Archivio del Tag ‘deficit Pil’
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Magaldi: vogliono comprare Tria e Conte per il dopo-Salvini
«E bravo Matteo Renzi, finalmente promosso “cameriere” del Bilderberg». Dall’alto del suo nuovo ossevatorio, l’ex leader Pd dice che il governo gialloverde non ha finora toccato palla su nessuno dei temi dell’agenda-Italia? «Se è per questo neppure il suo governo toccò palla, esattamente come i governi Letta e Gentiloni». Solo ciance, dietro alla rigida obbedienza all’ordoliberismo Ue. Però Renzi ha ragione, ammette Gioele Magaldi: dopo un anno, Lega e 5 Stelle hanno totalizzato lo stesso punteggio del fanfarone fiorentino, cioè zero. La differenza? Al Giglio Magico è subentrato «il Cerchio Tragico, targato Di Maio». E se Salvini non ha ancora trovato il coraggio di mandare a stendere Bruxelles, il pericolo maggiore viene dall’interno. Il primo “imputato” è il ministro Giovanni Tria, che sembra passato armi e bagagli al “partito di Mattarella”, intenzionato a bloccare qualsiasi cambiamento. E il peggio è che ad alzare la diga ora ci si mette pure Giuseppe Conte, con la sua prudenza esasperante. Attenti: è come se Conte e Tria fossero già “in vendita”, disposti a far naufragare l’esecutivo in cambio della promessa di future poltrone. Magaldi si rivolge a Salvini: «Se ora gli impediscono di fare la Flat Tax e di varare i minibot, stacchi la spina al governo: a quel punto saranno gli italiani, alle elezioni, a dire come la pensano».
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Magaldi: Tria si dimetta, se “serve” massoni ostili all’Italia
E’ assolutamente ridicolo e inaccettabile che il “fratello” Giovanni Tria affermi di «aver fatto il proprio giuramento da ministro nell’interesse della nazione», collegando questo giuramento alla sua ostinata pervicacia nel voler difendere un paradigma economico ispirato alla più occhiuta e malnata austerità e nel considerare i privati diktat dei mercati come coincidenti con il bene collettivo dei cittadini. Ostinarsi a voler difendere nel rapporto deficit-Pil il limite dell’1,6% o qualunque altra asticella astratta e priva di fondamento scientifico (meno del 2%, o anche il 3% previsto dai Trattati di Maastricht e cosi via) significa fare gli interessi di gruppi massonici neoaristocratici già ben rappresentati, nella loro distruzione dell’economia italiana, da personaggi come Mario Draghi, Ignazio Visco, Sergio Mattarella, Carlo Cottarelli, eccetera. Al contrario, il massone Giovanni Tria era stato designato alla guida del Mef in qualità di libero muratore sedicente progressista, che avrebbe dovuto contribuire ad inaugurare un “new deal” nella governance economica del Bel Paese.Un nuovo corso significativamente postkeynesiano, e in grado di puntare più sulla crescita del Pil (e di altri fattori non meno rilevanti, per valutare lo stato di salute di un sistema economico complesso) che non sull’ottuso rigore dei conti pubblici: politica, quest’ultima, che negli ultimi anni si è dimostrata chiaramente fallimentare, peggiorando i rapporti relativi tra deficit, debito e Pil. Del resto, quale soluzione di continuità vi sarebbe tra l’azione di Tria e quella dei suoi predecessori (i massoni neoaristocratici Pier Carlo Padoan, Fabrizio Saccomanni, Vittorio Grilli e Mario Monti, che ebbe l’interim al Mef come presidente del Consiglio dal 16 novembre 2011 all’11 luglio 2012) alla guida del ministero economia e finanze, se tutta la gestione dei problemi economici italiani attuali fosse ridotta al problema di avvicinarsi il più possibile al principio neoliberista, dogmatico e funesto del pareggio di bilancio?Insomma, il “fratello” Tria si decida: o sta dalla parte del popolo sovrano italiano oppure, infrangendo il suo giuramento “nell’interesse della nazione”, sta facendo gli interessi di gruppi apolidi sovranazionali e privati di caratura contro-iniziatica. Ma se Tria sta dalla parte di Mario Draghi (presidente Bce), Ignazio Visco (governatore di Bankitalia), Sergio Mattarella e Carlo Cottarelli (su questi ultimi due si veda l’artico pubblicato da ‘Affari Italiani’ “Governo, Magaldi: e il paramassone Mattarella incaricò il massone Cottarelli”) e in perfetta continuità e accordo con il paradigma dell’austerity imposto in modo feroce sin dal governo del controiniziato Mario Monti, allora si dimetta. E una volta che Tria si sia dimesso, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e gli altri legittimi azionisti politici del governo Conte chiamino a dirigere il Mef Paolo Savona (come originariamente proposto), supportato da un gabinetto economico speciale che includa Nino Galloni, Antonio Maria Rinaldi, Alberto Bagnai, Claudio Borghi e altri economisti di chiara ispirazione postkeynesiana.