Archivio del Tag ‘Daniele Scalea’
-
Scalea: Italia in Niger per servire la Francia, che ci tradirà
L’Italia in Niger con i suoi soldati solo per tentare di ingraziarsi la Francia, vera padrona dell’Africa sub-sahariana e delle sue immense risorse naturali, nella vana speranza che Parigi pacifichi il territorio libico. Errore: «La Francia che vorremmo ingraziarci affinché assuma l’onere di stabilizzare la Libia al posto nostro, è la stessa Francia che nel 2011 ha sprofondato la Libia nel caos, per giunta nel tentativo premuroso di soffiare il petrolio all’Eni». Lo afferma l’analista geopolitico Daniele Scalea, direttore dell’Isag di Roma, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, nonché e condirettore della rivista scientifica “Geopolitica”. Scalea ricorda che i militari italiani schierati in Africa non potranno fare altro che proteggere gli interessi transalpini: «Nel solo Niger, le compagnie francesi hanno in mano uranio, carbone, ferro, fosfato e petrolio». Il vero senso della missione richiesta da Macron, a cui Gentiloni ha detto sì, non è il contrasto del traffico di migranti ma «il controllo francese sul Sahel».Gli uomini del contingente italiano, scrive Scalea su Facebook in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, non potranno debellare i jihadisti: la missione è formalmente “no combat”, con regole d’ingaggio iper-restrittive. Non potranno neppure bloccare i trafficanti di esseri umani: «Manca un accordo col Niger per arrestarli e consegnarli alla giustizia». Inoltre, i militari italiani «non potranno pattugliare efficacemente il tratto di confine ipotizzato: per le deficienze giuridiche di cui sopra e per quelle materiali di un contingente troppo leggero». I nostri soldati avranno al massimo la possibilità di addestrare le forze armate nigerine, «ma in tal caso il contingente è sovra-dimensionato». In realtà, sostiene Scalea, i militari italiani in Niger saranno subordinati al servizio della missione francese “Barkhane” nel Sahel, per la quale Macron cerca coperture: «Servono quasi 450 milioni, e la buona volontà di Arabia Saudita, Eau, Ue e altri finanziatori non è ancora sufficiente».L’Operazione Barkhane, tra le altre cose, «combatte le insorgenze islamiste», ma «il pesce grosso da pescare è un altro», cioè il pieno controllo di Parigi sull’intera fascia sub-sahariana, ricchissima di materie prime strategiche come l’uranio, fondamentale per l’energia nucleare francese. «La strategia del governo italiano è dunque quella usuale, che i nostri politici e la nostra “comunità degli affari esteri” tanto amano: rispondere di sì a chiunque ci richieda militari, nella speranza che poi si ricordi di noi quando abbiamo bisogno di interventi in qualche area critica», scrive Scalea. Questa strategia (fallimentare) «la si è seguita a lungo con Usa e Ue», e adesso «Gentiloni l’ha estesa pure alla Francia, per porsi sotto l’egida di Macron». Inutile farsi illusioni: «E’ purtroppo una strategia che dà scarse garanzie di successo: è dalla Guerra di Crimea (1853-56) che non funziona più». Secondo Scalea, «bisognerebbe ricordare, a chi di dovere, che il proverbio recita: “Non mordere la mano che ti nutre”, e non: “Lecca la mano che ti bastona”».L’Italia in Niger con i suoi soldati solo per tentare di ingraziarsi la Francia, vera padrona dell’Africa sub-sahariana e delle sue immense risorse naturali, nella vana speranza che Parigi pacifichi il territorio libico. Errore: «La Francia che vorremmo ingraziarci affinché assuma l’onere di stabilizzare la Libia al posto nostro, è la stessa Francia che nel 2011 ha sprofondato la Libia nel caos, per giunta nel tentativo premuroso di soffiare il petrolio all’Eni». Lo afferma l’analista geopolitico Daniele Scalea, direttore dell’Isag di Roma, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, nonché e condirettore della rivista scientifica “Geopolitica”. Scalea ricorda che i militari italiani schierati in Africa non potranno fare altro che proteggere gli interessi transalpini: «Nel solo Niger, le compagnie francesi hanno in mano uranio, carbone, ferro, fosfato e petrolio». Il vero senso della missione richiesta da Macron, a cui Gentiloni ha detto sì, non è il contrasto del traffico di migranti ma «il controllo francese sul Sahel».
