Archivio del Tag ‘cuccagna’
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L’euro-ascesa di Gozi, Signor Nessuno e politico senza voti
«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.Dopo la laurea in legge a Bologna, Gozi ha frequentato a Parigi scienze politiche, seguito corsi di amministrazione qua e là nell’ Ue, superato il concorso diplomatico alla Farnesina, soggiornato a Bruxelles e Strasburgo. François Hollande lo ha insignito nel 2014 della Legion d’Onore. Con la moglie e i figli parla più francese che italiano. Si esprime altrettanto bene in tedesco, inglese e spagnolo. «Se pensa a un amico, non ne ha uno che disti meno di 1.000 chilometri, appartenendo tutti al mondo esclusivo delle caste globaliste», sostiene Perna. Per riassumere: «Sandro è sideralmente diverso dal comune mortale. Nell’ambito però della sua cerchia elegante, è lo stampino dei suoi simili. Il solito fanatico Ue licenziato dalle grandi scuole, dove i corsi sono in inglese, i libri in tedesco e le idee confuse: il pollo in batteria dei tempi nostri. L’unica anomalia di questo classico esemplare di funzionario europeo è che abbia scelto la politica». Deputato per tre legislature, dal 2014 è stato anche al governo: prima con Matteo Renzi, poi con Paolo Gentiloni. «In tutti i casi, è un cavolo a merenda. Volenteroso e piacione ma impantanato nella carriera».Celebre il fiasco dell’Agenzia Europea del Farmaco, che Milano ha perso per un soffio. La pratica era stata affidata proprio a Gozi, che aveva la delega agli affari europei. Nonostante le credenziali meneghine, l’Ema è finita ad Amsterdam, per estrazione a sorte, dopo un voto segreto a parità. Tra parentesi: con la sua legislazione fiscale super-agevolata, proprio l’Olanda è il paese che ha inferto più danni economici all’Italia, di recente, attraendo grandi aziende italiane grazie al dumping fiscale (stranamente tollerato dall’Ue). «Fatta la frittata, tutti se la sono presa con il povero Gozi, incapace di imporre Milano prima di arrivare ai bussolotti, ma lui non si è scomposto», scrive sempre Perna. «L’uomo si piace molto e ha una solida autostima. Pare che contro di noi abbiano votato Spagna, Francia e Germania. La sola certa è la Spagna, cui Gozi ha dedicato l’unico commento: “Era forse memore della sua antica dominazione dei Paesi Bassi”. Una elegante citazione storica come sola espressione di rammarico. Fa molto feluca e dice tanto dell’uomo».Sandro Gozi? E’ uno che sta benissimo nella sua pelle: «Fiero dei suoi studi alla crème, non si mette mai in discussione. Ha l’acriticità dei robot che escono dalle scuole costose e occupano le poltrone Ue. Stessa testa degli Emmanuel Macron, Ena & co. Considerandosi il migliore prodotto nel migliore dei mondi possibili, ne adotta senza riserve idee e repulsioni. È per i ponti contro i muri, la green economy contro il nucleare, la dieta invece dei cenoni, il moto contro l’ozio». Non a caso, «lo sport sta in cima ai suoi valori: è un provetto corridore del Montecitorio Running Club, fondato dall’alfaniano Maurizio Lupi, che riunisce gli onorevoli patiti della maratona di New York. Gozi ne detiene il record parlamentare, sottratto al medesimo Lupi, col tempo di 3h 38′ 53″. È anche provetto nello squash, di cui nel 2003 è stato campione nazionale». Il gioco consiste nel lanciare con la racchetta una palla contro il muro: l’abilità sta nello schivare la palla di ritorno evitando il tramortimento. «Per riuscire nella disciplina, Sandro consiglia su YouTube questa dieta: a colazione cereali, biscotti secchi, caffè e spremuta; pasta o riso a pranzo; carni bianche e verdura bollita a cena. Per tali meriti, è responsabile delle relazioni internazionali per la federazione squash».Atleta è