Archivio del Tag ‘consapevolezza’
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Mediocrazia: la rivincita dei mediocri e l’eternità della mafia
«Lei non ha capito niente perché è un uomo medio. Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista» (Pier Paolo Pasolini). Se ne sono accorti anche Oltreoceano. Un nuovo modello socio-economico si è affermato e trova nel mondo del lavoro e della politica la sua massima espressione; non fa leva sulla capacità e l’impegno del singolo ma sulla sua attitudine al conformismo. È la “mediocrazia”, la rivincita del mediocre, la sua incontrastata affermazione. A sdoganare il termine è il sociologo canadese Alain Deneault, che nel suo saggio “Mediocratie” analizza l’ascesa dell’“uomo medio”, l’individuo mediano, sempre incline a collocarsi al centro, a metà tra gli incompetenti e i supercompetenti. Per la preservazione di un ordine precostituito – sia esso inteso nello specifico come ambiente lavorativo o più in generale, e a ricaduta, come sistema socio-economico – il talento e la competenza rappresentano una minaccia; per la conservazione dello status quo è necessaria, e non solo preferibile, un’accettazione acritica e passiva delle regole e delle convenzioni.Allo stesso tempo, la totale incompetenza e incapacità porterebbero a delle inevitabili inefficienze. E proprio qui viene fuori la figura del mediocre, un individuo mediamente preparato e competente, naturalmente incline a conformarsi al sistema, alle sue regole implicite e tacite. Non un emerito inetto dunque, piuttosto un “idiòtes”, quell’individuo incapace per indole di interessarsi alla vita pubblica, di saper rapportare le logiche e le ripercussioni delle proprie azioni in un contesto di più ampia portata. Quelle persone in grado di tacere e omettere informazioni che possano rivelarsi deleterie per i propri superiori, senza scrupoli sulla valenza morale e sulle ripercussioni sociali. Individui addestrati al conformismo, ma senza avvertirne la consapevolezza e il peso della coercizione. Sempre pronti a collocarsi al centro, nel percorso già tracciato e standardizzato, senza mai mettere in discussione l’ordine prestabilito, Deneault parla della loro affermazione come di una “rivoluzione anestetizzante” della società.A questo punto i soliti scettici potrebbero sollevare l’accusa, tanto in voga, di populismo, di demagogia o addirittura di qualunquismo. Allora qui entra in soccorso niente di meno che la matematica, la scienza esatta per antonomasia, immune a qualsiasi accusa di opinabilità. Nel 2007 l’italiano Antonio Merlo, direttore del dipartimento di economia della Pennsylvania University, non solo anticipava con la sua ricerca “Mediocracy” gli studi di Deneault, ma ne costruiva una formula matematica in grado di individuare il “mediocracy equilibrium”, quel punto ottimale per il mantenimento dello status quo. L’economista non si è risparmiato nell’analizzare e stigmatizzare il sistema sociale italiano e la sua Casta, massima espressione del fenomeno mediocratico. D’altronde a denunciare questo culto della mediocrità, fatto di odi verso personalità di spicco e amo verso acritici soldatini, fu il giudice Giovanni Falcone, che formulò la teoria della “prevalenza del cretino”. In “Cose di Cosa Nostra”, il magistrato racconta dell’incontro tra un collega romano e Frank Coppola, appena arrestato. Alla domanda «Signor Coppola, che cosa è la mafia?», il detenuto risponde: «Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia». E di cretini, pardon idiotes, mai come oggi l’offerta è abbondante.(Ilaria Bifarini: “Mediocrazia, la rivincita dei mediocri”, sul blog della Bifarini, settembre 2016. Insieme ad Andrea Mattozzi, il citato Antonio Merlo è autore dell’Nber Working Paper numero 12.920. “Cose di Cosa Nostra” è invece un libro che raccoglie interviste a Giovanni Falcone realizzate dalla giornalista francese Marcelle Padovani).«Lei non ha capito niente perché è un uomo medio. Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista» (Pier Paolo Pasolini). Se ne sono accorti anche Oltreoceano. Un nuovo modello socio-economico si è affermato e trova nel mondo del lavoro e della politica la sua massima espressione; non fa leva sulla capacità e l’impegno del singolo ma sulla sua attitudine al conformismo. È la “mediocrazia”, la rivincita del mediocre, la sua incontrastata affermazione. A sdoganare il termine è il sociologo canadese Alain Deneault, che nel suo saggio “Mediocratie” analizza l’ascesa dell’“uomo medio”, l’individuo mediano, sempre incline a collocarsi al centro, a metà tra gli incompetenti e i supercompetenti. Per la preservazione di un ordine precostituito – sia esso inteso nello specifico come ambiente lavorativo o più in generale, e a ricaduta, come sistema socio-economico – il talento e la competenza rappresentano una minaccia; per la conservazione dello status quo è necessaria, e non solo preferibile, un’accettazione acritica e passiva delle regole e delle convenzioni.
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Militari e Cia, Fbi e Israele: la verità sulla fine di Kennedy
Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.La mia risposta è anche che sarebbe meglio spendere tempo tentando di prevenire sul nascere le cospirazioni, come quella dell’infinita sequenza di bugie e accuse contro la Russia, che stanno trasformando un paese amico in un nemico e stanno rinnovando il rischio di un Armageddon nucleare. Infatti, la più grande teoria cospiratoria in corso è quella – che viene dal complesso militare e di sicurezza, dal Comitato Democratico Nazionale, e dalla “presstituzione” mediatica – secondo la quale la Russia, in combutta con Donald Trump, abbia manomesso le elezioni presidenziali statunitensi. Il governo russo sa che questa è una bugia, e nel momento in cui vede una bugia, ripetuta infinitamente da ormai un anno senza nemmeno uno straccio di prova a sostegno, il governo russo concluderà ovviamente che Washington sta preparando alla guerra il popolo americano. Mi è impossibile immaginare una politica più incosciente e sconsiderata di quella di distruggere la fiducia della Russia verso le intenzioni di Washington. Come ha detto Putin, la più grande lezione che gli ha insegnato la vita è che «se una battaglia è inevitabile, colpisci per primo».Se davvero volete sapere chi abbia ucciso il presidente Kennedy e perché, leggete “Jfk and the Unspeakable”. Sì, ci sono anche altri libri, con ricerche accurate, che potete leggere. Douglass conclude che Kennedy fu ucciso perché optò per la pace. Stava per iniziare a lavorare con Chruščëv per far finire la Guerra Fredda. Rifiutò la copertura della Cia per l’invasione della Baia Dei Porci. Respinse l’operazione Northwoods predisposta dagli Stati Maggiori: un piano per condurre attacchi sotto falsa bandiera contro gli americani per accusare Castro e giustificare un cambio di regime. Rifiutò di confermare il generale Lyman Lemnitzer al comando degli Stati Maggiori Riuniti. Disse al comandante generale della Marina statunitense David Shoup che era sua intenzione ritirare le truppe dal Vietnam. Disse che dopo la sua rielezione avrebbe «rotto la Cia in 1000 pezzi». Tutto questo era una minaccia per il complesso militare e della sicurezza, e fu questo che convinse esponenti di quei due apparati che egli era troppo morbido verso il comunismo e ciò rappresentava un rischio per la sicurezza nazionale.Il filmato del corteo, girato da Zapruder, mostra che il proiettile che uccise Kennedy lo colpì di fronte, facendo esplodere il retro della sua testa. Si vede la moglie di Kennedy, Jackie, alzarsi dal sedile della limousine per recuperare un pezzo della testa finito sul cofano. Altri filmati di turisti mostrano che pochi attimi prima dello sparo gli agenti del Secret Service vennero rimossi dalle vicinanze della limousine presidenziale per lasciare aperta la traiettoria dello sparo che doveva avere come bersaglio il presidente Kennedy. Esiste un filmato dove si vede un agente del Secret Service che protesta per l’ordine ricevuto. Ai dottori venne ordinato di falsificare le “prove” mediche, in modo che si potesse sostenere che Kennedy fu colpito da dietro. Addetti del corpo medico della Navy che assistevano i medici nel corso dell’autopsia testimoniarono che, con loro costernazione, ricevettero degli ordini dall’ammiraglio Calvin Galloway di ignorare qualunque ferita d’entrata nella parte anteriore del corpo. Uno di costoro disse, nel corso di una testimonianza: «All’improvviso capii che il mio paese non era molto meglio di un paese del terzo mondo. Da quel momento in poi non ho più avuto fiducia, né rispetto, per il governo».Il dottor