-
Scalea: voto inutile, Pd e Fi costretti a “sgovernare” insieme
Una legge elettorale fatta apposta per congelare l’Italia, impedendole di affrontare davvero la devastante crisi che l’attanaglia. L’esito inevitabile delle elezioni 2018? Il centrodestra in vantaggio, ma costretto ad allearsi col Pd. Risultato: l’ennesimo governo “di palazzo”, condannato a subire ogni sorta di diktat europeo. E’ analisi di Daniele Scalea, specialista del Centro studi politici e strategici “Machiavelli”. «Questa legge elettorale è stata fatta principalmente per sfavorire il M5S e spingere le forze a sinistra del Pd ad allinearsi con esso». Non a caso, aggiunge, la cifra principale del Rosatellum-bis è che, «con la sua quota maggioritaria (oltre un terzo dei seggi assegnati), sfavorisce le forze non coalizzate». Naturalmente, sbarrare la strada ai 5 Stelle è però costato caro ai promotori della legge: «Infatti è improbabile che anche il centrosinistra o il centrodestra raggiungano la quota di voti necessari a formare un governo (calcolata al 40% abbondante). L’ipotesi più credibile è dunque quella di una grande coalizione trasversale», sostiene Scalea, intervistato da Marina Tantushyan per il newsmagazine “Sputnik News”. «I vincitori sono dunque il Pd e Forza Italia, che in nessun scenario potranno essere tenuti fuori da questa coalizione trasversale».Dal canto suo, «Berlusconi mantiene un elettorato di fedelissimi che, malgrado il Cavaliere abbia ormai perso il suo smalto e non stia nemmeno proponendo un programma elettorale, è pronto a garantirgli un numero cospicuo di voti». Con questa legge, osserva Scalea, «potrà verosimilmente realizzare il suo proposito: evitare di dover governare con Salvini premier, ma farlo con Renzi che è a lui molto più congeniale». Salvo un suo exploit imprevisto e imprevedibile, il Movimento 5 Stelle non potrà raggiungere la maggioranza, insiste l’analista: «Ed essendo una forza ostile alle alleanze e con un programma distante da tutti gli altri partiti, non farà mai parte di alcuna possibile coalizione di governo». D’altra parte «nemmeno il Pd dovrebbe riuscire a vincere, pur aggregando forze alla sua sinistra e alla sua destra». Per Scalea «il contesto è scoraggiante, perché l’Italia avrebbe ora bisogno di un governo forte, con soluzioni precise e coraggiose su problemi pressanti come il declino economico e l’immigrazione incontrollata. Lo scenario sembra invece quello di una nuova legislatura di galleggiamento, con uno o più esecutivi deboli».Secondo Daniele Scalea, questo panorama mediocre e deludente emergerà già alle elezioni regionali siciliane di novembre: «In Sicilia dovrebbe confermarsi la preminenza riconquistata nazionalmente dal centrodestra, ma anche la forza del M5S e la resistenza del Pd, che continua a mantenere una cospicua base elettorale composta di ceti abbienti, cattolici praticanti, postcomunisti e cittadini d’origine extra-europea». Un voto destinato dunque a «confermare che l’Italia è divisa in tre». Pessimistiche le previsioni di Scalea per il voto delle politiche, nella primavera del 2018: «Mi attendo un successo del centrodestra anche più ampio di quello previsto nei sondaggi, trainato – più che dai meriti della coalizione – dal malcontento diffuso per l’immigrazione incontrollata: malcontento non mitigato da un’economia ancora claudicante». Ma attenzione: «Un paese diviso in tre, l’ambivalenza di Forza Italia che sogna un “Nazzareno bis” e l’indecisione della Lega che non sa farsi realmente partito nazionale, coniugato con una legge elettorale fatta su misura per rendere ingovernabile il paese, ci suggerisce che l’esito sarà un no-contest». Conseguenze? Le peggiori: «Il mazzo passerà dalle mani degli elettori a quelle dei giocatori nei palazzi».Una legge elettorale fatta apposta per congelare l’Italia, impedendole di affrontare davvero la devastante crisi che l’attanaglia. L’esito inevitabile delle elezioni 2018? Il centrodestra in vantaggio, ma costretto ad allearsi col Pd. Risultato: l’ennesimo governo “di palazzo”, condannato a subire ogni sorta di diktat europeo. E’ analisi di Daniele Scalea, specialista del Centro studi politici e strategici “Machiavelli”. «Questa legge elettorale è stata fatta principalmente per sfavorire il M5S e spingere le forze a sinistra del Pd ad allinearsi con esso». Non a caso, aggiunge, la cifra principale del Rosatellum-bis è che, «con la sua quota maggioritaria (oltre un terzo dei seggi assegnati), sfavorisce le forze non coalizzate». Naturalmente, sbarrare la strada ai 5 Stelle è però costato caro ai promotori della legge: «Infatti è improbabile che anche il centrosinistra o il centrodestra raggiungano la quota di voti necessari a formare un governo (calcolata al 40% abbondante). L’ipotesi più credibile è dunque quella di una grande coalizione trasversale», sostiene Scalea, intervistato da Marina Tantushyan per il newsmagazine “Sputnik News”. «I vincitori sono dunque il Pd e Forza Italia, che in nessun scenario potranno essere tenuti fuori da questa coalizione trasversale».
