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Se i grillini capissero quale infamia è stata inflitta a Siri
Gli operatori politici devono tener conto essenzialmente dei loro interessi e della realtà. L’interesse dei capi grillini (le cui mosse in economia sono state molto dannose) è di portare la competizione con la Lega sul piano bella moralità politica e della giustizia per farsi più forti e più belli agli occhi del loro elettorato attuale e potenziale. La realtà di cui tener conto è che l’elettorato, soprattutto quello di riferimento del Movimento 5 Stelle, è sprovveduto ed emotivo, assetato di colpevoli cui imputare un malandare le cui cause vere non può capire. L’operazione ha fatto risalire il Movimento nei sondaggi, e scendere la Lega. Realisticamente, nell’interesse del suo partito, Siri forse si doveva dimettere subito, proprio per tenere conto dei limiti cognitivi ed emotivi della base popolare, la quale, vivendo mentalmente in un mondo immaginario, non vede le ragioni per cui Siri dovrebbe, al contrario, nell’interesse di tutti e della legalità costituzionale (sempre che non vi siano ragioni ulteriori in senso contrario rispetto a quelle rese note sinora) restare al suo posto.Le ragioni sono le seguenti. In primo luogo, Siri, ad oggi non è accusato ma solo indagato; il pubblico ministero non ha ancora esercitato l’azione penale, il giudice delle indagini preliminari non lo ha ancora rinviato a giudizio, e forse verrà addirittura disposta l’archiviazione della sua posizione. Nessun personaggio istituzionale è stato finora rimosso in una tale situazione. In secondo luogo, anche se fosse già imputato, dovrebbe applicarsi la presunzione di non colpevolezza, perché essa è un principio di civiltà giuridica irrinunciabile. In terzo luogo e in generale, il sistema giudiziario italiano non è affidabile perché è tra i meno efficienti al mondo, a livello dell’Africa nera. In quarto luogo, notoriamente il potere giudiziario è in parte politicizzato e non di rado viene strumentalizzato per la lotta partitica soprattutto nell’approssimarsi di elezioni.In quinto luogo, se si dà al pm (che talora agisce per scopi politici) il potere di causare le dimissioni degli eletti dal popolo, si sovverte il principio democratico, subordinandolo alle decisioni insindacabili di un soggetto che non è nemmeno responsabile delle sue azioni, oltre a non avere mandato elettorale. Ciò è peggio di qualsiasi cosa dal punto di vista costituzionale, è peggio persino dal lasciare in una carica istituzionale un personaggio che sia stato definitivamente condannato: è peggio perché è sovversivo del principio fondamentale della democrazia. Se l’elettorato grillino capisse questa cosa elementare, se capisse quindi il carattere illegale e la portata profondamente eversiva della rimozione di Siri, si rivolterebbe contro Giggino ed esigerebbe le dimissioni di Conte, che ha deciso e firmato quella rimozione, assumendosene la responsabilità politica.Quanto sopra vale per i processi in generale, mentre per il caso di Siri in particolare dobbiamo considerare i due procedimenti penali che lo interessano. Il primo è quello in cui ha patteggiato una pena per l’accusa di bancarotta fraudolenta. Il patteggiamento non è una valida ragione perché si dimetta. Infatti, in primo luogo, il patteggiamento non è un’ammissione o un accertamento di reato. In secondo luogo, il motivo per cui Siri ha patteggiato potrebbe essere che, di fatto, i processi per bancarotta fraudolenta in Italia spesso vengono gestiti in modo illegale, ossia ti accusano e ti condannano anche in assenza della prova che tu abbia commesso una distrazione patrimoniale o un qualsiasi altro fatto specifico. Oppure, nei casi in cui vi sono più amministratori della impresa fallita, succede che spesso vengono condannati tutti e senza andare a vedere chi abbia fatto che cosa, applicando una sorta di responsabilità oggettiva-collettiva, e spesso in assenza di prove delle responsabilità personali e dei fatti specifici, in totale violazione del principio di personalità della responsabilità penale, dell’onere della prova e della presunzione di non colpevolezza. Può darsi che Siri fosse innocente e abbia patteggiato per evitare di subire cose simili.L’altro procedimento penale che interessa Siri, quello ancora in fase di indagini preliminari e riguardante supposti rapporti con la criminalità organizzata, ancor meno dovrebbe essere considerato come necessitante le sue dimissioni. Infatti, in primo luogo, la mafia in Italia è stata portata dentro le istituzioni dagli americani durante l’invasione dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, come ricostruiscono numerosi studi storici, e da allora essa fa parte istituzionalmente dello Stato italiano: ci piaccia o no, lo Stato italiano è uno Stato-mafia (come altri). Anzi, da allora le varie mafie, camorre, ‘ndranghete hanno aumentato gradualmente il loro potere economico e politico, il loro controllo sul territorio e su buona parte dei collegi elettorali del Meridione, sì che governare senza un accordo con esse (a livello locale come a Roma) è impossibile; e la pretesa che i governi italiani combattano la criminalità organizzata – quella grande e non quella minore, quella che taglieggia i bottegai o spaccia per strada – è assurda oggettivamente anche se creduta popolarmente e vendibile alle masse elettorali.Ancor più importante: molti studi economici e sociologici evidenziano come, su scala mondiale, la criminalità organizzata è divenuta estremamente potente sul piano politico e addirittura possa soppiantare i governi, girando somme enormi riveniente da traffici illeciti (droga, armi, riciclaggi). Su questa enorme liquidità, che per il 60% circa si ricicla nelle banche statunitensi, si regge la stabilità di interi sistemi bancari del “mondo libero”. In conclusione, lo scandalizzarsi per (l’ipotesi di) contatti tra qualche personaggio politico o istituzionale e ambienti affaristici della criminalità organizzata, è pura ipocrisia o grave ingenuità. Peraltro, via via che si fanno istituzionali, le mafie, pur conservando il loro scopo di profitto e controllo politico, modificano i loro metodi e diventano per così dire civili. La mafia burocratica, la mafia ministeriale, la mafia legislativa, la mafia giudiziaria assomiglia ben poco alla mafia dagli stereotipi, alla mafia della coppola e della lupara; è una mafia in doppiopetto, felpata, che spende molto per legittimarsi e uccide moderatamente, che controlla i mass media, che modella l’opinione pubblica e la sua percezione del mondo, che in sostanza si è assimilata alla gestione normale del potere politico e al suo stile usuale (salvo mantenere modalità vetero-mafiose in campi come l’esazione fiscale nostrana).In fondo, l’organizzazione criminale di tipo mafioso altro non è che una forma molto efficiente, e pertanto vincente, di organizzazione e gestione di interesse e potere. Per questo si afferma e dilaga e soppianta altre istituzioni e controlla i cartelli delle materie prime, dell’informazione, e soprattutto del credito, della moneta, del rating. È una realtà pragmatica, che è errato inquadrare e giudicare limitativamente con categorie giuridiche, morali e emotive, per quanto essa possa essere ripugnante emotivamente e moralmente. Nella sua auto-narrazione, il sistema si professa come fondato su precisi principi: la trasparenza e sincerità, la conformità a etica e legge, la democraticità dell’azione politico-istituzionale. Ma questi principi sono solo la verniciatura della realtà, la quale funziona in modo completamente indipendente da essi. Essi hanno a che fare con la realtà solo nel senso che sbandierarli serve a nasconderla.La violazione delle regole legali e dei principi morali, assieme all’inganno, è funzionale e indispensabile per il profitto e per il potere. Però, nella narrazione per il popolo, il malandare delle cose e le ingiustizie non possono essere attribuiti a questa realtà, perché si disturberebbe il consenso, bensì a capri espiatori (gli ebrei, i comunisti, i fascisti, il nemico di classe, gli infedeli, etc.). Ogni sistema di potere completa la sua propria auto-narrazione aprendo, al proprio interno, uno spazio di dialettica consentita, onde ciascuno possa trovare il colpevole per lui più verosimile per le ingiustizie e per il malandare (il liberismo, il socialismo, l’Europa, gli euroscettici, etc.) e possa aderire a un partito che promette di risolvere i mali sconfiggendo quel colpevole. In questo modo, si produce e mantiene il consenso popolare, detto democrazia.(Marco Della Luna, “Il sacrificio democratico di Siri”, dal blog di Della Luna del 10 maggio 2019).Gli operatori politici devono tener conto essenzialmente dei loro interessi e della realtà. L’interesse dei capi grillini (le cui mosse in economia sono state molto dannose) è di portare la competizione con la Lega sul piano bella moralità politica e della giustizia per farsi più forti e più belli agli occhi del loro elettorato attuale e potenziale. La realtà di cui tener conto è che l’elettorato, soprattutto quello di riferimento del Movimento 5 Stelle, è sprovveduto ed emotivo, assetato di colpevoli cui imputare un malandare le cui cause vere non può capire. L’operazione ha fatto risalire il Movimento nei sondaggi, e scendere la Lega. Realisticamente, nell’interesse del suo partito, Siri forse si doveva dimettere subito, proprio per tenere conto dei limiti cognitivi ed emotivi della base popolare, la quale, vivendo mentalmente in un mondo immaginario, non vede le ragioni per cui Siri dovrebbe, al contrario, nell’interesse di tutti e della legalità costituzionale (sempre che non vi siano ragioni ulteriori in senso contrario rispetto a quelle rese note sinora) restare al suo posto.