Charles Crenshaw, uno dei dottori che furono costretti a mentire, successivamente ruppe il suo silenzio con un libro. Ne ricevette una violenta campagna mediatica di discredito. Il tenente comandante William Pitzer, direttore del reparto audiovisivo del Bethesda Naval Hospital, filmò l’autopsia. Il filmato mostra chiaramente il foro d’entrata sulla faccia. Pitzer venne trovato morto sul pavimento dello studio di produzione del National Naval Medical Center. Fu classificato come suicidio, dovuto a un colpo di proiettile. Come al solito. J. Edgar Hoover e l’Fbi sapevano che Oswald — che Douglass ritiene fosse a libro paga sia della Cia che dell’Fbi — fu mandato a Cuba su ordine della Cia per predisporre in anticipo un suo ruolo come capro espiatorio. Ovviamente a sua insaputa. Tuttavia, Hoover, assieme a Lyndon B. Johnson, Earl Warren e i membri della Warren Commission era consapevole dell’impossibilità di comunicare al popolo americano che il loro presidente era stato assassinato dai militari e dalle agenzie di sicurezza statunitensi.In una fase rischiosa della Guerra Fredda, sarebbe stato chiaramente sconsiderato distruggere la fiducia degli americani nel loro stesso governo. Finian Cunningham ha composto il riassunto di gran parte delle prove accumulate. Tutti gli esperti da tempo sono giunti alla conclusione che le affermazioni della Warren Commission furono una copertura. Io non sono un esperto. Non ho speso 30 anni o più, come Douglass, investigando, intervistando testimoni, esaminando le risultanze di morti non chiarite di altri testimoni, e ricostruendo i fatti con le voluminose informazioni disponibili. Se volete sapere cosa è successo, posate il vostro smartphone, spegnete il vostro schermo, e leggete il libro di Douglass o un altro libro analogo.(Paul Craig Roberts, “L’omicidio Kennedy”, dal blog di Craig Roberts del 28 ottobre 2017, ripreso da “Megachip” con traduzione a cura di Leonardo Mazzocchi e Giulietto Chiesa).Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.
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Banche, moneta-debito: prigionieri della caverna di Platone
Cercare di aumentare la consapevolezza delle persone sui temi economici e monetari è un processo lungo e difficile, soprattutto perché si scontra con tutta una serie di “resistenze umane” che erano già state descritte sapientemente nel Mito della Caverna di Platone, all’inizio del libro settimo de “La Repubblica”. Ho provato ad elaborarne una versione liberamente modificata per adattarla ai nostri tempi. Della serie “nulla di nuovo sotto il sole”. Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano fissare solo la parete dinanzi a loro. Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, corra una strada lungo la quale i banchieri gestiscono vari tipi di monete, sia metalliche che banconote. Queste monete, dette “contanti”, vengono usate dai banchieri per creare una versione di “moneta elettronica” sul muro di fondo della caverna, e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri.Tra i banchieri e i prigionieri, però, è stato eretto un muro di leggi che impediscono loro di usare i contanti, costringendoli a utilizzare solo la moneta elettronica creata sul fondo della caverna, spingendoli a pensare che questa versione sia quella vera. Ma per usarla devono pagare continuamente un interesse che li mantiene prigionieri delle catene del debito. Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (dove la moneta è di proprietà dei cittadini e libera dal debito), sarebbero portati a credere che la moneta elettronica creata dalle banche sia l’unica possibile. Si supponga che un prigioniero riesca a liberarsi dalle catene e sia costretto a guardare verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce e proverebbe dolore. Inoltre, le monete utilizzate dalle banche dietro il muretto gli sembrerebbero meno reali delle versioni elettroniche alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati i contanti e gli fosse spiegato il trucco, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e preferirebbe seguitare a usare la moneta elettronica bancaria.Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto a uscire dalla caverna e gli venisse esposta la verità, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a credere ad alcunché. L’idea che la moneta possa essere creata dal nulla dallo Stato senza alcun problema, dopo aver vissuto una vita incatenato ad una moneta-debito creata dalle banche, è troppo forte per essere accettata come possibile. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo. Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero potrebbe inizialmente percepire l’importanza della produzione di beni e servizi per garantire il valore di una moneta; solo con il passare del tempo potrebbe capire che, essendo la moneta generata dall’attività degli uomini, non può essere presa in prestito da altri, ma deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito. Successivamente egli potrebbe considerare quanto la moneta sia fondamentale per regolare l’economia e produrre lavoro e benessere, mentre la moneta bancaria costringe al pagamento continuo di interessi e produce solo debito, arricchendo pochi privilegiati e rendendo tutti gli altri uomini sempre più schiavi.I prigionieri, invece, immobilizzati davanti al muro, resi incapaci di guardare indietro, fissano la parete e vedendo solo la moneta bancaria senza rendersi conto di come viene generata, credono che quella sia l’unica moneta possibile. L’uomo libero, resosi conto della situazione, vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi al buio della caverna, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad aggredirlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare a provare le cose da lui descritte.Quando provo a spiegare il funzionamento del sistema economico e monetario e cerco di confutare le falsità che hanno usato per convincerci che non ci sono alternative alla moneta-debito, ottengo diverse tipologie di reazioni negative: incredulità e scetticismo, della serie “se fosse così facile lo avrebbero già fatto”; derisione e denigrazione, della serie “chi sei tu per avere la presunzione di aver capito tutto?”; opposizione e pessimismo, della serie “tutto vero, ma non te lo faranno mai fare”. Purtroppo anch’io reagivo in questi modi fino a pochi anni fa, prima di aprire completamente gli occhi. Quindi non è mai troppo tardi per nessuno. Se ci sono arrivato io che sono un semplice ingegnere, ci possono arrivare tutti. A queste persone, che fortunatamente sono sempre di meno, va tutta la mia comprensione e il mio affetto. Poi trovi anche quelli che traggono vantaggio da questa situazione, e quindi fanno di tutto per convincerti che il sistema economico funziona e che le cause della crisi economica sono altre: la corruzione, l’evasione, gli sprechi. Sono solo ipocriti che, per mantenere i privilegi che hanno, sfruttano le persone e usano la loro posizione di potere in modo subdolo per raccontare una realtà diversa da quella vera. Li disapprovo con tutto il cuore. Speriamo di riuscire insieme a convincere i nostri concittadini a liberarsi dalle catene della moneta-debito, per andare consapevoli e risoluti verso la luce della verità.(Fabio Conditi, estratto da “Il mito della caverna di Platone oggi”, da “Come Don Chisciotte” del 21 ottobre 2017. Conditi è presidente dell’Associazione Moneta Positiva, che conduce una campagna per riformare il sistema monetario al fine di ottenere una moneta di proprietà dei cittadini e libera dal debito. Dopo “Manuale in 12 passi per uscire dalla crisi” ha scritto “Moneta Positiva – Riforma del sistema monetario”, sottotitolo “La moneta deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito”).Cercare di aumentare la consapevolezza delle persone sui temi economici e monetari è un processo lungo e difficile, soprattutto perché si scontra con tutta una serie di “resistenze umane” che erano già state descritte sapientemente nel Mito della Caverna di Platone, all’inizio del libro settimo de “La Repubblica”. Ho provato ad elaborarne una versione liberamente modificata per adattarla ai nostri tempi. Della serie “nulla di nuovo sotto il sole”. Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano fissare solo la parete dinanzi a loro. Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, corra una strada lungo la quale i banchieri gestiscono vari tipi di monete, sia metalliche che banconote. Queste monete, dette “contanti”, vengono usate dai banchieri per creare una versione di “moneta elettronica” sul muro di fondo della caverna, e questo attirerebbe l’attenzione dei prigionieri.
