivrà in un incubo senza sapere perché. Nessun rapporto, solo recite in pubblico per la società, che tu obbligherai la tua famiglia a recitare con la paura e il ricatto, i soli strumenti che ti saranno rimasti avendo perso il loro amore, la loro stima e la loro fiducia. E neanche la tua morte salderà il conto, perché la tua famiglia sarà costretta a scegliere: se entrerà nell’organizzazione manterrà ciò che ha, se rifiuterà le verrà tolto tutto.Sì, perché le strutture che tu hai messo in piedi, siano aziende o studi professionali, sono strutture dell’organizzazione, e tu eri solo lo schiavo strapagato che le portava avanti, la cosiddetta testa di legno. Così, se la tua famiglia rifiuterà, le verrà tolto tutto. Se cercherà di ottenere ciò che ritiene suo, e che la legge dice esserlo, verrà massacrata (morte civile, calunnie, minacce, denunce pretestuose, ecc). Se poi un componente della tua famiglia, magari tua figlia, sceglierà di aiutare le persone che cadono vittime della tua organizzazione (e sono tante) perché, grazie alla sua esperienza di vita, vi conosce e riconosce, o cercherà di informare sul meccanismo del vostro potere, saprà che sarà un progetto che non potrà pianificare. Saprà che, probabilmente, una sera ci sarà qualcuno che, come tante volte hai fatto tu in passato, darà l’ordine di eliminare il problema. E l’esecutore, con rapidità ed efficienza, entrerà in azione assicurandosi che il decesso venga archiviato come incidente o suicidio. Questo è il prezzo del potere. Alle singole persone scegliere se vale la pena pagarlo. Io, ho scelto la libertà per poter, come ebbe a dire Paolo Borsellino: «sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità».(Solange Manfredi, “Il prezzo del potere”, dal blog di Paolo Franceschetti del 20 novembre 2008).Paolo (Franceschetti) in questo blog ha scritto alcuni articoli su alcune associazioni esoteriche che hanno fatto sorgere tra i lettori confronti, a volte, anche accesi. Diverse persone hanno commentato gli articoli scrivendo le proprie esperienze, e non solo. Altri sono intervenuti per mettere in guardia dal “fascino” che dette associazioni possono avere su alcune persone. In ultimo, ieri, un’amica di Paolo, letto il suo ultimo articolo sulla Rosa Rossa, gli ha detto che leggerlo fa venir voglia di iscriversi, più che di combattere il fenomeno… fa venire voglia di dire “voglio anche io avere conoscenze superiori, voglio anche io avere potere”. Ed ecco il perché del mio intervento. Ho avuto la straordinaria (nel senso letterale del termine, ovvero fuori dall’ordinario) possibilità di vivere in una famiglia che tale potere aveva, inserita ai massimi livelli italiani. Per tale motivo ritengo opportuno dare la mia testimonianza sull’altra faccia di questo potere che tante persone può affascinare. Questo tipo di potere ha un costo enorme ed è quello della vita e della libertà tua e della tua famiglia. Certo, la mia famiglia aveva potere e denaro, ma a che prezzo cercherò di spiegarvelo nel modo più semplice.
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L’ufologo Churchill e il segreto di Stato sugli avvistamenti
C’è vita, là fuori? Possibile che siamo davvero soli, nell’universo? Parola di Winston Churchill, uno dei grandi leader del Novecento. Per la vastità della sua conoscenza e la varietà dei suoi interessi, il leggendario premier inglese della Seconda Guerra Mondiale continua a sorprendere. «Ufo, galassie, pianeti: undici pagine di ragionamenti sulla vita nello spazio che anticipano l’impostazione delle ricerche contemporanee», scrive il “Corriere della Sera”, citando uno scritto inedito del 1939, da allora custodito negli archivi del National Churchill Museum di Fulton, Missouri. Il testo, mai pubblicato, era stato ceduto al museo americano negli anni Ottanta. Dopo essere stato contattato dall’istituto per esaminarlo, è stato l’astrofisico e divulgatore scientifico israeliano Mario Livio a rivelarne l’esistenza, commentandolo in un articolo sulla rivista “Nature”. Livio trova incredibilmente innovativo il pensiero di Churchill: «Pensa come un astrofisico di oggi. E in un’epoca in cui i politici rifiutano la scienza, è commovente ricordare un leader che si è impegnato così profondamente per questa disciplina».Una passione influenzata anche dal dibattito scientifico – e fantascientifico – dell’epoca, scrove il blog “Il Navigatore Curioso”, citando il “Corriere”. Solo un anno prima della stesura dell’articolo, nel 1938, negli Stati Uniti la “Cbs” aveva trasmesso lo sceneggiato radiofonico di Orson Welles “La guerra dei mondi”. «Tratto dall’omonimo romanzo di Herbert George Wells, raccontava uno sbarco di extraterrestri in territorio americano. A sentirlo per radio sembrò vero. E fu il panico». Churchill parte dalla domanda fondamentale: c’è vita, lassù? «Il sole è semplicemente una stella come milioni di altre nell’universo. Perché non potrebbero esistere altri sistemi planetari?». Quindi passa in rassegna le condizioni principali perché si sviluppi «la capacità di riprodursi e moltiplicarsi», arrivando a teorizzare la necessità dell’acqua allo stato liquido. Fino a individuare in Marte e Venere gli unici pianeti del sistema solare capaci di ospitare la vita.Zone abitabili, lontane dalla Terra dove in quel 1939 si addensavano le nubi del secondo conflitto mondiale. Troppo profonda era la sua conoscenza del genere umano e della storia, perché lo statista Churchill, massone, non sentisse il bisogno di immaginare “zone franche” dalla follia della guerra, in un altrove interstellare. Non sono poi così convinto, scriveva, «che noi rappresentiamo il culmine dello sviluppo nel vasto orizzonte del tempo e dello spazio». Ma Winston Churchill, indossari i panni prudenti del politico, avrebbe anche “insabbiato” alcuni avvistamenti Ufo avvenuti durante il secondo conflitto mondiale. Secondo la testimonianza del nipote di una sua guardia del corpo, il primo ministro britannico «vietò di diffondere la notizia dell’avvistamento di un Ufo da parte di un bombardiere della Raf (Royal Air Force), che rientrava da un’azione militare contro la Germania». La circostanza è stata rivelata poco tempo fa, in seguito alla pubblicazione online di file finora secretati dai National Archives, in cui è contenuta la documentazione su decine di incontri con “oggetti volanti non identificati”.Chruchill aveva timore di creare un’ondata di isteria collettiva, gettando nel panico la nazione in guerra. Ma la notizia è rimasta poi sepolta negli archivi per oltre mezzo secolo. Soltanto nel 1999, infatti, il nipote di un militare della Raf, guardia del corpo di Churchill, scrisse una serie di lettere al ministero della difesa inglese per ottenere chiarimenti su un misterioso incidente di cui il nonno era stato testimone: «Al rientro da una missione sul continente europeo occupato dalle truppe naziste, il bombardiere britannico su cui si trovava l’aviatore sarebbe stato affiancato da un Ufo sopra la Cumbria, regione a nord ovest dell’Inghilterra». Membri dell’equipaggio avrebbero pure «scattato alcune foto di un oggetto volante di natura metallica» che si era «librato in volo senza far rumore». Il nipote dell’aviatore è un fisico di Leicester, esperto di astronomia. E’ scettico: non crede che l’equipaggio della Raf sia davvero venuto a contatto con gli extraterrestri. Ipotizza invece che lo strano oggetto fosse in realtà un velivolo sperimentale, impiegato in qualche esercitazione segreta. Una potenza straniera non identificata stava testando una nuova tecnologia bellica? Ma Churchill non la pensava così: dopo aver ascoltato un esperto militare, che aveva escluso si trattasse di un missile, il premier «ordinò che il segreto sull’episodio si mantenesse almeno per 50 anni».C’è vita, là fuori? Possibile che siamo davvero soli, nell’universo? Parola di Winston Churchill, uno dei grandi leader del Novecento. Per la vastità della sua conoscenza e la varietà dei suoi interessi, il leggendario premier inglese della Seconda Guerra Mondiale continua a sorprendere. «Ufo, galassie, pianeti: undici pagine di ragionamenti sulla vita nello spazio che anticipano l’impostazione delle ricerche contemporanee», scrive il “Corriere della Sera”, citando uno scritto inedito del 1939, da allora custodito negli archivi del National Churchill Museum di Fulton, Missouri. Il testo, mai pubblicato, era stato ceduto al museo americano negli anni Ottanta. Dopo essere stato contattato dall’istituto per esaminarlo, è stato l’astrofisico e divulgatore scientifico israeliano Mario Livio a rivelarne l’esistenza, commentandolo in un articolo sulla rivista “Nature”. Livio trova incredibilmente innovativo il pensiero di Churchill: «Pensa come un astrofisico di oggi. E in un’epoca in cui i politici rifiutano la scienza, è commovente ricordare un leader che si è impegnato così profondamente per questa disciplina».
