Archivio del Tag ‘Daesh’
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Colonnello: reclutano kamikaze che hanno motivo di odiarci
«Il terrorismo negli ultimi 25 anni non ha fatto che aumentare. Avevamo 400 attentati all’anno nel 1999. Oggi siamo arrivati a quasi 15.000 e non ci siamo mai domandati la ragione di quest’incremento». Lo afferma il colonnello svizzero Jacques Baud, un esperto in sicurezza, autore del saggio “Terrorismo, menzogne politiche e strategie fatali dell’Occidente”. Al di là delle manipolazioni di potere che, di volta in volta configurano nuovi aspetti del “radicalismo” di matrice islamica, debitamente pilotato, sarebbe imperdonabile non tener conto del vasto e motivatissimo risentimento che in Medio Oriente si è accumulato contro l’egemonia imperiale occidentale. Un retroterra che rende facilissimo il reclutamento di giovani “radicalizzati”. Nell’ultimo quarto di secolo, gli interventi occidentali condotti in Medio Oriente erano privi di legittimità: «Ogni volta si è imbrogliato un po’», dice il colonnello Baud, intervistato da “Tv5 Monde”, citando la montatura delle “armi di distruzione di massa” attribuite a Saddam. «Ma in realtà, tutti gli altri conflitti che si sono susseguiti sono stati anche loro viziati da imbrogli e disinformazione».In verità, sostiene il colonnello nell’intervista (ripresa e tradotta da “Come Don Chisciotte”) non si sono affatto compresi i meccanismi che oggi conducono molti giovani emarginati, in Medio Oriente ma anche in Europa, a “radicalizzarsi”. «Si è parlato molto di “radicalismo”, della maniera nella quale la radicalizzazione si esercita, attraverso Internet o i social network. Ma si è assai poco riflettuto sulle ragioni, sulle motivazioni. E, quando si legge la bibliografia islamista – Daesh e non solo – si constata che la spiegazione, che è la stessa dalla fine degli anni Novanta, va ricercata nei nostri interventi in Medio Oriente». Secondo l’alto ufficiale elvetico, il terrorismo è (anche) «una maniera per suggerire ai nostri governi di smetterla di colpire, di bombardare e d’intervenire militarmente». Un paragone storico? Quello dei “bombardamenti strategici”, altamente terroristici, «che gli americani condussero contro la popolazione civile tedesca negli anni Quaranta per costringere la popolazione a ribellarsi ai suoi dirigenti. È un po’ ciò che accade oggi con lo Stato Islamico».Lo conferma un video-appello del cosiddetto Isis: “Dite ai vostri governi di smetterla di bombardarci”. Il video, dice Baud, cita l’esempio della Spagna, che – dopo gli attentati a Madrid dell’11 marzo 2004, alla vigilia delle elezioni – ritirò le proprie truppe dall’Iraq. Il fatto è che «è difficile, in Occidente, mettere in discussione le nostre politiche», ammette il colonnello, «in primis per ragioni ovvie: ci sono scadenze elettorali e, se si comincia a rimettere in discussione le scelte politiche, evidentemente si otterranno risultati che si rifletteranno nelle urne». In Europa, poi, «c’è una sorta di etnocentrismo che, in effetti, ci impedisce di riflettere in maniera critica su quanto facciamo, di vedere in maniera critica i risultati di quanto abbiamo fatto». Come ad esempio in Libia: abbiamo eliminato Gheddafi, che in ogni caso era il capo di un paese che nel 2010, «qualunque fosse la natura del regime», era, secondo le Nazioni Unite, «il paese africano con il più alto indice di sviluppo umano». Noi invece «abbiamo ridotto la Libia a un campo di battaglia per fazioni jihadiste senza fornire alcuna alternativa. Abbiamo bombardato, abbiamo distrutto e siamo ripartiti. Abbiamo fatto più o meno la stessa cosa in Iraq e in Afghanistan».Il nostro sistema politico mainstream «ha il vizio di far passare il jihadismo, o il terrorismo, come una fatalità», continua il colonnello. Abbiamo gestito male l’immigrazione, specie in paesi come Francia e Belgio? Senz’altro, «ma è comodo legare il terrorismo ai migranti». Il Mullah Omar, l’ex leader dei Talebani, considerava Bush «un regalo prezioso», capace cioè di rendere spaventosamente evidente l’abuso violento dell’Occidente contro gli islamici. Lo riteneva «il testimonial del nostro movimento nel mondo». E’ un aspetto che Jacques Baud aveva descritto nel libro precedente, “La guerra asimmetrica”: «La jihad è fondamentalmente una risposta. E questa risposta è alimentata dalle nostre azioni offensive». In altre parole: «A causa delle nostre azioni, alimentiamo costantemente la jihad, come conferma il Mullah Omar». Altra cosa è valutare quale disegno segreto vi sia a monte, ovviamente, da pare di chi – in Occidente – punta proprio sull’opzione-guerra per consolidare il proprio dominio. Ma è certo che, senza questa diffusa percezione di asimmetria e ingiustizia, una “creatura” come Abu Bakr Al-Baghdadi non sarebbe mai neanche potuta esistere.Complotti veri i solo complottismo? Il colonnello Baud resta prudente: non crede alla tesi fondamentale del cospirazionismo, secondo cui a dominare è «un’intelligenza superiore, nascosta, clandestina, che tira i fili dei complotti al fine di ottenere dei vantaggi strategici». E’ pià propenso a vedere «una serie di furbizie, di opportunismi politici a breve termine». Per esempio, l’11 Settembre. L’Fbi, dice l’ufficiale svizzero, sapeva perfettamente che Osama Bin Laden era estraneo all’attentato delle Torri Gemelle. Se l’ha trasformato in un caprio espiatorio era «per mostrare che, nonostante si fossero lasciati passare i terroristi, malgrado questi terroristi fossero passati attraverso le maglie della rete, si aveva comunque un’idea di chi l’avesse fatto». E questo, in una certa misura, «permetteva loro di salvare la faccia». Non mancano segnali in controtendenza, per fortuna: «Il Canada è un paese occidentale che ha deciso di fare un passo indietro». A febbraio, il nuovo premier Justin Trudeau ha dichiarato: «Le popolazioni terrorizzate dallo Stato Islamico non hanno bisogno della nostra vendetta, hanno bisogno del nostro aiuto». E ha deciso di ritirare il suo paese dalla coalizione che bombarda in Iraq e Siria. «Penso sia il risultato di un’analisi e ritengo che ci siano dei servizi di informazione che l’hanno guidato verso questa decisione», conclude Jacques Baud. «È una decisione saggia che dovrebbe farci riflettere».«Il terrorismo negli ultimi 25 anni non ha fatto che aumentare. Avevamo 400 attentati all’anno nel 1999. Oggi siamo arrivati a quasi 15.000 e non ci siamo mai domandati la ragione di quest’incremento». Lo afferma il colonnello svizzero Jacques Baud, un esperto in sicurezza, autore del saggio “Terrorismo, menzogne politiche e strategie fatali dell’Occidente”. Al di là delle manipolazioni di potere che, di volta in volta configurano nuovi aspetti del “radicalismo” di matrice islamica, debitamente pilotato, sarebbe imperdonabile non tener conto del vasto e motivatissimo risentimento che in Medio Oriente si è accumulato contro l’egemonia imperiale occidentale. Un retroterra che rende facilissimo il reclutamento di giovani “radicalizzati”. Nell’ultimo quarto di secolo, gli interventi occidentali condotti in Medio Oriente erano privi di legittimità: «Ogni volta si è imbrogliato un po’», dice il colonnello Baud, intervistato da “Tv5 Monde”, citando la montatura delle “armi di distruzione di massa” attribuite a Saddam. «Ma in realtà, tutti gli altri conflitti che si sono susseguiti sono stati anche loro viziati da imbrogli e disinformazione».