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La più subdola arma di distruzione di massa: il neoliberismo
Per combattere una guerra bisogna innanzitutto identificare il nemico, studiare le sue strategie e analizzare su quali fronti risulti più vulnerabile. Affermazione scontata, direte voi, non serve certo leggere “L’arte della guerra” di Sun Tzu per capirlo! Ma la percezione cambia se spostiamo il campo di osservazione da quello bellico a quello ideologico. I grandi conflitti del XXI secolo hanno un carattere universale che sfugge alla logica dei blocchi contrapposti, sempre più difficili da identificare. Così avviene per le idee e le dottrine economiche, che più di un dittatore riescono a irreggimentare una popolazione. Il nostro Dna di cittadini occidentali è permeato culturalmente e socialmente da quella che è stata la grande guerra ideologica del XX secolo, combattuta su tutti i fronti e senza esclusione di colpi: quella contro il comunismo, poi dirottata verso il keynesismo, nemico ancora più resistente. Lo scontro è stato uno dei più duraturi della storia, fornendo così il tempo e l’esperienza per elaborare tecniche in grado di assicurare al vincitore un dominio incontrastato, votato all’immortalità. A vincere è stato chiaramente il neoliberismo, l’ideologia imperante dal proselitismo universale.La strategia congegnata per garantire il comando sul mercato mondiale è stata innovativa ed efficace: portare un originario pensiero economico a valicare i suoi confini e permeare l’intero apparato sociale, reso liquido e impalpabile e perciò capace di propagarsi con una velocità e una forza di contaminazione straordinarie. Solo ultimamente il termine neoliberismo è stato sdoganato dalla sua impronunciabilità, attribuendo così un nome e un’identità a un’ideologia totalizzante, che proprio dell’anonimato e dell’invisibilità ha fatto il suo punto di forza. Grazie all’insinuarsi dell’informazione libera, che tanto fa paura al mainstream, che del neoliberismo è l’asse portante, comincia a prendere forma nell’opinione pubblica quel moloch ideologico che, attraverso la cristallizzazione di enunciati economici tanto artificiosi quanto puntualmente smentiti dai fallimenti dell’economia reale, domina l’intero pianeta. Parlarne non è semplice: multiforme e immanente, la dottrina neoliberista ha contaminato talmente a fondo il nostro pensiero da venire interiorizzata nei comportamenti della vita reale dell’individuo stesso e perciò sempre più difficile da combattere.La sua essenza, che si fonda su un nucleo originario di pochi e semplicistici enunciati economici, è stata volutamente resa complicata e non comprensibile al cittadino medio che, armato del solo buonsenso, sarebbe in grado di farla capitolare in un colpo. Forte di una prodigiosa macchina della propaganda senza precedenti, il neoliberismo è riuscito a conquistare ogni spazio ideologico lasciato vuoto per mancanza di avversari capaci di far fronte comune e reagire a un nemico tanto imponente quanto invisibile. Attraverso seducenti armi di distruzione del pensiero di massa è riuscito a creare le condizioni ideali per un sempiterno dominio delle élite sui popoli, sotto una facciata fintamente democratica e modernizzatrice. L’individuo, inizialmente, è stato reso docile attraverso quel “minimo vitale sociale”, di cui parlavano Malthus prima e Marx poi, ossia quel modesto di più percepito dal lavoratore rispetto allo stretto necessario per vivere e che quindi in grado di consentire l’accesso all’agognato atto del consumo su cui si è retto finora il sistema capitalistico consumistico.Oggi, per il principio della gradualità e dell’irreversibilità della privazione incessante dei diritti e del benessere umano, il minimo sociale di vita sta divenendo appannaggio di pochi, considerati come dei privilegiati dal sistema e per questo osteggiati dai propri simili, alimentando così una guerra intestina tra i nemici, inconsapevoli e disgregati, dell’invisibile tiranno. L’interiorizzazione del sentimento di paura perenne, legata alla precarietà e alla sfuggevolezza delle condizioni lavorative e di vita, nonché delle relazioni sociali e umane sempre più sfaldate, ha generato quel caos e quell’automatica quanto inconsapevole repressione delle frustrazioni del singolo, che hanno castrato ogni anelito di ribellione. Uscire da questa eterna schiavitù, cui l’invasore ci ha condannati è impossibile, se prima non viene individuato il nemico e il campo di battaglia.(Ilaria Bifarini, “Il nemico invisibile: il neoliberismo”, da “Scenari Economici” del settembre 2017. Autrice di “Neoliberismo e manipolazione di massa. Storia di una bocconiana redenta”, la Bifarini è autrice del blog “Diario di una bocconiana redenta”).Per combattere una guerra bisogna innanzitutto identificare il nemico, studiare le sue strategie e analizzare su quali fronti risulti più vulnerabile. Affermazione scontata, direte voi, non serve certo leggere “L’arte della guerra” di Sun Tzu per capirlo! Ma la percezione cambia se spostiamo il campo di osservazione da quello bellico a quello ideologico. I grandi conflitti del XXI secolo hanno un carattere universale che sfugge alla logica dei blocchi contrapposti, sempre più difficili da identificare. Così avviene per le idee e le dottrine economiche, che più di un dittatore riescono a irreggimentare una popolazione. Il nostro Dna di cittadini occidentali è permeato culturalmente e socialmente da quella che è stata la grande guerra ideologica del XX secolo, combattuta su tutti i fronti e senza esclusione di colpi: quella contro il comunismo, poi dirottata verso il keynesismo, nemico ancora più resistente. Lo scontro è stato uno dei più duraturi della storia, fornendo così il tempo e l’esperienza per elaborare tecniche in grado di assicurare al vincitore un dominio incontrastato, votato all’immortalità. A vincere è stato chiaramente il neoliberismo, l’ideologia imperante dal proselitismo universale.