(Gioele Magaldi, “Attenzione alle trame dei massoni neoaristocratici Draghi, Visco e Cottarelli e secondo avvertimento al fratello Tria”, dal blog del Movimento Roosevelt del 28 settembre 2018. Magaldi è presidente del Movimento Roosevelt e gran maestro del Grande Oriente Democratico, movimento massonico progressista).E’ assolutamente ridicolo e inaccettabile che il “fratello” Giovanni Tria affermi di «aver fatto il proprio giuramento da ministro nell’interesse della nazione», collegando questo giuramento alla sua ostinata pervicacia nel voler difendere un paradigma economico ispirato alla più occhiuta e malnata austerità e nel considerare i privati diktat dei mercati come coincidenti con il bene collettivo dei cittadini. Ostinarsi a voler difendere nel rapporto deficit-Pil il limite dell’1,6% o qualunque altra asticella astratta e priva di fondamento scientifico (meno del 2%, o anche il 3% previsto dai Trattati di Maastricht e cosi via) significa fare gli interessi di gruppi massonici neoaristocratici già ben rappresentati, nella loro distruzione dell’economia italiana, da personaggi come Mario Draghi, Ignazio Visco, Sergio Mattarella, Carlo Cottarelli, eccetera. Al contrario, il massone Giovanni Tria era stato designato alla guida del Mef in qualità di libero muratore sedicente progressista, che avrebbe dovuto contribuire ad inaugurare un “new deal” nella governance economica del Bel Paese.
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Formica: l’Ue chiede a Silvio l’inciucio col Pd ma senza Renzi
«Renzi finirà asfaltato dai No, poi il successore lo designerà il Vaticano». Una “profezia” firmata Rino Formica, puntualmente esatta: il Rottamatore a casa, sostituito dal nipote dell’uomo di fiducia della Santa Sede, che firmò il Patto Gentiloni per riportare i cattolici in politica dopo l’Unità d’Italia. Oltre un anno dopo, alla vigilia delle politiche, l’ex ministro craxiano rilancia: le “dritte” dell’Ue a Berlusconi prevedono una “grande coalizione”, ma senza Renzi. Lo racconta Formica a Federico Ferraù, che l’ha intervistato per “Il Sussidiario”. Premessa: l’uscita del commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, secondo cui «un rischio politico» incombe sull’Europa, visto che «l’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso». Quale maggioranza uscirà dal voto? Moscovici critica la proposta di Luigi Di Maio di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil e ribadisce il dogma (bugiardo) dell’austerity: «Ridurre il deficit significa combattere il debito, e combattere il debito significa rilanciare la crescita». Secondo Formica, classe 1927, ex ministro delle finanze socialista e attentissimo osservatore della situazione, l’Unione Europea è scesa in campo, e il messaggio di Moscovici risponde a una strategia precisa: imporre a Berlusconi un governo di larghe intese col Pd, che però escluda Renzi.«Lo sfondamento del 3% lo aveva già richiesto Renzi: perché Moscovici a suo tempo non ha sollevato la questione?», si domanda Formica. Nel mirino, evidentemente, ci sono i 5 Stelle. L’establishment europeo ha nuovamente sdoganato Berlusconi per un motivo preciso: nonostante il Jobs Act, l’oligarchia di Bruxelles ritiene che Renzi abbia fallito, sul terreno delle drastiche controriforme neoliberiste sollecitate dall’élite finanziaria. «L’operazione è più sottile», sostiene Formica: «A Bruxelles vogliono ridimensionare il M5S e favorire l’ipotesi di una grande coalizione post-voto». Soprattutto, l’ex ministro immagina che «le coalizioni che entrano in campagna elettorale non saranno le stesse che ne usciranno dopo il 4 marzo». Del resto, se il Movimento 5 Stelle (nonostante il profilo ormai ultra-moderato) è ancora ritenuto un fattore di instabilità, lo è anche nel centrodestra la Lega di Salvini. «Attaccando Di Maio, Moscovici chiude le porte a Renzi, che aveva chiesto pure lui flessibilità, e introduce un fattore di