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False flag: usano terroristi per ucciderci sotto falsa bandiera
Da sempre il potere proclama dei valori, attraverso i quali si legittima, ma li nega con una parte delle sue azioni, con le quali si rafforza. È una questione che si ripropone nel corso del tempo. Niccolò Machiavelli affermava del Principe che «è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua». Parlava di un potere che all’occorrenza non esitava a mostrare senza maschera la sua faccia più crudele, e guai ai vinti. Nella variante moderna il potere vuol farsi amare dal popolo promettendo la democrazia, ossia il potere del popolo, ma usa ugualmente la paura come strumento di governo, solo che ha bisogno di attribuire ad altri l’intento di causarla, attraverso atti spesso eclatanti. Ecco dunque le “false flag”, aggressioni ricevute sotto falsa bandiera, attentati terroristici da addossare a nemici veri o inventati, contro i quali scatenare l’isteria dei propri media, che a sua volta trascina interi popoli. Le false flag aiutano il nucleo più interno del potere a conquistare sufficiente consenso per imporre la disciplina dettata dalla paura. Gli diventa più facile restringere le libertà, neutralizzare e disperdere il dissenso, pur esibendo ancora agli occhi dei popoli i simulacri delle vecchie costituzioni.Come diceva il maiale Napoleone nella “Fattoria degli animali” di Orwell: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». E oggi i governanti sembrano dirci: «Tutte le libertà sono in vigore, ma alcune sono meno vigenti delle altre». Il prezzo da pagare può essere altissimo. Il preavviso passa attraverso i secoli e ci viene da uno dei padri costituenti degli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza». Il libro che avete in mano ricostruisce una serie impressionante di vicende diverse, attribuibili a differenti Stati e legate a circostanze storiche non sempre connesse direttamente fra di loro, ma accomunate da un metodo che sembra essere uno strumento essenziale della moderna “arte di governo”. Enrica Perucchietti entra in dettaglio sui misteri e le scoperte che rivelano da un’altra prospettiva decine di incidenti militari, attentati, azioni terroristiche: di fronte a tanti gialli politici per i quali i governi forniscono su due piedi spiegazioni piatte, sprovviste di profondità, riduttive, banali, riferite a killer solitari e a gruppi isolati che non godrebbero di indecenti connivenze dentro gli apparati dello Stato fra chi potrebbe bloccarli, l’autrice del saggio fa invece affiorare indizi, prove, collegamenti clamorosi, fino a raccontare le storie che la censura di tipo moderno aveva eclissato in mezzo alla sua immensa produzione di notizie inutili.Perciò viene citato regolarmente il saggista statunitense Webster Tarpley, che ha coniato un concetto efficacissimo per descrivere questo sistema, ossia «terrorismo sintetico», che altro non è che «il mezzo con cui le oligarchie scatenano contro i popoli guerre segrete, che sarebbe impossibile fare apertamente. L’oligarchia, a sua volta, ha sempre lo stesso programma politico […] Il programma dell’oligarchia è di perpetuare l’oligarchia». In tante pagine il vostro sguardo potrà posarsi su un secolo intero di vicende storiche innescate o favorite dalle flase flag, fino a notare come queste diventino sempre più numerose. Episodi più lontani nel tempo, come l’affondamento del Lusitania, l’incendio del Reichstag, l’incidente del Tonchino, diventano – decennio dopo decennio – una prassi rodata e frequente, che si moltiplica nel corso degli ultimi 15 anni. E cosa ha inaugurato quest’ultimo periodo? Esattamente la più spettacolare e visionaria delle false flag, lo scenario apocalittico dell’11 settembre 2001. Quel che è venuto dopo – ossia la “guerra infinita”, la “guerra al terrorismo”, lo spionaggio totalitario coperto dal Patriot Act e altre leggi liberticide – una volta illuminato dalla luce terribile dell’11/9, si è avvalso di una sorta di “terapia di mantenimento” a base di attentati piccoli e grandi, perpetrati da gruppi di terroristi presso i quali sono sempre riconoscibili l’ombra e l’impronta dei servizi segreti.I servizi segreti sono il grande convitato di pietra, sempre più ingombrante eppure ancora sottovalutato nelle analisi politiche, storiche e giornalistiche. Anche se gli apparati di intelligence sono formalmente subordinati al potere politico ed esecutivo, hanno risorse enormi in grado di sfuggire ai deboli criteri di trasparenza che possono mettere in campo le eventuali commissioni parlamentari di controllo. Pertanto sono capaci di costruire reti di interessi che in tutta autonomia possono condizionare sia l’agenda politica sia l’agenda dei media. Settori interi di questi servizi giocano partite autosufficienti grazie a budget incontrollabili ed enormi, in grado di mettere in campo forze pervasive. All’interno di quello che certi politologi definiscono “lo Stato profondo” esistono settori ombra del governo, dotati di proprie catene di comando presso le forze armate, di budget non rendicontabili che uniscono risorse pubbliche e autofinanziamento in simbiosi con le attività criminali delle mafie, provvisti di idee proprie in merito al modo di intendere l’interesse nazionale, portati a costruire ogni tipo di rapporto con gruppi terroristici che poi manovrano con “leve lunghe” e irriconoscibili.Le attività sono organizzate e adempiute mascherando ogni responsabilità riconducibile ai governi, tanto che immense risorse sono spese per depistare e neutralizzare le eventuali scoperte con il noto principio della «plausible deniability», ossia la smentita plausibile. Ove rimanesse ancora una notizia impossibile da smentire, la si potrà disinnescare grazie all’immenso arbitrio in mano ai dirigenti dei media più importanti, che hanno mille intrecci con il mondo dei servizi. Il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, che ha a lungo lavorato per la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, uno dei principali quotidiani tedeschi, ha scritto un saggio bestseller, “Gekaufte Journalisten” (giornalisti venduti), in cui rivela che per molti anni la Cia lo aveva pagato per manipolare le notizie, e che questa è la consuetudine ancora attuale nei media germanici. Tutto fa pensare che la consuetudine sia identica anche altrove. Di certo non leggerete su “La Repubblica” una recensione sul libro di Ulfkotte, mentre leggerete le geremiadi dei suoi editorialisti su dove andremo a finire con questi complottisti, signora mia…Come spiegarsi altrimenti il silenzio che circonda certe notizie, che vengono pur date per salvarsi la coscienza, ma non hanno un prosieguo, una campagna di inchieste, nessun impegno? Eppure perfino Human Rights Watch (Hrw) ha denunciato: «L’agenzia Fbi pagava dei musulmani per compiere attentati». Secondo un’indagine su 27 processi e 215 interviste, l’agenzia di intelligence interna americana «ha creato dei terroristi sollecitando i loro obiettivi ad agire e compiere atti di terrorismo». Notare bene: “creato dei terroristi”. In che modo? «In molti casi il governo, usando i suoi informatori, ha sviluppato falsi complotti terroristici, persuadendo e in alcuni casi facendo pressione su individui, per farli partecipare e fornire risorse per attentati», scrive Hrw. Per l’organizzazione, metà dei casi esaminati fa parte di operazioni portate avanti con l’inganno e nel 30% dei casi un agente sotto copertura ha giocato un ruolo attivo nel complotto. «Agli americani è stato detto che il loro governo veglia sulla loro sicurezza prevenendo e perseguendo il terrorismo all’interno degli Stati Uniti», ha detto Andrea Prasow, vice direttore di Hrw a Washington. «Ma se si osserva da vicino si scopre che molte di queste persone non avrebbero mai commesso crimini se non fossero state incoraggiate da agenti federali, a volte anche pagate». La notizia, se non la vogliamo ignorare, è semplice e terribile: gran parte degli attentati terroristici sul suolo Usa sono indotti dalla stessa organizzazione che li dovrebbe combattere, cioè l’Fbi.Gli organi di informazione che hanno lasciato appesa al nulla questa notizia impressionante, sono gli stessi che per anni – ad ogni attentato avvenuto o sventato – avevano ripetuto i comunicati dell’Fbi senza chiedere spiegazioni. Queste veline diventavano titoli urlati in prima pagina, notizie di apertura dei telegiornali. Quando la verità emerge, spesso molti anni dopo, non gode certo degli stessi spazi, rimanendo confinata in qualche insignificante pagina interna, in taglio basso. Chi aveva voluto raggiungere un certo effetto con i titoli cubitali, lo aveva già ottenuto. Resta viceversa la prima impressione dell’allarme, quando l’annuncio strillato e falso si deposita nella coscienza di lettori e spettatori. Ed è per responsabilità di questa informazione – che si è curata solo di aizzare (quando gli è stato comandato), o di “sopire e troncare” (quando era comodo) – che ogni giorno ci è stato depredato un pezzo di libertà, di sovranità, e infine imposto lo spionaggio totalitario della Nsa, l’agenzia che perfino di ciascun lettore di questo libro, in nome della sicurezza, possiede tutte le tracce delle sue comunicazioni, tutte le e-mail, i suoi orientamenti, i segreti personali. Ed è naturalmente in grado di ricattare ogni politico-maggiordomo occidentale, esposto al tempismo di qualche scandalo che lo potrebbe colpire e affondare se dovesse ribellarsi ai padroni dei segreti.Enrica Perucchietti ricompone un vasto mosaico di “false flag” che nell’insieme disegnano un allarme sicurezza permanente che ha fatto da base giuridica e premessa politica delle guerre di aggressione intraprese dal 2001 in poi, nonché delle leggi che hanno consentito lo spionaggio di massa indiscriminato oltre ad aver reintrodotto gli arresti extralegali assieme alla tortura. In questo quadro emerge chiaramente che il terrorismo sintetico è un’interminabile catena di azioni in cui gli attori hanno sempre il fiato sul collo dell’intelligence, che li manipola per i propri fini. Quel che nel senso comune si chiama terrorismo è in prevalenza