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Ma senza ideologie (oneste) subiamo l’unica rimasta, la loro
Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).Lo sapevate, ma alla fine vi siete fatti convincere lo stesso che la famiglia è un vincolo, che le tradizioni sono un ostacolo, che la religione è per gli ignoranti, che i confini sono inutili, che le razze sono un’illusione, che le ideologie sono pericolose, che i sessi non esistono, che studiare non serve, che imparare a memoria è sterile, che l’edonismo, il protagonismo e il voyuerismo sono valori, che competere è un dovere, che è perfettamente normale ricomprarvi la salute che vi tolgono assumendo medicinali a vita. Vi siete fatti togliere tutto quello che faceva di voi esseri umani, e avete continuato a votare sempre le stesse persone che vi stavano lentamente consegnando alla casta predatoria, come lotti di schiavi ceduti all’ingrosso: qualche milione di italiani all’asta della Fornero, qualche altro milione all’asta con il Job Act di Renzi, mentre le scudisciate di Monti sfessavano la vostra capacità di opporvi (loro la chiamano “distruzione della domanda interna”).E adesso siete soli. La famiglia non c’è più, è un disvalore. Avete permesso che venisse svilita e spezzata, e ora che al posto dell’acqua avete solo un atomo di ossigeno e due di idrogeno, vagate nel nulla alla ricerca di un legame qualunque, per poi lamentarvene. Eppure era proprio il legame familiare la prima roccaforte che vi difendeva dall’assalto dei barbari invasori. Perché le famiglie si difendono, al loro interno. E per meglio riuscirvi, si alleano con altre famiglie, creano gruppi di interesse, associazioni di quartiere, si uniscono nel nome di un bene superiore, quell’anelito alla trascendenza senza il quale tutto perde di significato. L’amore che le unisce vuole essere rivendicato e pretende di avere il tempo di esprimersi compiutamente. Sì, la famiglia era la più grande minaccia per i proprietari degli allevamenti intensivi di esseri umani.E così, con la celebrazione del rito quotidiano individualistico, e con la riduzione dell’esistenza, operata dallo scientismo, a mera relazione di causa effetto misurabile con il microscopio, tutti i valori, i simboli, i principi, le idee superiori, cioè il carburante di cui brucia ogni scatto di orgoglio, ogni anelito di dignità, si sono progressivamente inariditi, fino a restare un pallido riflesso, una leggenda metropolitana che rivive nei colossal storici alla Spartaco, che non a caso da un lato ci emozionano, dall’altro ci appagano, come se tenessimo di più al destino di qualche centinaia di schiavi vissuti duemila anni fa, piuttosto che al nostro e a quello dei nostri figli.E dopo avervi tolto ogni scudo, ogni difesa, ogni faro cui guardare, nella speranza di riceverne un’indicazione, un conforto che rinvigorisse il desiderio di combattere, dopo avere cioè distrutto ogni riferimento culturale che potesse dare un senso alla ribellione, ora stanno scassinando l’ultima serratura che ancora, in maniera pur dubbia e riformabile, si frappone tra i lupi e gli agnelli, cioè tra le sfrenate élite di capitalisti del globalismo finanziario-speculativo e voi, piccoli lavoratori, il cui ideale più elevato che vi è concesso coltivare è cercare di far quadrare i conti a fine mese, mentre il famoso 1% che ora vuole tenervi in coma farmacologico con il reddito di cittadinanza si gode una vita dal tenore per voi inimmaginabile, disponendo di risorse illimitate al punto da poter essere sprecate infinite volte. Vi stanno cioè togliendo anche le ultime protezioni che potevano garantirvi i sindacati, entrati nel mirino delle marionette della politica ormai da qualche anno.Smantellare i sindacati, senza sostituirli con fortificazioni più efficienti, è l’ultimo passo per avervi totalmente alla loro mercé, come miliardi di formiche impazzite sotto alla percussione pianificata delle possenti zampe dell’elefante globale. E così, mentre le pecore inneggiano all’uccisione del cane pastore, su istigazione dei lupi che nel frattempo si apparecchiano ad un luculliano banchetto, sotto ai nostri occhi ormai accadono cose che avrebbero fatto inorridire i nostri padri, prima ancora dei nostri nonni, ma che a noi sembrano quasi normali, perché il valore della vita è stato completamente svuotato e sostituito con il concetto vuoto della produttività. Non si lavora più per vivere, si vive per lavorare, affinché altri possano vivere senza lavorare. E se osi metterlo in discussione, vieni immediatamente calpestato dalle zampe dell’elefante. Tanto possono farlo, perché sei rimasto solo. Sei stato talmente stupido da farti convincere che “soli” era meglio.È quello che accade ormai dappertutto, e se non ci credete leggete quello che sta succedendo adesso all’Outlet Mc Arthur Glen di Castel Romano, nel servizio del “Manifesto”. Ci sono mamme costrette a lavorare sempre, domeniche comprese. Tutte le domeniche. E siccome osano accordarsi per fare una turnazione in modo che, almeno una domenica sì e quattro no, possano stare a casa con i loro bambini, con la loro famiglia, vengono trasferite a 50 chilometri di distanza o sono costrette ad andarsene, mentre capi senza scrupoli, senza cuore e forse ancora meno consapevoli della loro condizione, rispondono alle mamme imploranti che «bisogna scegliere tra lavoro e famiglia», e ai responsabili aziendali della Calvin Klein è concesso dire impunemente che «la linea dell’azienda è questa. La domenica si lavora, sempre. E basta. E non mi parlate di sindacati perché io non li considero neanche».Questo è il progresso che volevate? Questa è la libertà che desideravate? Essere liberi di scegliere se farvi sfruttare come africani nelle piantagioni di cotone dei secoli scorsi, oppure restare senza lavoro e senza il latte per i vostri figli? E tutto per cosa? Perché qualche ricco turista cinese e russo possa spruzzarsi le ascelle sudate con l’ultimo profumo Calvin Klein? Altro che “le ideologie sono superate“! Qui vanno recuperate, e anche in fretta, perché con la storiella del sogno americano, che tutti possono diventare miliardari e dunque se non lo diventano è solo colpa loro, abbiamo partorito mamme che non importa quanto siano brave sul lavoro: non potranno mai, mai e poi mai andare a vedere i loro bambini tirare calci ad un pallone la domenica mattina. Guardate l’orologio: che ora è? Quanto manca prima che li mandiate tutti affanculo?(Claudio Messora, “Quanto manca prima che li mandiamo tutti affanculo?”, dal blog “ByoBlu” del 20 ottobre 2017).Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).
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Giacché: l’Europa ha un nemico, si chiama Unione Europea
Se l’Europa vira a destra è per precise responsabilità della sinistra, che è stata in buona parte corresponsabile delle politiche neoliberali (mi riferisco in particolare ai partiti socialisti/socialdemocratici) e dove non lo è stata, non ha saputo affrontare le radici della crisi e mettere davvero in discussione l’assetto dell’Europa di Maastricht. Il crollo (annunciato) della Spd e la vittoria dell’estrema destra dell’Afd sono stati predominanti del voto tedesco. Aggiungo il crollo della Cdu e della Csu, le due forze che sostenevano Angela Merkel. Non si tratta di un dettaglio: la frana riguarda entrambi i partiti che un tempo determinavano la politica tedesca. Il voto sancisce la fine della socialdemocrazia europea come l’abbiamo conosciuta, confermando un trend già visto in opera in Grecia, in Francia, in Spagna, in Olanda – e che credo sarà confermato in Italia. Ma più in generale quella delle “famiglie” politiche tradizionali un tempo egemoni a livello europeo: la popolare/cristiano-democratica e quella socialdemocratica. Credo che il Pd perderà la centralità politica; tenterà di mantenerla al prezzo di un’ulteriore deriva a destra, ma senza successo.L’operazione politica che ha dato vita al Pd si rivela per quello che era: un’operazione trasformistica priva di respiro. Oggi è il bersaglio di tutti coloro che ritengono socialmente regressiva ed economicamente sbagliata la politica seguita dal 2011 in poi. Mi riesce difficile dar loro torto. In Germania, malgrado la vittoria di Merkel, dal voto si evincerebbe una crisi di sistema? Oggi viene letto tutto in termini di instabilità, ma non credo che sia la lettura corretta: semplicemente, l’elettorato ha votato contro la gestione