anche la moglie, Emanuela Mafrolla, amante dei cavalli e consigliera federale degli sport equestri. I figli, Federica e Giulio, ancora in età scolastica, si limitano per ora a frequentare lo Chateaubriand, il liceo francese di Roma, di cui la più illustre ex alunna è Marianna Madia, già ministra renziana. «Apparentemente paradossale è che questo snob sia nato (marzo 1968) a Sogliano al Rubicone, culla del formaggio di fossa, sperduto paesotto della Romagna profonda», continua Perna. «Come ha potuto un provinciale per destino, farsi così integralmente cittadino del mondo? Fatale fu Cesena, il capoluogo, dove seguì gli studi e dove ha tuttora residenza. La città era, tradizionalmente, regno – per così dire – dei repubblicani. E al Pri – ahimè, dissolto – aderì il giovanottello preso a benvolere dal suo personaggio più illustre, Oddo Biasini, segretario del partito negli anni Settanta del Novecento. Costui – preside anche delle scuole locali – lo seguì passo passo finché, una volta laureato, raccomandò il pupillo al corregionale Romano Prodi». Gozi e Biasini: «La simbiosi tra il ragazzo e l’anziano protettore repubblicano fu tale da essere somatizzata nelle sopracciglia folte e scure, eguali nell’uno e nell’altro».Dunque, finiti i suoi studi, i giri in Europa per approfondirli e concorsi vari, Gozi si accasò da Prodi, diventato nel frattempo presidente della commissione Ue (1999-2004). Il giovane Sandro ne fu il consigliere per l’intero mandato e, alla scadenza, passò un altro anno a Bruxelles con il successore, José Manuel Barroso. «Fu un bel farsi le ossa nella cuccagna Ue. A quel punto, dimenticate le origini repubblicane, Sandro era ormai stabilmente piazzato a sinistra in quota Prodi. Tornato in Italia, si fece ancora un annetto in Puglia accanto al governatore Nichi Vendola, con la carica di consigliere diplomatico per la vendita di cozze e mitili nei mercati Ue». Nel 2006, finalmente, entrò a Montecitorio con l’Ulivo mettendo fine al suo errare. «Ci arrivò per il rotto della cuffia come deputato del Veneto, solo perché Prodi, eletto anche altrove, gli cedette il seggio». E qui arriviamo al punto cruciale, scrive Perna: «Gozi è un politico senza base elettorale e senza un voto suo che sia uno». Il Pd di Cesena, che sarebbe il suo luogo naturale, «lo considera un estraneo, per formazione e mentalità».Per uscire dall’anonimato, Gozi ha cercato di candidarsi nel 2012 alle primarie Pd per Palazzo Chigi. «Ha dovuto però rinunciare perché non ha trovato le 95 firme necessarie per la presentazione». Fermo a 70, si è così commiserato: «Continuerò a credere che si possa fare politica con pochi soldi, pochi apparati e molte idee». Con sé è sempre benevolo: «Sono di rara onestà, pulizia e trasparenza», si compiacque in altra occasione. «Ma, ripeto – chiosa Perna – non ha un chiodo di estimatore che gli metta la scheda nell’urna». Se la prima volta grazie a Prodi fu eletto in Veneto, regione «di cui aveva sentito parlare dalla nonna», passato con Renzi non è andata meglio. «È stato sempre imposto a elettori ignari anche del suo nome. Nel 2008 in Umbria, nel 2013 in Lombardia. Un felice caso di incasso d’indennità senza avere un datore di lavoro». O meglio: il vero datore di lavoro, probabilmente, stava lassù, nell’Olimpo dell’oligarchia supermassonica europea che ora infatti l’ha fatto ascendere nei palazzi di Parigi grazie all’Eliseo, dove impera (per modo di dire) il Gozi francese, cioè Macron, fedelissimo esecutore del potere-ombra che l’ha fabbricato e candidato, per poi manovrarlo a piacimento. Fino alla massima perversione possibile: reclutare un italiano nel governo francese per far imbestialire il governo italiano.«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.