una forma di manipolazione di massa, coperta da entità statali e usata con l’accordo dei pochi proprietari della quasi totalità dei media mainstream, i quali sono adibiti a organizzare a comando gli isterismi collettivi e a rinfrescare la paura, ricordando certe vittime innocenti e dimenticandone altre.Nel saggio si sottolinea ad esempio come ci sia una notevole compartecipazione tra servizi segreti e gruppi islamisti, compresa l’Isis/Daesh. Enrica Perucchietti pone la domanda che nella maggior parte dei nostri media è tabù: «Spuntando dal nulla nel giro di pochi mesi, l’Isis si è assicurata un gran numero di risorse, armi, attrezzature multimediali high-tech e specialisti in propaganda. Da dove provengono i soldi e le tecniche di guerriglia?». L’Isis, cioè lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Siria), è uno stato-non-stato che nel costituire per definizione un’entità terrorista si prende il “diritto” di non attenersi ad alcuna legalità, come se fossero i corsari dei giorni nostri. Nell’epoca dei paradossi, gli Usa – con buone ragioni – definiscono l’Isis e altre organizzazioni della galassia jihadista come “organizzazioni terroriste”; ma quando sentiamo vecchi astri della politica imperiale statunitense come Zbigniew Brzezinski e John McCain definire i jihadisti come «i nostri asset», sembra quasi che definirli terroristi implichi proprio il diritto-dovere di essere terroristi. Catalogarli così somiglia quasi a una “lettera di corsa” da parte della superpotenza nordamericana, simile a quelle autorizzazioni con cui le potenze di un tempo abilitavano i corsari ad attaccare e razziare navi di altre potenze.Mentre i soldati “normali” sarebbero in una certa misura esposti al dovere di rispettare le Convenzioni di Ginevra e altri elementi del diritto internazionale, i terroristi/corsari, viceversa, costituiscono una legione che infrange questi limiti nascondendo la catena delle responsabilità. Quelli dell’Isis condividono valori oscurantisti e l’uso delle decapitazioni con la dinastia saudita che li appoggia e foraggia. Ma siccome l’Arabia Saudita è «un’Isis che ce l’ha fatta», come dice il “New York Times”: il ruolo della canaglia rimane comodamente attaccato solo alla manovalanza di assassini che si rifà al jihadismo, senza estendersi ai mandanti occulti. Ma poi è arrivato l’intervento in Siria dell’aeronautica russa. Gli aerei di Mosca hanno distrutto quasi tutte le migliaia di autobotti con cui il petrolio razziato dai nuovi corsari veniva smerciato in un paese Nato, la Turchia, proprio con il consenso di Ankara (altro grande sponsor dell’Isis). La mossa strategica di Mosca ha perciò aperto una nuova fase che spinge molti paesi a porsi un semplice problema: che rapporto devo avere adesso con la Russia di Vladimir Putin, ora che i miei alibi sono stati bruciati? Non è un caso che dopo l’intervento russo gli attentati jihadisti, con tutto il loro tipico fumo di false flag, si stiano intensificando drammaticamente, aumentando la pressione e il ricatto sui sistemi politici di mezzo mondo e mostrandosi come una presenza ormai permanente della scacchiera internazionale. Una scacchiera che possono demolire.Sarebbe il momento giusto per fare chiarezza, ma le istituzioni si chiudono a riccio, come nel caso dell’inchiesta sulla strage di Charlie Hebdo: mentre emergevano particolari inquietanti su quell’attentato e i suoi torbidi contorni, il ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha deciso che l’inchiesta doveva essere subito insabbiata. Perché? “Segreto militare”. Il che implica – come il lettore vedrà poi in dettaglio in questo saggio – che l’evento terroristico, ancora una volta, andava oltre l’attentato “islamico”, perché erano coinvolti organi di Stato che agivano da complici, se non da pianificatori dell’atto, corresponsabili quindi di un delitto che sacrificava propri cittadini. Le nuove norme eccezionali approvate in Francia si presentano come l’annuncio di una tendenza generale, e già ci sono le avvisaglie del fatto che queste norme saranno usate per restringere le libertà e i diritti, ad esempio di lavoratori o cittadini che manifestino per rivendicare migliori condizioni di vita.Gran parte degli intellettuali – freschi reduci di un’indigestione retorica di “Je suis Charlie” – non leva una sola voce contro le restrizioni della libertà, nemmeno quando toccano in modo massiccio un paese Nato come la Turchia, che ha praticamente schiacciato un’intera generazione di giornalisti che osavano indagare sulle complicità del governo con il terrorismo. Per colmo, accusandoli di terrorismo. Occorre un risveglio intellettuale e morale che accompagni un rinnovamento politico, occorre spostare il pendolo del potere dalle istituzioni modellate dall’«eccezione» e dalla paura verso le istituzioni ispirate alla sovranità popolare e alla corretta informazione. Smascherare il sistema fondato sulle false flag non è una condizione sufficiente per questo risveglio (che ha bisogno anche di coraggio e partecipazione di massa). Ma rivelare ai molti cittadini obnubilati dalla bolla mediatica dominante la verità sugli inganni che hanno subito è una condizione necessaria per difendere e ampliare le proprie libertà. Questo è un buon punto di partenza.(Pino Cabras, prefazione al libro “False flag. Sotto falsa bandiera”, di Enrica Perucchietti, pubblicata sul blog di Cabras. Il libro: Enrica Perucchietti, “False flag. Sotto falsa bandiera”, Arianna Editrice, 256 pagine, euro 12,50).Da sempre il potere proclama dei valori, attraverso i quali si legittima, ma li nega con una parte delle sue azioni, con le quali si rafforza. È una questione che si ripropone nel corso del tempo. Niccolò Machiavelli affermava del Principe che «è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua». Parlava di un potere che all’occorrenza non esitava a mostrare senza maschera la sua faccia più crudele, e guai ai vinti. Nella variante moderna il potere vuol farsi amare dal popolo promettendo la democrazia, ossia il potere del popolo, ma usa ugualmente la paura come strumento di governo, solo che ha bisogno di attribuire ad altri l’intento di causarla, attraverso atti spesso eclatanti. Ecco dunque le “false flag”, aggressioni ricevute sotto falsa bandiera, attentati terroristici da addossare a nemici veri o inventati, contro i quali scatenare l’isteria dei propri media, che a sua volta trascina interi popoli. Le false flag aiutano il nucleo più interno del potere a conquistare sufficiente consenso per imporre la disciplina dettata dalla paura. Gli diventa più facile restringere le libertà, neutralizzare e disperdere il dissenso, pur esibendo ancora agli occhi dei popoli i simulacri delle vecchie costituzioni.
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Da Regeni all’Airbus: demolire l’Egitto che si oppone all’Isis
Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.Con l’abbattimento dell’aereo russo s’è già persa una bella quota di quel 20%, continua Grimaldi sul blog “Mondo Cane”. «Extra bonus, uomo avvisato mezzo salvato, con riferimento a Putin e Al Sisi che al Cairo avevano firmato ampi accordi commerciali, militari e di investimenti». Della “bomba a grappolo Regeni”, «tutti si ostinano a ignorare il torbido romanzo di formazione negli Usa dell’intelligence e l’approdo alla società di spionaggio Oxford Analytica, diretta da tre specialisti del terrorismo su vasta scala: Mc Coll, già capo dei servizi britannici, David Young, ex-galeotto per il complotto Watergate e John Negroponte, sterminatore di civili in Centroamerica e Iraq con i suoi squadroni della morte. Le ricadute dell’ordigno umano sono state un’altra fetta di turismo andata e, soprattutto, un gigantesco business Italia-Eni-Egitto, attorno al più grande giacimento di gas del Mediterraneo, messo a repentaglio, forse definitivamente».Addio gas all’Italia e alla Francia. «Diversamente dall’orrido Tap (Trans Adriatic Pipeline) imposto da Shell, Obama e Renzi, che devasterà le coste del Salento e degraderà la Puglia in hub energetico europeo, ma che parte dall’amerikano e filo-Erdogan Azerbaijan (ultimamente meritevole anche per l’aggressione al filo-russo Nagorno), quel gas egiziano, insieme all’altro arabo dall’Algeria, pure malvisto, ci avrebbe dato un sacco di soddisfazioni energetiche senza deturpare nulla, ma anche senza mano Usa sul rubinetto». Sicché, «dopo aver spento la musica al valzer Egitto-Italia, era arrivato in sala da ballo il castigamatti dell’Africa francofona, il restauratore della mai dimenticata FranceAfrique in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, Rca e giù giù fino al Gabon e oltre. Ma se al clown da circo dell’orrore, Hollande, il diversivo neocolonialista dai disastri nella metropoli poteva essere consentito nella FranceAfrique (dopottutto si muoveva anche nel nome della Nato), il suo precipitarsi in Egitto a concordare con Al Sisi la sostituzione del partner francese a quello italiano costituiva invasione di campo».Intollerabile, l’attivismo francese in Egitto, per gli anglosassoni, «inventori e poi padrini dei Fratelli Musulmani e dei loro apprendisti stregoni Daish». Quanto al Cairo, il problema si chiama Abdel Fatah Al Sisi, il generale che sfrattò Mohamed Morsi su richiesta di 33 milioni di egiziani, dopo la rivoluzione del 2011 che aveva insediato i Fratelli Musulmani. Una rivolta «infiltrata e manipolata dai soliti esperti di “regime change” statunitensi perchè fingesse un superamento della dittatura di Mubaraq attraverso un regime di musulmani “moderati”». Alle presidenziali votò il 35% degli aventi diritto e solo il 17% si espresse per Morsi. «Vibranti furono le congratulazioni di Washington. L’intera amministrazione dello Stato fu occupata dai Fm. Gli assassini del presidente Sadat furono ricevuti da Morsi e messi a capo del Consiglio dei Diritti Umani. L’autore del famoso massacro di Luxor fu nominato governatore di quella provincia. Seguirono gli arresti degli oppositori laici di Mubaraq e i pogrom anticristiani. Tutte le maggiori imprese dello Stato vennero privatizzate e fu annunciata la possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, una