di questi partiti nei 10 anni che ci separano dall’inizio della Grande Recessione. Può essere sorprendente che questo avvenga anche in un paese come la Germania, che è considerato da molti il vero vincitore di questa crisi. Ma il punto è che non tutta la Germania ha vinto, anzi. Proviamo a dirlo in “economese”. La Germania in questi anni ha coerentemente praticato una politica mercantilistica, basata sulle esportazioni, sacrificando la domanda interna e gli investimenti. La capacità esportativa tedesca si è avvalsa per un verso della costruzione di una rete di subfornitori con manodopera a basso prezzo nei paesi dell’Est (che perlopiù non hanno adottato l’euro, e quindi hanno potuto beneficiare di svalutazioni rispetto ad esso), per l’altro di una vera e propria compressione dei salari.I salari tedeschi, nei settori esposti alla concorrenza internazionale, sono scesi in termini reali, tra il 1999 e il 2008, di qualcosa come il 9% (sono dati forniti da Bofinger, uno degli esperti economici che assistono il governo tedesco). Con l’Agenda 2010 del socialdemocratico Schröder sono stati precarizzati i rapporti di lavoro (i minijobs), riducendo al contempo fortemente le indennità di disoccupazione. Nel frattempo, le tasse alle imprese e alla parte più ricca dei cittadini venivano diminuite. Ecco spiegata l’ampliarsi della disuguaglianza, e anche il mistero di una Germania che “va bene”, ma in cui tanti cittadini sono scontenti. E votano di conseguenza. Il tema dell’immigrazione ha fatto da detonatore a un disagio sociale presente già da tempo. All’Est le sue motivazioni si possono sintetizzare in due dati: una disoccupazione doppia che all’Ovest, e stipendi inferiori di un quarto. Si tratta di una situazione che affonda le sue radici nelle modalità dell’unificazione tedesca, e in particolare – come ho spiegato anni fa nel mio libro sull’unificazione, “Anschluss” – in un’unione monetaria affrettata e realizzata con un tasso di cambio assurdo (parità tra marco ovest e marco est nonostante che il tasso di cambio reale fosse all’epoca di 1 a 4,4), che ha distrutto l’economia della ex Germania Est.A questo punto tutti gli asset industriali dell’Est furono svenduti attraverso la Treuhandanstalt (curiosamente riproposta come modello durante questa crisi, da Juncker e da altri, alla Grecia). Il risultato furono milioni di disoccupati, emigrazione di massa e la distruzione dell’industria dell’Est. Una distruzione cui non hanno potuto porre rimedio i massicci trasferimenti statali successivi: molto semplicemente, al di là di poche isole felici, l’Est del Paese non è a tutt’oggi autosufficiente. Alternative für Deutschland prende i voti delle classi popolari e dei ceti meno abbienti? L’Afd non vince soltanto all’Est, ma anche in zone certamente tutt’altro che povere come la Baviera, dove la motivazione anti-immigrati è senz’altro prevalente. La Linke, la sinistra radicale tedesca, ha preso quasi il 10 per cento. Il vento di protesta si muove anche a sinistra? La Linke prende mezzo milione di voti dalla Spd, ma cede poco meno alla Afd. In questi numeri sta scritto tutto quanto ci è necessario sapere, e quanto del resto confermano le evidenze sulle zone di maggiore radicamento della Linke stessa: che guadagna voti all’Ovest ma li perde ad Est; che conquista consensi nei quartieri della borghesia riflessiva, ma li perde nelle zone operaie.Non ha pagato la linea sull’immigrazione (“refugees welcome” non è una politica), e questo ha neutralizzato il fatto (importante) che una parte dell’elettorato deluso dalla Grosse Koalition si è rivolto a sinistra, preferendo la Linke alla Spd. A questo proposito va detto che all’interno della stessa Linke chi aveva avanzato idee sensate sulla necessità di un’immigrazione regolata (Sahra Wagenknecht) è stata attaccata violentemente: i risultati si sono visti nelle elezioni. E la Francia? Era a un bivio: accodarsi all’Agenda 2010 della Germania e proseguire sulla linea dell’austerity o far cambiare marcia all’Europa opponendosi al dominio della locomotiva tedesca. Macron ha imboccato la prima strada, in questa direzione vanno senza alcun dubbio le (cosiddette) riforme del lavoro annunciate. È una pessima notizia per la Francia e per l’Europa. Se Macron riuscirà a realizzare queste misure proseguirà e si rafforzerà la tendenza alla deflazione salariale e alla compressione della domanda interna in Europa.L’Europa a due velocità ha imboccato un vicolo cieco, e il vento populista ha terreno fertile? Direi che più importante della velocità qui è la direzione: che è quella sbagliata. Si è troppo spesso confuso l’internazionalismo con l’europeismo, e l’Europa con l’Unione Europea. Per contro, si è data troppo poca importanza al tema della democrazia e a quello, connesso, della sovranità popolare: la verità è che l’Europa di Maastricht è profondamente antidemocratica. Lo è per essenza, e non per accidente. È un’architettura disegnata nel periodo trionfale del neoliberismo, quello immediatamente successivo al crollo dell’Urss. Il suo impianto non è soltanto antisocialista, ma antikeynesiano. Quando Tietmeyer (presidente della Bundesbank) nel 1998 si compiacque per il fatto che i politici europei, spogliandosi della sovranità monetaria – conferita a un’unica banca centrale indipendente – avevano avuto la saggezza di sostituire il “plebiscito quotidiano dei mercati” al “plebiscito delle urne”, sapeva cosa diceva. Per di più durante la crisi, una classe politica e tecnocratica assai poco lungimirante ha deciso di dare un ulteriore giro di vite a questa macchina neoliberale con il Fiscal Compact. Quel Fiscal Compact che oggi si vorrebbe includere nei Trattati. Faccio fatica a trovare un’idea più miope e regressiva.Come uscirne? Capendo fino in fondo che l’assetto attuale dell’Unione Europea è il problema, e non la soluzione. Sinceramente non sono ottimista. Mi sembra che la consapevolezza dei problemi a livello politico sia assolutamente inadeguata. Si continua a perdere tempo con problemi nella migliore delle ipotesi secondari, non si ha alcuna strategia, e quindi si soggiace a quelle altrui. È quello che emerge dall’esame di tutti i principali dossier degli ultimi anni: dall’Unione bancaria al problema dell’immigrazione, alla politica energetica. Non conosco un solo caso in cui la soluzione adottata non sia stata svantaggiosa per il nostro paese, e favorevole ad altri. L’Italia dovrebbe maggiormente battere i pugni sul tavolo a Bruxelles? Non si tratta soltanto né soprattutto di incapacità negoziale, che sarebbe comunque sconfortante. C’è un pregiudizio ideologico: ogni passo avanti dell’integrazione europea è considerato positivo a priori. E c’è la convinzione – contraria a ogni evidenza – che solo il “vincolo esterno” ci possa salvare. Quasi che, per qualche tara genetica, fossimo incapaci di governarci da soli. In genere la storia non è stata tenera nei confronti delle classi dirigenti e dei popoli dominati da questo tipo di convinzioni.(Vladimiro Giacché, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “In Germania ha vinto la protesta e l’Ue è irriformabile, come non capirlo?”, pubblicata su “Micromega” il 28 settembre 2017. Eminente economista, Giacché è presidente del centro studi Europa Ricerche).Se l’Europa vira a destra è per precise responsabilità della sinistra, che è stata in buona parte corresponsabile delle politiche neoliberali (mi riferisco in particolare ai partiti socialisti/socialdemocratici) e dove non lo è stata, non ha saputo affrontare le radici della crisi e mettere davvero in discussione l’assetto dell’Europa di Maastricht. Il crollo (annunciato) della Spd e la vittoria dell’estrema destra dell’Afd sono stati predominanti del voto tedesco. Aggiungo il crollo della Cdu e della Csu, le due forze che sostenevano Angela Merkel. Non si tratta di un dettaglio: la frana riguarda entrambi i partiti che un tempo determinavano la politica tedesca. Il voto sancisce la fine della socialdemocrazia europea come l’abbiamo conosciuta, confermando un trend già visto in opera in Grecia, in Francia, in Spagna, in Olanda – e che credo sarà confermato in Italia. Ma più in generale quella delle “famiglie” politiche tradizionali un tempo egemoni a livello europeo: la popolare/cristiano-democratica e quella socialdemocratica. Credo che il Pd perderà la centralità politica; tenterà di mantenerla al prezzo di un’ulteriore deriva a destra, ma senza successo.