-
Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti
Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niail Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steym, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».«Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steym. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Europea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). «Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
-
“Bufale sul web”, l’ultima guerra di Obama contro la verità
Bavaglio ai social, per evitare la valanga “populista”. Hanno speso anni a spiegarci che non esistono i fatti, solo le interpretazioni, senza oggettività? Adesso, pare arrivato il contrordine: media e politici hanno scoperto che bisogna combattere contro la “post-verità”, ossia, secono l’Oxford Dictionary, le “circostanze in cui le credenze contano più dei fatti oggettivi”. «Il concetto di “post-verità” non è granché fresco, ma è stato riesumato in queste settimane e riverniciato per adattarlo a una crociata che è essenzialmente politica», sostiene Daniele Scalea. La grande paura dell’élite? Semplice: la vittoria di Donald Trump. «La tesi di fondo, al di là del ricorso a lessico ricercato e para-scientifico, è che il successo dei movimenti populisti in Occidente sia dovuto non a oggettivo malessere sociale o economico patito dai cittadini, bensì al loro essere turlupinati dalle bufale che girano in Internet». Da qui la pression su Facebook e Google, «avviata da Barack Obama in persona e andata a buon fine» affinché i grandi social media intervenissero per frenare la diffusione di notizie incontrollate. Alla base, c’è un’idea auto-assolutoria: l’establishment è «buono e giusto», gli elettori sono “depistati”.Fino a ieri, scrive Scalea sul “Foglio”, si era soliti prendersela col basso livello d’istruzione e l’analfabetismo funzionale degli elettori. Poi «ci si è accorti che, a furia di dare del cretino ignorante a qualcuno, non te lo fai amico e non lo convinci a votare a tuo favore». Così, «le bordate dell’artiglieria mediatica hanno scelto un nuovo bersaglio: le bufale web». Davvero Internet sta cambiando il panorama dell’informazione, portandoci da un passato fatto di notizie vere e accurate a un presente di bufale virali in cui non si distingue più il vero dal falso? Lo studioso Mario Pireddu ritiene che quest’asserzione sulla post-verità sia, essa stessa, una post-verità, poiché non trova riscontro in nessun dato oggettivo: la maggior parte degli utenti di Internet utilizza fonti più differenziate rispetto a coloro che si informano con mezzi tradizionali (Tv, radio e giornali), e oggi il controllo incrociato sulle news è più facile, rapido e diffuso di un tempo. Ma se le cose stanno così, si domanda Scalea, che cosa si nasconde dietro la crociata sulla post-verità cui stiamo assistendo? «Probabilmente, un’assai tradizionale reazione censoria contro la montante critica rivolta all’establishment».Il confine tra notizia falsa e notizia dubbia «è labile, come sempre più labile è il confine tra notizia e opinione», osserva Scalea: «Con la scusa delle “fake news” si potranno ben colpire le visioni eterodosse, lasciando per giunta il lavoro sporco a impersonali algoritmi sviluppati nella liberal Silicon Valley». In effetti, «sarebbe come pretendere che un software ci dicesse se è più giusto votare per un candidato o per un altro». L’esito, ovviamente, «non sarebbe quello suggerito dall’oggettività del computer, ma dalla soggettività dello sviluppatore», dal momento che «soggettiva, e non oggettiva, è la domanda posta». I media? Non distinguono più tra i fatti e i semplici punti di vista: «Le opinioni, le valutazioni, sono raffrontate con l’opinione prevalente (o per meglio dire, mainstream) e in base alla loro aderenza con essa accreditate di verità o falsità intese in senso assolute». Per Scalea, «il metodo non è molto lontano da quello dell’Inquisizione, ma almeno allora ci si fondava su un testo sacro e una tradizione