specie di Vaticano dei Fm, sponsor dell’Isis».Morsi, continua Grimaldi, inviò una delegazione ufficiale dal capo dell’Isis, Al Baghdadi, e ordinò alle forze armate di essere pronte ad attaccare la Siria, cosa che suscitò vivissime reazioni contrarie tra i militari. Morsi rimediò inviando “volontari” a supporto dei jihadisti. Questi e altri provvedimenti innescarono quella che sarebbe stata la più grande manifestazione di massa contro un presidente egiziano. I Fratelli Musulmani reagirono con le armi e per un mese si succedettero scontri sanguinosi. Il Qatar e la Turchia di Erdogan furono i primi a denunciare il “colpo di Stato”. La guerra civile fu evitata grazie alle elezioni, boicottate dagli islamisti, e in cui Al Sisi riportò il 96% dei voti. «Da quel momento inizia la campagna degli attentati terroristici. I media occidentali parlano di arresti e condanne di oppositori. Quasi sempre si tratta di Fm responsabili degli attentati con centinaia di vittime».Chi è Abdel Fatah Al Sisi? A dispetto del terrorismo islamista, con Al Sisi l’Egitto conosce una certa pace sociale: vengono liberati prigionieri politici e ricostruite le chiese copte bruciate. Ma l’economia è a pezzi, l’ostilità dell’Occidente e del Qatar provoca isolamento. «Tanto più che il Cairo si propone come autorevole mediatore nel conflitto libico e come forza effettivamente capace di debellare, con il legittimo governo di Tobruk (che aveva vinto le elezioni ed era aperto ai gheddafiani) e il generale Haftar, i mercenari Isis spediti dalla Turchia, beneaccetti dai Fratelli di Tripoli e dai tagliatori di teste di Misurata e finanziati dal Qatar. Solito pretesto per l’intervento Nato». E non è tutto: «Con l’aiuto della Cina, imperdonabile, l’Egitto raddoppia la capacità del Canale di Suez e quindi le entrare che ne derivano. Dovrebbe essere un segmento cruciale della nuova temutissima Via della Seta e dell’interscambio tra Africa e Cina. Nell’estate del 2015 l’Eni rivela la scoperta dell’enorme giacimento di gas e di altri idrocarburi nell’area marina di Zohr, che permetterebbe al Cairo di ricavarne l’equivalente di 5,5 miliardi di barili di petrolio.Anche per questo, contemporaneamente, dilaga il terrorismo dei Fratelli Musulmani: vengono uccisi il procuratore generale della Repubblica e altri alti funzionari e magistrati. Ne segue un’ondata di arresti che fa gridare in Occidente alla brutale repressione del nuovo Pinochet. Mohammed Hassanein Heikal, il più brillante e cosmopolita giornalista egiziano, già portavoce di Nasser e direttore del primo quotidiano egiziano, “Al Ahram”, sollecita Al Sisi a denunciare la macelleria saudita nello Yemen (e difatti le truppe egiziane verranno ritirate), di sostenere la resistenza del presidente siriano Assad e di cercare un riavvicinamento con l’Iran. «A 87 anni, Heikal, che anni fa avevo intervistato per il “Nouvel Observateur” scoprendovi uno dei più colti e appassionati intellettuali arabi incontrati in mezzo secolo, muore», racconta Grimaldi, «prima che Al Sisi possa portare avanti quel discorso».Nella notte dall’11 al 12 aprile, si viene a sapere che l’Egitto ha ceduto due isolotti nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nelle stesse ore re Salman è al Cairo e annuncia investimenti per 25 miliardi di dollari. Sulle due isole, Tiran e Sanafir, si dovrebbe posare il grande ponte che, nei progetti sauditi ed egiziani, unirebbe le due coste del Golfo di Aqaba. Intanto gli Usa offrono rinnovate forniture d’armi. «Se non si riesce a far tornare Morsi, meglio provare a non lasciare campo aperto a russi, italiani, francesi, cinesi». La cessione delle isole provoca una serie di manifestazioni di protesta dei nazionalisti egiziani che si chiedono dove Al Sisi stia andando, tra Russia, Cina, Usa, Libia e Arabia Saudita. «La risposta sta nelle condizioni economiche in cui l’Egitto è stato ridotto da una guerra economica, terroristica e mediatica, partita appena il nuovo presidente è arrivato al potere e si è dichiarato ispirato da Nasser. La sua pare la mossa della disperazione prima che la società egiziana precipiti nel baratro e della nazione araba non rimangano che brandelli, spettri alitanti tra le rovine di Aleppo, nella polvere dell’ultima bomba Isis a Baghdad, tra le immagini di Gheddafi sepolte in cassetti segreti di case che non dimenticano».E mentre gli altri megafoni della demonizzazione dell’Egitto e del suo “Pinochet” si stavano acquietando, anche di fronte all’evidenza del carattere “schiumogeno” che le accuse contro gli inquirenti sul caso Regeni stavano rivelando, insieme alla «ambigua identità del giovanotto, rilevata da molta stampa estera», il “Manifesto” «accentuava il suo bombardamento di contumelie, congetture, illazioni, accuse senza fondamento», denuncia Grimaldi. «Personaggi da assegnare alle categorie degli utili idioti o degli amici del giaguaro, a seconda della percezione di ognuno, tra i quali un magistrato disertore e fallito politico come Ingroia, il compare di Sofri Manconi, vari dirittoumanisti di complemento, cantanti, nani e ballerine, invocavano sull’Egitto di Al Sisi i fulmini di Giove, Marte, Saturno, Urano, Diopadre, sanzioni, embargo, interventi Onu, magari, sotto sotto, bombe alla libica. Neanche uno di questa compagnia di giro cripto-Nato che si fosse chiesto cosa cazzo ci facesse Regeni con criminali come Young, Negroponte e McColl», conclude Grimaldi. «Non è solo malafede. E’ complicità con chi usa altri mezzi per distruggere l’Egitto. Complicità, in ogni caso, con chi è comunque peggio di Al Sisi».Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.
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Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
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Giannuli: contro l’Isis, in televisione un catalogo di fesserie
Dal paragone (delirante) con le Br e il terrorismo interno degli anni di piombo alle proposte surreali per garantire la sicurezza degli italiani: da Aldo Giannuli, un catalogo delle più incredibili stupidaggini ascoltate in televisione. In questi giorni mi è capitato di partecipare a varie trasmissioni televisive sul tema Isis (ed altre ne ho viste senza parteciparvi) e, pertanto, mi è capitato di sentirne di tutti i colori, da parte di autorevoli esponenti istituzionali e pretesi esperti che hanno dato fondo a tutte le loro risorse intellettuali per fornirci un bestiario di rara ricchezza. Sarebbe un peccato disperdere tali perle di saggezza, per cui ho curato questo primo breve catalogo. I nomi degli autori li lascio perdere per una forma di caritatevole amnesia, metto fra parentesi solo data e rete in cui fu pronunciato il memorabile detto (se poi qualcuno si riconoscesse, mi dia pure querela e non avrò difficoltà a dire a chi mi riferisco in queste righe). Si badi che questo florilegio è stato composto sulla base di sole 3 trasmissioni.1 – L’isis è come le Brigate Rosse e i nostri servizi hanno una grande esperienza in materia (Rai, 23 marzo). Le Brigate Rosse furono un episodio di terrorismo interno, la cui consistenza non superò mai il migliaio di persone nello stesso tempo, quasi esclusivamente di nazionalità italiana; causarono circa un centinaio di morti, non ricorsero mai ad attentati con esplosivo e non fecero mai stragi indiscriminate; non hanno mai fatto attentati suicidi, non ebbero mai un territorio su cui esercitare una sovranità di fatto; ebbero una limitatissima conoscenza dei meccanismi della guerra psicologica; si finanziarono essenzialmente con rapine e sequestri di persona, non fecero mai operazioni finanziarie ed ebbero un bilancio complessivo probabilmente inferiore ai 2 miliardi di lire del tempo, equivalenti a meno di 20 milioni di dollari attuali; ebbero una caratterizzazione ideologica marxista.L’Isis è una organizzazione che ha compiuto attentati e, dunque, ha una rete organizzata in non meno di 13 paesi, ha circa 60.000 combattenti organizzati nel solo territorio del Califfato e almeno altri 20.000 considerando Nigeria, Libia, rete europea ecc; da circa 2 anni ha un territorio su cui esercita un potere statale per una superficie superiore a quella di qualche stato europeo, più cento morti li ha fatti in una sola azione a Parigi (13 novembre), agisce essenzialmente tramite stragi indiscriminate spesso con esplosivo usato in azioni suicide; si finanzia con traffici di petrolio e reperti archeologici, oltre che con rapine e sequestri, riscuotono tasse e, soprattutto, fanno speculazioni finanziarie, per un bilancio complessivo superiore ai 500 milioni di dollari; dimostra una grande capacità comunicativa e conoscenza dei meccanismi della guerra psicologica; ha una ideologia islamista. In cosa si somigliano?2 – I terroristi fanno sempre le stesse cose (Rai 23 marzo). Il che è una banalità o è un’affermazione radicalmente sbagliata. Ovviamente esiste una tipologia di comportamento che noi etichettiamo sotto il nome di terrorismo, la cui essenza è che c’è un soggetto non sovrano, che quindi non ha un territorio e, pertanto non dispone, normalmente, di armi pesanti, che sfida un soggetto sovrano, opponendo l’arma della clandestinità allo strapotere militare dell’avversario. In questo, dai terroristi macedoni dei primi del Novecento alle Br, dall’Ira ad Al-Qaeda. Ma, detto questo, poi il terrorismo (ma sarebbe meglio dire la guerra irregolare) è il regno della fantasia dove le forme di lotta sono le più disparate e variamente combinate. In particolare l’Isis presenta caratteri di assoluta originalità come il suo carattere “anfibio” (di cui dico meglio nel libro) fra semi stato sovrano e organismo occulto. Appiattire tutto sul dejavu è l’esatto contrario di quanto l’analista dovrebbe fare, e preclude la comprensione del nemico che occorre battere. Solo un dilettante può fare una affermazione del genere.3 – L’Isis è come la Germania nazista (Canale 5, 22 marzo). Anche qui la foga spinge a dire sciocchezze. Qui non si tratta di stabilire la gerarchia di chi è più cattivo, ma capire le caratteristiche proprie del soggetto che si vuol combattere. Le differenze