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Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla massoneria non li invoglia certo a impegnarsi per assistere Di Maio e Salvini, alle prese con i tecnocrati di Bruxelles e i loro terminali italiani, da Bankitalia al Quirinale.Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista internazionale, si candida a fare da “sindacalista”, in appoggio al governo. A una condizione: che i gialloverdi, e in particolare i 5 Stelle, smettano di dicriminare (a parole) i massoni. Dal canto suo, Cabras fornisce una lucida analisi sul vero potere che condiziona pesantemente il governo a partire dalla sua nascita. «Avremmo voluto altri ministri», ammette, alludendo anche al veto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona al dicastero strategico dell’economia. «Sappiate che quel potere di firma è decisivo, fa la differenza», sottolinea Cabras, che aggiunge: «Ci sono strutture molto “profonde”, che non possono essere ignorate, e che determinano ancora molto l’orientamento del potere. E non sono strutture facili da scardinare». Magaldi lo chiama “back-office”. Da noi, dice Cabras, «il back-office sta in un edificio molto in alto, a Roma, ed è il punto di equilibrio di tante realtà – che sono corpose, nella vicenda di uno Stato, e probabilmente sono diverse dal modo di pensare abituale della politica. Attenzione, questa cosa esiste in tutti gli Stati del mondo: non penserete che Trump sia il decisore unico, vero?».Pino Cabras prova a difendere l’operato del governo, fin dal primo giorno avversato dai media a reti unificate. Stando ai giornali sarebbe crollato l’export, che invece è cresciuto. Lo spread? La tempesta paventata non s’è vista. «Avevano detto che non sarebbe stato possibile fare una misura come “Quota 100”, che invece ha dato respiro a famiglie e lavoratori». Quanto al “decreto dignità”, «ha cercato di incentivare i contratti a lungo termine, e invece i media mainstream hanno ripetuto che avrebbe causato solo licenziamenti e disastri (e invece sta funzionando bene, lo dice l’Istat)». Il reddito di cittadinanza? Non è la cuccagna promessa in campagna elettorale, «ma almeno è una prima risposta al dilagare della nuova povertà». Troppo poco? Forse, ammette Cabras, ma non si può certo volare alto, con un deficit bloccato al 2%. «Ci hanno fatto davvero la guerra, un mare di pressioni. Hanno cercato di usare ogni possibile “waterboarding”, contro di noi». Lo si è visto: la macchina del fango si è avventata su Di Maio, mentre Salvini è stato accusato di sequestro di persona solo per non aver lasciato sbarcare i migranti della Diciotti, in realtà liberissimi di andarsene dove volevano.«Tra il dire e il fare c’è lo “Stato profondo”, che determina la libertà di decisione su tante cose», insiste Cabras, senza con questo voler accampare alibi. La sua, al contrario, è una denuncia esplicita. Il tema del convegno londinese era l’economia? Benissimo: ma il Piano-B a cui sta lavorando Cabras (moneta completamentare, sotto forma di crediti fiscali scambiabili come forma di pagamento alternativa) rischia di andare per le lunghe. «Eppure – rileva Fabio Zoffi – Lega e 5 Stelle avrebbero i numeri per attuarla in 24 ore, una misura del genere». Certo, ammette Cabras. Ma è impossibile fare i conti senza l’oste. Un esempio clamoroso? «I decreti attuativi per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche, con la complicità dei governi precedenti. Stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, già a bilancio», precisa Cabras. «Bene, quelle carte sono pronte da mesi: stanno su qualche scrivania al ministero delle finanze, ma nessuno le ha ancora firmate». Perché non