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Sappiamo cosa vorremmo? No, abbiamo smesso di pensare
Viviamo in tempi stranissimi che, oltre ad un volgare conformismo, non ci consigliano di andare. E chiamiamo questo conformismo “buon senso”, “saper vivere” e persino lealtà alla patria, o addirittura “fede”. Così siamo giunti al punto che manifestare un desiderio di conoscere e riflettere, di pensare, oppure dichiarare di avere un punto di vista diverso da quanto ogni autorità ci propone, significa candidarsi al sospetto. Come minimo, si rischia di trovarsi ai margini del proprio gruppo. L’attuale sistema ha come presupposto che qualcuno pensi e giudichi per tutti. E allora, l’ordine interiorizzato e che nessuno verbalizza, ma che scivola indisturbato nelle pieghe di ogni coscienza è: «Non pensate, gente, non pensate, ricordatevi di non pensare, pensare stanca, è inutile, pensa uno per tutti e vi protegge dal vostro stesso pensiero…». Così viviamo tempi di conformismo coatto. Se vogliamo essere tranquilli, siamo invitati a metterci tutti in divisa, ad essere senza volto. Scriveva Karl Jaspers: «È possibile spiegare tutto, senza nulla comprendere». Proprio quanto ci sta accadendo. Crediamo di sapere tutto senza comprendere nulla.Da ciò ne discende uno stile di vita che rifugge quasi per istinto dalla complessità dei problemi. Tutto è semplice, tutto ha una soluzione, purchè non si pensi e non si dica a nessuno che la vita è rischio, scommessa, impegno, progetto di costruire insieme qualcosa di bello e sensato. Le società occidentali hanno fatto della libertà la loro bandiera. Nessun valore è stato tanto esaltato, in questi ultimi trecento anni, e nessuno appare, anche oggi (almeno in Occidente), tanto indiscutibile. E’ stato in nome della libertà che si sono sviluppate le grandi rivoluzioni della storia moderna. Ed è sempre appellandosi ad essa che ci si è battuti, nel secolo scorso, contro la potenza soffocante dei totalitarismi. Ma cosa significa, realmente, essere liberi? L’esperienza insegna che è più facile battersi per la libertà, che non individuarne l’effettivo significato. Ma è facile rendersi conto che dal concetto di libertà che si adotta dipende anche il tipo di liberazione per cui ci si deve battere.Se consideriamo la libertà come quella condizione nella quale non si è costretti da niente e da nessuno a fare o non fare qualcosa, poniamo l’accento esclusivamente sugli ostacoli esteriori che spesso limitano l’azione del soggetto e ne mortificano l’autonomia. A questa idea si sono ispirate e si ispirano molte battaglie per la liberazione da condizionamenti politici, economici, sociali e culturali. E certo il poter fare senza ostacoli ciò che si desidera costituisce una condizione necessaria della libertà. Ma è anche sufficiente? A farcene dubitare potrebbe essere il fatto semplicissimo che di una libertà così intesa si può parlare anche a proposito di animali non umani. Un cane è “libero” se non è attaccato al guinzaglio. In realtà, c’è da chiedersi se una persona realizzi veramente la sua libertà quando può fare ciò che desidera. E’ possibile, infatti, porre una questione più a monte, e cioè se questa persona sia libera di desiderare quello che desidera.In una società come la nostra, dominata dai meccanismi della pubblicità, questo dubbio si impone con particolare evidenza: è veramente libero che, subendo un bombardamento quotidiano di messaggi più o meno subliminali, si trova a desiderare un prodotto di cui non avrebbe alcun reale bisogno, anche a costo del sacrificio di altre cose, ragionevolmente assai più utili? L’esempio più eclatante di tale fenomeno è il clamore suscitato dal lancio dell’ultimo modello di iPhone, che rispetto ai suoi predecessori ha veramente poche novità. Eppure, il martellamento mediatico ha generato in numerosi giovani il desiderio di acquistarne uno, ad un prezzo è estremamente elevato e senza nessuna reale utilità rispetto ad un telefono cellulare “normale”. La domanda è: sono realmente io a desiderare, o c’è qualcun altro che mi spinge a desiderare? Il fatto è che il desiderio, come tale, è facilmente condizionabile dall’esterno. Esso dipende dagli oggetti che ci si presentano e nei cui confronti siamo liberi di sentirci attratti o meno.Esiste, tuttavia, un livello in cui la libertà umana si manifesta nella sua peculiarità ed è quello della volontà. Qui non si tratta più di poter fare, ma di poter scegliere ciò che si vuole fare. Per questo, però, è essenziale il pensiero. Senza pensiero la libertà si appiattisce sul livello dei riflessi condizionati. Accennavamo prima ai meccanismi della pubblicità. Si pensi anche alle mode e all’omologazione che ne risulta in tutti i settori, da quello dell’abbigliamento a quello, ben più delicato, delle opinioni etiche, politiche o religiose. Oggi è molto difficile sfuggire a questa forma di dominio invisibile. Ed esso è tanto più pericoloso in quanto censura non le risposte, ma le stesse domande. Moltissimi uomini e donne, oggi, vivono alle prese con problemi che sono stati messi in “agenda” da altri. Ebbene, ciò è caratteristico dei totalitarismi che, a differenza degli antichi regimi assolutistici, mirano non a soffocare le opposizioni, ma a conquistare il cuore e la mente delle persone, plasmandole per così dire “dall’interno”, piuttosto che costringendole dall’esterno.È chiaro che se si adotta il concetto dominante di libertà, le nostre società, apparentemente, sembrano essere libere, senza nessun limite esteriore, ma sono minacciate da una forma di oppressione totalitaria che può essere individuata e denunziata solo se si adotta un concetto più ampio di libertà, che naturalmente non escluda il primo, ma lo collega al problema della scelta consapevole e non soltanto al comportamento esterno. A questo punto il problema del pensiero si rivela drammaticamente attuale. Se su di esso si gioca il valore della libertà, nel suo significato più pieno, vale la pena chiedersi perchè oggi sia così debole di fronte alle sfide della vita personale e sociale, e come sia possibile restituirgli la sua forza. Forse bisognerebbe cominciare dallo spegnere la nemica numero uno dell’umanità: la televisione!(“Purchè non si pensi: utilizzare la libertà per instaurare il totalitarismo dei desideri indotti”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, agosto 2017).Viviamo in tempi stranissimi che, oltre ad un volgare conformismo, non ci consigliano di andare. E chiamiamo questo conformismo “buon senso”, “saper vivere” e persino lealtà alla patria, o addirittura “fede”. Così siamo giunti al punto che manifestare un desiderio di conoscere e riflettere, di pensare, oppure dichiarare di avere un punto di vista diverso da quanto ogni autorità ci propone, significa candidarsi al sospetto. Come minimo, si rischia di trovarsi ai margini del proprio gruppo. L’attuale sistema ha come presupposto che qualcuno pensi e giudichi per tutti. E allora, l’ordine interiorizzato e che nessuno verbalizza, ma che scivola indisturbato nelle pieghe di ogni coscienza è: «Non pensate, gente, non pensate, ricordatevi di non pensare, pensare stanca, è inutile, pensa uno per tutti e vi protegge dal vostro stesso pensiero…». Così viviamo tempi di conformismo coatto. Se vogliamo essere tranquilli, siamo invitati a metterci tutti in divisa, ad essere senza volto. Scriveva Karl Jaspers: «È possibile spiegare tutto, senza nulla comprendere». Proprio quanto ci sta accadendo. Crediamo di sapere tutto senza comprendere nulla.