ideologiche, politiche, organizzative, di status, ecc, fra Isis e Germania nazista sono tali che non è neppure il caso di elencarle, anche se entrambe hanno caratteri che possiamo sommariamente definire “totalitarie”. Il punto è che il messaggio sottinteso di questa pseudo-analogia è che occorre non ripetere gli errori fatti con la Germania nazista, ad esempio con l’accordo di Monaco del 1938 e quindi sollecitare l’intervento di terra contro l’Isis. Che il Califfato vada tolto di mezzo è fuori discussione, e che questo passi per uno scontro anche di terra è anche evidente, ma questo non significa che tocchi ad europei ed americani farlo. La situazione politico-militare è ben più complessa e richiede una manovra molto articolata.4 – L’Isis è diversa dalle Br perché quelle, pur se in modo bizzarro, avevano una loro razionalità, mentre nel caso dell’Isis prevalgono forti elementi di irrazionalismo (Rai, 23 marzo). Qui almeno ci si accorge che Br ed Isis sono cose diverse, ma solo per ripescare uno dei luoghi comuni più triti ed inservibili: il terrorista come pazzo e, perciò stesso, imprevedibile ed incomprensibile. Mettiamoci in testa che i capi dell’Isis non sono affatto irrazionali, anzi sono estremamente razionali, anche se feroci. La ragione non preserva dalla ferocia. Il guaio è che questo pregiudizio ci impedisce di capire la logica con cui Daesh si muove.5 – E’ giusto far presidiare stazioni ed aeroporti in forze ed in divisa perché la gente deve sentirsi rassicurata (Rai, 23 marzo). Qui uno sprazzo di verità. Mi spiego meglio: presidiare in divisa e con mitra in bella mostra non solo ridice l’efficacia della tutela (perché il terrorista lo vede che il posto è presidiato e studia come agire o scansare quell’obiettivo) ma, indirettamente, indica al terrorista gli obiettivi non protetti. Una legge di comportamento dice che il terrorista colpisce l’obiettivo che gli hai lasciato e, siccome è impossibile tutelare tutto, questo induce ad un attentato in zona non protetta. Al contrario, la forma anonima della protezione metterebbe il terrorista nella condizione di non sarebbe né se un posto e protetto né con quali forze e dispositivi. Ma, questo è il punto, all’autorità politica non interessa tanto che i cittadini siano effettivamente tutelati ma che pensino di esserlo. Certamente questo è molto più redditizio elettoralmente. Congratulazioni.6 – E’ corretto chiudere i siti jhiadisti per evitare che l’Isis possa fare reclutamento (Canale 5, 22 marzo, Rai, 22 marzo e 24 marzo). In verità la censura in qualsiasi forma e verso una propaganda comunque esercitata ha sempre avuto effetti minimi sul reclutamento dei gruppi terroristi; se fosse così facile ostacolare il reclutamento, non si capirebbe perché i terrorismi spesso riescono a durare anche un decennio. Al contrario, tenere aperti i siti servirebbe a ricavare informazioni sui contenuti, sulla cultura politica, sulle eventuali divisioni, sui flussi informativi, ecc, e consentirebbe anche un’azione di contrasto sullo stesso terreno. Morale: nell’ultimo anno, gruppi in genere siglati come “Anonimous” hanno identificato ed oscurato circa 5.000 siti jhiadisti. Oggi i siti ci sono e più numerosi di prima: che sia una fatica inutile?!7 – I siti jhiadisti vanno resi accessibili solo agli studiosi ed alle forze di polizia (Rai 22 marzo). Questa è la trovata più geniale: oscuriamo i siti per tutti, ma lasciamoli accessibili solo a “polizia e studiosi” che così possono studiarne i contenuti. Bellissimo! Solo che, al di là dei problemi tecnici, gli jihadisti si accorgerebbero in un attimo che il loro sito non è raggiungibile, per cui, a meno di pensare che lavorino volontariamente per polizia e “studiosi”, non si capisce perché dovrebbero continuare a scriverci su. Vorrei chiedere al fine intellettuale che ha fatto la proposta: “Ma fai spesso di queste pensate?”. Nella mia città di origine si dice: “La testa non serve a divider le orecchie”. Questa è la raccolta di sole tre trasmissioni, fatevi un po’ i conti. Vi pare realistico battere l’Isis con questi “esperti” e questi politici?(Aldo Giannuli, “Isis, catalogo delle fesserie in libertà”, dal blog di Giannuli del 24 marzo 2016).Dal paragone (delirante) con le Br e il terrorismo interno degli anni di piombo alle proposte surreali per garantire la sicurezza degli italiani: da Aldo Giannuli, un catalogo delle più incredibili stupidaggini ascoltate in televisione. In questi giorni mi è capitato di partecipare a varie trasmissioni televisive sul tema Isis (ed altre ne ho viste senza parteciparvi) e, pertanto, mi è capitato di sentirne di tutti i colori, da parte di autorevoli esponenti istituzionali e pretesi esperti che hanno dato fondo a tutte le loro risorse intellettuali per fornirci un bestiario di rara ricchezza. Sarebbe un peccato disperdere tali perle di saggezza, per cui ho curato questo primo breve catalogo. I nomi degli autori li lascio perdere per una forma di caritatevole amnesia, metto fra parentesi solo data e rete in cui fu pronunciato il memorabile detto (se poi qualcuno si riconoscesse, mi dia pure querela e non avrò difficoltà a dire a chi mi riferisco in queste righe). Si badi che questo florilegio è stato composto sulla base di sole 3 trasmissioni.
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Da Draghi carta straccia, conti azzerati solo con una guerra
Come si sa, Mario Draghi ha scelto la strada del rimedio estremo: prestiti a interessi zero in rate da 80 miliardi al mese, nella speranza di riattivare il ciclo consumi-profitti-investimenti-occupazione. Ma possiamo già dire con tranquillità che così non sarà, salvo un breve momento di miglioria passeggera. E non sarà così perché i signori banchieri (e finanzieri in generale) continueranno ad investire il denaro in altri impieghi finanziari, concedendo i crediti per aziende e famiglie con il contagocce e comunque con interessi esosi. E questo per la semplice ragione che nelle attuali condizioni dei “mercati” finanziari (se è lecito chiamare “mercati” le bische). Il denaro tende a non uscire dal gioco finanziario: la Banca X acquista denaro a bassissimo interesse dalla Bce, (poniamo lo 0,25% e, adesso, a costo zero) e lo re-investe per acquistare titoli della finanziaria Y al 2,75% mettendosi in tasca la differenza, la finanziaria Y usa il denaro così ottenuto per comprare oro nella previsione di un suo aumento dalla società Z che a sua volta compera titoli di Sto giapponesi perché pensa che l’oro non salirà ed è più vantaggioso investire nel debito di Tokyo. E così all’infinito.Il segnale è l’assenza di inflazione in presenza di immissione di liquidità: una sindrome economica già studiata e si chiama “momento Minsky” dal nome dell’economista che la analizzò formulandole la legge sottostante. Nel tempo della globalizzazione neoliberista il denaro tende stabilmente a non uscire dai circuiti finanziari, con la conseguenza che le immissioni di liquidità non fanno che gonfiare la bolla credito-debito attraverso il meccanismo degli interessi. Ma con una deadline: i crack a catena dei più deboli quando risulti loro impossibile pagare gli interessi, perché la loro esposizione scoraggi anche l’ investitore più spericolato a rifinanziare il debito in scadenza. Quello che non va è il sistema, in permanenza del quale la crisi si cronicizza. Non c’è una via di uscita? Non è esatto, se il sistema permane e con esso la crisi, una via di uscita c’è: una guerra generalizzata. La guerra è un grande consumo di risorse a fondo perduto ed impone una ricostruzione che risucchia risorse finanziarie.Che poi il conflitto debba avvenire in forme classiche e come conflitto generalizzato fra grandi potenze, con uso o meno di armi nucleari a bassa intensità, o, piuttosto, attraverso un a generalizzazione dei punti di crisi fra piccole e medie potenze o di guerriglie o guerre “anfibie” o forme di guerra coperta (come nel caso di Daesh), questo è altro discorso da esaminare in apposita occasione (e lo faremo). Quel che conta è che la permanenza dell’iper-capitalismo finanziario è orientato in questa direzione. Ora Draghi riuscirà a tappare la falla per un po’ ed a guadagnare una manciata di mesi, forse addirittura un paio di anni (dopo i quali, peraltro, sulla sua poltrona ci sarà altro banchiere), ma quando la scadenza si ripresenterà avremo finito le munizioni. Infatti, dopo una bordata del genere ed a interessi zero c’è solo il passaggio agli interessi negativi, ma, anche questo non correggerebbe i comportamenti. E di fronte a tutto questo c’è una protesta popolare sacro santa ma che non trova altro sbocco che l’impotente scelta populista. Chi manca all’appello è la sinistra, una vera sinistra che non sia quella di nome dei lacchè socialdemocratici o dai retori parolai della sinistra alla Tsipras, alla Vendola o Ferrero. Non è un gran rimedio dirlo, ma almeno rendiamocene conto.(Aldo Giannuli, “Interessi azzerati, la bordata della Bce di Mario Draghi”, dal blog di Giannuli del 18 marzo 2016).Una bella guerra mondiale, frontale, a suon di testate nucleari, oppure differita, a rate, in più scenari, come quella già in corso, con epicentro il Medio Oriente. Secondo Aldo Giannuli, è l’unica via d’uscita “tecnica” alla cosiddetta crisi della finanza pubblica, quella degli Stati con i conti in rosso, dopo che hanno permesso alla finanza internazionale di speculare sui debiti pubblici, un tempo “sovrani”. Come si sa, Mario Draghi ha scelto la strada del rimedio estremo: prestiti a interessi zero in rate da 80 miliardi al mese, nella speranza di riattivare il ciclo fatto di consumi, profitti, investimenti e occupazione. Ma sarà solo una breve tregua passeggera, «perché i signori banchieri (e finanzieri in generale) continueranno ad investire il denaro in altri impieghi finanziari, concedendo i crediti per aziende e famiglie con il contagocce e comunque con interessi esosi. E questo – sostiene Giannuli – per la semplice ragione che nelle attuali condizioni dei “mercati” finanziari (se è lecito chiamare “mercati” le bische) il denaro tende a non uscire dal gioco finanziario», impedendo così all’economia reale di riprendersi.