denunciarli, i boiardi che remano contro, facendo nomi e cognomi? «Ci abbiamo provato, e ricordate cos’è successo? Tutti i media ci hanno dato addosso, facendoci passare per “sfasciacarrozze”». Memorabile la gogna mediatica cui fu sottoposto Rocco Casalino, per aver osato annunciare un “repulisti” nei ministeri.E quello della burocrazia ministeriale, sottolinea Magaldi, è solo lo strato più basso del Deep State: esecutori e passacarte. A monte c’è ben altro, ovviamente: Mattarella arrivò a “invitare” l’incaricato Conte a visitare Bankitalia, cioè il terminale italiano del supermassone Draghi. Pino Cabras, per ora, mostra una certa fiducia verso le elezioni europee in arrivo: spera che contribuiscano a indebolire l’euro-sistema. Ammette, francamente, che Lega e 5 Stelle sono divisi praticamente su tutto: famiglia, legittima difesa, concezione dello Stato, politica estera. «Però siamo uniti nell’impegno a “smontare”, poco alla volta, lo “Stato profondo”». Come? «Conquistando gradualmente alcune “casematte”». A chi rimprovera scarso coraggio ai gialloverdi, Cabras risponde: «Ho rispetto per Di Maio, ha solo 31 anni e ha già affrontato prove tali da far tremare i polsi. Lega e 5 Stelle hanno dimostrato un coraggio di cui non c’era traccia da anni, nella politica italiana». Il nocciolo è questo: «Vogliamo aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, e rimettere l’Italia nelle condizioni di esprimere una politica economica». Il nemico è il Deep State, e siede nei posti-chiave. Di Maio e Salvini lo sanno, e hanno accettato di affrontare una guerra di logoramento. Per Magaldi non basta: serve una sfida frontale, perché la crisi italiana non aspetta. E senza veri risultati, gli elettori si ribelleranno: stanno già “scaricando” i 5 Stelle, e domani potrebbero dire addio allo stesso Salvini, anche se oggi sembra inaffondabile. Lo sembrava anche Renzi, che aveva il 40%.«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».
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Elezioni irrilevanti: dopo, avremo il solito Governo dei Proci
Prepariamoci: non cambierà niente, in Italia, dopo le elezioni. L’ultima volta s’è votato nell’ormai remoto 2013. Un match concluso con la “non vittoria” di Bersani, la flessione del Cavaliere (bombardato dalla filiera mediatica Nato-Ue) e la squillante ma pletorica affermazione dei 5 Stelle. Risultato: governicchi di compromesso (da Letta a Gentiloni) intervallati dalla meteora Renzi, il finto rivoluzionario rottamatore, ben attento a non disturbare il vero manovratore finanziario, atlantico, europeo. Ora siamo alla parità perfetta di tre blocchi elettorali, ma sempre in assenza in proposta politica: nessuno si candida a sbloccare la situazione di crisi, innanzitutto economica e democratica. «Dato che abbiamo tre poli politici – Pd, M5S, Centrodestra – ciascuno vicino al 30%, consegue che, probabilmente, col sistema elettorale attuale (e non vi è impegno di mutarlo), frutto del lavoro della Corte Costituzionale su leggi elettorali incostituzionali, dopo le imminenti elezioni politiche semplicemente non ci potrà essere una maggioranza uscita dalle urne, un governo che sia espressione democratica», scrive l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che teme l’avvento del “governo dei Proci”, i saccheggiatori di Itaca.