rottura nella coalizione di centrodestra».In questi giorni, da Berlusconi a Grasso passando per i 5 Stelle, si sono sentite tutte le promesse acchiappavoti possibili. Traduzioni pratiche? «Fino a quando non saranno presentate le liste sentiremo solo parole in libertà», assicura Formica. «Dopo, invece, insieme ai candidati dovremmo intravedere qualcosa di più». Ma l’ex ministro non è fiducioso: «Tutti i partiti fanno promesse mirabolanti perché sanno bene che nessuno avrà la maggioranza per governare. E’ come se dicessero: tanto nessuno ci potrà chiedere di onorarle, quelle promesse, perché manca la condizione principale per poterlo fare: i numeri». E se una delle tre forze si ritrovasse con i numeri bastanti per prendere il largo? «Anche se dovesse esserci una maggioranza – dice Formica – questa sarà così contraddittoria al suo interno da avere le mani legate e da giustificare l’inadempienza del progetto. Vale anche per il M5S, che corre da solo. E l’informazione ci mette del suo». Eppure, obietta Ferraù, giornali e tv denunciano all’unisono l’inconsistenza delle promesse. «I media accusano – replica Formica – ma si guardano bene dal chiedere la cosa più semplice: qualora voi, da destra a sinistra, doveste governare in una maggioranza che non è quella dei singoli blocchi, che cosa riterreste qualificante e irrinunciabile? Quale sarebbe la vostra linea del Piave?».Nessuno l’ha ancora fatto, insiste Formica, «e non so se lo faranno». Informazione complice del gioco? «Più che complice, è succube. Tanto, gli elettori non sono in condizione di poter interloquire. Se non con il voto, a suo tempo». Per ora ci sono solo i sondaggi: il centrodestra è davvero favorito, come sembra? «Ha un vantaggio che, dopo il voto, può diventare uno svantaggio», risponde Formica. «Il vantaggio è di essere la coalizione costituita da entità politiche dotate di una propria consistenza». E lo svantaggio? «Quello di essere una sorta di fronte popolare». Grosso limite: «Tutti i fronti popolari stanno in piedi finché c’è un nemico da battere, ma dopo le elezioni tutto diventa più complicato». Fantapolitica e simili: “Liberi e uguali” può fare un accordo post-voto col M5S? Secondo Formica, quella messa insieme da Bersani e D’Alema «è l’unica lista dotata di spessore politico vero, perché ha il radicamento delle vecchie forze di sinistra» e la rappresentanza di Grasso e Boldrini, che l’ex ministro considera «simbolicamente forte». Ma il suo ruolo, aggiunge, «non mi pare tanto quello di allearsi, quanto di fare da detonatore: se avrà successo, potrà risultare esplosiva per i partiti che non vinceranno, scompaginandone le fila: a sinistra il Pd, e in mezzo il M5S». In ogni caso, secondo Formica «molto dipenderà da ciò che succede in Europa». Ovvero: «Se a Berlino la Grosse Koalition riprende in mano la guida dell’unificazione europea, l’Italia o si adegua o sarà penalizzata. E la Germania non lascerà alla Francia la guida dell’opinione pubblica politica europea».«Renzi finirà asfaltato dai No, poi il successore lo designerà il Vaticano». Una “profezia” firmata Rino Formica, puntualmente esatta: il Rottamatore a casa, sostituito dal nipote dell’uomo di fiducia della Santa Sede, che firmò il Patto Gentiloni per riportare i cattolici in politica dopo l’Unità d’Italia. Oltre un anno dopo, alla vigilia delle politiche, l’ex ministro craxiano rilancia: le “dritte” dell’Ue a Berlusconi prevedono una “grande coalizione”, ma senza Renzi. Lo racconta Formica a Federico Ferraù, che l’ha intervistato per “Il Sussidiario”. Premessa: l’uscita del commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, secondo cui «un rischio politico» incombe sull’Europa, visto che «l’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso». Quale maggioranza uscirà dal voto? Moscovici critica la proposta di Luigi Di Maio di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil e ribadisce il dogma (bugiardo) dell’austerity: «Ridurre il deficit significa combattere il debito, e combattere il debito significa rilanciare la crescita». Secondo Formica, classe 1927, ex ministro delle finanze socialista e attentissimo osservatore della situazione, l’Unione Europea è scesa in campo, e il messaggio di Moscovici risponde a una strategia precisa: imporre a Berlusconi un governo di larghe intese col Pd, che però escluda Renzi.