apostolica, non certo su qualche blog di debunking».In linea di principio, conclude Scalea, «promuovere la verità non è mai sbagliato». Nella pratica, «dal momento che la verità è spesso inafferrabile, quest’intento si è sovente tramutato in disastro». I bolscevichi, ad esempio, «hanno cercato di seguire le verità proposte dal “socialismo scientifico”, coi ben noti risultati». La “Pravda”, che in russo si traduce in modo esplicito (“la verità”), era la loro voce ufficiale. «Non si può realizzare un mondo in cui tutta l’informazione sia sempre verità, senza annichilire il libero discorso e affermare una falsa verità soggettiva e partigiana», conclude Scalea. «Lo stolto che afferma che la Terra sia piatta è il prezzo che paghiamo affinché l’onesto possa indicarci che il “Re è nudo” – senza essere accusato perciò di propinare una bufala e censurato da Facebook e Google».Bavaglio ai social, per evitare la valanga “populista”. Hanno speso anni a spiegarci che non esistono i fatti, solo le interpretazioni, senza oggettività? Adesso, pare arrivato il contrordine: media e politici hanno scoperto che bisogna combattere contro la “post-verità”, ossia, secono l’Oxford Dictionary, le “circostanze in cui le credenze contano più dei fatti oggettivi”. «Il concetto di “post-verità” non è granché fresco, ma è stato riesumato in queste settimane e riverniciato per adattarlo a una crociata che è essenzialmente politica», sostiene Daniele Scalea, analista geopolitico. La grande paura dell’élite? Semplice: la vittoria di Donald Trump. «La tesi di fondo, al di là del ricorso a lessico ricercato e para-scientifico, è che il successo dei movimenti populisti in Occidente sia dovuto non a oggettivo malessere sociale o economico patito dai cittadini, bensì al loro essere turlupinati dalle bufale che girano in Internet». Da qui la pressioni su Facebook e Google, «avviata da Barack Obama in persona e andata a buon fine» affinché i grandi social media intervenissero per frenare la diffusione di notizie incontrollate. Alla base, c’è un’idea auto-assolutoria: l’establishment è «buono e giusto», gli elettori sono “depistati”.
-
Odessa 2014, strage nazista oscurata dai nostri media
Vediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature. Squadre nazistoidi di Pravy Sektor (”Settore Destro”), protette e inquadrate anche nel resto del Paese da una giunta insediatasi dopo aver allontanato con la violenza un presidente eletto regolarmente, stanno devastando i luoghi di aggregazione sociale e politica – ossia i partiti, le associazioni, i sindacati – di una parte della popolazione di Odessa (maggioritaria) identificabile come russa, russofona o filorussa. La polizia della città sul Mar Nero ha lasciato fare per ore. Ma le vergognose testate italiane fanno a gara per sopire e troncare la reale portata della notizia. Distinguere fra un generico incidente e una strage politica: il confine per capire quali tempi di fuoco si avvicinano passa da qui, dai 38 morti del 2 maggio di Odessa (per tacere degli altri episodi da guerra civile nel resto di un paese in bancarotta).In materia di guerra la stampa italiana, specie sul web, ci ha già abituati al peggio negli ultimi anni. Con il dramma dell’Ucraina si è già subito portata ai suoi peggiori livelli, già raggiunti nel disinformare i lettori sulla guerra in Libia e poi in Siria. Le pagine web italiote ci farebbero davvero ridere, se non parlassimo di una tragedia: i 38 filo-russi bruciati in una sede sindacale dai nazionalisti ucraini di estrema destra sono diventati delle generiche “38 vittime in un incendio”. «Quasi si trattasse di un incidente e non di un massacro politico», commenta Daniele Scalea, direttore dell’Isag, un istituto di studi geopolitici molto attento alle vicende dell’Europa orientale. Scalea e anche noi ci domandiamo cosa avrebbero scritto nel 2011 il “Corriere della Sera”, o la “Repubblica”, o “Il Fatto Quotidiano”, se dei miliziani di Gheddafi avessero assediato decine di manifestanti fino a