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Bombe a Bruxelles, ma noi italiani non possiamo più cascarci
Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?Queste bombe sono la prosecuzione di quelle di Parigi del 2015: Charlie Hebdo e il Bataclan. Di Ankara, contro i turisti tedeschi. Sono la prosecuzione della messinscena di Colonia. Sono lo strascico del fiume di profughi. Andiamo con ordine: sono contro di noi. Contro “i popoli d’Europa”. Per ridurre le loro libertà residue e le loro capacità di risposta ai soprusi dei poteri. Infatti il primo risultato, scontato, sarà la sospensione di tutte le garanzie democratiche. È già in corso in Francia, ora sarà la volta del Belgio. Poi, dopo qualche altro attentato, magari in Italia, se per caso non volesse entrare in guerra in Libia, allora sarà la volta del nostro paese. Noi italiani siamo gli ultimi a poter essere ingannati, poiché abbiamo già vissuto la stessa cosa con la strategia della tensione. Questo ci dice che non dobbiamo cadere nella trappola di guardare il dito invece della Luna. Se ci dicono che è Daesh, diffidiamo. Probabilmente è “anche” Daesh. Ma Daesh è lo strumento, e la mano (in parte), ma non la mente.Sono bombe contro “l’Europa dei popoli”, per renderla uno straccio subalterno al potere dell’Impero, per trascinarla in guerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L’avviso è per tutti non solo per Bruxelles.Chi è la mente non lo possiamo sapere. Ma una cosa che sappiamo è che i servizi segreti europei, tutti, chi più chi meno, sono filiali inquinate e di altri servizi segreti. Più probabilmente di settori, pezzi, frammenti incontrollabili di servizi segreti altrui. Ricordiamo il bellissimo e profetico film di Sydney Pollack, “I tre giorni del Condor”. Per questo non scoprono niente. E non scopriranno niente: perché non sono in condizioni di indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Cambiando chi ci governa, e che sgoverna l’Europa, con altro personale, meno vile e più lungimirante. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi.(Giulietto Chiesa, “Bruxelles, al centro della strategia del terrore”, da “Megachip” del 22 marzo 2016).Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?
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Vietato indagare su Bataclan e Mossad, cronista nei guai
Prima il segreto di Stato (segereto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.Effettivamente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, il 15 dicembre Hamza aveva postato una foto ripresa all’interno del Bataclan pochi minuti dopo la strage: l’immagine mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati. Il punto è che non è stato Hamza a scattare la foto, «subito scomparsa per ordine giudiziario». Una foto pericolosa, capace di rivelare dettagli scomodi? Il giornalista l’ha trovata su un tweet – il cui webmaster è situato a Gerusalemme – firmato “Israel News Feed”, “@IsraelHatzolah”. «Ora, “IsraelHatzola” è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una Ong israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele», spiega Blondet. «Il presidente di United Hatzolah è particolarmente interessante: trattasi di Mark Gerson, un ebreo americano che è stato direttore esecutivo del famos think-tank neocon “Project for a New American Century”», il famigerato Pnac, quello che “consigliava” a George W. Bush di lanciare un grande riarmo, per il quale però sarebbe stata necessaria “una nuova Pearl Harbor”. «L’11 Settembre, quando la nuova Pearl Harbor si verificò, membri importanti del Pnac erano nel governo Bush, e lanciarono le guerre l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq».Invece di indagare su questa pista, chiedendosi come mai un sito israeliano legato ai necon e al Mossad aveva le foto dell’interno del teatro, scattate pochi minuti dopo la strage, gli inquirenti francesi hanno perseguito Hamza. «Varie personalità politiche e giornalisti lo hanno querelato per diffamazione, contando di rovinarlo economicamente: sul suo sito, “Panamza”, il perseguitato chiede ai lettori 10 mila euro per pagare le spese legali». Che la persecuzione sia originata dal governo non c’è dubbio, continua Blondet: Gilles Clavreul, delegato interministeriale del premier Manuel Valls, addetto alla “lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, s’è lasciato sfuggire durante un’intervista radio di stare cercando «egli inghippi giuridici per arrivare a perseguire» il giornalista. Hamza è colui che ha scoperto una quantità di indizi che consentono di interpretare l’attentato islamico del 13 novembre come un “false flag” con “segnatura” sionista. Una storia contraddistinta da parecchie “coincidenze”, a cominciare dalle date: l’11 settembre (ancora), cioè due mesi prima della strage, la famiglia Toutou aveva venduto il Bataclan, per poi trasferirsi definitivamente in Israele.«I responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell’imminenza di un grosso attacco terroristico», secondo il “Times” di Israele, «che poi ha censurato la notizia». Da chi? «Dal banchiere barone Edmund De Rotschild, nientemeno». Il 13 novembre, giorno dell’attentato, era inoltre in corso un’immancabile esercitazione “antiterrorismo” programmata mesi prima dal Samu, il pronto soccorso municipale di Parigi, basata sullo scenario di tre attentati simultanei compiuti da tre gruppi di terroristi, che prevedeva 50 morti e 150 feriti. E ancora: la rivendicazione con cui Daesh si attribuiva gli attentati è stata diffusa dal “Site” di Rita Katz, l’ex collaboratrice del Mossad che ora opera dagli Stati Uniti. Secondo “France Télévision”, poi, i decreti per lo stato d’emergenza sarebbero stati adottati già prima dell’attentato al Bataclàn, alle 22.30, quando François Hollande uscì dallo Stade de France dove assisteva alla partita Francia-Germania: fuori dallo stadio, tre kamikaze si erano fatti saltare in aria con le cinture esplosive, uccidendo solo se stessi.«La strage del Bataclan non era ancora avvenuta, ma la bozza del decreto era pronta da tempo», scrive Blondet citando Hamza. Lo ha rivelato lo stesso funzionario, direttore degli affari giuridici del ministero dell’interno, che ha stilato il documento. Si chiama Thomas Andreu, «legato alla comunità ebraica e a Israele attraverso la moglie, Marguerite Bérard, cognata di Marie-Hélène Bérard, tesoriera della Camera di Commercio Francia-Israele e membro del direttivo del Crif, Conseil Représentatif des Institutions Juives de France». Per la mattanza – 90 morti – è finito nei guai anche Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, il complesso che si esibiva al Bataclàn, davanti a 1500 spettatori: in una intervista rilasciata a “Fox Business Network” quattro mesi dopo, Hughes ha rivelato che quella sera aveva scoperto che ben sei uomini addetti alla sicurezza del palco erano inspiegabilmente assenti. Poco dopo ha ricevuto minacce di morte: un’immagine con una mitraglietta Uzi sulla bandiera israeliera e la scritta “on te fume”, ti eliminiamo.Per dare un’idea «del clima che Hollande sta facendo imporre nella ex patria della libertà di opinione», Blondet segnala anche il caso del professore di storia Pascal Geneste, duramente attaccato per aver difeso Putin come «uno dei precursori della lotta al terrorismo islamico, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’Isis». Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. E il 17 febbraio, 6 dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un analogo interrogatorio sulla lezione pro-Putin. A premere sulla censura – anche sul web – è sempre il Crif, la rappresentanza franco-israeliana, che chiede che anche a Internet si applichi lo stato d’emergenza varato da Valls dopo l’eccidio del Bataclan, con poteri speciali allo Stato per frugare appartamenti, intercettare telefonate, ridurre le libertà personali. In realtà, il decreto contiene già misure repressive applicabili alla Rete: «Lo Stato può bloccare l’accesso a determinati siti, vietare a una persona tutte le comunicazioni via web, copiare tutti i dati trovati su terminali, smartphone e computer durante un’irruzione di polizia, compresi quelli sul cloud. Ma al Crif non basta: vuole siano punti e censurati i “messaggi di odio”», magari interpretando come tali anche le inquietanti rivelazioni di Hamza sul presunto ruolo del Mossad nella strage del 13 novembre.Prima il segreto di Stato (segreto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.