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Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti
Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niail Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steym, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».«Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steym. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Europea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). «Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
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Putin: addio armi chimiche. E condona il debito dell’Africa
Distrutte tutte le armi chimiche e condonati 20 miliardi di debiti africani. Sono due notizie “hard” di notevole rilevanza politica mondiale e provengono da Mosca. In sé meriterebbero un’attenzione cospicua, ma il modo di operare del sistema informativo dominante è così impermeabile alle notizie vere sulla Russia, che anche gli eventi suscettibili di grande peso simbolico e politico in campo militare ed economico passano praticamente inosservati. Così siamo informati fino all’ultimo tweet sulla lite fra Donald Trump e i giocatori di football, ma non ci viene detto con bastevole attenzione che il più formidabile arsenale chimico della storia, capace di distruggere diverse volte l’intera vita sul pianeta, ha concluso la sua esistenza il 27 settembre 2017. Né ci viene detto che – sempre in quella data – la Russia ha deciso unilateralmente di cancellare il grosso dei sui crediti che gravavano sui paesi africani più indebitati. Dunque, i fatti. Con tre anni di anticipo sulla tabella di marcia, Mosca ha adempiuto in toto alla Convenzione sulle armi chimiche ratificata 20 anni fa, nel 1997, quando ancora possedeva ben 40mila tonnellate fra gas nervini e sostanze vescicanti.Il presidente Vladimir Putin ha riservato a questo fatto una notevole solennità, come quando si posa la prima pietra di una grande manifattura. Solo che in questo caso la cerimonia è stata invece riservata al mettere fine all’ultimo chilogrammo rimasto degli ultimi due ordigni. Il quantitativo terminale è stato definitivamente distrutto con un ordine impartito da Putin in persona, in videoconferenza con i funzionari inviati presso il villaggio di Kizner, dove si trovava l’ultima goccia dell’arsenale chimico che Mosca ha ereditato dall’Urss. Putin lo ha definito «un enorme passo verso un maggiore equilibrio e sicurezza nel mondo di oggi». Ha ricordato che per adempiere al trattato internazionale il suo paese ha speso tanto e ha investito in imprese high-tech in grado di neutralizzare l’intero arsenale. Ha poi ricordato che gli Stati Uniti stanno opponendo ogni tipo di scusa economica e finanziaria per giustificare i continui rinvii sulla completa distruzione del proprio arsenale. «Onestamente, questa storia della mancanza di fondi mi suona proprio strana», ha ironizzato Putin.La Russia in questi anni ha padroneggiato strategicamente il tema dell’eliminazione delle armi chimiche, al punto da ottenere grandi dividendi politici nelle negoziazioni internazionali: nel 2013 Mosca impedì l’aggressione diretta delle forze armate occidentali alla Siria mettendo sul piatto della bilancia la completa eliminazione dell’arsenale chimico siriano (che a suo tempo Damasco aveva costruito come deterrente opposto alle decine di bombe atomiche detenute da Israele). Fu una tappa diplomatica fondamentale per rovesciare poi le sorti del conflitto siriano a sfavore della galassia jihadista. E ora arriva quella che il turco Ahmet Üzümcü – direttore dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – definisce come una «grande pietra miliare» per il disarmo chimico mondiale.Ovviamente questa non è ancora la fine delle armi di distruzione di massa, visto che tutte le potenze nucleari continuano a testare nuovi armamenti sempre più micidiali e sofisticati. In proposito, nel suo discorso in videoconferenza, Putin ha sottolineato di avere piena consapevolezza «dei pericoli potenziali e dei rischi associati alla ripresa della corsa agli armamenti e ai tentativi di sconvolgere la parità strategica». Ha sottolineato che la sicurezza globale richiede il dialogo e il «rafforzamento delle misure per la creazione di fiducia». Il disarmo chimico è un passo politico importante e dimostra in modo pratico che grandi misure strategiche di disarmo sono possibili e governabili, magari un domani anche nel campo degli armamenti nucleari.Il condono del debito africano. Lo ricorda il sito “Sputnik”: il presidente Putin ha annunciato la decisione di cancellare «oltre 20 miliardi di dollari di debiti ai paesi dell’Africa», il tutto nell’ambito delle «iniziative per aiutare i paesi poveri fortemente indebitati». Molte partite geopolitiche si stanno giocando ora nel continente africano, e avranno tutte enormi conseguenze sull’energia, le materie prime, le basi militari e i grandi flussi migratori. Il Cremlino cala sul campo una carta che può cambiare lo scenario, con un maggior peso della Russia. L’annuncio del presidente russo è stato fatto in occasione del suo incontro con Alpha Condé, che è sì il presidente della Guinea, un paese di meno di 11 milioni di abitanti, ma è soprattutto il presidente dell’Unione Africana, che ricomprende tutti i 54 Stati dell’Africa (1,1 miliardi di abitanti).(Pino Cabras, “Russia: distrutte tutte le armi chimiche e condonati 20 miliardi di debiti africani”, da “Megachip” del 29 settembre 2017).Distrutte tutte le armi chimiche e condonati 20 miliardi di debiti africani. Sono due notizie “hard” di notevole rilevanza politica mondiale e provengono da Mosca. In sé meriterebbero un’attenzione cospicua, ma il modo di operare del sistema informativo dominante è così impermeabile alle notizie vere sulla Russia, che anche gli eventi suscettibili di grande peso simbolico e politico in campo militare ed economico passano praticamente inosservati. Così siamo informati fino all’ultimo tweet sulla lite fra Donald Trump e i giocatori di football, ma non ci viene detto con bastevole attenzione che il più formidabile arsenale chimico della storia, capace di distruggere diverse volte l’intera vita sul pianeta, ha concluso la sua esistenza il 27 settembre 2017. Né ci viene detto che – sempre in quella data – la Russia ha deciso unilateralmente di cancellare il grosso dei sui crediti che gravavano sui paesi africani più indebitati. Dunque, i fatti. Con tre anni di anticipo sulla tabella di marcia, Mosca ha adempiuto in toto alla Convenzione sulle armi chimiche ratificata 20 anni fa, nel 1997, quando ancora possedeva ben 40mila tonnellate fra gas nervini e sostanze vescicanti.
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Strana morte di Chelazzi: indagava sui mandanti delle stragi
«Tutti sono utili ma nessuno è indispensabile. Poi però ci sono le eccezioni. Una di queste era il magistrato Gabriele Chelazzi: morto d’infarto in una caserma romana della Guarda di Finanza dopo esser stato “lasciato solo”, come da lui stesso scritto, nell’indagine sui mandanti delle stragi del ‘92-93». A parlare è l’ex superpoliziotto Michele Giuttari, a sua volta fermato – ripetutamente, dall’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, l’uomo del G8 di Genova – di fronte al “secondo round” dell’indagine sul Mostro di Firenze: la caccia ai veri mandanti, all’ombra di Pacciani e dei suoi “compagni di merende”, Vanni e Lotti. «Tutti colpevoli, per carità, ma non da soli: Pacciani, nato e vissuto in estrema povertà, alla fine degli anni ‘90 disponeva di un patrimonio di 900 milioni di lire: da dove provenivano tutti quei soldi?». Questa la molla che allora spinse la Procura di Firenze a sollecitare l’altra indagine, quella “fermata”: col trasferimento di Giuttari all’ufficio stranieri e poi con la sua incriminazione, insieme al pm perugino Mignini (con accuse poi destitute di ogni fondamento, 8 anni dopo). Nel frattempo l’inchiesta era “morta”. Come il giudice Chelazzi che, anni prima, insieme a Giuttari era riuscito – in tempi rapidissimi – ad arrestare gli esecutori e incriminare il gotha di Cosa Nostra per gli attentati di Firenze, Milano e Roma. Mancavano i mandanti, e se ne stava occupando – ancora – Chelazzi. Trattativa Stato-mafia: chi tocca muore?