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Scordatevi i parchi italiani: fanno gola, vogliono mangiarseli
Di fronte a un aumento galoppante dell’effetto serra, alla minaccia di estinzione di migliaia di specie animali e vegetali importantissime sia per l’equilibrio di interi habitat sia per il sostentamento umano, quale obiettivo si dovrebbe prefiggere un governo? Il buon senso direbbe un obiettivo di salvaguardia e incremento delle aree protette, di incentivi politici ed economici per la protezione del territorio e degli esseri viventi che lo abitano. E infine un obiettivo culturale per sviluppare nella popolazione e soprattutto nei giovani amore, rispetto e conoscenza della natura. Ma nel nostro paese sta succedendo esattamente il contrario. Con 249 voti a favore, 115 contrari e 2 astenuti, la Camera dei Deputati ha approvato la nuova legge in materia di parchi ed aree protette. E chi ne è stato informato, se ha a cuore l’ambiente, ha fatto davvero fatica a non cadere nello sconforto. La nuova legge è un’accozzaglia di concessioni e favoritismi nei confronti dei privati, di lobbies potenti come i cacciatori, di categorie come gli agricoltori. La politica entra a gamba tesa nella gestione dei parchi e lo fa come una ruspa in una foresta vergine, con protervia e ignoranza e con l’unico obiettivo di favorire interessi economici e speculazioni.Ma vediamo nel dettaglio cosa comporta questa legge e perché ha fatto levare un coro di proteste da parte di tutte le associazioni ambientaliste. In primo luogo, a chi governerà i parchi, ovvero i presidenti e i direttori, non sarà più richiesta alcuna competenza scientifica e i presidenti saranno nominati dal ministro e dalle Regioni, cioè dai politici; nei consigli direttivi dei parchi la metà dei membri sarà scelta dalle amministrazioni comunali, un quarto sarà composto di sindaci, ma ci sarà posto anche per gli agricoltori. Si apre la strada a interessi economici privati, interessi politici e clientelistici (d’altra parte si dichiara che questa riforma è fatta per lo sviluppo economico), alle ditte del legname e all’industria del turismo. Viene scardinata l’idea che un’area naturale protetta sia prima di tutto necessaria alla salvaguardia dell’ambiente, a preservare il futuro di un territorio, oltre che il presente. Passa l’idea che l’economia e il profitto siano l’unico obiettivo e metro di giudizio nei riguardi della natura. Il mondo scientifico viene emarginato nella gestione dei parchi, e anche il mondo ambientalista è messo in un angolo, a favore di categorie politiche ed economiche.Si apre la strada a possibili trivellazioni ed estrazioni petrolifere, si potrà inquinare pagando delle royalties, si apre alle attività di caccia col pretesto del controllo degli ungulati, con le conseguenze di disturbo, danneggiamento e migrazione di altre specie anche rare e protette. Una serie di vergognose scelte difese con assoluta facciatosta da voltagabbana dell’ambientalismo come Ermete Realacci, che da presidente di Legambiente è passato armi e bagagli al carrozzone politico e riesce a elogiare con accanimento una legge “mostro” inqualificabile. Tale legge, tra l’altro, considera marginali le aree marine protette, privandole dei fondi e delle organizzazioni che spettano ai parchi naturali. C’è poi la questione del delta del Po, da anni tema di proteste e proposte per realizzare un parco nazionale. Un’area che l’Unesco ha dichiarato area prioritaria, che rientra nella Convenzione di Ramsar sugli uccelli migratori, e che ora è spezzettata in tre provincie con diverse concezioni e gestioni.Questa legge-pastrocchio indecente ha fatto infuriare il Wwf Italia, che parla di aree naturali protette «usate come merce di scambio da mettere in mano ai poteri di parte e locali, invece che un bene comune che appartiene ai cittadini», e rincara la dose dichiarando: «La Camera ha portato indietro di 40 anni la legislazione di salvaguardia della natura». Anche la Lipu parla di «mortificazione di una legge storica fondamentale per la conservazione della natura in Italia, e una delle pagine più grigie della legislazione ambientale italiana». Ecco dunque le disastrose decisioni prese dal nostro governo e avvallate da una parte dell’opposizione. Le ricadute ambientali, sociali e anche economiche potrebbero essere devastanti ma, per avvantaggiare interessi economici privati, si buttano alle ortiche i nostri beni più preziosi. Beni che non appartengono solo a noi ma anche alle generazioni future e che con questa legge saranno invece compromessi. Ancora una volta una decisione politica antipopolare e che distrugge il patrimonio e l’immagine dell’Italia.(Martino Danielli, “Addio parchi italiani”, da “Il Cambiamento” dell’11 agosto 2017).Di fronte a un aumento galoppante dell’effetto serra, alla minaccia di estinzione di migliaia di specie animali e vegetali importantissime sia per l’equilibrio di interi habitat sia per il sostentamento umano, quale obiettivo si dovrebbe prefiggere un governo? Il buon senso direbbe un obiettivo di salvaguardia e incremento delle aree protette, di incentivi politici ed economici per la protezione del territorio e degli esseri viventi che lo abitano. E infine un obiettivo culturale per sviluppare nella popolazione e soprattutto nei giovani amore, rispetto e conoscenza della natura. Ma nel nostro paese sta succedendo esattamente il contrario. Con 249 voti a favore, 115 contrari e 2 astenuti, la Camera dei Deputati ha approvato la nuova legge in materia di parchi ed aree protette. E chi ne è stato informato, se ha a cuore l’ambiente, ha fatto davvero fatica a non cadere nello sconforto. La nuova legge è un’accozzaglia di concessioni e favoritismi nei confronti dei privati, di lobbies potenti come i cacciatori, di categorie come gli agricoltori. La politica entra a gamba tesa nella gestione dei parchi e lo fa come una ruspa in una foresta vergine, con protervia e ignoranza e con l’unico obiettivo di favorire interessi economici e speculazioni.
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Sos, rischiamo un’estinzione di massa: la sesta, sulla Terra
Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.Resa popolare dal Nobel per la chimica Paul Crutzen per designare un nuovo periodo geologico separato dall’Olocene (l’ultimo periodo geologico dell’era Quaternaria), la nozione di Antropocene ci richiama all’impatto determinante, permanente e irreversibile del comportamento umano sulla superficie terrestre. Nel suo libro tradotto in italiano come “Benvenuti nell’Antropocene”, Crutzen argomenta che le prove per stabilire l’inizio del nuovo periodo sono già visibili sia nelle rocce (in forma di isotopi nucleari, sedimenti, scorie, particelle di alluminio, cemento, plastica e carbone), sia negli oceani e nelle zone costiere, con l’innalzamento del livello del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacci. L’aumento rapido dei gas serra è probabilmente segna l’inizio della nuova era, che si può collocare all’incirca verso la metà del 20º secolo. Negli ultimi decenni, aggiungono Conversi e Moreno in un’analisi su “Micromega”, la crescita abnorme dei consumi di gran parte della popolazione terrestre ha prodotto gravi effetti sul nostro pianeta, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per il futuro di tutte le specie viventi.Purtroppo però questa massa di studi fatica a trovare spazio sui grandi media, spesso «ostacolata e contraddetta dalla visibilità istrionica di pseudo-scienziati portavoce, riconosciuti o meno, delle lobbies petrolifere e dei combustibili fossili». Data l’assenza di vere informazioni, «non c’è da sorprendersi che il pubblico sia più orientato a crucciarsi per i prezzi di consumo dell’energia elettrica piuttosto che a chiedersi come ridurre le emissioni». Come ridurre il climate change? Nebbia fitta. «Raggiungendo livelli sempre più alti, l’aumento costante dei gas serra, accoppiato alla diffusione della fratturazione idraulica (fracking), è in grado di produrre un impatto incontrollabile, minacciando la continuità stessa della vita sulla Terra». L’attuale modello iper-consumistico «è stato responsabile non solo di un aumento senza precedenti delle emissioni di CO2, ma anche di un processo a senso unico di omogeneizzazione culturale, a seguito del quale mai prima d’ora così tante persone hanno assunto abitudini di consumo originariamente proprie delle vecchie élites occidentali». Processi che «hanno contribuito ad aumentare i livelli di povertà e di emarginazione sociale, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo».Secondo un noto rapporto di Oxfam, la stragrande maggioranza delle vittime del cambiamento climatico sono proprio coloro che vivono in paesi che contribuiscono di meno al fenomeno. «E per di più, le regioni più vulnerabili ospitano circa la metà più povera della popolazione mondiale: un grafico assai rivelatore dell’ingiustizia climatica, che non lascia dubbi su come la metà più povera della popolazione mondiale produca solo il 10% delle emissioni globali di carbonio, mentre il 10% più ricco del pianeta contribuisce a oltre il 50% delle emissioni», aggiungono Conversi e Moreno. Inoltre, questo sembra dimostrare che, sebbene il problema demografico non debba essere sottovalutato, l’impatto più consistente non è prodotto dai numeri di bocche da sfamare, ma da modelli acquisiti di consumo, sperpero, abitudini e stili di vita insostenibili. Intanto, sempre secondo Oxfam, l’81% dei decessi causati dai disastri ambientali colpisce le aree a reddito basso e medio-basso. Secondo un altro studio, “Carbon and inequality from Kyoto to Paris”, diretto da Lucas Chancel e Thomas Piketty della Paris School of Economics, l’1% delle famiglie statunitensi, singaporesi o saudite a reddito più elevato sono annoverabili tra i maggiori responsabili di inquinamento, con più di 200 tonnellate annuali di emissione di CO2.Di conseguenza, continuano Conversi e Moreno, una visione semplicistica della frattura Est-Ovest o Nord-Sud, appare inadeguata: tra l’1% dei super-emettitori vanno anche incluse le élites dei super-ricchi di Cina, Russia, India e Brasile, per fare un