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Magaldi: il coraggio di una vera rivoluzione per il XXI secolo
Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.Coraggio che manca ai nostri politicanti di oggi, tutti preoccupati di abbaiare e di litigare per avere qualche percentuale irrisoria in più alle elezioni europee. Ma poi – una volta al potere – si limitano a vegetare, facendo i propri affari, dimenticandosi di quello che avevano promesso per raccogliere il consenso elettorale. Palme e Sankara sono stati assassinati quando il neoliberismo non voleva ostacoli davanti a sé, nemmeno ideologici, e men che meno da parte di statisti influenti e capaci di bloccare quello che doveva accadere all’inizio degli anni ‘90. Oggi, soffiare sul fuoco della violenza per fermare una rivoluzione anti-neoliberista non appare più una soluzione percorribile, per tante ragioni. C’è ormai una platea di cittadini, in Italia e nel mondo, che vedono ormai con chiarezza quello che non funziona. Tutti i politici che parlano di cambiamento, e poi si dimostrano essere dei bluff, ci mettono poco a essere sbugiardati dal corpo elettorale.Paolo Becchi, già ideologo dei 5 Stelle, oggi – con il libro “Italia sovrana” – si presenta come ideologo di un nuovo sovranismo, interessante nella sua declinazione intellettuale: la contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Ma una volta scelto il sistema, globale o nazionale, poi tutto cambia se viene gestito con presupposti neoliberisti o keynesiani, post-democratici o democratici, liberal-conservatori o social-liberali. Di quale ideologia e cultura politica vogliamo nutrire il nostro futuro, nel XXI secolo? Quella dell’inganno neoliberista, secondo cui socialismo e liberalismo sono antitetici, e quella dell’inganno neoaristocratico, secondo cui basta servire su un piatto ai cittadini la ritualità della democrazia, dimenticando la sostanza? Oppure vogliamo richiedere un’idea equilibrata di gestione delle nostre società, nella quale il libero mercato e lo stesso capitalismo non siano demonizzati, ma trovino una complementarità nelle istanze sociali, cioè in un socialismo che è fatto di integrazioni, contrappesi e di una ritrovata autorevolezza di ciò che è pubblico?Pubblico e privato non sono antitetici. La narrazione neoliberista è stata all’insegna della svalutazione di ciò che è pubblico e statuale, della lentezza dei processi democratici rispetto all’esigenza di trattare la cosa pubblica come un’azienda che produce efficienza e profitti. Il mondo della libera impresa, che è storicamente collegato all’affermarsi delle democrazie, è un mondo diverso da quello della sfera pubblica, dove il core business non è la produttività in senso economicistico, bensì quella rete di servizi sociali, civili e materiali, infrastrutturali, che consente lo sviluppo di una vita felice, equilibrata. Le istituzioni pubbliche sono adatte a offrire un’uguaglianza delle opportunità, distinguendosi così dalle (giuste) leggi competitive del libero mercato. Le istituzioni pubbliche parlano di cooperazione, non di competitività.Il Movimento Roosevelt intende offrire un orizzonte ideologico nuovo, da abitare, per i cittadini del XXI secolo. Serve una rivoluzione culturale, perché non basta una semplice riforma dell’esistente. C’è bisogno di affrontare, pacificamente ma in modo deciso e forte, tutta una serie di poteri che non gradiscono questa conversione verso la democrazia sostanziale. La globalizzazione in atto è un processo che offre, piano piano, una disabitudine alla democrazia. E le contrapposizioni violente – su scala locale e internazionale – servono proprio a impedire un approccio di pace e armonia sociale. Quelli come noi vogliono costruire un orizzonte di eliminazione del conflitto sociale, attraverso una compesazione per le diseguaglianze prodotte dal mercato: va bene la disparità generata dal merito individuale, ma in cambio bisogna offrire a tutti i cittadini del globo gli elementi di base che consentono di avere un progetto di vita dignitoso. E’ una cosa che sembra semplice, ma in realtà oggi è rivoluzionaria. Esiste una nuova ideologia, il socialismo liberale, declinabile anche da angolazioni politiche diverse. E l’Italia può fare con orgoglio quello che ha già fatto nei secoli passati: offrire per prima una pietanza politico-culturale e ideologica agli altri popoli, agli altri paesi.Dall’Italia sono sempre partite le primizie – buone e cattive – che poi hanno influenzato il resto del mondo: la civiltà giuridica promana da Roma, l’universalismo giuridico viene dall’Italia romanizzata. E non dimentichiamo la lezione del Rinascimento, una sorta di manifesto ideologico-culturale che diventò poi storia concreta, trasformando le istituzioni e il modo stesso di concepire la realtà. Quel grande italiano che fu Giovanni Pico della Mirandola, con la “Oratio de hominis dignitate” costruì una nuova antropologia: l’antropologia dell’uomo artista, mago e scienziato, che non si limita a chinare il capo come creatura peccaminosa, bisognosa di redenzione, che quindi non ardisce conoscere e mettersi in rapporto dialettico con la natura. Da lì nasce l’idea dell’uomo che può trasformare le cose – la società, la natura stessa. Poi c’è il Risorgimento: i nostri eroi risorgimentali erano presi a modello in tutto il mondo, da popoli che anelavano all’autodeterminazione.C’è stato anche il fascismo, naturalmente: altra primizia italiana. Una dottrina post-democratica e di fatto neoaristocratica, tuttavia affascinante per i tanti che si lasciarono influenzare da quella che – per me, che sono fieramente democratico – non è che una perversione. Siamo orogliosi di essere italiani, senza che questo ci spinga a pensare che abbia davvero un futuro la contrapposizione tra sovranismo e globalismo. Sto molto apprezzando il libro di Paolo Becchi, “Italia sovrana”, e il senso in cui lui parla di sovranismo. Però credo che la sfida vera sia quella di “glocalizzare” la democrazia, uscendo da questo film che contrappone i nazionalismi alle oligarchie globali, come se globalizzare i rapporti fosse per ciò stesso sinonimo di diminuzione della democrazia. Io credo piuttosto che si possano globalizzare anche i diritti universali. Ma come fare, se non si ha una visione globale di questi diritti, e se ciascuno si preoccupa soltanto di recuperare la sovranità del proprio Stato e del proprio popolo?Alla fine, questo è un nazionalismo non aggressivo, teso a sottrarre alle oligarchie apolidi il controllo della moneta, dell’economia, della società e delle istituzioni. Ma come possiamo però immaginare un XXI secolo in cui non ci curiamo di tanti territori, dove le popolazioni non sono mai nemmeno passate per processi democratici?In fondo, anche il processo risorgimentale italiano metteva insieme più Stati e staterelli coi propri usi, tradizioni, dialetti e lingue. Eppure c’era un sentimento di italianità che univa tutti. Ma la lingua italiana era quasi artificiale, creata per unire popoli che parlavano lingue diverse, e si è affermata definitivamente solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla Rai. Il Movimento Roosevelt è convinto che l’Italia possa insegnare molto a molti, e che l’orgoglio patriottico (non nazionalistico) del nostro paese possa essere un fattore coesivo, per una proposta politico-culturale convincente.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella video-chat su YouTube del 6 maggio 2019. Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi ripercorre le tappe di quella che chiama “rivoluzione rooseveltiana”: dopo il convegno a Londra il 30 marzo sul New Deal keynesiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, è seguita l’assise milanese del 3 maggio sul socialismo liberale, in omaggio a Rosselli, Palme e Sankara. Il 14 luglio, a Roma, lo stesso Magaldi sarà tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire un’alternativa agli elettori, superando le timidezze del governo gialloverde, incapace di opporsi al paradigma neoliberista del rigore Ue).Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.
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Guai a chi parla: l’arresto di Assange minaccia i giornalisti
L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.L’arresto scioccante di Assange porta con sé un avvertimento per tutti coloro che, come scrisse Oscar Wilde, «seminano il seme del malcontento [senza il quale] non ci sarebbe alcun progresso verso la civiltà». L’avvertimento è esplicito nei confronti dei giornalisti. Quello che è successo al fondatore ed editore di WikiLeaks può capitare a voi su un giornale, in uno studio televisivo, alla radio, quando fate un podcast. Il principale persecutore mediatico di Assange, il “Guardian”, un collaboratore dello Stato segreto, questa settimana ha dimostrato il suo nervosismo con un editoriale che ha raggiunto vette finora inviolate di subdola astuzia. Il “Guardian” ha sfruttato il lavoro di Assange e WikiLeaks in quello che il suo precedente direttore chiamava «il più grande scoop degli ultimi 30 anni». Il giornale ha decantato le rivelazioni di WikiLeaks e ha rivendicato i riconoscimenti e le ricchezze che gliene sono derivate. Senza che un solo penny sia andato a Julian Assange o a WikiLeaks, un libro pubblicato dal “Guardian” ha portato poi a un fruttoso film di Hollywood. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, hanno abusato della loro fonte rivelando la password segreta che Assange aveva dato in confidenza al giornale, il quale avrebbe dovuto proteggere un file digitale contenente documenti trapelati dell’ambasciata Usa.Mentre Assange era intrappolato nell’ambasciata ecuadoriana, Harding ha raggiunto la polizia che stava là fuori e ha gongolato sul suo blog, dicendo che «Scotland Yard potrebbe essere quello che ride per ultimo». Da allora il “Guardian” ha pubblicato una serie di falsità su Assange, non ultimo una dichiarazione poi smentita che un gruppo di russi e l’uomo di Trump, Paul Manafort, avevano fatto visita ad Assange nell’ambasciata. Gli incontri non sono mai avvenuti; era falso. Il tono ora è cambiato. «Il caso Assange è una intricata questione morale», commenta il giornale. «Lui (Assange) crede nella pubblicazione di cose che non si dovrebbero pubblicare… Ma ha sempre gettato luce su cose che non avrebbero mai dovuto essere nascoste». Queste “cose” sono la verità sul sistema omicida con cui l’America conduce le sue guerre coloniali, le menzogne del Foreign Office britannico sulla privazione dei diritti delle persone vulnerabili, come gli Chagos Islanders, l’esposizione di Hillary Clinton come sostenitrice e beneficiaria dello jihadismo in Medio Oriente, la descrizione dettagliata da parte degli ambasciatori americani su come riuscire a rovesciare i governi in Siria e in Venezuela, e molto altro ancora. È tutto disponibile sul sito WikiLeaks.Il “Guardian” è comprensibilmente nervoso. La polizia segreta ha già visitato il giornale e ha chiesto e ottenuto la distruzione rituale di un disco rigido. Su questo, il giornale ha il documento della richiesta. Nel 1983, un funzionario del Foreign Office, Sarah Tisdall, fece trapelare alcuni documenti del governo britannico che mostravano quando sarebbero arrivate in Europa le armi nucleari Cruise americane. Il “Guardian” fu inondato di elogi. Quando un’ingiunzione del tribunale chiese di conoscere la fonte, non è stato il direttore a farsi arrestare in nome del fondamentale principio di proteggere la sua fonte, ma la Tisdall è stata tradita, perseguita e ha scontato sei mesi in carcere. Se Assange viene estradato in America per aver pubblicato ciò che il “Guardian” definisce “cose” veritiere, cosa impedisce che lo segua l’attuale direttore, Katherine Viner, o il precedente direttore, Alan Rusbridger, o il prolifico propagandista Luke Harding? Che cosa deve impedire [che lo seguano] i direttori del “New York Times” e del “Washington Post”, che hanno anche loro pubblicato pezzi di quella verità che ha avuto origine da WikiLeaks, e il direttore di “El Pais” in Spagna, e “Der Spiegel” in Germania e del “Sydney Morning Herald” in Australia? L’elenco è lungo.David McCraw, legale del “New York Times”, ha scritto: «Penso che l’azione penale [contro Assange] sarebbe un pessimo precedente per gli editori… a quanto posso capire, egli si trova in qualche modo nella stessa posizione di un editore classico e sarebbe molto difficile da un punto di vista legale distinguere tra il “New York Times” e WikiLeaks». Anche se i giornalisti che hanno pubblicato i documenti trapelati da WikiLeaks non sono stati convocati da un gran giurì americano, l’intimidazione di Julian Assange e Chelsea Manning sarà sufficiente. Il vero giornalismo viene criminalizzato da delinquenti alla luce del sole. Il dissenso è diventato una debolezza. In Australia, l’attuale governo filo-americano sta perseguendo due informatori che hanno rivelato che delle spie di Canberra hanno installato microspie nella sala delle riunioni del nuovo governo di Timor Est, con il preciso scopo di sottrarre con l’inganno alla piccola e povera nazione la sua giusta quota di petrolio e le risorse di gas nel mare di Timor. Il loro processo si terrà in segreto. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, è tristemente famoso per aver contribuito alla creazione di campi di concentramento per rifugiati nelle isole del Pacifico di Nauru e Manus, dove i bambini si feriscono e si suicidano. Nel 2014, Morrison ha proposto campi di detenzione di massa per 30.000 persone.Il vero giornalismo è il nemico di queste disgrazie. Una decina di anni fa, il ministero della difesa a Londra ha prodotto un documento segreto che descriveva le tre «principali minacce» all’ordine pubblico: terroristi, spie russe e giornalisti investigativi. Questi ultimi erano considerati la minaccia più grave. Il documento è stato debitamente divulgato da WikiLeaks, che lo ha pubblicato. «Non avevamo scelta», mi ha detto Assange. «È molto semplice: le persone hanno il diritto di sapere e il diritto di mettere in discussione e sfidare il potere: questa è la vera democrazia». Cosa succederebbe se Assange e Manning ed altri sull’onda – se ce ne fossero altri – fossero messi a tacere e «il diritto di conoscere, mettere in discussione e sfidare» fosse eliminato? Negli anni ’70 incontrai Leni Reifenstahl, intima amica di Adolf Hitler, i cui film contribuirono a lanciare l’incantesimo nazista sulla Germania. Mi disse che il messaggio nei suoi film, la propaganda, non dipendeva da «ordini dall’alto», ma da quello che lei chiamava la «vuota sottomissione» del pubblico. «Questa vuota sottomissione include la borghesia liberale e istruita?», le chiesi. «Certamente», disse lei, «specialmente l’intellighenzia… Quando le persone non si pongono più domande serie, diventano sottomesse e malleabili. Tutto può succedere». Ed è successo. Il resto, avrebbe potuto aggiungere, è storia.(John Pilger, “L’arresto di Assange è un avvertimento della storia”, dal blog di Pilger del 13 aprile 2019; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.