«Un governo dovrà però esser formato in ogni caso, perché lo esigono i “mercati”(=lobby bancaria) come condizione per continuare a comperare i buoni del Tesoro», scrive Della Luna sul suo blog. Quindi, aggiunge, questo nuovo governo post-elettorale «lo si formerà grazie all’intervento dei soliti “responsabili” – forse mediante un’alleanza tra Berlusconi e Pd (=lobby bancaria), col sostegno di Mattarella, dell’“Europa” (=lobby bancaria), dell’Eurogruppo (=lobby bancaria), del Fmi (=lobby bancaria)». Morale: «E’ il trionfo dei Proci, che saccheggiano Itaca e il palazzo di Odisseo approfittando della sua assenza e tramando affinché non tornasse più sul trono». Tradotto: sarebbe «la cuccagna della partitocrazia italiana, di questi partiti consistenti in coalizioni di comitati di affari per il saccheggio delle risorse pubbliche». Mano libera, ai “Proci”, grazie a «due leggi elettorali incostituzionali di fila», nonché «un Parlamento eletto incostituzionalmente». Fattori che «garantiscono che il popolo non possa scegliere chi governa». E così, «la partitocrazia si ritrova in una situazione che neutralizza gli elettori e lascia pertanto le segreterie partitocratiche (=coordinamenti dei comitati di affari) padrone di negoziare tra loro stesse le più opportune e redditizie lottizzazioni».Tutto questo, aggiunge Della Luna, avverrà «sopra la testa della gente, creando governi servili agli interessi non-italiani dominanti in Europa e in generale in Occidente». Interessi, dice, a cui la palude italiana «continuerà ad appoggiarsi», per ottenere «sostegno e legittimazione», aspetti necessari a «portare avanti le sue pratiche ladresche e di svendita degli interessi nazionali». Se Della Luna non usa toni diplomatici, è difficile non convenire sulla serietà dei rischi che paventa: la Germania è alle prese con i primi incubi (il malessere incarnato da Afd per un’economia asimmetrica, votata all’export e basata sulla compressione di salari e consumi) ma per ora continua a dormire tra due guanciali, la Cdu e l’Spd, così come la Francia che – dopo il sedativo Hollande, strattonato dal super-potere oligarchico – ha scelto direttamente l’originale: Macron è un prodotto fabbricato in vitro e orgogliosamente rivendicato come tale dal suo padrino Jacques Attali, eminente supermassone reazionario, tra i massimi guru ispiratori dell’architettura neo-artistocratica, antipopolare e antidemocratica chiamata Unione Europea. E in questa situazione, con l’economia appesa ai diktat della Bce e della Bundesbank, l’Italia schiera Di Maio e Berlusconi, Salvini e Renzi, Bersani e D’Alema. Chi di loro arriverà a Palazzo Chigi? Non importa, è del tutto indifferente, sostiene Della Luna: per l’Italia non cambierà niente.Prepariamoci: non cambierà niente, in Italia, dopo le elezioni. L’ultima volta s’è votato nell’ormai remoto 2013. Un match concluso con la “non vittoria” di Bersani, la flessione del Cavaliere (bombardato dalla filiera mediatica Nato-Ue) e la squillante ma pletorica affermazione dei 5 Stelle. Risultato: governicchi di compromesso (da Letta a Gentiloni) intervallati dalla meteora Renzi, il finto rivoluzionario rottamatore, ben attento a non disturbare il vero manovratore finanziario, atlantico, europeo. Ora siamo alla parità perfetta di tre blocchi elettorali, ma sempre in assenza in proposta politica: nessuno si candida a sbloccare la situazione di crisi, innanzitutto economica e democratica. «Dato che abbiamo tre poli politici – Pd, M5S, Centrodestra – ciascuno vicino al 30%, consegue che, probabilmente, col sistema elettorale attuale (e non vi è impegno di mutarlo), frutto del lavoro della Corte Costituzionale su leggi elettorali incostituzionali, dopo le imminenti elezioni politiche semplicemente non ci potrà essere una maggioranza uscita dalle urne, un governo che sia espressione democratica», scrive l’avvocato e saggista Marco Della Luna, che teme l’avvento del “governo dei Proci”, i saccheggiatori di Itaca.
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Cabras: siam pronti anche noi alla macelleria della guerra?
Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.«Sarà l’Ucraina, sarà il richiamo bellico dell’anno quattordici, sarà che ormai le dichiarazioni di molti politici europei già annunciano la carneficina all’orizzonte», moltiplicando ogni giorno le nuove evocazioni di una guerra mondiale, ma intanto «cresce per molti una sensazione di pericolo», scrive Pino Cabras su “Megachip”. «Evocare è facile, ma essere davvero pronti all’anticamera dell’Apocalisse è un’altra cosa». Chi è davvero pronto per la guerra? Certo non i popoli europei: «Vivono in una bolla televisiva che fa loro sperare di essere ancora a lungo i consumatori che sono stati negli ultimi decenni. La cuccagna non è stata ancora smontata, perciò il ricordo dell’ultima guerra mondiale rimane annacquato. Gli europei medi – continua Cabras – non riescono più a immaginare la guerra come catastrofe. I telegiornali e i grandi quotidiani li ammaestrano all’isteria bellica, alla propaganda più sfacciata, alla russofobia, questo sì. Ma occultano l’idea che la distruzione possa entrare nelle loro case o sommergere intere coorti dei loro figli».Il peggio è che «nessun europeo medio ha saputo cosa è accaduto in Ucraina negli ultimi sei mesi, dal golpe in poi. Tanto meno sa cosa c’era prima. Né sa che il governo di Kiev ha martoriato la popolazione civile delle regioni orientali». L’europeo medio «ignora gli interessi predatori di quei capitalisti mafiosi che vorrebbero svuotare quelle regioni dei loro abitanti russofoni», non sa che «le forze di sicurezza ucraine sono in mano ad avventurieri imbevuti di ideologie naziste». E naturalmente «non sa nulla della Russia, non sa nulla di nulla: e si ritroverà nella guerra vasta che annuncia il neopresidente polacco del Consiglio Europeo, Donald Tusk (un burattino atlantista), e peggio di lui il ministro della difesa ucraino Gheletei, senza sapere ancora nulla». Certamente a scalpitare è Tusk, il regime dell’Ue è al guinzaglio di Washington, lo stesso Cameron sembra avere il dito sul grilletto. La Nato sembra abbozzare una frenata – su richiesta della Merkel, cioè dell’export tedesco danneggiato dalle sanzioni contro Mosca – ma intanto prepara una forza di pronto intervento per l’Est. In teoria, era pronta alla guerra anche la giunta golpista di Kiev, «ma in modo totalmente irresponsabile, con una tragica incapacità di valutare gli interessi dei russi e – di questi – la determinazione (cioè una prontezza reale) a pagare e infliggere il prezzo di una guerra vera».Quel che accade ora in Ucraina, dice Cabras, misura le reali dimensioni di queste diverse “prontezze”. Da un lato i popoli occidentali «anestetizzati dai loro media», popoli «che non hanno alcuna misura dei fatti», e in più il popolo ucraino «che si sorprende di dover subire una disfatta (in Italia si direbbe una Caporetto), come nel caso delle mamme e sorelle disperate che chiedono conto delle notizie di una brigata di 4.700 uomini, di cui sono tornati con le proprie gambe in appena 83». Queste famiglie «hanno appena riscoperto il concetto di “carne da cannone”», quello della Grande Guerra. «Sono le avanguardie delle mamme che ripeteranno la scena in tante altre lingue, anche da noi, nelle capitali in bancarotta dell’Europa ai comandi di Bruxelles e Francoforte». Dall’altro lato della barricata, ecco invece i militari del Donbass: «Colpisce la sicurezza e l’agghiacciante autorevolezza – in un dosaggio di gravitas e brutale ironia – con cui questi partigiani dei nostri giorni parlano di migliaia di vittime di guerra». La “gravitas” è quella che annuncia l’avvenuta strage dei militari mandati allo sbaraglio dagli aggressori incoraggiati dalla Nato. L’ironia è quella della sfilata dei prigionieri: a marciare (disarmati e sconfitti) il 24 agosto sono stati gli ucraini di Kiev, quelli che avevano annunciato con troppa fretta la conquista di Donesk, con tanto di parata dal sapore hitleriano.