esempio. E un terzo studio, pubblicato di recente (“The Carbon Majors Report” 2017) mostra che circa 100 aziende sono responsabili del 71% delle emissioni globali, cioè un numero significativamente infimo di grandi produttori legati ai combustibili fossili arreca un danno assolutamente sproporzionato rispetto ai guadagni astronomici di pochi. In America Latina, quasi tre quarti dei cittadini – una delle percentuali più alte al mondo – riconoscono fermamente la gravità e la serietà del cambiamento climatico: i paesi latinoamericani e caraibici sono molto vulnerabili al problema del riscaldamento globale. «Un aumento rilevante e sostenuto delle temperature porterebbe in un intervallo non molto lungo a una riduzione drastica dei terreni coltivabili, alla scomparsa di atolli, barriere coralline, isole basse e intere regioni costiere, così come ad una estrema variabilità del tempo».Per Conversi e Moreno, non sarebbe realistico ipotizzare una risposta unica ai difficili e complessi problemi legati al cambio climatico. I punti di vista normativi variano: dall’illusione di “miracoli tecnologici” all’espansione massiccia delle energie rinnovabili (dal 2019 la Volvo produrrà solo auto elettriche o ibride), dalla decrescita volontaria dei consumi alla rivalutazione delle conoscenze ecologiche tradizionali. Si pensa alla protezione delle economie pre-industriali residue, all’economia circolare, al riciclaggio, alla pratica della “sovranità alimentare” (km zero, filiere corte), fino all’opzione estrema della geo-ingegneria, «che implicherebbe la costruzione di dighe per proteggere città o paesi dall’innalzamento delle maree e altre soluzioni provvisorie per tamponare effetti localizzati di un fenomeno che non ha nulla di locale». In ogni caso, aggiungono Conversi e Moreno, sarà vitale «ambire alla massima eterogeneità e creatività in termini di soluzioni, adattamento, conoscenze o tecniche di sopravvivenza».Da parte sua, l’Ue si sta adoperando per trasformare i rifiuti in materiali rinnovabili in una nuova “economia circolare”. Secondo la Commissione Europea, l’Europa produce più di 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, oltre la metà dei quali (63%) è derivata dal settore minerario e delle costruzioni. Ma spesso l’accento è posto sul cittadino, nonostante solo l’8% dei rifiuti sia di origine domestica. «Così l’Europa perde ogni anno circa 600 milioni di tonnellate di materiali contenuti nei rifiuti che potrebbero essere riciclati o riutilizzati – mentre si ricicla solo il 40% dei rifiuti prodotti dalle famiglie». A livello planetario, i problemi restano di portata incalcolabile. «Questa nuova geografia del cambiamento climatico, accompagnata dall’aumento delle disuguaglianze di reddito e dell’emarginazione sociale, rende più che mai urgente un’azione concertata da parte di tutti i paesi». Unica possibilità di salvezza, trovare i mezzi per «controllare questa ristretta élite, detentrice di un potere economico e mediatico immenso». Ma le cose non stanno andando esattamente così: restano modesti gli obiettivi dei trattati internazionali finora firmati, da Rio (1992) all’accordo di Parigi del 2015, in vigore dal 2016 «in vista della sua piena applicabilità nel 2020», a seguito del Protocollo di Kyoto del 1997.Non mancano ulteriori complicazioni: «Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, in conformità alle promesse elargite durante la campagna elettorale in combutta con le élites dei combustibili fossili». In contrasto con l’allarme che si sta diffondendo in molti paesi, il nuovo protezionismo degli Stati Uniti, accompagnato dalle iperboli della negazione, «indica che ci stiamo avvicinando a passi da gigante verso il suicidio climatico, incoraggiato da un modello economico neoliberista inarrestabile», concludono Conversi e Moreno. «Di fronte al pressoché unanime consenso scientifico sulle origini antropogeniche di un riscaldamento globale indotto da modelli di consumo selvaggio, si erge un revisionismo corporativo militante impostato sulla manipolazione dei mezzi di comunicazione e ostile a ogni possibile mobilitazione sociale volta a salvare il pianeta». Ciò che si profila è un mondo nuovo, un “brave New World”, come annunciava Aldous Huxley, condannato a finire in tempi brevissimi. «Un mondo, insomma, in cui una percentuale irrisoria ma ultra-potente del genere umano sembra pronta a immolare i destini della Terra sull’altare dei propri guadagni mai soddisfatti».Conmversi e Moreno parlano di “classicidio”, vista l’enorme sproporzione numerica tra vittime e carnefici, ancora più accentuata tra i redditi delle vittime e quelli dei carnefici. «Ma nessuno potrà ritenersi al sicuro ed esente dal pericolo di estinzione: se il secolo 20º è stato spesso definito il “secolo del genocidio”, c’è da temere che il secolo 21º potrebbe essere identificato, da un punto di vista terminologico, come il “secolo dell’omnicidio”, dello sterminio potenziale della gran parte delle specie viventi, tra cui bisognerà annoverare gli esseri umani». Ma, onestamente, «piuttosto che di un epilogo casuale, è bene comprendere che si tratta una “cronaca” lungamente preannunciata». Bisognerà quindi «combattere il negazionismo, incarnato successivamente nell’anti-scienza, nella marginalizzazione degli esperti e nell’anarchia informativa della post-verità». Appello inevitabile: «Contro quest’Idra dalle multipli teste, siamo chiamati a mobilitarci. Meglio tardi che mai».Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.
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Giuttari: morto Chelazzi, silenzio sui mandanti delle stragi
Gabriele Chelazzi era il titolare dell’inchiesta sulle stragi di mafia del ‘93: a Firenze il 27 maggio ‘93, a Roma e Milano quasi in concomitanza, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del ‘93. E il 14 aprile, sempre del ‘93, l’attentato di via Fauro a Roma, ai danni di Maurizio Costanzo. Io ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Chelazzi per questa inchiesta sulle stragi, in veste di responsabile del settore investigativo del centro Dia di Firenze, prima di assumere l’incarico di capo della Mobile. Gabriele Chelazzi era alla Procura nazionale antimafia con Vigna a Roma, ma aggregato a Firenze per continuare le indagini sui possibili mandanti delle stragi di mafia. Viveva a Roma in una caserma della Finanza, e una mattina la scorta lo trova morto. Aveva 56 anni. E sul comodino trovano una lettera, che lui aveva scritto nella notte, indirizzata al procuratore capo di Firenze (Ubaldo Nannucci), nella quale lamentava di esser stato lasciato solo, di sentirsi isolato. E’ morto. A me piace, quando ne ho la possibilità, ricordare questo magistrato. La società civile gli deve tantissimo. E’ il magistrato che, poco prima che morisse, per primo andò nella sede dei servizi segreti, a Roma, a sequestrare quelle carte che son tornate alla ribalta alla vigilia dell’interrogatorio del presidente della Repubblica, Napolitano, sulla trattativa mafia-Stato.Lui è stato il primo: magistrato serio. Ebbene, è morto. E quell’indagine sui possibili mandanti delle stragi dei mafia? S’è sentito più niente? Niente, come sui possibili mandanti dei delitti fiorentini (del “Mostro”). Non si sa più nulla. Grandissimo magistrato, Chelazzi. Purtroppo i migliori se ne vanno – nei momenti meno opportuni, peraltro. E’ vero che nessuno è indispensabile, ma ci sono anche le eccezioni: alcuni sono davvero indispensabili. Gabriele, per questa vicenda delle stragi di mafia, era insostituibile: hanno continuato, due suoi colleghi, ma non s’è risolto nulla. Era insostibuibile – per la conoscenza che ormai aveva acquisito, per la sua capacità, la sua professionalità. E quindi ci sono, le eccezioni. Mi piacere ricordarlo, questo magistrato, di cui l’opinione pubblica non sa nulla. Perché ha sempre lavorato in sordina, ha saputo fare il suo dovere. E con lui instaurai un bellissimo rapporto, perché fui mandato alla Dia di Firenze (dalla Dia di Napoli) proprio per collaborare all’inchiesta sulla strage di via dei Georgofili. Indagavano la Digos e i carabinieri, però la Dia – organismo antimafia – non aveva delega. Allora, arrivato a Firenze, mi metto a esaminare gli atti, compresi quelli della Dia di Roma per la cattura di latitanti di Cosa Nostra in Versilia, e trovo un elemento che mi incuriosisce: un contatto telefonico 24 ore prima dell’attentato, a Firenze, tra l’allora sconosciuto Gaspare Spatuzza e il titolare di una ditta palermitana di trasporti.Io arrivo a Firenze, alla Dia, il 5 dicembre ‘93, quindi sei mesi dopo l’attentato di via dei Georgofili. La mia attività di analisi si protrae fino al 28 febbraio, quando porto la mia nota al pm Gabriele Chelazzi, che conosco in quella circostanza. Mi presento con l’esito dell’attività svolta e, nello stesso tempo, con delle proposte investigative – perché io ho sempre inteso in un certo modo l’operato dell’investigatore: non deve appiattirsi sulle posizioni del pubblico ministero, aspettando le deleghe, ma deve essere anche propositivo, creativo, e deve manifestare le proprie idee. Per me, l’ufficiale della polizia giudiziaria – della polizia, dei carabinieri – deve essere il centro motore della vera indagine. Così a Chelazzi ho portato anche proposte investigative, chiedendo delle deleghe. Bene, ho ancora presente questo magistrato: mentre legge la mia nota, annuisce. Alla fine mi dice: «Ipotesi interessante, però noi stiamo seguendo un’altra pista, con la Digos. Le farò sapere, ne devo parlare con Vigna», che era il suo capo. Mi chiama dopo neppure 48 ore e mi dà le deleghe, poi io ne chiedo altre e, insomma, il lavoro di sviluppa. Per farla breve: con questa pista, abbiamo identificato 28 mafiosi, poi risultati colpevoli di tutti i quattro attentati del ‘92-93 a Firenze, Milano e Roma – tra cui Bagarella, Riina, i fraelli Graviano.Da un dettaglio che già c’era, negli atti, ma non era stato letto nella maniera giusta, si è riusciti a individuare i covi di questi latitanti, cioè i luoghi dove avevano preparato le autombombe poi fatte esplodere – due alloggi a Roma e una villetta a Fiano Romano: covi in cui quei