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Conditi: moneta fiscale, e usciamo dalla crisi in 100 giorni
Molti mi chiedono: “Cosa faresti per uscire dalla crisi se tu fossi al governo?”. Bella domanda, perché è facile parlare di soluzioni finchè sai che non sarai tu a doverle attuare, altra cosa è essere lì ed avere la responsabilità della vita di 60 milioni di persone. Noi italiani. Tutti sanno che il problema dell’attuale crisi economica è la mancanza di soldi nell’economia reale, ma nessuno lo dice. Tutto il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Ci dicono sempre che le cause sono la corruzione, l’evasione fiscale, il debito pubblico, gli sprechi, l’automatizzazione, la globalizzazione, ma noi sappiamo che non sono il problema principale. Ci distraggono in continuazione con discussioni su temi diversi come i vaccini, l’immigrazione, i cambiamenti climatici, gli attentati terroristici, gli stupri e qualsiasi altra cosa riesca a distogliere la nostra attenzione dall’unico e vero problema. La crisi economica deriva dalla mancanza di soldi nell’economia reale. Ma i problemi dovrebbero essere la scarsità di risorse umane e materiali, certamente non i soldi che si possono creare e vengono anche oggi creati in grandi quantità e senza alcun limite. Solo che finiscono nelle mani di pochi privilegiati, che si arricchiscono a scapito di tutti gli altri.Siamo una delle nazioni al mondo più ricche di risorse materiali, con un patrimonio artistico, culturale ed ambientale che tutti ci invidiano, ma soprattutto abbiamo risorse umane di qualità, perché abbiamo cultura, capacità, genio ed inventiva come nessun’altra popolazione al mondo. Tuttavia, siamo incapaci di trovare l’unica risorsa che può essere creata dal nulla senza alcun problema: i soldi. Supponiamo che ci sia un governo illuminato che voglia seguire la nostra strada, questi dovrebbero essere gli interventi legislativi nei primi cento giorni: 1) Istituire una moneta fiscale elettronica chiamata Sire, che gira su un circuito fiscale indipendente dalle banche, che fa capo al ministero dell’economia e delle finanze. Stampa anche biglietti di Stato in Sire e monete metalliche da 5 e 10 euro in Sire. Essendo materia fiscale, né la Bce né l’Ue possono dire niente; l’importante è che siano ad accettazione volontaria e utilizzabili per pagare le tasse.2) Lo Stato diventa istituto di moneta elettronica come prevede l’articolo 114/bis del Tub (Testo unico bancario), per cui con la stessa carta di credito fiscale posso anche effettuare pagamenti in euro, magari con tecnologia blockchain. 3) Riprendere il pieno controllo della Banca d’Italia da parte dello Stato, procedendo al rinnovo delle cariche direttive e riacquistando le quote di partecipazione attualmente detenute da privati, per rispettare quanto previsto dall’articolo 47 della nostra Costituzione. 4) Procedere al consolidamento dei titoli di debito pubblico dello Stato attualmente detenuto da Banca d’Italia, circa per 400 miliardi di euro, in modo che il famigerato rapporto debito/Pil possa scendere vicino al 100%. 5) Creare un sistema di banche pubbliche sul modello tedesco, nazionalizzando ed acquisendo il controllo di quelle in difficoltà, trasferendo tutte le sofferenze che gravano sul settore bancario presso la Banca d’Italia.6) Disporre il pagamento immediato di tutti i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende private e finanziare, con denaro creato direttamente dallo Stato, il sostegno ai cittadini in difficoltà, la ricostruzione del terremoto, gli investimenti produttivi ed innescare lo sviluppo economico in tutti i settori strategici dell’economia reale. Mentre diventano operativi questi 6 punti, viene contemporaneamente inoltrata, al Parlamento Europeo e alla Corte di Giustizia Europea, una denuncia per il mancato rispetto dei Trattati da parte della Bce e della Commissione Europea, citando nello specifico gli obiettivi dell’articolo 3 del Tue (Trattato sull’Unione Europea) e dell’articolo 127 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), oltre a tutte le altre norme a favore degli Stati che non sono state rispettate: l’accusa è di aver adottato politiche monetarie solo a favore di banche e mercati finanziari, mentre i Trattati hanno ben altri obiettivi.Nell’eventualità la Bce adottasse provvedimenti di blocco del sistema bancario, tenere pronto un decreto legge con il quale trasformare il sistema “fiscale” Sire, già utilizzato negli scambi, in un sistema monetario vero e proprio, dichiarandone la validità a corso legale e l’accettazione obbligatoria. In questo caso si usce dall’euro, ma senza traumi e con un sistema monetario pronto e già funzionante. Parleremo di questo e di molto altro a Roma il 9 ottobre 2017, presso il VII Municipio in un incontro pubblico con Nino Galloni e Paolo Tintori. Siete tutti invitati. Perchè se vogliamo davvero un cambiamento radicale e profondo delle politiche economiche e monetarie, dobbiamo aumentare la consapevolezza di tutti su questi temi fondamentali ed essere capaci di immaginare un sistema diverso, altrimenti saremo noi stessi un freno al cambiamento. Ho anche realizzato 6 video brevissimi e chiari, che potete trovare sul mio profilo pubblico su Facebook da condividere con i vostri amici.(Fabio Conditi, “Come risolvere la crisi in soli 100 giorni”, da “Come Don Chisciotte” del 17 settembre 2017. Conditi è presidente dell’associazione “Moneta Positiva”).Molti mi chiedono: “Cosa faresti per uscire dalla crisi se tu fossi al governo?”. Bella domanda, perché è facile parlare di soluzioni finchè sai che non sarai tu a doverle attuare, altra cosa è essere lì ed avere la responsabilità della vita di 60 milioni di persone. Noi italiani. Tutti sanno che il problema dell’attuale crisi economica è la mancanza di soldi nell’economia reale, ma nessuno lo dice. Tutto il resto sono solo chiacchiere e distintivo. Ci dicono sempre che le cause sono la corruzione, l’evasione fiscale, il debito pubblico, gli sprechi, l’automatizzazione, la globalizzazione, ma noi sappiamo che non sono il problema principale. Ci distraggono in continuazione con discussioni su temi diversi come i vaccini, l’immigrazione, i cambiamenti climatici, gli attentati terroristici, gli stupri e qualsiasi altra cosa riesca a distogliere la nostra attenzione dall’unico e vero problema. La crisi economica deriva dalla mancanza di soldi nell’economia reale. Ma i problemi dovrebbero essere la scarsità di risorse umane e materiali, certamente non i soldi che si possono creare e vengono anche oggi creati in grandi quantità e senza alcun limite. Solo che finiscono nelle mani di pochi privilegiati, che si arricchiscono a scapito di tutti gli altri.