«Purtroppo, cari giornalisti, l’Occidente cerca di invaderci con una frequenza di 30-50 anni», dicono i resistenti dell’Est. «Ogni 30-50 anni la civiltà occidentale cerca di imporci la sua opinione e il suo modo di vivere. La Prima Guerra Mondiale, la Grande guerra patriottica, la guerra di Crimea prima ancora, e così via nelle profondità della storia. Come risultato, l’Occidente tradizionalmente ottiene la caduta di Berlino, di Parigi. L’Occidente arriva ogni 30-50 anni per ottenere ciò che si merita. Ora, nel 2014, sono un po’ in ritardo», ma il copione sembra lo stesso. Loro, sì, sono pronti alla guerra. Lo hanno dimostrato. E lo spiegano in modo chiarissimo: «Diremo a chiunque venga a farci del male sul nostro territorio: ci batteremo con le unghie e con i denti per la nostra patria. Kiev e l’Occidente hanno fatto un grosso sbaglio a risvegliarci. Noi siamo gente laboriosa. Mentre altri saltavano a Maidan per 300 grivne, la nostra gente era giù in miniera a estrarre carbone, a fondere metallo e a seminare le colture. Nessuno di noi ha avuto il tempo di saltare, eravamo impegnati a lavorare». Poi, quando li hanno presi a cannonate, si sono ribellati.«Quando un tizio che appena ieri lavorava con un martello pneumatico o guidava una mietitrebbia, oggi si trova alla guida di un carro armato o di un Grad, o a raccogliere un mitra, la linea è stata passata e non lo potete più fermare», dicono i militari dell’Est. «Quello che ha dovuto lasciare il proprio lavoro sa che combatterà fino alla fine e fino al suo ultimo respiro». E l’Occidente è pronto è combattere “fino all’ultimo respiro”? Certo non lo è la nuova Lady Pesc, Federica Mogherini, che si abbandona a dichiarazioni desolanti, del tipo: «Se non esiste più un partenariato strategico è per scelta di Mosca». Ovvero: nessuna autocritica ai piani alti dell’Ovest. «Ecco, Mogherini non è pronta», scrive Cabras. «Fa interamente sua tutta l’eredità della Nato e della Ue in questi anni di crisi internazionali, destabilizzazioni, aggressioni ed escalation: cioè un bilancio disastroso e criminale, dall’Iraq all’Afghanistan al dossier libico, alla Siria, e ora all’Ucraina».Il bilancio occidentale di questi anni? «Un caos funesto interamente imputabile alla lunga “guerra infinita” scatenata dalle capitali dell’atlantismo», subito dopo l’opaco super-attentato dell’11 Settembre. Lo stesso Cabras ricorda che, all’indomani della guerra-lampo nell’Ossezia del Sud attaccata dall’esercito georgiano armato da Bush e poi travolto dai russi, nel 2008 il “Times” ricordava le parole di Lord Salisbury, ministro degli esteri e primo ministro ai tempi dell’Impero Britannico», un uomo che «irradiò un potere globale immenso». Di fronte a proposte pericolose, in cui Londra minacciava seriamente altri paesi, Salisbury avrebbe guardato i suoi colleghi negli occhi, chiedendo semplicemente: «Siete davvero pronti a combattere? Altrimenti, non imbarcatevi in questa politica».Già: siete davvero pronti a combattere? «E’ la domanda giusta, quella che non vi hanno ancora fatto», osserva Cabras. «Nell’Europa politicamente desertificata dall’obbedienza alla Nato si continua ad agire come se la Russia fosse ancora oggi lo Stato esausto degli anni novanta, su cui si muoveva etilicamente Boris Eltsin e sul cui collo si stringeva il capestro del Fondo Monetario Internazionale. La situazione è completamente diversa, eppure si va lo stesso allo scontro. O si va proprio per questo, nel momento in cui i Brics picconano il Dollar Standard. E gli Usa non possono accettare un mondo multipolare in cui il dollaro non sia l’architrave». Allora, siamo pronti a combattere? La risposta la anticipano – a distanza – i comandanti militari dell’Est ucraino, che a questa guerra hanno già preso le misure. «Potete dirlo in giro: non svegliate la bestia», raccomandano. «Non fatelo, davvero. Finché c’è ancora la possibilità, lasciate che le madri risparmino i propri figli».Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.