latitanti palermitani avevano preparato gli ordigni, dopo aver portato l’esplosivo a Roma. E mi ricordo che, in queste perquisizioni, venne anche Chelazzi. Guardate che un pm, in una perquizione, non lo vedete mai. Chelazzi è venuto, e ha fatto intervenire la scientifica con un’apparecchiatura, l’Egis, per il rilevamento di tracce di esplosivo. E in tutti quei posti, infatti, abbiamo trovato tracce di contaminazione dello stesso esplosivo utilizzato negli attentati: ecco il risultato scientifico che a va a coniugarsi con i risultati delle indagini classiche, tradizionali. Questa è la vera attività investigativa – oggi invece si parte dalla scienza, per trovare il Dna, ma non si arriva mai a una certezza sul colpevole. Ecco, quel magistrato è venuto addirittura a coordinare l’attività di perquisizione sul posto – figura rara.Sempre indagando sui covi, abbiamo trovato anche la villa di Forte dei Marmi (presa in affitto per tre mesi, nel ‘93, da un prestanome dei fratelli Graviano, per 25 milioni di lire, in contanti) dove qui mafiosi avevano trascorso parte della latitanza, insieme a un altro grosso personaggio, oggi indicato come l’imprendibile primula rossa e nuovo capo di Cosa Nostra: Matteo Messina Denaro. Fu un’attività di investigazione “pura”, tradizionale, senza il contributo di pentiti – i pentiti sono intervenuti dopo la loro cattura, a dare conferme e ad ampliare l’orizzonte investigativo, però sono tutti frutti dell’investigazione “pura” (così l’ho definita, in un libro scritto per l’Università di Pisa). E la pista che stava seguendo la Digos di Firenze prima che intervenissi io, come funzionario Dia (tre giovani parlemitani, riconducibili a un’area mafiosa, che avevano dormito in un albergo di via Scala la notte dell’attentato) non era una pista fondata. E allora mi chiedo: se avessero continuato su quella pista, magari avremmo avuto una condanna in primo grado e un’assoluzione in appello, senza una vera certezza giurisprudenziale. Certezza che invece abbiamo avuto con la condanna definitiva dei 28 mafiosi, in appena quattro anni. E’ stata l’unica volta che, in Italia, sono stati scoperti i colpevoli delle stragi. In genere, delle stragi non si sa mai nulla di preciso? Di queste sappiamo, invece. Non sappiamo se ci sono stati possibili mandanti esterni. Forse l’avremmo saputo se Gabriele Chelazzi avesse avuto la possibilità di proseguire nel suo cammino investigativo.(Michele Giuttari, dichirazioni rilasciate nell’ambito dell’incontro pubblico “Il Salotto d’Europa” a Pontremoli il 12 agosto 2015, in occasione della presentazione della sua autobiografia “Confesso che ho indagato”. Poliziotto di razza, formatosi alla Direzione Investigativa Antimafia, Giuttari è noto per il successo nelle indagini sulle stragi del ‘92-93 e per quelle sul Mostro di Firenze, concluse con la condanna di Pacciani, Lotti e Vanni; ulteriori indagini sui possibili mandanti occulti dei “compagni di merende” furono ostacolate dall’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro, che ordinò il trasferimento di Giuttari, e dall’allora procuratore capo Nannucci, che inquisì Giuttari insieme al pm perugino Mignini, poi prosciolti entrambi da ogni accusa – ma dopo 8 anni, nei quali nel frattempo l’inchiesta era “defunta”. Giuttari, lasciata la polizia, è divenuto un autore “cult” di romanzi “noir” tradotti in tutto il mondo, come “Scarabeo”, “La loggia degli innocenti” e “Il basilisco”, accanto a memoir come “Il Mostro, anatomia di un’indagine”).Gabriele Chelazzi era il titolare dell’inchiesta sulle stragi di mafia del ‘93: a Firenze il 27 maggio ‘93, a Roma e Milano quasi in concomitanza, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del ‘93. E il 14 aprile, sempre del ‘93, l’attentato di via Fauro a Roma, ai danni di Maurizio Costanzo. Io ho avuto il piacere e l’onore di collaborare con Chelazzi per questa inchiesta sulle stragi, in veste di responsabile del settore investigativo del centro Dia di Firenze, prima di assumere l’incarico di capo della Mobile. Gabriele Chelazzi era alla Procura nazionale antimafia con Vigna a Roma, ma aggregato a Firenze per continuare le indagini sui possibili mandanti delle stragi di mafia. Viveva a Roma in una caserma della Finanza, e una mattina la scorta lo trova morto. Aveva 56 anni. E sul comodino trovano una lettera, che lui aveva scritto nella notte, indirizzata al procuratore capo di Firenze (Ubaldo Nannucci), nella quale lamentava di esser stato lasciato solo, di sentirsi isolato. E’ morto. A me piace, quando ne ho la possibilità, ricordare questo magistrato. La società civile gli deve tantissimo. E’ il magistrato che, poco prima che morisse, per primo andò nella sede dei servizi segreti, a Roma, a sequestrare quelle carte che son tornate alla ribalta alla vigilia dell’interrogatorio del presidente della Repubblica, Napolitano, sulla trattativa mafia-Stato.
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Summa Symbolica: noi e la memoria ancestrale dell’universo
C’è un non-luogo, chiamato “memoria ancestrale”, in cui è depositata ogni traccia di vita: l’impronta invisibile di pensieri e azioni, eventi materiali e immateriali. Una banca dati sconfinata, una sorta di “preistoria del tempo”. L’ipotesi è profondamente suggestiva: ogni nostra cellula conterrebbe in sé una parte di quella “memoria universale”: la condivide, le corrisponde – per vie analogiche e misteriose, attraverso processi istantanei che non possiamo controllare, e di cui non abbiamo neppure consapevolezza. Tutto quello che riusciamo a verificare è soltanto a valle del “prima”, è qualcosa che avviene dopo. E’ la nostra imperfetta traduzione di quel “grande prima”. E può esprimersi in due modi: sotto forma di miti, cioè narrazioni, oppure di simboli, ovvero rappresentazioni. Ma gli eventi, raccontati o rappresentati, sono i medesimi: si chiamano archetipi, e popolano (da sempre) un non-tempo che ci riguarda da vicinissimo. Una dimensione che “frequentiamo” soltanto in sogno. Per tentare di risalire all’origine, scoprendone il senso segreto, uno strumento efficace è quello che Gianfranco Carpeoro chiama “scienza simbolica”. Materia vastissima, spesso sfiorata da svariati campi del sapere (dalla filosofia alla psicologia, fino alla semiotica) ma mai affrontata separatamente e in modo analitico, sistematico – scientifico, appunto.Proprio l’approccio razionale al mondo sfuggente dei simboli è l’ambizioso l’obiettivo di “Summa Symbolica”, primo volume – introduttivo, metodologico – del vasto lavoro di Carpeoro, simbologo di formazione massonica e rosicruciana, con alle spalle trent’anni di studi sul mondo dei segni tradotti in simboli – segni visivi ma anche sonori, musicali, e persino olfattivi, tattili e gustativi. E’ una dimensione, quella simbolica, nella quale siamo costantemente immersi: meno ce ne rendiamo conto, e più rischiamo di subirla. Esempio: «Verso mezzogiorno, nei supermercati, viene spesso diffuso il profumo del pane caldo, appena sfornato: è un odore che diventa simbolo, innesca la memoria di ciascuno e serve a incrementare la motivazione d’acquisto, da parte degli ignari consumatori». Un simbolo può essere acustico: è il caso del segnale di pericolo emesso dalla gazzella quando, nella savana, avvista la leonessa in caccia. E’ un richiamo straziante, drammatico: l’imitazione perfetta dell’ultimo rantolo esalato, chissà quando, da una gazzella catturata e sbranata. Lo hanno scoperto gli etologi: le gazzelle superstiti assistettero alla predazione e udirono quel grido. Che da allora, una volta riprodotto, avverte le consimili, in modo inequivocabile, dell’imminente pericolo di morte.Ricostruendo l’origine del simbolo, a partire dal “simbolo Universo” e dal “simbolo prima del segno”, Carpeoro si sofferma a lungo sull’analisi del mondo originario da cui il simbolo discende, cioè la dimensione degli archetipi che affollano la “memoria ancestrale”. L’autore esamina le diverse interpretazioni del mondo archetipico sviluppate dal pensiero contemporaneo a partire da Jung, per poi passare attraverso studiosi come Mircea Eliade, Elémire Zolla, il simbologo René Guénon, pensatori meno noti come Réné Alleau e autori controversi come Julius Evola. «A nostro avviso – scrive Carpeoro – i nostri primi grandi archetipi, che noi denominiamo “protoarchetipi” o “specula” sono quelli fondati appunto sulla specularità: buio-luce, silenzio-suono, dolore-piacere, vita-morte». Che cosa sono? «Sono le nostre prime cognizioni o percezioni», cioè «gli eventi primari, fisici o metafisici», tutti derivanti dall’evento base, primigenio, espresso da Amleto: “Essere o non essere”». La cronologia esatta va invertita, e cioè: “non-essere, essere”. Prima il nulla, poi la creazione. Quel motto di Amleto caratterizza anche «il dubbio esistenziale, psicoanalitico e letterario, relativo ai sogni e alla distinzione dei medesimi rispetto alla vita reale, sintetizzato dalla massima “La vita è un sogno e la morte è il risveglio”, del grande scrittore spagnolo Pedro Calderón de la Barca”».