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Sappiamo cosa vorremmo? No, abbiamo smesso di pensare
Viviamo in tempi stranissimi che, oltre ad un volgare conformismo, non ci consigliano di andare. E chiamiamo questo conformismo “buon senso”, “saper vivere” e persino lealtà alla patria, o addirittura “fede”. Così siamo giunti al punto che manifestare un desiderio di conoscere e riflettere, di pensare, oppure dichiarare di avere un punto di vista diverso da quanto ogni autorità ci propone, significa candidarsi al sospetto. Come minimo, si rischia di trovarsi ai margini del proprio gruppo. L’attuale sistema ha come presupposto che qualcuno pensi e giudichi per tutti. E allora, l’ordine interiorizzato e che nessuno verbalizza, ma che scivola indisturbato nelle pieghe di ogni coscienza è: «Non pensate, gente, non pensate, ricordatevi di non pensare, pensare stanca, è inutile, pensa uno per tutti e vi protegge dal vostro stesso pensiero…». Così viviamo tempi di conformismo coatto. Se vogliamo essere tranquilli, siamo invitati a metterci tutti in divisa, ad essere senza volto. Scriveva Karl Jaspers: «È possibile spiegare tutto, senza nulla comprendere». Proprio quanto ci sta accadendo. Crediamo di sapere tutto senza comprendere nulla.Da ciò ne discende uno stile di vita che rifugge quasi per istinto dalla complessità dei problemi. Tutto è semplice, tutto ha una soluzione, purchè non si pensi e non si dica a nessuno che la vita è rischio, scommessa, impegno, progetto di costruire insieme qualcosa di bello e sensato. Le società occidentali hanno fatto della libertà la loro bandiera. Nessun valore è stato tanto esaltato, in questi ultimi trecento anni, e nessuno appare, anche oggi (almeno in Occidente), tanto indiscutibile. E’ stato in nome della libertà che si sono sviluppate le grandi rivoluzioni della storia moderna. Ed è sempre appellandosi ad essa che ci si è battuti, nel secolo scorso, contro la potenza soffocante dei totalitarismi. Ma cosa significa, realmente, essere liberi? L’esperienza insegna che è più facile battersi per la libertà, che non individuarne l’effettivo significato. Ma è facile rendersi conto che dal concetto di libertà che si adotta dipende anche il tipo di liberazione per cui ci si deve battere.Se consideriamo la libertà come quella condizione nella quale non si è costretti da niente e da nessuno a fare o non fare qualcosa, poniamo l’accento esclusivamente sugli ostacoli esteriori che spesso limitano l’azione del soggetto e ne mortificano l’autonomia. A questa idea si sono ispirate e si ispirano molte battaglie per la liberazione da condizionamenti politici, economici, sociali e culturali. E certo il poter fare senza ostacoli ciò che si desidera costituisce una condizione necessaria della libertà. Ma è anche sufficiente? A farcene dubitare potrebbe essere il fatto semplicissimo che di una libertà così intesa si può parlare anche a proposito di animali non umani. Un cane è “libero” se non è attaccato al guinzaglio. In realtà, c’è da chiedersi se una persona realizzi veramente la sua libertà quando può fare ciò che desidera. E’ possibile, infatti, porre una questione più a monte, e cioè se questa persona sia libera di desiderare quello che desidera.In una società come la nostra, dominata dai meccanismi della pubblicità, questo dubbio si impone con particolare evidenza: è veramente libero che, subendo un bombardamento quotidiano di messaggi più o meno subliminali, si trova a desiderare un prodotto di cui non avrebbe alcun reale bisogno, anche a costo del sacrificio di altre cose, ragionevolmente assai più utili? L’esempio più eclatante di tale fenomeno è il clamore suscitato dal lancio dell’ultimo modello di iPhone, che rispetto ai suoi predecessori ha veramente poche novità. Eppure, il martellamento mediatico ha generato in numerosi giovani il desiderio di acquistarne uno, ad un prezzo è estremamente elevato e senza nessuna reale utilità rispetto ad un telefono cellulare “normale”. La domanda è: sono realmente io a desiderare, o c’è qualcun altro che mi spinge a desiderare? Il fatto è che il desiderio, come tale, è facilmente condizionabile dall’esterno. Esso dipende dagli oggetti che ci si presentano e nei cui confronti siamo liberi di sentirci attratti o meno.Esiste, tuttavia, un livello in cui la libertà umana si manifesta nella sua peculiarità ed è quello della volontà. Qui non si tratta più di poter fare, ma di poter scegliere ciò che si vuole fare. Per questo, però, è essenziale il pensiero. Senza pensiero la libertà si appiattisce sul livello dei riflessi condizionati. Accennavamo prima ai meccanismi della pubblicità. Si pensi anche alle mode e all’omologazione che ne risulta in tutti i settori, da quello dell’abbigliamento a quello, ben più delicato, delle opinioni etiche, politiche o religiose. Oggi è molto difficile sfuggire a questa forma di dominio invisibile. Ed esso è tanto più pericoloso in quanto censura non le risposte, ma le stesse domande. Moltissimi uomini e donne, oggi, vivono alle prese con problemi che sono stati messi in “agenda” da altri. Ebbene, ciò è caratteristico dei totalitarismi che, a differenza degli antichi regimi assolutistici, mirano non a soffocare le opposizioni, ma a conquistare il cuore e la mente delle persone, plasmandole per così dire “dall’interno”, piuttosto che costringendole dall’esterno.È chiaro che se si adotta il concetto dominante di libertà, le nostre società, apparentemente, sembrano essere libere, senza nessun limite esteriore, ma sono minacciate da una forma di oppressione totalitaria che può essere individuata e denunziata solo se si adotta un concetto più ampio di libertà, che naturalmente non escluda il primo, ma lo collega al problema della scelta consapevole e non soltanto al comportamento esterno. A questo punto il problema del pensiero si rivela drammaticamente attuale. Se su di esso si gioca il valore della libertà, nel suo significato più pieno, vale la pena chiedersi perchè oggi sia così debole di fronte alle sfide della vita personale e sociale, e come sia possibile restituirgli la sua forza. Forse bisognerebbe cominciare dallo spegnere la nemica numero uno dell’umanità: la televisione!(“Purchè non si pensi: utilizzare la libertà per instaurare il totalitarismo dei desideri indotti”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, agosto 2017).Viviamo in tempi stranissimi che, oltre ad un volgare conformismo, non ci consigliano di andare. E chiamiamo questo conformismo “buon senso”, “saper vivere” e persino lealtà alla patria, o addirittura “fede”. Così siamo giunti al punto che manifestare un desiderio di conoscere e riflettere, di pensare, oppure dichiarare di avere un punto di vista diverso da quanto ogni autorità ci propone, significa candidarsi al sospetto. Come minimo, si rischia di trovarsi ai margini del proprio gruppo. L’attuale sistema ha come presupposto che qualcuno pensi e giudichi per tutti. E allora, l’ordine interiorizzato e che nessuno verbalizza, ma che scivola indisturbato nelle pieghe di ogni coscienza è: «Non pensate, gente, non pensate, ricordatevi di non pensare, pensare stanca, è inutile, pensa uno per tutti e vi protegge dal vostro stesso pensiero…». Così viviamo tempi di conformismo coatto. Se vogliamo essere tranquilli, siamo invitati a metterci tutti in divisa, ad essere senza volto. Scriveva Karl Jaspers: «È possibile spiegare tutto, senza nulla comprendere». Proprio quanto ci sta accadendo. Crediamo di sapere tutto senza comprendere nulla.
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Sankara: basta rapinare l’Africa, col debito. E lo uccisero
Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia, intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individi. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali, che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassifondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No! Non possiamo essere complici. Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine. Signor presidente, sentiamo parlare di club – Club di Roma, Club di Parigi, Club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei Cinque, dei Sette, del Gruppo dei Dieci, forse del Gruppo dei Cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire, oggi, che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma, al contrario, intenzioni fraterne.Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano, e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire, al contrario, che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi.Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe, qui, che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da “giovani”, senza maturità ed esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto. E posso citare, tra quelli che dicono di non pagare il debito, dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare. Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand, che ha detto che i paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora primo ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo, è solo un esempio.Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che, quanto al suo paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. E per questo, d’altronde, è normale che paghi un contributo maggiore, qui. Signor presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, io non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma, è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma, signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che, a partire da Addis Abeba, decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonella, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione e io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda, ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.(Thomas Sankara, estratto dal “discorso sul debito” pronunciato al vertice panafricano di Addis Abeba, Etiopia, il 29 luglio 1987. Un anno dopo, il 28 ottobre, Sankara verrà assassinato a Ouagadougu, capitale del Burkina Faso, che quattro anni prima aveva liberato, con la sua rivoluzione, dal colonialismo francese. Il presidente dell’Organizzazione per l’Unità Africana, cui Sankara si rivolge nel discorso, è il congolese Denis Sassou-Nguesso, mentre la citata premier norvegese è Gro Harlem Brundtland, progressista e ambientalista. Riletto oggi, il celebre discorso di Sankara – martire socialista della sovranità democratica dell’Africa – è particolarmente illuminante, di fronte alla tragedia quotidiana dell’esodo dei migranti africani).Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.