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Magaldi: giù le mani da Armando Siri (e dai suoi giudici)
Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».Cattiva politica, made in Italy, inaugurata da Tangentopoli: quello fu un golpe bianco, in cui finiva sul rogo qualsiasi politico colpito da un semplice avviso di garanzia. La vittima veniva isolata «dai colleghi di partito, pusillanimi, che si illudevano di farla franca», senza capire che quel sistema «sarebbe crollato per la sua stessa fragilità». Mani Pulite ha spazzato via la Prima Repubblica fondata sul patto atlantico: fare da argine rispetto all’Urss. Ma nella Seconda Repubblica – a lungo dominata da Berlusconi – quel male oscuro è rimasto: l’ombra dell’uso politico della giustizia. «Io non voglio nemmeno essere sfiorato dal sospetto che un’indagine, anziché essere mirata ad accertare la verità, persegua invece finalità improprie», dice Magaldi: «Questi dubbi sono perniciosi per lo stesso prestigio della magistratura, che resta uno dei cardini della democrazia». In altre parole: si deve poter indagare tranquillamente Armando Siri, per appurare se è innocente o colpevole, lasciando però che nel frattempo svolga il suo ruolo di sottosegretario. Se così fosse, nessuno a quel punto penserebbe più che ti mandano un avviso di garanzia perché c’è qualcosa di losco nel tuo operato: la magistratura farebbe semplicemente il suo dovere, senza che questo possa turbare l’agenda politica.Con un simile approccio, nessuno avrebbe più il minimo interesse a tentare di usare la carta giudiziaria per far fuori i rivali. E invece «si è creato un clima improprio, corrotto moralmente e politicamente, da quando l’opportunità politica e morale si è opposta allo Stato di diritto». Era la famosa “questione morale”, agitata innanzitutto da Berlinguer: «Come si fa ad anteporre una presunta morale allo Stato di diritto? La moralità pubblica è proprio quella che promana dallo Stato di diritto», sottolinea Magaldi, che denuncia lo «stile inappropriato», usato da Di Maio e anche dal ministro Toninelli, che ha tolto le deleghe a Siri: «Un atto improprio, becero e inopportuno, in un momento così delicato nei rapporti tra 5 Stelle e Lega». Pur critico sull’operato del governo Conte, troppo timido con Bruxelles, il presidente del Movimento Roosevelt apprezza l’impegno di Siri: ha dato più spessore e più maturità all’ex Carroccio, ispirando la scuola politica del partito e lanciando l’idea della Flat Tax. Una misura – il taglio della pressione fiscale – che va nella direzione giusta: «Non sarà risolutiva, ma contribuisce comunque ad aggredire la malattia socio-economica dell’Italia, che è il rigore imposto dal neoliberismo».Coincidenze: si attacca Siri proprio ora che si riparla di Flat Tax. Un modo per colpire Salvini e affondare il governo, in un momento così delicato per il precario “matrimonio” gialloverde? «Dobbiamo liberare i magistrati da qualunque ombra», insiste Magaldi. «E quindi bisogna che il ceto politico la smetta di pensare che si possa sovrapporre una seconda morale alla morale pubblica, già garantita per principio dalla presunzione di innocenza». Per Magaldi, si tratta di «metodologia costituzionale in ambito democratico, in uno Stato di diritto». Come tutelarsi dal sospetto che vi possa essere una giustizia eterodiretta o deviata verso finalità politiche improprie? «Basta mantenere il presupposto – tipico dell’ordinamento democratico e liberale – che ciascuno di noi è innocente fino a prova contraria». Purtroppo, aggiunge Magaldi, da Tangentopoli in poi «abbiamo vissuto un rigurgito di cultura inquisitoriale – di tempi bui, antichi e pre-moderni», in un’Italia «vessata per secoli da una cultura clericale, da una brutta versione del cristianesimo: quella che considera tutti peccatori, in attesa di redenzione».Meglio partire invece dall’idea di dignità umana come riflesso divino, «rilanciata da un grande cristiano come Giovanni Pico della Mirandola». Le democrazie hanno raccolto proprio questa idea: siamo dotati di dignità e di innocenza presunta, e il potere «appartiene agli uomini, non a un dio interpretato da caste sacerdotali o da aristocrazie laiche». Se è così, «si resta innocenti anche di fronte a una condanna non definitiva». Applicare questa regola, sottolinea Magaldi, sarebbe la migliore salvaguardia, sul piano politico, da qualunque sospetto di interferenza impropria della magistratura. Tutti innocenti fino a prova contraria, dunque, incluso Armando Siri: «Qualunque giurista democratico non potrebbe che sottoscrivere questo principio, che invece è stato pervertito dagli anni di Tangentopoli». Aggiunge Magaldi: «Dobbiamo liberarci di questa immoralità istituzionale. La cultura del sospetto appartiene ai regimi liberticidi. In democrazia invece i magistrati fanno il loro dovere, svolgono inchieste in modo libero e senza essere sospettati di lavorare a orologeria, sapendo che il ceto politico non metterà in discussione un soggetto solo perché è sottoposto a indagine».In questa vicenda emergono «ostilità e doppiopesismo», continua Magaldi: «Giustamente Salvini ha fatto notare che anche Virginia Raggi è stata ed è nuovamente indagata, e nessuno – nella Lega – si è sognato di chiedere le sue dimissioni. Semmai la Raggi dovrebbe dimettersi per la sua conclamata incapacità di governare Roma». Per Magaldi ci sono molti motivi per criticare lo scarso coraggio politico del governo, che anziché puntare al cambiamento «tira a campare, con pannicelli caldi per curare una malattia – quella economico-sociale dell’Italia – che ha bisogno di ben altre cure». Quello che non è accettabile, però, è che si strumentalizzi il lavoro della magistratura per colpire Salvini e seminare zizzania tra 5 Stelle e Lega». In questo, svetta il cinismo di Di Maio: «Un ipocrita, che tuona pubblicamente contro la massoneria ma poi fa il giro delle sette chiese per chiedere in segreto di essere accolto nei peggiori circuiti massonici sovranazionali, di segno neo-aristocratico, fingendo anche di non sapere che il governo Conte è affollato di massoni, sia tra i ministri che fra i sottosegretari». E ora si mette a far la morale ad Armando Siri, “colpevole” di aver trasmesso al governo le istanze di alcuni imprenditori?Decisamente sconcertante, l’harakiri gialloverde imposto da Di Maio: anziché serrare i ranghi per fronteggiare l’avversario comune, l’oligarchia di Bruxelles che impedisce all’Italia di crescere, il leader dei 5 Stelle preferisce “speronare” l’alleato leghista in vista delle europee, traguardo temutissimo dai grillini. Anche in questo, Di Maio ha brillato per doppiezza: prima ha omaggiato in modo clamoroso e irrituale i Gilet Gialli facendo infuriare Macron, poi s’è genuflesso davanti ad Angela Merkel, che di Macron è l’interfaccia in salsa prussiana. Una manfrina indecorosa, secondo Magaldi, per sperare di essere accolto nella Golden Eurasia, la superloggia massonica della Cancelliera. A che gioco sta giocando, Di Maio? Il presidente del Movimento Roosevelt, massone progressista, ha le idee chiare: il capo dei pentastellati ha ormai capito che il governo Conte ha fallito l’obiettivo del cambiamento, e spera – con l’aiuto delle superlogge – di sopravvivere politicamente al declino del Movimento 5 Stelle. Comunque la si veda, il risultato non cambia: la guerra intestina indebolisce l’Italia, cioè il paese che avrebbe dovuto sfidare la “dittatura” tecnocratica di Bruxelles. I guai per il Belpaese – aggredito dai poteri forti europei, con la complicità del Deep State italico – cominciarono con Tangentopoli: uso politico della giustizia. Non è un caso, forse, che dopo un quarto di secolo sia lo stesso Di Maio a ricorrere, ancora e sempre, al giustizialismo sommario che ha “suicidato” l’economia italiana, trasformando il paese in terra di conquista per le potenze straniere.Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».