«L’evento base “non essere, essere”, o anche “tutto e il contrario di tutto”, realizza il Primo Archetipo», che Carpeoro chiama “Speculum”, specchio. Da quello, e dagli altri “protoarchetipi”, «derivano tutti gli schemi simbolici che ci circondano e ci spiegano la storia e il cosmo, se e quando ci troviamo nella condizione di interpretarli». Fiabe, leggende e allegorie ripropogono sistemi simbolici anche complessi, poi tradotti nella stessa interpretazione dei sogni, a cui tanta importanza ha attribuito la psicanalisi. Sono tutte porte aperte sul misterioso mondo del “prima”, dove la nostra cognizione della vita comincia a nascere, in modo inafferrabile, a partire dallo “speculum” iniziale, l’opposizione tra “non essere” e “essere”, in realtà destinata poi a ricomporsi in modo complementare, nella comprensione del tutto. In altre parole, il linguaggio dei simboli – in cui si specchiano gli archetipi – può dirci qualcosa di importante sul vero luogo in cui nasce, da sempre, la nostra possibilità di pensiero. Il simbolo, poi, fa a meno dell’ordinario codice alfabetico: può viaggiare per secoli e millenni, conservando intatto il suo messaggio primigenio, a prescindere dale epoche e dalle civiltà attraversate. E’ un messaggero del “grande prima”: ci parla del nostro passato più in ombra, quello che non finisce sui libri di storia: è la meta-storia, quella del pensiero (anche invisibile) da cui poi sgorga la storia vera e propria.Nell’agile narrazione del primo volume di “Summa Symbolica”, arricchita da rapide escursioni nel mondo dell’arte, fino al cinema contemporaneo, si coglie lo sforzo di collocare la “scienza simbolica” in un preciso contesto di ricerca, a metà strada tra filosofia e neuroscienze, nell’intento di restituire piena dignità a una materia sempre e solo affrontata in modo tangenziale, periferico e accessorio. Fondamentale, nel lavoro di Carpeoro, la precisione con cui l’autore descrive la meccanica del simbolo, il suo funzionamento, che risponde a regole precise (l’autore le chiama “leggi”). La prima è quella che definisce il simbolo come rappresentazione di un archetipo. Fondamentale la Prima Legge di Guénon: nel simbolo, il piccolo può rappresentare il grande, l’inferiore il superiore, la parte il tutto – mai viceversa. Esistono leggi statiche, che espandono il simbolo in orizzontale, e leggi di corripondenza, secondo cui il simbolo deve contenere le esatte corripondenze della realtà rappresentata (nella frase “come in cielo, così in terra” rivive il motto esoterico “quod superius, sicut inferius” degli antichi alchimisti: al microcosmo corrisponde sempre il macrocosmo).Il simbolo, riassume Carpeoro, obbedisce anche a leggi dinamiche: può essere trasmesso in modo consapevole, mediante iniziazione, o in maniera inconsapevole, per semplice ripetizione (tradizione). Il simbolo ha inoltre precise funzioni: sintetica ed evocativa. «Se per la funzione sintetica è sufficiente un unico simbolo, per la funzione evocativa è necessaria una pluralità di simboli organizzata in linguaggio». A cascata, i sistemi simbolici che costituiscono il cuore delle fiabe vivono in un habitat narrativo fatto di emotività (pathos), mentre è l’epos a “ingigantire” la narrazione delle leggende, e una terza chiave – l’ethos – governa l’allegoria, imponendovi un preciso ordine. Nel sogno, infine, si articola il lògos (parola, racconto), che deriva la greco léghein (legare, collegare) da cui derivano vocaboli come “intelligenza”. Proprio nel sogno, scrive Carpeoro, il cerchio si chiude: in quella esclusiva dimensione, gli archetipi rivivono in purezza. Durante il sonno, la “memoria ancestrale” ci parla direttamente, senza mediazioni. Non disponendo di un linguaggio per tradurla, siamo costretti a ricorrere a espedienti ingegnosi: i simboli, appunto. Per questo è importante imparare il loro linguaggio: potremmo scoprire qualcosa di fondamentale della nostra storia, del nostro pensiero, della nostra vita. Fino a “riconoscere” che molte cose che sappiamo, o crediamo di sapere, hanno un’origine remotissima: “abitano”, da sempre, nella “memoria ancestrale” dell’universo.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Summa Symbolica. Istituzioni di studi simbolici e tradizionali”, parte prima, “Origine e dinamica dei simboli”, edizioni L’Età dell’Acquario, 221 pagine, 24 euro).C’è un non-luogo, chiamato “memoria ancestrale”, in cui è depositata ogni traccia di vita: l’impronta invisibile di pensieri e azioni, eventi materiali e immateriali. Una banca dati sconfinata, una sorta di “preistoria del tempo”. L’ipotesi è profondamente suggestiva: ogni nostra cellula conterrebbe in sé una parte di quella “memoria universale”: la condivide, le corrisponde – per vie analogiche e misteriose, attraverso processi istantanei che non possiamo controllare, e di cui non abbiamo neppure consapevolezza. Tutto quello che riusciamo a verificare è soltanto a valle del “prima”, è qualcosa che avviene dopo. E’ la nostra imperfetta traduzione di quel “grande prima”. E può esprimersi in due modi: sotto forma di miti, cioè narrazioni, oppure di simboli, ovvero rappresentazioni. Ma gli eventi, raccontati o rappresentati, sono i medesimi: si chiamano archetipi, e popolano (da sempre) un non-tempo che ci riguarda da vicinissimo. Una dimensione che “frequentiamo” soltanto in sogno. Per tentare di risalire all’origine, scoprendone il senso segreto, uno strumento efficace è quello che Gianfranco Carpeoro chiama “scienza simbolica”. Materia vastissima, spesso sfiorata da svariati campi del sapere (dalla filosofia alla psicologia, fino alla semiotica) ma mai affrontata separatamente e in modo analitico, sistematico – scientifico, appunto.
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Rousseau: noi, schiavi del benessere indotto dalla scienza
«Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti ‘popoli civili’. Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono. Quanti pericoli, quante false vie nella ricerca scientifica! Era antica tradizione, passata d’Egitto in Grecia, che un Dio nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze. Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio. Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna… La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili… Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita. Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi… Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte… I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa».«Da che i sapienti han cominciato ad apparir fra noi, dicevan i loro propri filosofi, le persone dabbene sono scomparse…S enza saper discernere l’errore dalla verità, possederanno l’arte di renderli irriconoscibili agli altri con argomenti speciosi…A sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’?… Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere. Oggi, che le ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a princìpi l’arte di piacere, regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo: senza posa la civiltà esige, la convenienza ordina; senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio».«Non si osa più apparire ciò che si è…Che se per caso, fra gli uomini straordinari per il loro ingegno, se ne trovi qualcuno che abbia fermezza nell’anima e che rifiuti di prestarsi al genio del suo secolo e di avvilirsi con produzioni puerili, guai a lui! Morrà nell’indigenza e nell’oblio. Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù: i nostri non parlano che di commercio e di danaro… un uomo non vale per lo Stato che il consumo che vi fa… i Principi sanno benissimo che tutti i bisogni che il popolo si dà, sono altrettante catene di cui si carica… qual giogo potrebbe imporsi ad uomini che non han bisogno di nulla?… L’anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che l’occupano. O Dio onnipotente, tu che tieni nelle tue mani gli spiriti, liberaci dai lumi e dalle funeste arti e rendici l’ignoranza, l’innocenza e la povertà, i soli beni che possan fare la nostra felicità e che sian preziosi al tuo cospetto».Queste espressioni sono tratte dal “Discorso sulle scienze e sulle arti” di Rousseau del 1750. Rousseau è un illuminista – perché il “contratto sociale” è uno dei fondamenti della democrazia, peraltro intesa come democrazia diretta, in spazi limitati – ma è un illuminista molto, molto particolare. In questo straordinario “Discorso sulle scienze e sulle arti”, non a caso pochissimo richiamato ai giorni nostri, Rousseau anticipa alcune delle conseguenze più devastanti della democrazia. Si oppone alle scienze, “idola” che oggi dominano incontrastate, in quanto asserviscono a sé gli uomini e invece di renderli liberi li fa schiavi («soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù»). Anticipa la società dello spettacolo con le sue futilità, il prevalere dell’apparire sull’essere («Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna»). Sottolinea come l’eccesso di comunicazione e di divulgazione abbia dato spazio a ogni tipo di ciarlatani. E come la parola possa essere fonte di ogni falsità (del resto lo stesso Cristo ha affermato: «Il tuo dire sia sì, sì, no, no. Tutto il resto è farina del diavolo»).Quando Rousseau afferma «a sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’», non sembra di sentir parlar Renzi o Berlusconi o qualsiasi altro leader politico, italiano e anche non italiano? E, in aggiunta, c’è anche un accenno alle “fake news” («Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere»). Si scaglia contro l’omologazione – tema di scottante attualità, portato al suo apice dalla globalizzazione – che cancella il merito e annulla l’ingegno. Nell’ultima parte del “Discorso” c’è la considerazione che, forse, riguarda più da vicino la modernità. Dopo l’affermarsi della Rivoluzione Industriale sono stati introdotti bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. Si è affermata la pazzesca legge di Say, “l’offerta crea la domanda”, su cui si regge tutta la società di oggi. La stragrande maggioranza degli oggetti che oggi ci circondano e che, come osserva Rousseau contribuiscono a formare la nostra mentalità, sono del tutto superflui ma essenziali al meccanismo che ci domina e che ormai è uscito fuori dal nostro controllo: noi non produciamo più per consumare ma produciamo perché il meccanismo possa costantemente autoriprodursi e autorafforzarsi. Questa è la straordinaria modernità di Rousseau, l’antimoderno.(Massimo Fini, “Rousseau e la lotta al consumismo”, dal “Fatto Quotidiano” del 25 luglio 2017).«Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti ‘popoli civili’. Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono. Quanti pericoli, quante false vie nella ricerca scientifica! Era antica tradizione, passata d’Egitto in Grecia, che un Dio nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze. Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio. Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna… La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili… Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita. Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi… Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte… I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa».