farli bruciare vivi.Ecco come il canale televisivo russo “Rt” riferisce i fatti: «Almeno 38 attivisti antigovernativi sono morti nell’incendio della Camera del Lavoro di Odessa a seguito del soffocamento per il fumo o dopo essere saltati dalle finestre dell’edificio in fiamme, ha riferito il ministro dell’Interno ucraino. L’edificio è stato dato alle fiamme dai gruppi radicali pro-Kiev». Così invece li racconta il “Corriere”: «Trentotto persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di Kiev». Così, genericamente, un incendio “legato ai disordini”… Ancora, il pezzo su “Repubblica” suona così: «È di almeno 38 morti anche il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. “Uno di loro è stato colpito da un proiettile”, ha riferito una fonte all’agenzia Interfax, “mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte”. La sede dei sindacati è stata data alle fiamme. Le persone sono morte nell’incendio. Gli scontri sono violentissimi».La macabra contabilità si disperde in un groviglio in cui non si capisce chi fa che cosa, quanti muoiono in un episodio o in un altro, chi appicca gl’incendi. “L’Unità” riesce a fare peggio di tutti. La salma del giornale di Gramsci scrive infatti che la sede del sindacato è stata bruciata dai separatisti filo-russi (uno scoop malauguratamente ignorato in tutto il resto del mondo). A ulteriore dimostrazione che all’“Unità” non sanno quel che dicono, aggiungono che sono stati «abbattuti due elicotteri filorussi, Mosca furiosa», come se la rivolta avesse una sua aviazione all’opera. Naturalmente la notizia era inversa: due elicotteri d’assalto Mi-24 delle forze speciali di Kiev (che stanno combattendo assieme a contractors stranieri e milizie naziste), sono stati abbattuti dalle forze ribelli. Notizia molto preoccupante, se vista nelle sue implicazioni, possibilmente quelle esatte, della possibile escalation del conflitto.Se puntiamo di nuovo l’attenzione al rogo di Odessa, la conclusione è dunque chiara: gli organi di informazione nostrani sono reticenti, quando non falsificano, perché non riferiscono che le vittime sono state tutte di una parte, né che la causa immediata della loro morte sia stato un incendio doloso appiccato dalla milizia del partito nazista “Pravy Sektor” presso la sede di un sindacato. Questo accade nell’Odessa del 2014 e non nella Ferrara del 1921 né nella Stoccarda del 1932. A quel tempo c’erano ancora organi di informazione che raccontavano la portata reale della catastrofe, prima di esserne travolti. Non sappiamo ancora se il veleno della catastrofe politica di questo secolo potrà essere evitato, data la risolutezza degli apparati atlantisti nel precipitare nel caos l’Ucraina, paese chiave della sicurezza comune europea. L’unico antidoto esistente può funzionare solo se diventa un fenomeno politico e mediatico di massa: l’antidoto è informarsi e informare, fuori dalla ragnatela mediatica dominante, far sapere tutto su chi vuole estendere il grande incendio, ben oltre i palazzi di Odessa.(Pino Cabras, “L’incendio di Odessa e la stampa italiana”, da “Megachip” del 2 maggio 2014).Vediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature. Squadre nazistoidi di Pravy Sektor (”Settore Destro”), protette e inquadrate anche nel resto del paese da una giunta insediatasi dopo aver allontanato con la violenza un presidente eletto regolarmente, stanno devastando i luoghi di aggregazione sociale e politica – ossia i partiti, le associazioni, i sindacati – di una parte della popolazione di Odessa (maggioritaria) identificabile come russa, russofona o filorussa. La polizia della città sul Mar Nero ha lasciato fare per ore. Ma le vergognose testate italiane fanno a gara per sopire e troncare la reale portata della notizia. Distinguere fra un generico incidente e una strage politica: il confine per capire quali tempi di fuoco si avvicinano passa da qui, dai 38 morti del 2 maggio di Odessa (per tacere degli altri episodi da guerra civile nel resto di un paese in bancarotta).