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Costretta a coprire Selmayr: così è morta Laura Pignataro
Bruxelles, 17 dicembre 2018, ore 7.30: Laura Pignataro chiede a Lorenza, la ragazza di cui era ospite da alcuni giorni, di accompagnarle la figlia quattordicenne alla fermata dell’autobus. Non si sente bene, si giustifica. Appena le due donne se ne sono andate, Laura sale all’ultimo piano dell’edificio e si getta nel vuoto: morirà all’istante. Per la polizia belga è suicidio: l’ennesimo (sono tra i 140 e i 200 all’anno, i suicidi a Bruxelles). Perché questa donna italiana di 50 anni si sarebbe suicidata? Nessuno lo saprà mai per certo, scrive Jean Quatremer su “Libération”, visto che non avrebbe lasciato nessun messaggio d’addio. «Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una persona che contava», nel club europeo. Il quotidiano francese la definisce «geniale giurista, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, Stati Uniti, Francia e Spagna». Faceva parte del gotha degli alti funzionari della Commissione Ue. Dal 1995 era in forza al prestigioso Servizio giuridico (Sj), dove nel 2016 era stata promossa a capo del Dipartimento risorse umane. È questa la funzione che l’ha portata a svolgere un ruolo-chiave nella gestione del caso Martin Selmayr, l’ex capo dello staff tedesco di Jean-Claude Juncker, promosso segretario generale della Commissione il 21 febbraio 2018, «in violazione delle norme dello statuto della funzione pubblica europea».Uno scandalo che non cessa di provocare ondate, scrive “Libération”: dopo aver denunciato un vero e proprio “colpo di Stato” nell’aprile 2018, il Parlamento Europeo il 13 dicembre ha chiesto le dimissioni di Selmayr a stragrande maggioranza (71% dei voti). Per Laura Pignataro, i guai sono cominciati il 28 febbraio 2018, quando la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento Europeo, di fronte alla portata mediatica dello scandalo, ha aperto un’indagine sul “Selmayrgate”, inviando una lista di 134 domande alla Commissione. «È stato il panico», confessa un eurocrate, che chiede di restare anonomo: il problema, aggiunge, è che il servizio legale (quello della Pignataro) è stato bypassato, «perché sapevano che si sarebbe opposto a questo inganno». E non sarebbe l’unico. Per esempio: com’è che Juncker e Selmayr hanno taciuto per più di due anni sul prepensionamento anticipato dal segretario generale uscente, l’olandese Alexander Italianer? E perché la sua pensione è stata annunciata solo il 21 febbraio 2018, durante il plenum dei 28 commissari, solo dopo la nomina di Martin Selmayr come vicesegretario generale?Un incontro per tentare di redigere le risposte è stato convocato il 24 marzo 2018, ricorda “Libération”. Problemi: lo spagnolo Luis Romero, direttore generale del servizio legale, lasciò la stanza non appena vi entrò Selmayr. Laura Pignataro, presente, avrebbe voluto seguirlo (ma non osò farlo). Anche perché, spiega Jean Quatremer, ad andarsene avrebbe dovuto essere Selmayr, in flagrante conflitto d’interessi (si parlava di lui, dopotutto). E così, continua il giornalista di “Libération”, non sorprende che i deputati non si fossero assolutamente convinti della validità degli argomenti della Commissione. Così hanno preparato una seconda lista di questiti, 61 domande. Le risposte? Sono state preparate il 2 aprile 2018 dalla stessa squadra e, come la prima volta, alla presenza (inopportuna) di Selmayr. «Laura, uscendo da questi incontri, era in preda alla rabbia», rivela uno dei suoi amici: «Sapeva di esser stata coinvolta in un uso illegale di interessi. Da avvocato fedele all’istituzione, si era resa conto che la nomina di Selmayr non era stata legale». Fu quindi costretta a tentare di giustificare la violazione della legge?A maggio, la mediatrice irlandese Emily O’Reilly iniziò la sua indagine in un’atmosfera di tensione. Chiese l’accesso al server della Commissione: permesso respinto. Richiese quindi la trasmissione di tutte le e-mail relative alla nomina di Selmayr: nuovo rifiuto. E qui, Laura Pignataro si sentì in dovere di collaborare. «Non ho potuto mentirle», ha detto Laura a un parente: «Ho dato tutti i file alla mediatrice». Dal canto suo, racconta “Libération”, Selmayr non ha saputo subito del “tradimento” della Pignataro, che considerava il suo scudo legale. Pubblicato il 4 settembre, il rapporto del mediatore europeo è stato travolgente: sembra che la nomina di Selmayr sia stata preparata già a gennaio 2018, e pare che il pupillo di Juncker non abbia mai dubitato dell’omertà dei funzionari, consapevoli fin dall’inizio della frode. A quel punto, Selmayr ha intuito che il suo “problema” si chiamava Laura Pignataro: non pteva che essere lei, la “gola profonda”. Al che, l’italiana dovette ricevere nuove istruzioni: la chiamarono nel cuore della notte per spiegarle come dovesse mentire alla O’Reilly. A dicembre, dopo quest’ultimo atto, Laura Pignataro confidò al suo entourage che la sua carriera a Bruxelles era praticamente finita. «Non puoi immaginare cosa sono stata costretta a fare nelle ultime settimane», disse a un amico, secondo il quale «sembrava terrorizzata dall’ostilità di Selmayr». Quattro giorni dopo, il tragico tuffo nel vuoto.Luis Romero, il direttore del servizio legale in cui lavorava Laura, venne a conoscenza del presunto suicidio l’indomani mattina: non disse nulla e lasciò la riunione che aveva appena cominciato. Poi, affidò un messagio riservato al colleghi, sulla rete Intranet: «Luis Romero si rammarica di dover darvi la triste notizia della morte di Laura Pignataro». Aggiunge “Libération”: «Né Martin Selmayr né Günther Oettinger, commissario per l’amministrazione, né lo stesso Juncker ritennero opportuno inviare le loro condoglianze alla famiglia, né di partecipare o di essere rappresentati alla cremazione, tenutasi il 21 dicembre a Bruxelles». Quello stesso giorno, d’altra parte, «tutti i funzionari avevano ricevuto un messaggio di “buone feste” da parte di Selmayr». Cinismo teutonico? «Siamo rimasti tutti scioccati», dice a “Libération” uno degli amici di Laura Pignataro. Selmay era assente anche alla cerimonia del 31 gennaio, per commemorare Laura. Eppure la conosceva bene, ci aveva collaborato direttamente per dieci mesi. «Umanamente, la Commissione è un posto orribile», dice al giornale francese un funzionario dell’istituzione. «La brutalità è parte integrante di questa casa», dichiarò lo stesso Selmayr nel 2017 sempre a “Libération”.Uno dei suoi portavoce, Alexander Winterstein, fu tranciante: la morte della Pignataro? «Una questione interamente privata». Certo, Laura Pignataro «è stata un’eccellente e brillante giurista, una collega e molto apprezzata». Perché allora si sarebbe uccisa? «È difficile capire il suo gesto: era allegra, forte ed energica», la ricorda uno dei suoi ex capi, Giulano Marenco, vicedirettore generale del dipartimento legale, ora in pensione. «La sua situazione personale era complicata», ammette: «Suo marito, Michel Nolin, funzionario civile francese nel servizio legale, aveva combattuto per anni contro la Commissione perché sentiva di non avere avuto la carriera che meritava». Si era persino lamentato con la Corte di giustizia, perdendo però la vertenza. E c’è chi sospetta che la nomina di Laura in quella posizione – così delicata e scomoda – potrebbe aver a che fare con il caso del marito. «La relazione della coppia si era deteriorata così gravemente – scrive “Libération” – che Laura Pignataro si era rifugiata a casa della sua amica, con sua figlia», alcuni giorni prima del fatale volo dal tetto. Il bando per sostituire Laura Pignataro è stato pubblicata il 4 marzo, quasi tre mesi dopo la sua morte. Conclude Jean Quatremer: «Sappiamo già che Selmayr chiamerà un suo fedele, tedesco come lui».Bruxelles, 17 dicembre 2018, ore 7.30: Laura Pignataro chiede a Lorenza, la ragazza di cui era ospite da alcuni giorni, di accompagnarle la figlia quattordicenne alla fermata dell’autobus. Non si sente bene, si giustifica. Appena le due donne se ne sono andate, Laura sale all’ultimo piano dell’edificio e si getta nel vuoto: morirà all’istante. Per la polizia belga è suicidio: l’ennesimo (sono tra i 140 e i 200 all’anno, i suicidi a Bruxelles). Perché questa donna italiana di 50 anni si sarebbe suicidata? Nessuno lo saprà mai per certo, scrive Jean Quatremer su “Libération”, visto che non avrebbe lasciato nessun messaggio d’addio. «Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una persona che contava», nel club europeo. Il quotidiano francese la definisce «geniale giurista, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, Stati Uniti, Francia e Spagna». Faceva parte del gotha degli alti funzionari della Commissione Ue. Dal 1995 era in forza al prestigioso Servizio giuridico (Sj), dove nel 2016 era stata promossa a capo del Dipartimento risorse umane. È questa la funzione che l’ha portata a svolgere un ruolo-chiave nella gestione del caso Martin Selmayr, l’ex capo dello staff tedesco di Jean-Claude Juncker, promosso segretario generale della Commissione il 21 febbraio 2018, «in violazione delle norme dello statuto della funzione pubblica europea».
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Fake-Tav, Airola: tutto inventato, dai fondi Ue alle penali
Eccoci a parlare di Tav: finalmente una discussione, visto che quando abbiamo votato la verifica degli accordi con la Francia nel 2017 i tempi degli interventi erano stati contingentati incostituzionalmente – giusto per chiarirlo a chi si lamentava che si parlasse poco di quest’opera, nell’aula. Parliamone. Questa storia del Tav è intrisa di anomalie gravissime e regole calpestate, a cominciare dalla repressione violenta attuata dai governi precedenti a danno dei cittadini della val Susa. C’è da domandarsi come mai un popolo si compatti in questo modo, trasversalmente – giovani e anziani, dal vigile al sindaco – contro un’opera che voi definite fondamentale; un popolo che da vent’anni non si arrende, ma continua a lottare. Avete mai ascoltato le loro ragioni? No, non l’avete mai fatto: forse per paura della loro competenza, o perché sapete bene che le argomentazioni pro-Tav, SìTav, come minimo sono spesso delle “fake news”, sono delle menzogne: primo, perché l’accordo di base tra Italia e Francia nel 2001 prevedeva (all’articolo 1) che i lavori partissero a saturazione della linea esistente, che attualmente è utilizzata per meno del 15% della sua capacità di trasporto.Quindi dove stanno questi enormi flussi di merci tra noi e Lione? Le proiezioni di aumento del traffico (fatte vent’anni fa) sono miseramente crollate, come confermato recentemente dallo stesso Osservatorio della Torino-Lione. Inutile, quindi, far andare un treno merci – non passeggeri – in una galleria da 57 chilometri alla velocità di 160 all’ora, guadagnando una manciata di minuti, rispetto all’attuale linea. Secondo: perché non è mai partita, l’opera? Non c’è un centimetro – dico, un centimetro – di tunnel di base realizzato. Quest’opera non ha un centimetro di “buco”: sono state realizzate solo attività di riconoscimento geologico, comprese quelle in Francia. Perché più volte anche la Francia ha fatto un passo indietro: la Corte dei Conti francese, molto chiaramente, ha detto che l’opera è troppo cara, e quindi consiglia di ammodernare la linea esistente. In più ha ricordato che anche altri paesi, come Slovenia e Ungheria, hanno preferito migliorare l’esistente, piuttosto che imbarcarsi in opere costosissime e inutili. Più volte la stessa Europa ha scartato progetti, modificando la destinazione dei fondi. Inoltre, il Portogallo ha rinunciato all’opera senza pagare un centesimo di penale, pur avendo già ricevuto parte dei finanziamenti.Quindi, per favore, non parlateci più della grande linea Kiev-Lisbona, perché vi fareste ridere dietro: quella è roba da Ottocento, da Michele Strogoff. Oggi il traffico di merci viaggia prevalentemente sulla direttrice nord-sud, non su quella est-ovest. Assodato che non ci sono flussi di merci che giustifichino quest’opera, sappiate che la linea attuale può tranquillamente trasportare Tir e container: ma pochissimi la usano. Anche la storia dell’inquinamento si può risolvere con una tassa sul trasporto su gomma, come fanno gli svizzeri. E allora parliamo dello spauracchio sventolato continuamente: le penali. Vi voglio svelare un segreto: non ci sono penali da pagare. In riferimento agli appalti attribuiti, non sussiste alcun diritto a richiedere penali, come recita l’articolo 2, comma 2 e 3, lettera C, della legge 191 del 2009 (era la finanziaria 2010). La norma stabilisce che il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualsiasi pretesa risarcitoria in relazione alle opere individuate: deve rinunciare a qualunque pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera e di lotti successivi.Viene ribadito, questo, anche all’articolo 3 della legge di ratifica del 5 gennaio 2017, quella precedentemente citata; identica previsione è contenuta nella delibera Cipe numero 67 del 2017, nel combinato disposto degli articoli 1 e 6 del deliberato. Io parlo di cose vere, scritte nero su bianco. Penali nei rapporti internazionali? Si tratta di decisioni rimesse agli Stati sovrani, come ricorda anche l’avvocatura dello Stato nella sua relazione giuridica, che deve essere solidamente ancorata alla sostenibilità socio-economica e finanziaria dell’intera opera secondo le stesse norme europee. Non si vede come possano imputarsi responsabilità gravi in capo agli Stati, quando questi presupposti mancano (cioè quando mancano i soldi). Esiste infine un precedente: quello del Portogallo, che nel 2012 cancellò la propria tratta ad alta velocità da Lisbona a Madrid. E non ci fu alcuna richiesta di indennizzo, o altra compensazione, da parte della Commissione Europea e della Spagna. Quindi nessuna penale, tranne le inutili minacce di Telt e il diktat dell’Unione Europea.Parliamo dei costi. La Torino-Lione è una linea che dovrebbe costare 9,6 miliardi di euro (attualizzati al 31 dicembre 2017) più 1,4 miliardi già spesi tra studi preliminari, indagini e gallerie geognostiche. Arriviamo a oltre 11 miliardi, considerato che per adesso – da parte dell’Unione Europea – c’è un solo impegno verbale per l’incremento del suo contributo dal 40 al 50%. Quindi potremmo anche non riceverlo. Il finanziamento del tunnel è di fatto rinviato all’approvazione del bilancio pluriennale dell’Unione Europea del 2021. I fondi già stanziati nel Grant Agreement non potranno essere utilizzati a causa dei ritardi, ma soprattutto perché l’articolo 16 dell’accordo del 2012 impone a Italia e Francia la disponibilità certa del finanziamento di tutta l’opera, compreso l’importo del 40%: quindi quei soldi non arriveranno. Contributo solo promesso, dunque, ma non ancora approvato dall’Unione Europea, quale requisito indispensabile per avviare la costruzione del tunnel di base: quindi il tunnel non può partire. Questa disponibilità di fondi non esiste: la Francia non ha stanziato un solo euro, per il tunnel di