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Vaccini: la scienza non è conoscenza, non ha verità stabili
“La scienza non è democratica”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase in tv riguardo ai vaccini, oppure da qualcuno che lo ripeteva come un mantra? Ma cosa significa esattamente? Vorrebbe per caso dire che un fatto provato rimane tale anche se non è accettato dal popolo? Detta così potrebbe sembrare ragionevole. Ovviamente tutto ruota intorno al concetto di scienza e cosa esattamente voglia dire. Citando un celebre filosofo diciamo cosa non è la scienza: «La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza: non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità» (Karl Popper, “Logica della scoperta scientifica”). Dovrebbe essere scontato ma bisogna qui ricordare che “la scienza” è un concetto astratto, non esiste se non nella mente degli uomini. Purtroppo sempre più spesso si commette l’errore di indentificare “la scienza” con “la comunità scientifica”, o più maliziosamente qualcuno vorrebbe farlo credere. Ma “la comunità scientifica” a sua volta è un altro concetto astratto, perché anch’essa non esiste; esiste un numero imprecisato di scienziati con le più diverse opinioni, basate tutte su concetti scientifici, chi più chi meno.Chiarito il fatto che “la scienza” non scrive le sue leggi sulla pietra, cerchiamo di capire in particolare nella “scienza medica” cosa significa una “verità scientifica”. Il metodo scientifico, su cui gli scienziati si basano, prevede l’osservazione del fenomeno e la sua ripetibilità con un esperimento. Il medico (scienziato?) tuttavia osserva un essere umano che per definizione è un essere unico e irripetibile in un laboratorio, quindi già qui dovremmo cominciare a domandarci quanto un medico possa mai essere uno scienziato. In ogni caso la comunità medica (scientifica?) si è data delle regole proprie per misurare l’“autorevolezza” (concetto che poco si sposa con l’idea di oggettività che siamo abituati a confondere con “scienza”) di una determinata ricerca rispetto ad un’altra. Nel mondo delle pubblicazioni scientifiche, per misurare la prolificità e l’impatto scientifico di un autore, si utilizzano tre numeri: il primo è il numero di citazioni dirette ricevute negli studi altrui, cioè quante volte gli studi di quello scienziato/autore vengono citati e referenziati nelle pubblicazioni, anch’esse accreditate, di altri autori.Il secondo numero è l’“i10-index” e rappresenta il numero di pubblicazioni accreditate che hanno al loro interno almeno 10 citazioni degli studi dello scienziato/autore. Il terzo numero è il più indicativo, e il più difficile da calcolare: l’“Indice H” o “Indice di Hirsch” si basa contemporaneamente sul numero di citazioni e sul numero di pubblicazioni: indica quant’è il massimo numero H per autore, con H pubblicazioni che abbiano ciascuna al proprio interno almeno H citazioni degli studi dello scienziato/autore. Per andare sul pratico, prendiamo 3 soggetti coinvolti nel dibattito sui vaccini: il professor Yehuda Shoenfeld, il padre della ricerca sulle malattie autoimmunitarie, spesso citato come fonte autorevole dai free-vax; il professor Roberto Burioni, l’esperto che vediamo sempre in tv e che sponsorizza senza se e senza ma il recente decreto Lorenzin sui vaccini; il dottor Salvo Di Grazia, ginecologo, noto per il suo sito “Medbunker”, su cui si impegna ad attaccare qualsiasi tipo di dubbio riguardo alle pratiche mediche “ufficiali”, o qualsiasi terapia alternativa a quelle ufficiali.Ecco i loro punteggi. Professor Yehuda Shoenfeld: citazioni 78.584, i10-index 1.146, indice H: 121 (fonte). Professor Roberto Burioni: citazioni: 2.567, i10-index 61, indice H 27 (fonte). Dottor Salvo Di Grazia: citazioni 0, i10-index 0, indice H: 0. Fonte: nessun link, non risulta proprio su “Google Scholar”. Secondo le stesse regole che si è data la comunità scientifica, quindi, a chi dovremmo dare retta? La cosa più paradossale, di cui chi è arrivato fin qui ormai dovrebbe essersi accorto, è che in realtà “la scienza”, definita come è stata dalla comunità scientifica, somiglia pericolosamente a una moda. Paradossalmente, rispetto al titolo dell’articolo, “la scienza” sembra avere dei tratti “democratici” nel senso che citando gli autori gli si conferisce “autorità” scadendo in un preoccupante “benpensantismo”, “rigorosamente” scientifico. In altre parole, un’idea scientifica in realtà è una moda (o convinzione) fatta dal consenso degli addetti ai lavori e non dal popolo (forse è quello il vero senso della frase “la scienza non è democratica”?). E a questo punto sarebbe lecito anche domandarsi cosa significhi radiare un medico che la pensa diversamente (o almeno questo ci hanno fatto credere) dal pensiero dominante, dalla moda del momento. La storia, tragicamente, si ripete, sempre. Nota: questo articolo chiarisce il pensiero del professor Yehuda Shoenfeld in merito ai vaccini.(Federico Giovannini, “La scienza non è democratica”, dal blog “Luogo Comune” del 25 luglio 2017).“La scienza non è democratica”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase in tv riguardo ai vaccini, oppure da qualcuno che lo ripeteva come un mantra? Ma cosa significa esattamente? Vorrebbe per caso dire che un fatto provato rimane tale anche se non è accettato dal popolo? Detta così potrebbe sembrare ragionevole. Ovviamente tutto ruota intorno al concetto di scienza e cosa esattamente voglia dire. Citando un celebre filosofo diciamo cosa non è la scienza: «La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza: non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità» (Karl Popper, “Logica della scoperta scientifica”). Dovrebbe essere scontato ma bisogna qui ricordare che “la scienza” è un concetto astratto, non esiste se non nella mente degli uomini. Purtroppo sempre più spesso si commette l’errore di indentificare “la scienza” con “la comunità scientifica”, o più maliziosamente qualcuno vorrebbe farlo credere. Ma “la comunità scientifica” a sua volta è un altro concetto astratto, perché anch’essa non esiste; esiste un numero imprecisato di scienziati con le più diverse opinioni, basate tutte su concetti scientifici, chi più chi meno.
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Battiato: se rimuovi la morte, sprechi la tua esistenza
C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.E’ qualcosa di superiore ai medici che studiano? Non c’è paragone, perché la gente che arriva a vedere com’è composto l’universo, e come si muovono le cose, la sa molto più lunga di uno che è in ricerca. La cabala ebraica 4.000 anni fa aveva scoperto la scissione dell’atomo; noi ci siamo arrivati da pochissimo. Ma, quando loro lo dicevano, gli scienziati dicevano che erano scemi. La meditazione è avanti anni luce rispetto alle conquiste spaziali? Senza dubbio: perché, con la meditazione, sai già cosa c’è nella galassia. La vita è l’energia che c’è nell’universo. Quello che sbagliano, gli scienziati, è che pensano di arrivare su Marte e vedere della gente con le antennine. Non è quello: è l’energia che circola su Marte, che è vita. Non sono dimensioni parallele. Sono come gli ultruasioni, che noi non sentiamo ma i cani sì. Uno che non li sente pensa: ma io non sento niente, quindi non ci sono. Una cosa che vedi al microscopio, che c’è gente che la vede a occhio nudo: ha questa capacità di penetrazione.La cosa interessante, del campo dello spettacolo, è che si ha la possibilità di passare alla gente delle cose molto serie, che in un altro modo non arriverebbero mai. Questa è la responsabilità che deve avere un musicista, un cantante: la coscienza di sapere che, attraverso un mezzo frivolo, passano delle cose serie. Io sono un contemplativo: per me, nel guardare un imbrunire, il tempo non si perde. Sì, è completamente fuori dai ritmi di questa società. Ma se non si fa così, non ci si salva più, non c’è più speranza. La società è andata in una direzione completamente sbagliata: bisognare fare qualcosa, per riparare. Che fare? Chi cerca, trova: non ci sono dubbi, non c’è problema. In una canzone, “Il Re del Mondo”, ho detto: “Il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. E’ questo il problema: la gente si dimentica che la morte arriverà. E’ inevitabile: inutile che cerchiamo di esorcizzarla. Quello è il momento più importante: se durante la vita non fai delle cose che ti rapportano con la morte, hai sprecato un’esistenza. Esiste qualcosa al di là della morte? Sans doute. Ma non ha nulla a che dare con i dogmi che ci danno. La religione cattolica è stata un grave errore, per come si è sviluppata. Ma la religione cristiana è un’altrra cosa: bisogna andarsi a rileggere e a rivedere tutto sotto un’altra angolazione.(Franco Battiato, dichiarazioni rilasciate a Red Ronnie per la video-intervista “La meditazione e il sacro, contemplazione e spriritualità” trasmessa molti anni fa da “Italia 1” e pubblicata su YouTube).C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.