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Armi e droga all’Isis, dai boss mafiosi al governo in Bulgaria
All’Isis sono finite armi di fabbricazione sovietica, per farle sembrare provenienti dalla dotazione storica dell’esercito siriano. Il fornitore occulto? La Bulgaria, paese Nato e membro dell’Ue. O meglio: la dirigenza bulgara guidata da un personaggio che è considerato un gangster. Boyko Borisov, già campione di karate, poi ministro, quindi premier. «Legato ai cartelli della droga». Per Jürgen Roth, specialista tedesco di criminalità organizzata, Borisov è «l’Al Capone bulgaro». Armi e droga, carichi proibiti e finiti prima ai jihadisti in Libia e poi all’Isis in Siria, su ordine della Cia. Una vicenda inquietante, ricostruita da Thierry Meyssan su “Rete Voltaire”, newsmagazine di geopolitica. All’origine del business, una sostanza dopante: la fenetillina, utilizzata negli ambienti sportivi e poi opportunamente tagliata con hashish. «Dei trafficanti bulgari videro in ciò un’opportunità. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica sino all’ingresso nell’Unione Europea, cominciarono a produrla e a esportarla illegalmente in Germania con il nome di Captagon». E qui, secondo Meyssan, entra in gioco Borisov.«Due gruppi mafiosi si fecero una forte concorrenza, Vasil Iliev Security (Vis) e Security Insurance Company (Sic), da cui dipendeva il karateka Boyko Borisov». Questo sportivo di alto livello, professore all’Accademia di polizia, creò una società di protezione delle persone altolocate. Borisov, scrive Meyssan, divenne la guardia del corpo di entrambi gli ex presidenti, sia il filosovietico Todor Zhivkov sia il filo-Usa Simeone II di Saxe-Cobourg-Gotha. Quando questi divenne primo ministro, Borisov fu nominato direttore centrale del ministero degli interni, e poi venne eletto sindaco di Sofia. Nel 2006, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Bulgaria (e futuro ambasciatore in Russia) John Beyrle, ne fa un ritratto in un dispaccio confidenziale rivelato da Wikileaks: «Lo presenta come legato a due grandi boss mafiosi, Mladen Mihalev (detto “Madzho”) e Rumen Nikolov (detto “Il Pascià”), i fondatori della Sic». Nel 2007, “Us Congressional Quarterly” cita una compagnia svizzera, secondo la quale Borisov avrebbe «insabbiato parecchie indagini presso il ministero degli interni», trovandosi «lui stesso coinvolto in 28 delitti di mafia».Borisov, continua Meyssan, sarebbe diventato uno stretto collaboratore di John McLaughlin, il vicedirettore della Cia. «Avrebbe installato in Bulgaria una prigione segreta dell’Agenzia e avrebbe contribuito a fornire una base militare nel quadro del progetto d’attacco contro l’Iran». Divenuto lui stesso primo ministro, mentre il suo paese era già membro della Nato e dell’Ue, venne sollecitato dalla Cia affinché desse un aiuto nella guerra segreta contro Muhammar Gheddafi. «Boyko Borisov fornì il Captagon prodotto dalla Sic ai jihadisti di Al-Qaeda in Libia», scrive Meyssan. «La Cia rese questa droga sintetica più attraente e più efficiente mescolandola con una droga naturale, l’hashish, consentendo così di manipolare più facilmente i combattenti e di renderli più terrificanti». In seguito, «Borisov ha esteso il suo mercato alla Siria». Ma la cosa più importante, sempre secondo Meyssan, si è avuta «quando la Cia, utilizzando le peculiarità di un ex Stato membro del Patto di Varsavia che aveva aderito alla Nato, acquistò da esso armamenti di tipo sovietico per un valore di 500 milioni di dollari e li trasportò in Siria».Si trattava principalmente di 18.800 lanciagranate anticarro portatili e di 700 sistemi di missili anti-carro Konkurs, precisa Meyssan. Armi perfette, per sembrare “siriane”, cioè sottratte dai “ribelli” all’esercito regolare di Damasco. Non manca un giallo: la struttura segreta colpì immediatamente la milizia sciita libanese di Hezbollah, scesa in campo per difendere Assad, non appena cercò di far luce sullo strano traffico di armi. «Quando Hezbollah inviò una squadra in Bulgaria per informarsi su questo traffico, un bus di turisti israeliani fu oggetto di un attentato a Burgas, che causò 32 feriti. Immediatamente – scrive Meyssan – Benjamin Netanyahu e Boyko Borisov accusarono la resistenza libanese, mentre i media atlantisti diffusero numerose accuse contro il presunto attentatore suicida di Hezbollah. In ultima analisi, il medico legale, la dottoressa Galina Mileva, si accorse che la sua salma non corrispondeva alle descrizioni dei testimoni; un responsabile del controspionaggio, il colonnello Lubomir Dimitrov, notò che non si trattava di un attentatore suicida, ma di un semplice corriere, e che la bomba era stata attivata a distanza, probabilmente a sua insaputa; mentre la stampa accusava due arabi che avevano cittadinanza canadese e australiana, la “Sofia News Agency” citò un complice statunitense conosciuto con lo pseudonimo di David Jefferson».Così, quando l’Unione Europea «approfittò del caso per classificare Hezbollah come “organizzazione terroristica”», il ministro degli esteri in carica durante il breve periodo in cui Borisov è stato escluso dal potere esecutivo, Kristian Vigenine, ha sottolineato che, in realtà, non ci sono prove per collegare l’attacco alla resistenza libanese. Poi, a partire dalla fine del 2014, la Cia cessò di dare ordini alla Bulgaria e la sostituì con l’Arabia Saudita. L’Isis ha quindi smesso di ottenere armi di tipo sovietico, ricevendo direttamente materiale della Nato, come i missili anticarro Tow. «Ben presto, Riad fu sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti». I due Stati del Golfo, continua Meyssan, assicurarono essi stessi la consegna degli armamenti ad Al-Qaeda e a Daesh tramite la “Saudi Arabian Cargo” e la “Etihad Cargo”, presso Tabuk lungo la frontiera saudita-giordana e anche presso la base comune degli Emirati, della Francia e degli Usa che si trova a Dhafra. Ultimo colpo della Cia, nel giugno 2014: proibire alla Bulgaria di autorizzare il transito del gasdotto russo South Stream, nel quandro delle sanzioni contro Mosca dopo la crisi in Ucraina. Un danno per le casse bulgare, un freno all’Ue. Ma anche un pretesto per sviluppare il gas di scisto in Europa orientale e «mantenere l’interesse a rovesciare la Repubblica araba siriana, possibile grande esportatore di gas».All’Isis sono finite armi di fabbricazione sovietica, per farle sembrare provenienti dalla dotazione storica dell’esercito siriano. Il fornitore occulto? La Bulgaria, paese Nato e membro dell’Ue. O meglio: la dirigenza bulgara guidata da un personaggio che è considerato un gangster. Boyko Borisov, già campione di karate, poi ministro, quindi premier. «Legato ai cartelli della droga». Per Jürgen Roth, specialista tedesco di criminalità organizzata, Borisov è «l’Al Capone bulgaro». Armi e droga, carichi proibiti e finiti prima ai jihadisti in Libia e poi all’Isis in Siria, su ordine della Cia. Una vicenda inquietante, ricostruita da Thierry Meyssan su “Rete Voltaire”, newsmagazine di geopolitica. All’origine del business, una sostanza dopante: la fenetillina, utilizzata negli ambienti sportivi e poi opportunamente tagliata con hashish. «Dei trafficanti bulgari videro in ciò un’opportunità. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica sino all’ingresso nell’Unione Europea, cominciarono a produrla e a esportarla illegalmente in Germania con il nome di Captagon». E qui, secondo Meyssan, entra in gioco Borisov.
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Anonymous contro l’Isis (e King Kong contro Godzilla)
“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».Respiriamo di sollievo, Firenze è salva. La minaccia era concretissima, “tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando”. Sulla identità di questi “soggetti”, Anonymous resta sulle sue, e il grande giornalismo del grande giornale italiano non ha la minima curiosità. Sarebbe un’indiscrezione pretendere nomi e cognomi, una mancanza di rispetto: la parola di Anonymous, al “Corriere”, basta. Benché anche Anonymus, a voler sottilizzare, mica sia noto con nomi e cognomi. Non si sa cosa sia, per chi lavori e perché. Ma non sarebbe da giornalisti, poniamo, sospettare che Anonymous non sia altro che un qualche apparato di propaganda, allarmismo e disinformazione – magari emanato dalle stesse centrali che hanno armato, finanziato e addestrato l’Isis o, magari, da una qualunque Rita Katz. No, questi sospetti non sono degni del grande giornalismo del “Corriere”. Li lascia ai complottisti di mezza tacca, perché gli basta la nobile battaglia che Anonymous ha sferrato contro Daesh.Lotta che è lo stesso Anonymous a documentare, e che il “Corriere” riporta come oro colato: «Attacco globale di Anonymous a Isis – A livello globale, l’operazione anti-Isis ha portato, sino ad oggi, all’oscuramento di 15.500 obiettivi, tra account sui social network e siti web legati direttamente alle operazioni o alla propaganda dell’Isis. Ma altri 4.000 account sono nati nelle ore successive: “Il nostro scopo è rallentarli”, sottolinea Anonymous». Sottolinea Anonymous. Sostiene Pereira. La polizia italiana non conferma… Del resto, il vero giornalismo di questi tempi non si stupisce di tanta vaghezza della fonte: Anonymous è vago e sfuggente perché combatte un nemico ancor più vago e sfuggente: l’Isis. No, non l’Isis che ripiega sotto i bombardamenti russi in Siria, e i cui capi a Ramadi vengono evacuati dagli elicotteri Usa. L’Isis che fa chiudere due stazioni ferroviarie a Monaco di Baviera, per un allarme terrorismo che poi è passato; che ha fatto cancellare tutti i festeggiamenti di Capodanno a Bruxelles e a Parigi.Eccome no: a Liegi e nel Brabante la polizia belga ha fatto degli arresti, «pianificavano attentati»; anche se (si rincrescono i media) «non sono stati rinvenuti armi o esplosivi durante le perquisizioni, ma materiale informatico, uniformi di tipo militare e materiale di propaganda dello Stato Islamico sono stati sequestrati e vengono attualmente esaminati». E a Vienna? «500 poliziotti hanno vigilato nel centro storico. A Berlino 900 agenti e 600 vigilantes “a guardia” dello show alla Porta di Brandeburgo»: l’Isis può colpire dovunque. «Negli Stati Uniti l’Fbi ha informato il presidente Barack Obama del rischio di attentati a New York, Washington e Los Angeles durante il veglione di Capodanno». L’Isis ha come campo il mondo. E non solo domina lo spazio, ma può viaggiare nel tempo, all’indietro. A Londra (leggo dai giornali) «cinque estremisti islamici legati ad Al-Qaeda sono stati condannati ieri all’ergastolo per aver organizzato, tra il gennaio 2003 e il marzo 2004, una serie di assalti (fortunatamente sventati) contro un centro commerciale nel Kent, il popolare night club londinese Ministry of Sound e alcune linee elettriche e del gas». Fortunatamente sventati.Ma l’Isis era già lì nel 2003, si chiamava Al-Qaeda, e aveva già la stessa ampiezza globale di azione, già la Terra intera era il suo campo di battaglia. Ha colpito a Londra, a Madrid, a New York, a Bali, a Giacarta, in Somalia… sempre imprendibile ed onnipresente. Adesso è l’Isis. E non avete ancora visto niente: «Per il 2016, l’Isis annuncia decine di migliaia di morti in decine di paesi; attiverà decine di cellule dormienti in vista della battaglia finale»: chi lo dice? Non l’Isis in persona; lo ha rivelato il dottor Theodore Karasik, un ebreo americano che lavora per la tv del Golfo “Al Arabyia” come “analista di geopolitica”, ed «ha molto studiato il comportamento dello Stato Islamico»: quasi quanto Anonymous, se non di più. Cosa aspetta il “Corriere” ad intervistarlo? Anzi, a farne un collaboratore pagato e fisso?Meglio riportare i comunicati di Anonymous che queste notizie dell’Interpol: che uno dei fucili M29 utilizzati da jihadisti massacratori di Parigi proveniva da una ditta situata in Florida, e facente capo a un Ori Zoller, indicato come «un ex membro delle forze speciali israeliane», già noto alle cronache nere per avere, con un mercante di diamanti ebreo di nome Shimon Yelinek, «trafficato in diamanti con Al-Qaeda» (ohibò) nel 2003, nel quadro di una fornitura di armi in Nicaragua: armi contro diamanti. Un classico, documentato da un rapporto della Organizzazione degli Stati Americani (Osa). Nel rapporto, Zoller è citato anche come rappresentante in Guatemala della Israel Military Industries, una compagnia controllata dal governo israeliano. Vero è che l’ex agente del Mossad adesso ha cambiato genere: vende “cyber sorveglianza” ai governi. Un’attività non lontana da quella di Anonymous?Non siamo in grado di rispondere alla domanda. Siamo invece in grado di sapere chi ha scoperto e diffuso il messaggio di Al Baghdadi, il Califfo, un audio di 24 minuti in cui il Califfo minacciava Roma e il Papa, il 26. Il messaggio è stato scoperto ed autenticato dal “Site”, come ha reso noto “Le Monde”. Senza dire che cosa è il “Site” chi è la sua fondatrice, Rita Katz. Certe volte a scavare troppo si scopre che i jihadisti di Parigi sono armati da ebrei, e che erano già noti e stranoti ai servizi di Parigi stessi. E’ meglio invece fare da grancassa all’allarmismo pubblico voluto dai governi: abbiate paura, l’Isis vi sta sul collo! Vi può colpire ovunque! Per fortuna Anonymous sventa gli attentati, la polizia vi protegge, l’esercito fa la guardia, Hollande emana leggi speciali. Vi siete chiesti perché questo megafono? Questo allarmismo pubblico?Se l’è chiesto il filosofo Giorgio Agamben, che intervistato in Francia ha detto: «Il rischio è la deriva verso la creazione di una relazione sistemica verso il terrorismo e lo Stato di emergenza: se lo Stato ha bisogno della paura per legittimarsi, bisogna allora, al limite, produrre il terrore, o almeno non impedire che si produca. Si vedono così paesi perseguire una politica estera che alimenta il terrorismo che bisogna combattere all’interno». Ma naturalmente tutte queste sono speculazioni. Che non interessano al “Corriere”. Perché questa scuola suprema di giornalismo si occupa solo della realtà concreta: Anonymous ha sventato l’ attentato dell’Isis a Firenze. Mattarella, la disoccupazione è causata dall’evasione fiscale. Maciste abbatterà a mani nude il Riscaldamento Globale. Il Pentagono ha comunicato di aver ucciso Charaffe al Moudan, noto pianificatore degli attentati di Parigi, a colpi di missili in Siria. Godzilla s’è risvegliato, ma per fortuna King Kong lo combatte. Quindi l’immancabile vittoria ci appartiene.(Maurizio Blondet, “Anonymous contro Isis, e Godzilla contro King Kong”, dal blog di Blondet del 2 gennaio 2016).“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».