base.Ricapitolando: arriviamo a un costo superiore ai 13 miliardi, di cui più di 11 ancora da spendere. Inoltre, la tratta francese (che costava 7,7 miliardi nel 2011) oggi costerebbe circa 9 miliardi. Voilà: superati i 20 miliardi. Tutto ciò non servirebbe, ripeterlo, perché c’è scritto nero su bianco nell’analisi costi-benefici che l’opera non conviene: non è una fake news, la commissione ha impiegato tanto tempo, proprio per approfondire adeguatamente la materia. Non dimentichiamo che, per di più, c’è una ripartizione asimmetrica dei costi: oggi è indispensabile che la ripartizione sia riiscussa, tra Italia e Francia, alla luce del fatto che i due paesi non vogliono più fare le linee di accesso al tunnel: decisione che modifica questa partizione asimmetrica. Cioè: un chilometro italiano costerebbe 280 milioni, un chilometro francese 60. Quindi, chi insiste su quest’opera non ha a cuore l’interesse del popolo, ma quello di multinazionali ed euro-mafie che non aspettano altro che aggiudicarsi ricchi appalti. Peraltro, essendo giuridicamente territorio francese (anche il cantiere italiano sarebbe in territorio francese) gli appalti se li aggiudicherebbero senza leggi antimafia. Dovranno però aspettare un po’, perché sull’intera fattibilità la Francia deciderà soltanto nel 2038. Capito?Ma come potete pensare di spendere miliardi per un’opera inutile che, se tutto procede come desiderato dei promotori, potrebbe essere terminata fra trent’anni? E oggi mi dovete spiegare come andrete a Matera, “città della cultura” 2019. Questo paese è stanco di veder sprecare i soldi. Questo paese vuole strutture adeguate a muoversi, a viaggiare su strade locali e non andare a lavorare stipati come sardine in carri bestiame; vorrebbe poter farsi una gita senza dover prendere due bus e un taxi. Telt non ha alcun titolo o via libera, ancorché silenzio-assenso, al lancio delle gare Tav. Qualora Telt procedesse in tal senso, questo comporterebbe una grave e diretta violazione degli accordi Italia-Francia, che sono legge vigente dello Stato italiano. Il governo è direttamente responsabile dell’operato di Telt. E i residui fondi dell’Unione Europea attualmente a disposizione sono già persi, anche in presenza di proroga del Grant Agreement al 2020. Le attività finanziate sono in grave ritardo danni a causa di comprovate inefficienze di Telt. La Commissione Europea e l’Inea sono perfettamente a conoscenza di ciò. A prescindere dal lancio delle gare Telt, la Commissione Europea vorrebbe decurtare oltre 300 milioni di sovvenzioni assegnate (ma la stessa Commissione non può imporre un calendario).Tale situazione è l’esatta replica di quanto già visto il 2013 col governo Monti. Il grave ritardo a cui assistiamo è diretta responsabilità chi doveva agire per tempo e non ha agito, a cominciare dai commissari dei governi passati. Ma qui non ci sono in gioco solo miliardi sottratti a scuola, ospedali e ferrovie utili. C’è una questione di ordine etico e morale. Lo Stato ha spianato la volontà popolare con la violenza. Lo Stato non ha ascoltato i cittadini. Lo Stato si è comportato da dittatore, calpestando tutto e tutti per il Tav. Ed è scoccata l’ora di dare giustizia al popolo valsusino, e di riconoscere – dopo quasi 30 anni – che avevano ragione loro, i valsusini. Non solo vogliamo mantenere una promessa fatta tanto tempo fa da Beppe Grillo e da tutti noi, ma li ringrazieremo per quello che hanno fatto per il paese, e soprattutto per l’esempio che ci hanno dato. La sovranità appartiene al popolo. E quando il popolo è unito, nessuno può batterlo.(Alberto Airola, intervento al Senato il 7 marzo 2019. Senatore piemontese del Movimento 5 Stelle, Airola è un severo oppositore del progetto Tav Torino-Lione, fondato essenzialmente su dati gonfiati e proiezioni illusorie).Eccoci a parlare di Tav: finalmente una discussione, visto che quando abbiamo votato la verifica degli accordi con la Francia nel 2017 i tempi degli interventi erano stati contingentati incostituzionalmente – giusto per chiarirlo a chi si lamentava che si parlasse poco di quest’opera, nell’aula. Parliamone. Questa storia del Tav è intrisa di anomalie gravissime e regole calpestate, a cominciare dalla repressione violenta attuata dai governi precedenti a danno dei cittadini della val Susa. C’è da domandarsi come mai un popolo si compatti in questo modo, trasversalmente – giovani e anziani, dal vigile al sindaco – contro un’opera che voi definite fondamentale; un popolo che da vent’anni non si arrende, ma continua a lottare. Avete mai ascoltato le loro ragioni? No, non l’avete mai fatto: forse per paura della loro competenza, o perché sapete bene che le argomentazioni pro-Tav, SìTav, come minimo sono spesso delle “fake news”, sono delle menzogne: primo, perché l’accordo di base tra Italia e Francia nel 2001 prevedeva (all’articolo 1) che i lavori partissero a saturazione della linea esistente, che attualmente è utilizzata per meno del 15% della sua capacità di trasporto.
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Torino-Lione, la Banda del Buco farà fallire le Fs italiane?
Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.«Meglio di David Copperfield – scrive Spadini – il premier Conte ha fatto sparire i bandi per il Tav sotto gli occhi di tutti». Una sua lettera dice infatti di aver «ricevuto la conferma da parte di Telt del consenso a ridiscutere l’opera e a congelare i bandi». In altre parole, «un modo per rinviare il problema a dopo le elezioni europee, ma non una soluzione definitiva». Per Alberto Perino, storico portavoce dei NoTav, «Telt vince, Conte e i 5 Stelle perdono, Salvini gode». Il dibattito sul Tav segna l’inizio della campagna elettorale per Strasburgo, tra mille forzature e fake news. In realtà, osserva Spadini, «l’affare Tav è considerato irrinunciabile e vitale dal sistema che vive da decenni sulla spoliazione di soldi pubblici, perché può trasformarsi in un pozzo di San Patrizio inesauribile, che continuerà a foraggiare l’Alta Voracità delle classi dirigenti più avide della storia d’Italia». Da qui la battuta d’arresto «imposta dalla banda affaristica del Tav», con l’improvviso rischio di una crisi di governo. «Non è un caso che il Tav abbia la maggioranza di Salvini, Berlusconi, Meloni e di Zingaretti», dichiara Gianluigi Paragone: «Evidentemente quando c’è una grande torta, ci sono interessi da tutelare». Per ora, l’esecutivo s’è rifugiato in corner: «La via più di buon senso è quella di pubblicare i bandi con la “clausola della dissolvenza”, così come previsto dal diritto francese, che consente in qualsiasi momento di poterli revocare», spiega il sottosegretario alle infrastrutture, Armando Siri.Per il momento la strada della “dissolvenza” sembra essere l’unica soluzione indolore, scrive Rosanna Spadini, nel senso che i bandi francesi si terranno, e allo stesso tempo il governo prende tempo. Lo conferma Danilo Toninelli, quando sostiene che si può allo stesso tempo dire sì ai bandi e no al Tav. Il Cda di Telt resta comunque convocato, con l’ordine del giorno per il via libera ai bandi da 2,3 miliardi di euro per l’avvio del “tunnel di base”. Però la faccenda è ancor più complicata, annota Spadini su “Come Don Chisciotte”, perché la Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin) è un’azienda francese di proprietà al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato italiane con sede a Le Bourget-du-Lac, nel dipartimento della Savoia, in Francia, con lo scopo di progettare, realizzare e gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria Torino-Lione. Premessa: «Dal 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato sono diventate una Spa». Sono sempre un organismo di diritto pubblico, «però in forma di società per azioni». A marzo del 2016, l’accordo sulla distribuzione dei costi totali: 8,3 miliardi di euro (valore datato, risalente a una stima del 2012).Il nuovo super-tunnel, completamente inutile secondo la commissione tecnica presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, dovrebbe quindi essere finanziato per il 40% dall’Unione Europea, per il 35% dall’Italia e per il restante il 25% dalla Francia. «Condizioni a dir poco disoneste per l’Italia, cui spetta il tratto minore». L’abbinamento è piuttosto curioso, fa notare Rosanna Spadini: «Se lo Stato francese non può mai fallire, Fs invece – essendo una Spa – potrebbe fallire, soprattutto se si espone ad opere insostenibili e se nella sua galassia esistono soggetti privati che cercano di vampirizzarla, creando flussi finanziari distrattivi dall’interno». Esempio recentissimo: la Tp Ferro, società che ha gestito la ferrovia e il tunnel per la linea Parigi-Barcellona sotto i Pirenei, è stata costretta a portare i bilanci in tribunale nel 2015. «La linea è ampiamente sottoutilizzata: solamente 70 treni passeggeri e 32 merci a settimana, ben al di sotto delle previsioni. Il costo della sezione transfrontaliera fra Perpignan e Figueras, comprendente il traforo, è stato di 1,2 miliardi di euro, e ora il debito della Tp Ferro supera i 400 milioni. Il tratto di linea in questione fa parte del fantasioso Corridoio Mediterraneo, e la sua costruzione era stata finanziata dall’Unione Europea. Lo stesso corridoio della Torino-Lione, e la società ora in fallimento ci teneva a sottolinearlo».Attenzione: la sezione transfrontaliera della Torino-Lione «costa oltre sette volte la Figueras-Perpignan, ma nulla lascia intravedere un futuro più roseo per la linea francoitaliana rispetto a quella franco-spagnola». A maggior ragione se si considera che fra Italia e Francia «già esiste una ferrovia, che passa per la val Susa, in grado di trasportare le merci e su cui transitano regolarmente i Tgv». Linea anch’essa sottoutilizzata: spariti i passeggeri grazie ai voli low-cost, è crollato anche il traffico merci (né si prevede che possa risorgere: la direttrice dei trasporti mercantili è la Genova-Rotterdam). Nel frattempo, scrive Spadini, Fs è entrata in affari con quella stessa Francia che ha appena boicottato Fincantieri per impedirle di acquisire Stx France, ora Chantiers de l’Atlantique. Per la Torino-Lione, la società Fs Spa è ora la capo-holding. E’ nata nell’ambito delle famigerate privatizzazioni decise tra il ‘92 e il ‘93. Inoltre, nel caso della Torino-Lione «la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico ha una durata di 60 anni, quindi fino al 2053». La premiata ditta Prodi-D’Alema ha poi separato Trenitalia dalla gestione dell’infrastruttura Rfi Spa, «che ha appena svenduto tutto il commercio in franchising di Grandi Stazioni Spa ad una società franco-italiana con sede in Lussemburgo».Quindi Fs, che dovrebbe essere di Stato, «continua a svendere gioielli di famiglia, grandi patrimoni statali che invece dovrebbero essere inalienabili». Grandi Stazioni Spa, infatti, comprende le maggiori stazioni monumentali del paese, «già controllate da Fs ed Eurostazioni Spa, quest’ultima controllata dalle società di Caltagirone, Benetton, Pirelli e dalla Società “francese” delle Ferrovie, cedendo inoltre tutto il “retail” ad un privato, che sfrutterà una manodopera schiavizzata». Tutto questo, secondo Rosanna Spadini, «dovrebbe bastare per stracciare gli accordi e non procedere», con la Torino-Lione, «se volessimo mantenere pubbliche le nostre stazioni e la ferrovia, ed evitare un molto probabile fallimento, visto che tutta l’operazione Tav puzza anche di una squallida porcata per indebitare Fs e poi privatizzarla, magari svendendola proprio ai francesi». Non stupisce che la potente lobby del Tav abbia mobilitato anche i sindacati, «che ormai servono da cassa di risonanza della intramontabile casta dei vecchi partiti, che hanno dovuto ingoiare diversi rospi: legge spazzacorrotti, pene fino a 15 anni per il voto di scambio politico-mafioso, il reddito di cittadinanza e lo stop alla prescrizione, il taglio dei finanziamenti pubblici all’editoria».L’inutile Tav Torino-Lione come ultimo appiglio per i vecchi consorzi mangia-Italia? Le imprese coinvolte nel progetto della maxi-opera valsusina sono sempre le stesse, sottolinea Spadini. Ltf è la società madre, responsabile della realizzazione. Curriculum: «Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, nel 2011 è stato condannato in primo grado per turbativa d’asta; oggetto: la gara per la direzione dei lavori per il tunnel esplorativo della Torino-Lione». Dettaglio: l’avvocato difensore di Comastri era Paola Severino, ministro della giustizia del governo Monti. Poi c’è l’intramontabile Cmc di Ravenna (Cooperativa Muratori e Cementisti): una coop rossa, quinta impresa di costruzioni italiana, al 96esimo posto nella classifica dei principali 225 “contractor” internazionali. La Cmc vanta un ex amministratore illustre, Pierluigi Bersani. «Si è aggiudicata l’incarico (affidato senza gara) di guidare un consorzio di imprese (Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa e Geotecna Spa) per la realizzazione del cunicolo esplorativo a Chiomonte». Valore della fetta di appalto della Cmc, 96 milioni di euro. Convergenze parallele: da Bersani a Lunardi (Pietro, governo Berlusconi) attraverso la Rocksoil Spa, società di geoingegneria. Lunardi ha poi ceduto le azioni ai familiari, ottenuto il dicastero delle infrastrutture nel 2001, tenuto fino al 2006.Nel 2002, prosegue Rosanna Spadini, la Rocksoil ha ricevuto un incarico di consulenza dalla società francese Eiffage, che a sua volta era stata incaricata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, di proprietà dello Stato) di progettare il tunnel per la Torino-Lione, oggi quotato 13 miliardi di euro. Lunardi si difese dall’accusa di conflitto d’interessi dicendo che la sua società lavorava «solo all’estero». Poi c’è Impregilo, la principale impresa di costruzioni italiana. È il general contractor del progetto Torino-Lione, nonché del progetto per l’altrettanto famigerato ponte sullo Stretto di Messina. Impregilo appartiene ad Agrofin (Gavio), ad Autostrade (Benetton) e a Immobiliare Lombarda (Ligresti). Argofin: marchio del gruppo Gavio. Marcellino Gavio è stato latitante negli anni 92-93, «ricercato per reati di corruzione legati alla costruzione dell’autostrada Milano-Genova», infine «prosciolto per prescrizione del reato». Autostrade: gruppo Benetton, noto in Italia per il disastro del viadotto Morandi a Genova e conosciuto anche all’estero «per lo sfruttamento dei lavoratori delle sue fabbriche di tessile in Asia e per aver sottratto quasi un milione di ettari di terra alle comunità Mapuche in Argentina e Cile». Infine, Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti). Salvatore Ligresti è stato condannato dopo l’inchiesta Tangentopoli, pattuendo una condanna a 4 anni e due mesi «dopo la quale è tornato tranquillamente alla sua attività di costruttore». Qualcuno può ancora chiedersi il perché delle mostruose pressioni sui 5 Stelle per dare il via libera ai miliardi dell’intile Torino-Lione?Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridoio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.