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La rivoluzione di Paracelso, genio eretico della medicina
Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.Nel 1526 fu imprigionato a Salisburgo per le sue aperte simpatie per la rivolta dei contadini, fuggì e riparò a Basilea dove riuscì a curare con successo dai suoi disturbi lo stampatore Johann Froben, editore di Erasmo, del quale diventò medico. Grazie a questa cerchia speciale di amicizie, Paracelso fu nominato Staadtphysicus, col titolo di professore di medicina e il diritto di tener lezione all’università. Ma all’udire le sue lezioni le autorità della facoltà di medicina inorridirono: Paracelso si rifiutava di rifarsi, nelle sue lezioni, alle autorità consolidate di Ippocrate, Galeno, Avicenna, annunciando che invece avrebbe basato le sue lezioni sulla propria esperienza, formatasi anche sulle malattie dei minatori e sulle ferite di guerra che egli aveva curato come chirurgo militare alle dipendenze della Repubblica di Venezia nel 1522. Le facoltà mediche del tempo prevedevano per il medico un curriculum di studi approvato e provvisto degli speciali dottorati. Il medico del tempo interpretava la scienza, che era filosofia medica, e il chirurgo o il farmacista erano considerati di grado inferiore, tanto che a loro non era richiesta formazione universitaria e conoscenza del latino.Chirurghi e farmacisti dovevano solamente eseguire gli ordini dei medici usciti dalle facoltà universitarie. Paracelso aveva ottenuto una laurea a Ferrara, per cui conosceva bene il curriculum di studi richiesto al medico dalle autorità. Tuttavia il suo insegnamento fu una sfida contro la gerarchia e il curriculum richiesto dalle istituzioni accademiche. Paracelso dissertava di medicina in volgare, nel suo dialetto svizzero tedesco. E il giorno di San Giovanni del 1527 buttò nel tradizionale falò di mezza estate il Canon di Avicenna, un testo sacro della facoltà di medicina. Purtroppo, subito dopo questo eclatante gesto, il suo protettore, l’editore Froben, morì. E un canonico della cattedrale, suo paziente, mise in discussione una sua parcella. Ad un tratto Paracelso si trovò contro Stato e Chiesa e dovette fuggire, ritornando ad una vita di vagabondaggio per il nord Europa. Nel suo vagabondaggio a volte fu accolto come un eroe, altre volte fu ridotto alla mendicità. Viveva comunque alla grande e beveva molto. Indossava abiti costosi e portava al suo fianco, sempre, una spada. Dormiva poco e trascorreva intere giornate alla sua fornace. Sfidava i contadini nel bere e vinceva, poi – apparentemente lucido – dettava le sue opere filosofiche. Morì a Strasburgo nel 1541 a quarantasette anni.Pochissime sue opere furono pubblicate durante la sua vita. Tra queste, un’opera sulla sifilide o “mal francese”, che contestava la cura ufficiale a base di legno guaiaco e mercurio liquido, fu proibita dal consiglio cittadino di Norimberga su ‘consiglio’ degli stessi Fugger, che all’epoca detenevano il lucroso monopolio del guaiaco. Paracelso scrisse molte opere e pare le avesse consegnate ai suoi discepoli viaggiando per l’Europa, per cui vennero alla luce solo dopo la sua morte. E su queste opere postume sorse il movimento paracelsiano. Certo il periodo più produttivo di Paracelso fu quello di Basilea. E in questa città il medico rivoluzionario lasciò le sue opere nelle mani di un giovane di nome Johannes Herbst, che autorizzò a diventare suo editore. Herbst fece carriera a Basilea e divenne il sommo stampatore degli studiosi della Riforma, ma non stampò mai i manoscritti di Paracelso, che così giacquero inediti fino a che Adam von Bodestein, un medico entrato a far parte della facoltà di medicina di Basilea nel 1538, figlio di un riformatore protestante e anche noto con il nome di Carlostadio, non li scoprì.Carlostadio, medico seguace della medicina galenica, medico personale dell’elettore palatino capo della famiglia Wittelsbach, colpito nel 1556 dalla febbre terzana che lo rese infermo per circa un anno, disperato, accettò di farsi curare da un medico paracelsiano, e nel giro di un mese si ritrovò guarito. Divenne così seguace di Paracelso e fu il primo a insegnarne la dottrina a Basilea. Fu ammonito dalle autorità universitarie e alla fine nel 1564 fu espulso dalla facoltà di medicina per aver pubblicato libri eretici e scandalosi, e per essere un seguace del falso insegnamento di Paracelso. Pur espulso, restò a Basilea e si batté con coraggio, pubblicando più di quaranta opere del suo maestro, divulgandone gli insegnamenti. Opere paracelsiane uscirono a dozzine nell’ultimo quarto del XVI secolo, apocrife. E alla fine del secolo, idee paracelsiane furono ascritte a immaginari alchimisti del XV secolo, rafforzando il credito di Paracelso collocandolo nel quadro di una rispettabile tradizione medievale.Inizialmente le opere di Paracelso ebbero larga diffusione soprattutto nel mondo di lingua tedesca. Dopo la sua morte alcune furono tradotte in latino. Certo l’uso della lingua tedesca da parte sua aveva avuto una precisa motivazione: rompere con la tradizione ufficiale e crearne una nuova, infrangendo il monopolio della medicina universitaria e istituzionale. Paracelso chiamò a raccolta gli artigiani della professione medica, i chirurghi e i farmacisti: un atto di sfida alle istituzioni pari a quello di Lutero e di altri riformatori protestanti in campo religioso. Paracelso è spesso stato descritto come il Lutero della medicina; e in effetti, protestantesimo e paracelsismo acquisirono nel tempo interessi comuni. A livello metafisico la medicina di Paracelso si rifaceva al platonismo ermetico del Rinascimento, e dunque la sua dottrina era essenzialmente antiaristotelica, a differenza di quella della medicina istituzionale. Paracelso riteneva Aristotele un pagano che aveva distorto e impregnato di materialismo la vera filosofia, che secondo la sua visione era neoplatonica ed ermetica.La sua teoria si fondava sulla cosmologia neoplatonica elaborata da Marsilio Ficino del macrocosmo e del microsomo. Il corpo e l’anima dell’uomo rispecchierebbero in miniatura il corpo e l’anima del mondo, e tra di loro esisterebbero corrispondenze e simpatie che il “magus” può comprendere e controllare. Sulla base delle sue esperienze di lavoro nelle miniere e nelle fornaci dei Fugger, e dallo studio degli alchimisti medievali, Paracelso teorizzò un macrocosmo chimicamente controllato, quasi un gigantesco crogiuolo, creato tramite un’operazione chimica, che aveva separato il puro dall’impuro. Per cui il microcosmo umano era a sua volta un sistema chimico che poteva essere alterato, corretto e curato mediante un trattamento chimico. Secondo Paracelso le malattie non erano uno squilibrio degli umori, come prevedeva la medicina galenica ufficiale, ma parassiti vivi impiantati nel corpo umano. I tre principi fondamentali della medicina paracelsiana erano lo zolfo, il mercurio e il sale. I veleni diventano elementi curativi a piccole dosi, e la ricerca assoluta era quella di un solvente universale.La medicina di Paracelso aveva anche un carattere profetico, messianico e rivoluzionario. Se l’inizio del mondo era stato un inizio chimico, anche la sua fine, la fine del mondo, poteva essere chimica. La profezia del ritorno di Elia prima dell’avvento del terribile giorno del Signore, e l’avvento dell’Anticristo, ripresa dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore nel XII secolo e collocata all’inizio della terza e ultima età del mondo, fu ripresa da Paracelso e modificata. Paracelso affermò che Elia sarebbe apparso cinquantotto anni dopo la sua morte, e sarebbe apparso come ‘Elia l’artista’ cioè, nel linguaggio degli adepti, l’Alchimista. E come tale, Elia avrebbe rivelato tutti i segreti della chimica, mostrando come il ferro potesse essere trasformato in oro. Da qui poi sarebbe seguita un’ultima trasformazione del mondo: non una battaglia di Armageddon ma una separazione chimica, come era stato all’inizio del mondo.A livello pratico, a dispetto della teoria, la medicina paracelsiana ottenne buoni risultati usando farmaci chimici o minerali. Alla luce dei criteri medici moderni, il trattamento delle ferite dei medici paralcelsiani fu estremamente intelligente. Essi attribuirono grande importanza alle acque e ai bagni minerali, impiegando dosaggi medicinali moderati e semplici. Idearono narcotici e oppiacei per alleviare il dolore; il più famoso analgesico di Paracelso fu il laudanum (termine da lui inventato), usato fino all’Ottocento. Paracelso scoprì anche come preparare e usare l’etere. I medici paracelsiani in realtà ebbero un gran successo per la semplice ragione che i loro pazienti guarivano, o avevano l’impressione di guarire. I medici ortodossi rispondevano compilando liste e statistiche di quanti pazienti erano stati uccisi dai medici paracelsiani – dall’antimonio, ad esempio. Tuttavia dovettero alla fine ammettere gli effetti positivi pratici di laudano e, appunto, antimonio.La medicina paracelsiana fu teosofia neoplatonica, profezia messianica e medicina chimica, e la storia del movimento paracelsiano è la storia complicata e difficile della convivenza di questi tre aspetti. La medicina paracelsiana non poteva prescindere dalla teosofia e dalla profezia, per cui alla fine divenne una visione radicale che minacciava di sovvertire l’ideologia e le istituzioni canoniche del mondo medico, e non solo di quello. La dottrina di Paracelso scardinava il potere delle corporazioni mediche ufficiali, minacciando antichi diritti e privilegi acquisiti. Il paracelsismo, come il protestantesimo, fu una filosofia di rivolta contro l’ordine costituito. Paracelso fu avidamente studiato dal più grande dei maghi elisabettiani, John Dee. Con il Concilio di Trento, la Chiesa cattolica romana divenne meno tollerante verso il neoplatonismo, ribadendo l’ortodossia aristotelica e considerando il neoplatonismo una pericolosa filosofia irenica, mirante a riunire la cristianità sulla base di una erronea religione ‘naturale’. La Chiesa romana divenne il naturale alleato delle corporazioni mediche, proteggendone il monopolio. Per cui il movimento paracelsiano fu spinto gioco forza ad allearsi col protestantesimo.(Lara Pavanetto, “Paracelso: lo scontro rivoluzionario, filosofico e religioso con la medicina accademica, dal quale nacquero la medicina, la chimica e le scienze moderne. La storia è viva”, dal blog della Pavanetto del 9 luglio 2017).Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.