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Mini: tutto quello che non ci dicono, sul Califfo Al-Baghdadi
Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.Questo profilo collima con la descrizione dei guardiani del campo di detenzione statunitense di Camp Bucca che lo ebbero ospite nel 2004. Secondo i registri del Pentagono la Commissione di revisione e rilascio lo propose per la liberazione alla fine dello stesso anno in quanto “prigioniero di basso livello”. Altre fonti, tra cui le dichiarazioni del colonnello Kenneth King già comandante di Camp Bucca affermano che Al-Baghdadi fu detenuto dal 2005 al 2009. Nei centri di detenzione come Camp Bucca e Camp Addler stazionavano comuni cittadini, delinquenti e attivisti islamici. Al-Baghdadi non sembrava appartenere a questi ultimi. Tuttavia in quel periodo nasceva l’esigenza americana di organizzare milizie sunnite per contrastare il nascente potere sciita in Iraq. Furono addestrati centinaia di ex miliziani, militari ed ex agenti segreti di Saddam Hussein. Nei luoghi di detenzione furono reclutati jihadisti, mercenari e soprattutto sunniti in funzione antisciita.Inoltre, una buona parte degli internati iracheni rilasciati dalle commissioni di verifica furono arruolati nelle file degli stessi gruppi di fuoco e d’informatori al servizio degli americani o delle compagnie private di sicurezza. Di fatto, quando gli americani iniziarono a sostenere e organizzare le bande anti Assad in Siria, alcuni gruppi jihadisti come Al Nusra si trovarono mescolati ai militari siriani defezionisti, ai ribelli organizzati e ad altri gruppi di tagliagole. Non è detto che avessero un centro comune al quale rispondere, ma non era neppure necessario. Avevano l’addestramento per fare da soli in nome di chiunque. Se Al-Baghdadi non fu arruolato e indottrinato non si capisce cosa gli abbiano dato da mangiare, bere e fumare perché improvvisamente un predicatore da quattro soldi o un oscuro impiegato diventa un genio.Si dice che nel 2006 (mentre era in galera) fosse membro del comitato sharia dei Mujiaheddin dell’Msc che in quell’ anno divenne Isi: emanazione di al Qaeda e futuro Isis o Isil. Probabilmente esercitava l’autorità all’interno dello stesso campo di detenzione. Forse era un abile mediatore e doppiogiochista. Comunque era un fenomeno. Una volta uscito, questo Al-Baghdadi assunse la direzione dell’Isi. Dal 2010 organizzò e diresse centinaia di attacchi terroristici, sfidò apertamente l’autorità di al Qaeda, assorbì i foreign fighters di Al Nusra e combattè contro le odiate milizie sciite di Muqtada al Sadr. Fu dato per assassinato nel 2012, ma le stesse autorità irachene lo smentirono. Nel 2014 cacciò da Raqqa la fazione di Al Nusra ancora fedele ad Al Qaeda e si proclamò Califfo. Apparentemente fece tutto da solo. La moglie ha ragione, non è lui.(Fabio Mini, “Cosa non sappiamo del Califfo”, dal “Fatto Quotidiano” del 5 dicembre 2015, intervento ripreso da “Megachip”).Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.
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Tutti in guerra, contro l’Isis (anzi, no: contro la Russia)
Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).«Cameron – scrive Blondet – ha ottenuto dal suo parlamento il via a “bombardare le basi Isis” in Siria e lo fa senza coordinarsi con i russi. In pratica, un atto di ostilità». E la Ue ha deciso («a porte chiuse, senza consultare i parlamenti per volontà di Angela Merkel»), di prolungare le sanzioni contro Mosca. «Che cosa precisamente la Ue rimproveri alla Russia, non si sa più». Una cosa è evidente: «E’ la Nato a determinare totalmente la politica estera della Ue», commenta “Deutsche Wirtschaft Nachrichten”. Berlino s’impegna per la prima volta a mandare i suoi Tornado a bombardare la Siria, «ormai chiaramente una operazione occidentale per ostacolare la vittoria russa contro l’Isis», anche se dei 93 Tornado che aveva in origine acquistato ne restano operativi solo 29, «aerei vecchi anche di 34 anni, considerati obsoleti». Dei 68 Eurofighter più moderni, continua Blondet, ne restano operativi appena 37. «Però anche Berlino ha annunciato che bombarderà “senza coordinarsi con la Russia”». Conclusione: «La miserabile debolezza con cui gli europei si prestano a queste dementi provocazioni anti-Putin è dimostrata dal fatto che da quando Mosca ha posizionato gli S-400 per contrastare gli aerei turchi, la francese Charles De Gaulle ha smesso di “bombardare l’Isis”».Sono trascorsi almeno otto o nove giorni senza incursioni sulla Siria: senza il permesso di Assad, lo stesso Hollande (che aveva promesso una “risposta spietata” dopo gli attentati di Parigi) non osa rischiare la sua unica portaerei, scrive Blondet. «Per giorni, anzi, la Charles De Gaulle è stata introvabile. Poi si è scoperto che aveva lasciato il Mediterraneo orientale per “rifugiarsi dietro i Patriots Usa in Turchia”». Così Erdogan, «a cui non par vero di trovare ogni giorno più membri della Nato coinvolti nella sua sporca guerra», ha subito consentito ai caccia francesi di andare a “bombardare l’Isis” (e cioè intralciare i russi) dalla base turca di Incirlik. «Insomma tutto l’Occidente, in perfetta malafede, è schierato a dar ragione ad Erdogan e a sostenere di fatto Daesh che cede sotto i colpi russi». Secondo Blondet, il numero delle provocazioni è ormai troppo elevato, per non vedere una volontà precisa. In più, «emerge che quando gli F-16 turchi abbatterono il Sukhoi, erano appoggiati da F-16 americani come deterrente per una rappresaglia russa». Se è vero, «significa che Obama non ha alcuno scrupolo a cominciare un conflitto diretto con Mosca», ha commentato Michael Jabara Carley, docente di politica internazionale alll’Università di Montreal.L’ultima provocazione, per il momento, è forse la più inquietante: «Due sommergibili turchi (Dolunay e Burakreis), scortati dall’incrociatore americano Uss Carney che porta missili balistici Aegis, stanno tallonando la nave da guerra Moskva, armata di missili S-300, al largo di Cipro, in acque internazionali». La cosa è allarmante, sostiene Blondet, perché può essere il preludio alla ritorsione più temuta da Mosca fin dai tempi degli Zar: che la Turchia chiuda alla navigazione russa il Bosforo e i Dardanelli. Il premier turco Davutoglu ha minacciato: «Anche la Russia ha da molto da perdere», da eventuali contro-sanzioni. Se Erdogan chiudesse gli stretti, violerebbe la convenzione internazionale di Montreux, sulla libertà di navigazione, che risale al 1936. In quale sede potrebbe protestare, Mosca? L’Onu? L’Europa? La chiusura degli Stretti renderebbe arduo l’impegno militare russo in Siria. Una trappola pericolosa, secondo Blondet: ricorda le sanzioni con cui Roosevelt lasciò il Giappone con riserve di petrolio per soli 8 mesi, spingendolo in guerra: «E fu l’attesa, auspicata, desideratissima Pearl Harbor».Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).