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Della Luna: l’umanità ormai ridotta a merce da sostituire
Negli ultimi decenni si è accreditata e affermata l’idea che i fattori economico-finanziari siano la vera e ultima causa degli eventi, e che la scienza economico-finanziaria sia quella più di tutte in grado di spiegarli, di dettare le riforme e di individuare errori e rimedi. Questo convincimento deriva dal fatto che si è capito che, soprattutto nel mondo contemporaneo e globalizzato, la moneta (e non le ideologie e le religioni), è il motivatore universale, ossia il fattore che – nella sua forma positiva di profitto, di pagamento, e in quella negativa di indebitamento e downrating – induce la quasi totalità dei comportamenti e delle scelte sia dei singoli che delle organizzazioni (società commerciali, enti pubblici, governi). Quindi l’analisi, la comprensione e la previsione dei processi finanziari sembrano in grado di spiegare praticamente la totalità del divenire, e che nessun valore o risorsa possa prevalere o aggirare la finanza e i suoi mercati e sostituirsi ad essi nella direzione anche della politica, sicché a guidare le scelte pratiche del potere saranno sempre, ultimamente, obiettivi economici.Ma qui sta un errore di fondo: si perde di vista che la stessa struttura costante delle società – cioè la forma oligarchica – è superiore alla dimensione economica (palesemente deriva dal fatto che ogni nota organizzazione politica stabile si sostanzia in una distribuzione piramidale e specialistica del potere); inoltre, ci si dimentica che la moneta (la ricchezza finanziaria) è non il fine dei detentori del potere, bensì un mezzo che essi usano: il fine è il dominio di quanto più possibile della realtà, della società, delle sue risorse, del mondo, e il controllo del loro divenire (onde non sfugga di mano, non metta in pericolo la loro posizione dominante). Essendo l’economia-finanza un mezzo per un fine, quando un mezzo alternativo e più efficiente per assicurare quel fine diviene disponibile, essa viene sostituita con quest‘ultimo, come i cavalli come mezzo di trasporto sono stati sostituiti dai veicoli a motore.Ed è ciò che sta avvenendo, da quando per il fine della gestione della popolazione ora sono disponibili strumenti biofisici e informatici più efficienti di quelli finanziari: strumenti di controllo dei singoli, delle masse, dell’informazione, della stessa atmosfera e del clima, che fino a pochi decenni fa erano immaginabili soltanto nella fantascienza. Per giunta l’utilità della stessa popolazione, della società da controllare, è venuta ampiamente meno, siccome, come si spiegherà sotto, i popoli, dopo essere divenuti superflui come masse di combattenti e di cives, ora sono divenuti superflui anche come massa di lavoratori-consumatori – non hanno più un uso, sono obsoleti. Per queste ragioni, sbagliano coloro che credono di poter comprendere e risolvere i mali attuali (recessione, disoccupazione, svuotamento della politica, concentrazione della ricchezza e del potere con diffusione della povertà e dell’impotenza, esaurimento delle risorse planetarie) elaborando e proponendo rimedi e riforme sul piano economico, politico, giuridico.Sbagliano perché non tengono conto di quanto sopra. I loro sforzi sono fallaci e impotenti. Nella ormai esaurita fase storica dell’economia incentrata sulla produzione e sul consumo di beni e sul profitto come principalmente derivante da tale ciclo, all’uomo e al popolo è stata fatta in modo molto graduale assumere pienamente la forma-merce, ossia diventare pienamente produttore e consumatore (e non più civis, polites), togliendogli ogni reale forza, funzione, indipendenza, dignità sociopolitica e culturale rispetto al capitalismo; e lo Stato, la polis o respublica, sul finire di questa fase, è stato sostituito dal mercato. Ciò affinché né il singolo, nella forma-civis, né lo Stato, nella forma-respublica interferissero, disturbandole, con le riforme utili per il capitalismo alla massimizzazione del profitto attraverso la continua espansione e razionalizzazione quel ciclo di produzione-consumo, in ambito nazionale e internazionale. Questa fase storica dell’economia è stata gradita e accettata dalle miopi masse opportunamente stimolate perché, con la sua espansione dei consumi, nel breve, termine comportava un ampliamento del loro benessere materiale, delle loro gratificazioni.Dopo aver perfezionato la riduzione del civis a forma-merce e della respublica a forma-mercato, l’attuale fase storica, quella dell’economia finanziarizzata, oramai vede il grosso dei profitti venire da processi finanziari in cui la componente ‘produzione’ richiede pochissimi addetti e la componente ‘consumo’ è modesta e immateriale (non vi è bisogno di produrre e vendere beni reali, se ci si può arricchire producendo e collocando simboli di valori, e facendo correre dietro di essi sia i privati che le imprese che i governi). Perciò le grandi masse di lavoratori e consumatori non servono più, come non serve più la crescita dell’economia reale e del benessere della popolazione generale; e su questo punto, sulla gestione delle quantità di esseri umani che non servono ormai più nemmeno come forma-merce, anche perché soppiantati dall’automazione e dell’intelligenza artificiale, questa fase è già da tempo entrata in un processo di trasformazione globale dell’ordine delle cose. Il famigerato Nwo parte dal dato di fatto che la finanziarizzazione dell’economia (assieme alle tecnologie) ha reso superflue le masse e intercambiabili i popoli. E che quindi bisogna trovare una ‘sistemazione’ per loro.(Marco Della Luna, “L’obsolescenza degli uomini-merce”, dal blog di Della Luna del 10 febbraio 2019. L’articolo – precisa l’autore – è in continuazione col tema del precedente, “Progresso zootecnico e falsi vaccini”, ossia col dato di fatto che per le oligarchie dominanti la popolazione generale è un mezzo (come il bestiame per l’allevatore) e non un fine (come i figli per i genitori), e che tener presente questo fatto è indispensabile per capire l’ordinamento, il funzionamento e il divenire della società).Negli ultimi decenni si è accreditata e affermata l’idea che i fattori economico-finanziari siano la vera e ultima causa degli eventi, e che la scienza economico-finanziaria sia quella più di tutte in grado di spiegarli, di dettare le riforme e di individuare errori e rimedi. Questo convincimento deriva dal fatto che si è capito che, soprattutto nel mondo contemporaneo e globalizzato, la moneta (e non le ideologie e le religioni), è il motivatore universale, ossia il fattore che – nella sua forma positiva di profitto, di pagamento, e in quella negativa di indebitamento e downrating – induce la quasi totalità dei comportamenti e delle scelte sia dei singoli che delle organizzazioni (società commerciali, enti pubblici, governi). Quindi l’analisi, la comprensione e la previsione dei processi finanziari sembrano in grado di spiegare praticamente la totalità del divenire, e che nessun valore o risorsa possa prevalere o aggirare la finanza e i suoi mercati e sostituirsi ad essi nella direzione anche della politica, sicché a guidare le scelte pratiche del potere saranno sempre, ultimamente, obiettivi economici.
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Odiare lo straniero? Vecchi errori: Hitler lavora per l’élite
La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.Se si continua su questa strada, il tramonto dell’Occidente appare imminente. E non solo a causa della degenerazione interna: basta vedere in quali difficoltà si trovano oggi i nostri giovani. E come non vederlo, ad esempio, nel crollo demografico o nella degenerazione della nostra identità, della nostra civiltà europea, generata proprio da questa globalizzazione irresponsabile e predatoria. E non ci si accusi di catastrofismo, perché basta vedere e leggere cosa dicono e scrivono filosofi, sociologi, storici, medici, letterati e artisti. Ormai questo grido di dolore sale da ogni parte. Il denaro è divenuto il segno principale che classifica e distingue gli uomini. Il desiderio di arricchirsi ad ogni costo, la passione per gli affari, la verità del guadagno, la ricerca del benessere ad ogni costo paiono oggi, purtroppo, le passioni più comuni. Davanti a tanta alienazione, molti cercano rifugio nella natura, che vive spontanea e in qualche modo è in grado di farci ritrovare la strada, di farci riscoprire i veri valori. È in grado probabilmente di strapparci a questa follia, da cui siamo stati travolti. Una follia che corrompe e annienta.Perché la realtà è che questa grande trasformazione, questa globalizzazione, ha trovato le classi dirigenti assolutamente impreparate a fronteggiare le immense ineguaglianze che il nuovo modello economico sta causando nella popolazione. Con la conseguenza che la maggior parte delle misure prese in materia economica o finanziaria si sono rivelate delle vere e proprie catastrofi. Ad esempio, alla finanza – in mano a un gruppo di avidi, cinici e irresponsabili cosiddetti uomini d’affari – è stato permesso di lasciare sul lastrico migliaia di persone o di appropriarsi dei loro beni, lasciandole nella disperazione più totale o, molto più tragicamente, con la sola libertà di potersi suicidare. E tutto questo, guardate, è avvenuto con la complicità di un diritto astratto, freddo, distante dall’uomo e dalla società, dai problemi della società – in cui le norme, senza tenere in alcuna considerazione l’uomo, paiono piegate più alla volontà di pochi, e alla volontà di profitto di quei pochi. E se il diritto interno, nazionale, presenta evidenti criticità, il diritto internazionale, se vogliamo, è anche peggio: perché non è riuscito a limitare la violenza e l’avidità delle grandi potenze (che lo, lo vediamo, armate fino ai denti e sempre più impegnate a sviluppare armi micidiali e distruttive, si lanciano in guerra illegittime e si sfidano continuamente in azione di forza, in provocazioni).Questa è la situazione. E allora non ci si meravigli se, sopraffatto da queste forze, l’individuo, sentendosi impotente, reagisce. E reagisce in vari modi: molti purtroppo si suicidano, altri si lanciano in comportamenti eccentrici e stravaganti. Altri ancora rifiutano la globalizzazione, rifugiandosi in atteggiamenti nazional-patriottici, e altri ancora scelgono la via della violenza e del terrore. Infatti, uno dei tratti caratteristici di questa epoca è la paura dei terroristi: implacabili nemici della civiltà occidentale, già pronti e in agguato sul nostro territorio. Nessuno sa in realtà quanti terroristi siano attivi e quanto diffuse siano le loro reti. L’unica certezza è che purtroppo torneranno a colpire a loro discrezione, e la polizia pare non possa fare molto, per fermarli. Una situazione disastrosa, dunque, la nostra. Perché questa globalizzazione irresponsabile e predatoria ha fatto sì che i paesi deboli diventassero sempre più deboli e quelli più forti si rafforzassero ulteriormente. E guardate, non poteva essere altrimenti: perché alcune nazioni continuano ad appropriarsi delle risorse dei paesi del terzo mondo, e lo fanno nei modi più disparati, ad esempio avvalendosi di compagnie private, che predispongono in questi paesi contratti profondamente ingiusti, e si avvalgono dei mercenari (pardon, “sicurezza privata”), per garantire l’efficienza del mercato.Davanti a questo disastro, dunque, come sorprendersi se alcune nazioni, non trovando alcuna solidarietà da parte degli altri Stati, decidono di risolvere in proprio i problemi interni? E come? Ora inserendo i dazi, o chiudendo le frontiere. E non si parli di disumanità, per questo: sono le disastrose condizioni economiche a non permettere l’accoglienza. Sono i numeri, che non consentono l’accoglienza. Come poter integrare milioni di persone pronte ad arrivare nel nostro territorio? E poi, diciamocelo chiaramente: come poter integrare persone così differenti, per cultura e religione? Davanti a tante ingiustizie, davanti a tanta incertezza, la reazione era inevitabile. E l’Europa oggi si trova divisa in due schieramenti, tra loro opposti: l’alleanza dei popoli sfida apertamente quella dell’elite – quella élite “colta e preparata” sì, così preparata che non è stata in grado di porre un freno a questo disastro. E allora, forse, meglio il popolo: genuino, onesto, che conserva ancora quell’umanità che la finanza tanto irride e sfrutta. Meglio la nazione, quella per cui i nostri nonni sono morti. La nazione tradita e venduta da politici corrotti, da organismi sovranazionali ciechi, cinici e spietati. È finito il tempo dei mezzi termini, delle restrizioni mentali, di tutto ciò che è servilismo, di tutto ciò che è equivoco. Anche l’Italia deve pensare al proprio interesse, perché questo non è solo un diritto. È molto di più, è un dovere: il dovere di difendere la patria. Difenderla dai tecnici, e da tutti coloro che l’hanno trascinata in questo disastro.Bene. Tutto quello che vi ho detto sino ad ora riguarda l’oggi? Ho parlato della situazione odierna? No. Tutto quello che ho narrato sinora è avvenuto (e soprattutto, è stato detto) tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900. Sorprendente, vero? Eppure, la globalizzazione – che alla fine dell’800 aveva travolto tutti i paesi europei – presenta profonde analogie con la situazione odierna. Infatti il balzo in avanti compiuto dalla globalizzazione del pianeta negli anni che precedettero il 1914 è paragonabile soltanto ai nuovi scenari mondiali che si sono aperti con la fine della guerra fredda. Perché dunque ho fatto questo video-intervento? Perché la storia insegna. E se la si conosce veramente, non a livello solo nozionistico, insegna a non ripetere gli stessi errori del passato, e soprattutto ci avverte dei pericoli. Nel secolo scorso, la politica interna e internazionale attuata dagli Stati per reagire alla globalizzazione a fine Ottocento, e quella straordinaria adesione popolare alla irresponsabile propaganda portata avanti da molti Stati, ha usato le stesse identiche parole. Quel tipo di politica attuata dagli Stati, e quel tipo di feroce propaganda, ci hanno portato due guerre mondiali.E allora, davanti a tutto ciò, davanti a questa consapevolezza, una domanda sorge spontanea: ma è mai possibile che noi si debba sempre commettere gli stessi errori? È mai possibile che si cada sempre nelle stesse identiche manipolazioni di una propaganda feroce e irresponsabile? Ma ancora di più: è possibile che gli errori commessi dai nostri nonni, e soprattutto il prezzo pagato in termini di dolore, di sangue, non ci abbiano insegnato nulla No, non è servito proprio a nulla. Non è servito, ad esempio, a non farci più ingannare da chi ha bisogno di nemici, dentro e fuori il paese, per accollare loro la responsabilità della propria incompetenza. Da chi evoca invasioni inesistenti e attacca i deboli perché è troppo debole per attaccare i forti. Da chi, come in passato, deve fare leva sulla propria frustrazione, sul risentimento della popolazione, per ottenere il consenso. È possibile che tutto quello che è accaduto non sia servito a comprendere tutto questo? Possibile che non sia servito a farci capire i meccanismi che usa la propaganda? E’ una propaganda feroce, che è sempre portata avanti da persone irresponsabili. E sempre nei periodi di caos, di confusione, di grande crisi. Le crisi economiche sono terreno estremamente fertile per questo tipo di propaganda. Perché è efficace. Perché quando gli individui tendono a perdere i loro punti di riferimento, una delle risposte più frequenti consiste nel ripiegarsi su quella che credono essere una identità comune, così da far fronte a una situazione che li disorienta.Guardate, è un meccanismo psicologico comune a tutti noi (e sfruttato infinite volte, nel passato). Questa pressione identitaria può diventare tanto più potente quando coloro che la incoraggiano, coloro che la usano per ottenere il potere, dispongono effettivamente di strumenti di potere. Perché a quel punto diviene azione politica da imporre alla società, alla società civile. Ma si tratta, ripeto – e su questo voglio essere molto chiara – di azioni irresponsabili, di persone irresponsabili che si servono del potere emozionale della identità per suscitare l’adesione del popolo. E dunque, conservare il potere (prima conquistarlo, e poi conservarlo). E’ una carta per manipolare le emozioni. E la usano indipendentemente dal fatto che si chiami nazionalismo, razzismo o appartenenza etnica. Queste persone ci sono sempre state – e sempre ci saranno: in ogni Stato e in ogni tempo. Ciò che però noi possiamo fare è impedire a questi irresponsabili – ripeto, sempre presenti in ogni Stato – di trascinarci in una marcia della follia. Basta, quindi, cadere sempre negli stessi inganni. Basta, commettere sempre gli stessi errori.Vi ho mostrato chiaramente come sia facile manipolare le emozioni, come sia facile alimentare la parte peggiore di noi con argomenti credibili ma non veri. E, sempre nella prima parte del mio intervento, vi ho mostrato come chi usa questo tipo di propaganda utilizzi sempre gli stessi meccanismi. È sempre dal caos, dei grandi periodi di crisi, che i manipolatori traggono la loro legittimità diventando i protettori del “noi”. Lo vediamo: noi italiani, noi francesi, noi ungheresi. Tutti fanno leva sulle stesse corde psico-affettive, che sono paura, risentimento e frustrazione. Sempre. Quando, poco fa, vi ho parlato degli immigrati, ho usato le stesse identiche argomentazioni che venivano usate contro gli ebrei – le stesse identiche: per rendervene conto, basta leggere il libro “Le origini culturali del Terzo Reich”. Ho ripetuto gli stessi slogan e, in alcuni punti, addirittura le stesse parole usate da Mussolini. È così che funziona la propaganda: ci illude e ci manipola fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. Ora però sta a noi, conosciuti i meccanismi di condizionamento, evitare di venire ancora una volta trascinati nel sospetto, nell’odio, nella violenza. Perché, ricordiamocelo sempre, esiste sempre una soglia: superata la quale, va preso atto che è il nostro stesso agire, e non solo quello altrui, che ci minaccia.(Solange Manfredi, “Gli stessi errori”, video-editoriale pubblicato sul blog “Petali di Loto” il 3 febbraio 2019. Bibliografia: “Discorsi di Benito Mussolini dal 1914 al 1945” edizione Kindle; Wilhelm Reich, “Psicologia di massa del fascismo”, Kkien Pub. Int.; George Mosse, “Le origini culturali del Terzo Reich”, Il Saggiatore; Margaret MacMillan, “1914: come la luce si spense sul mondo di ieri”, Rizzoli; Emile Durkheim, “Il suicidio. Studio di sociologia”, Rizzoli; Simona Colarizi, “Novecento d’Europa: l’illusione, l’odio, la speranza, l’incertezza”, Laterza; Jacques Semelin, “Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi”, Einaudi).La globalizzazione ha travolto l’equilibrio del mondo. E non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e morale. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha portato a così profondi mutamenti che, nel giro di pochi anni, le abitudini di vita e i rapporti fra le persone sono profondamente cambiati. Mestieri che da secoli venivano tramandati di padre in figlio sono spariti. I grandi centri commerciali fagocitano i negozi, scalzano i bottegai, e le grandi industrie scalzano i piccoli imprenditori, ridotti ormai quasi alla miseria dalle nuove macchine robotiche. Anche per i contadini questo sviluppo si è rivelato un boomerang: infatti questa agricoltura fortemente specializzata, e spesso addirittura in regime di monocultura, è totalmente dipendente dal fabbisogno dei pesticidi. Sì, proprio perché è cresciuta e si è modernizzata, ha portato alla perdita di posti di lavoro, mentre i guadagni sono quasi inesistenti. Per non parlare poi, ovviamente, dei danni che questo tipo di coltivazione produce all’ambiente. La verità è che questo modello economico, questo neoliberismo selvaggio, ha trasformato ogni manifestazione vitale in una sorta di parodia dell’incubo contabile. Con lavoratori che, ridotti a merci in concorrenza fra loro, sono costretti ad accettare spesso dei lavori disumanizzanti.
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L’oligarchia zootecnica ci sta spegnendo, anche coi vaccini?
Falsi vaccini, progettati per rendere innocua un’intera generazione? Quella che, per inciso, si troverà senza lavoro con l’esplosione – ormai in corso – della robotizzazione della produzione, grazie all’avvento della sconvolgente rivoluzione tecnologica del terzo millennio, affidata all’intelligenza artificiale. Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Tecnoschiavi” e “Oligarchia per popoli superflui”, che gettano una luce sinistra sulle principali dinamiche della globalizzazione, denunciando un disegno egemonico, da parte dell’élite, fondato su meccanismi ormai “zootecnici” di manipolazione di massa. Per Della Luna, purtroppo, l’attuale democrazia non è una finzione: in realtà, scrive l’analista, «ogni società è gestita da una ristretta oligarchia detentrice di potere, ricchezza, competenza». Quando una classe dominante perde il potere, un’altra la sostituisce. E per ogni oligarchia, «la popolazione è un mezzo, non un fine: uno strumento da controllare e sfruttare, ma anche dimensionare, in base all’evoluzione delle tecniche e delle circostanze». Alle categorie intermedie, l’élite consente anche di violare le leggi: Della Luna ne parlerà nel saggio “Le chiavi del potere”, di cui è in uscita la terza edizione. Il vero problema? Siamo noi: ci lasciamo regolarmente ingannare.«Le masse, educate e incoraggiate a ciò dalla famiglia, dalla scuola e da quasi ogni altra istituzione sociale – scrive Della Luna nel suo blog – tendono a pensare che, all’inverso, la popolazione (il suo benessere, la sua tutela) sia il fine dell’ordinamento sociale, politico, giuridico, fino al punto di convincersi che il popolo sia il contraente attivo del patto sociale e il detentore della sovranità, e che la democrazia esista». Tutt’alpiù le masse «si scandalizzano quando si accorgono di ingiustizie e inefficienze palesi e facilmente rimediabili a danno della collettività, che le istituzioni e la politica però lasciano continuare». Da questo schema di dominio non si esce mai, secondo Della Luna: la lotta di classe «è assolutamente improduttiva, perché non cambia (ma riproduce esattamente) quella struttura oligarchica della società, che professa di voler abbattere». Forse, per le masse “dominate”, è preferibile «restare inconsapevoli, credere nell’illusione della democrazia-legittimità, o pensare che l’ineguaglianza sociale sia nell’ordine naturale delle cose oppure voluta da Dio, oppure ancora conseguenza del karma».Che di “dominio” si tratti, secondo Della Luna, lo si vede da come lo Stato, ad esempio, «autorizzi la produzione e il commercio di alimenti e bevande, soprattutto diretti ai fanciulli, che sono diabetizzanti, obesizzanti, cancerogeni, neurotossici». In molti luoghi pubblici, di fatto, si permette «lo smercio di droga», sotto gli occhi di tutti. Ci sono leggi che «rimettono prontamente in libertà delinquenti pericolosi, che poi tornano a delinquere». E poi «si omettano controlli e manutenzioni di poco costo su opere pubbliche, che poi causano stragi e danni economici enormi». Vengono fatte scelte di politica economica palesemente sbagliate e contrarie agli interessi nazionali? Ovvio: «Gli interessi dei manovrati non coincidono con quelli dei manovratori». Della Luna punta il dito contro l’istruzione, la sanità, la giustizia, la polizia, la difesa, le tasse: «Si tratta di servizi introdotti e gestiti dalla classe dominante, nei vari paesi e nelle varie epoche storiche, allo scopo di aumentare l’efficienza del suo strumento, cioè della popolazione generale, come le stalle e il veterinario sono uno strumento per aumentare la redditività del bestiame».La stessa sanità, aggiunge Della Luna, «è utile ad avere lavoratori e combattenti più numerosi e più sani anche innalzando la natalità – finché non si scelga di ridurre la popolazione o di aumentarne le malattia per vendere più farmaci». La pubblica istruzione? Finisce per formare «sudditi e lavoratori più indottrinati e produttivi». La previdenza sociale? Fidelizza al sistema le classi subalterne. Giustizia e apparati di sicurezza contribuiscono a sostenere «la percezione di legittimità del potere costituito, tutelandone al contempo i privilegi». Quanto al sistema bancario-monetario, va da sé: serve a «concentrare nelle mani della grande finanza il controllo dei redditi, dello sviluppo, del potere politico, permettendo e coprendo (in cooperazione con la giustizia), al contempo, le grandi truffe al risparmio e la pratica dei prestiti usurari e predatori». Così, conclude Della Luna, si comprende come la giustizia «non punisca praticamente mai banchieri per l’usura (che in Italia interessa la grande maggioranza dei prestiti bancari) o per le grandi truffe». E la stessa difesa, presentata come protezione della popolazione da nemici esterni, ha una doppia natura: «Nel corso della storia, le classi dominanti hanno usato le forze armate quasi sempre al contrario, cioè in danno e a spese delle rispettive popolazioni, facendole pagare, combattere e morire per aumentare la ricchezza e il potere loro proprio».La stessa Seconda Guerra Mondiale, sempre secondo Della Luna, non è stata «una guerra ‘spontanea’ tra sistemi politici incompatibili», bensì «un’operazione decisa dalla strategia del capitalismo finanziario: il capitalismo americano finanziò massicciamente il movimento nazionalsocialista, la ricostruzione e l’armamento della Germania hitleriana, la sua stessa guerra di conquista e sterminio fino al 1945». General Motors, General Electric, Standard Oil e Ford «costruirono e gestirono, in alcuni casi anche direttamente, impianti industriali strategici e per produzioni belliche del III Reich». Analogamente, il Giappone «venne rifornito e armato dall’élite capitalistica statunitense affinché potesse iniziare e sostenere la guerra». Soprattutto, «in violazione del fittizio embargo disposto da Washington», al Sol Levante «fu data una grande quantità di petrolio americano, senza il quale non avrebbe potuto iniziare la guerra». A che fine armare e sostenere la Germania e il Giappone? «Al fine immediato di arricchirsi – le commesse belliche dall’una e dall’altra parte moltiplicarono gli utili delle corporations – e a quello di lungo termine di indebitare in modo e misura irreversibile gli Stati (iniziando dagli Usa e dal Regno Unito) verso i banchieri privati, affinché questi potessero arrivare a dettare la politica e a riformare le società, su scala mondiale, a loro vantaggio, scalzando ogni altra forma di potere, verso un villaggio unico globale fatto di cittadini indebitati e di governi pure indebitati».Le guerre, infatti, comportano un moltiplicarsi delle spese pubbliche, quindi del ricorso al credito, da parte dei governi. «Questo fine, grazie all’operazione Seconda Guerra Mondiale e a molte altre, tra cui l’Ue e l’euro, è stato in gran parte raggiunto». E’ così – aggiunge Della Luna – che siamo arrivati all’indipendenza dei banchieri centrali dai Parlamenti e dai governi, e alla subordinazione della sfera pubblica a mercati controllati da cartelli. Il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale? «Sono stati strumenti per arrivare a questo obiettivo da parte delle grandi dinastie bancarie che hanno oggi i loro corifei nei vari Juncker, Lagarde, Moskovici, Merkel, Dijsselbloem». Questo piano, continua Della Luna, è stato però recentemente aggiornato, visto che il travolgente progresso scientifico-tecnologico (l’automazione, l’intelligenza artificiale e la finanziarizzazione globale) ha messo a disposizione delle élite strumenti di dominio più potenti dell’indebitamento e della moneta, ossia «strumenti informatici e biofisici di gestione diretta delle masse (la capacità di spiare tutti e ciascuno capillarmente e di entrare nei corpi per modificarli)».Ma non è tutto: la tecnologia ha reso le masse stesse «meno utili al mantenimento del potere e della ricchezza», mentre le popolazioni – coi loro consumi e inquinamenti – sono divenute un drammatico problema ecologico. «Per queste ragioni, il piano di dominio per via finanziaria è stato ammodernato a piano di dominio per via tecnologica». Obiettivo, «Arrivare a gestire le masse con metodi zootecnici». Secondo Della Luna, lo scenario descritto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui” è ormai quasi superato. Certo, il progresso tecnico-economico congiunto alla globalizzazione «ha reso, appunto, superflue le masse per il potere costituito, sicché i cittadini e i lavoratori, compresi gli industriali produttivi, hanno perso potere di contrattazione, diritti e ampie quote del reddito nazionale in favore dei capitalisti finanziari». Ma ora la situazione è ulteriormente peggiorata, nell’era del dominio “zootecnico”. Lo proverebbe, secondo Della Luna, una denuncia come quella dell’ordine nazionale dei biologi italiani, che ha scoperto vaccini “sporchi” e zeppi di molecole nocive. Al di là della mera logica del profitto, l’imposizione dei “falsi vaccini” sarebbe interpretabile come «un argine che viene eretto per far fronte al gigantesco problema sociale in arrivo: quel 30% dei posti di lavoro che robotizzazione e intelligenza artificiale si prevede che elimineranno da qui al 2037». Si vogliono ottenere giovani «mentalmente e fisicamente incapaci di reazione e di lotta»?Falsi vaccini, progettati per rendere innocua un’intera generazione? Quella che, per inciso, si troverà senza lavoro con l’esplosione – ormai in corso – della robotizzazione della produzione, grazie all’avvento della sconvolgente rivoluzione tecnologica del terzo millennio, affidata all’intelligenza artificiale. Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Tecnoschiavi” e “Oligarchia per popoli superflui”, che gettano una luce sinistra sulle principali dinamiche della globalizzazione, denunciando un disegno egemonico, da parte dell’élite, fondato su meccanismi ormai “zootecnici” di manipolazione di massa. Per Della Luna, purtroppo, l’attuale democrazia non è una finzione: in realtà, scrive l’analista, «ogni società è gestita da una ristretta oligarchia detentrice di potere, ricchezza, competenza». Quando una classe dominante perde il potere, un’altra la sostituisce. E per ogni oligarchia, «la popolazione è un mezzo, non un fine: uno strumento da controllare e sfruttare, ma anche dimensionare, in base all’evoluzione delle tecniche e delle circostanze». Alle categorie intermedie, l’élite consente anche di violare le leggi: Della Luna ne parlerà nel saggio “Le chiavi del potere”, di cui è in uscita la terza edizione. Il vero problema? Siamo noi: ci lasciamo regolarmente ingannare.
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Hellyer: “L’alieno è tra noi” (e lo dicono anche i testi ’sacri’)
L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono tra noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.A dire il vero sarebbero i nostri effettivi “genitori”: lo sostiene Zecharia Sitchin, lo studioso azero naturalizzato statunitense, secondo cui gli antichi testi sumeri raccontano la “fabbricazione” dell’homo sapiens da parte degli Anunnaki, gli “dei” venuti dallo spazio. Secondo Mauro Biglino, a lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, l’Antico Testamento riproduce fedelmente i testi sumeri: la Genesi racconta la clonazione del maschio (l’Adàm) per dare origine alla femmina (Hawà, Eva). Figli delle Stelle, Anunna o Elohim biblici? Erano sempre loro: i testi antichi, poi trasformati in “libri sacri” con la successiva divinizzazione dei “theoi” operata dal pensiero greco-ellenistico, non fanno che parlare di loro. Le grandi religioni? «Sono nate, tutte insieme e in tutto il mondo, attorno al V secolo avanti Cristo, cioè quando questi personaggi – prima visibili, come Yahvè che parlava “faccia a faccia” con Mosè – sono improvvisamente scomparsi dalla circolazione». Biglino cita un padre della Chiesa vissuto nel III secolo, Eusebio di Cesarea. Nella sua “Praeparatio Evangelica”, Eusebio attinge al greco Filone di Biblos, che a sua volta riprende gli studi di Sanchuniaton, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Il fenicio racconta di aver rinvenuto, in un tempio egizio dedicato ad Amon-Ra, un memoriale sconcertante, secondo cui gli “dei” antichi – poi trasformati in oggetto di culto – erano in realtà individui in carne e ossa.Uno di loro, il babilonese Nergal, si narra che sganciò dal cielo armi micidiali, annientando intere città e provocando l’improvvisa desertificazione della Mesopotamia. Anche in questo caso la Bibbia fornisce una sorta di “fotocopia”, narrando la distruzione, mediante l’impiego dell’“arma del terrore”, di Sodoma, Gomorra e le altre città della Pentapoli sulle rive del Mar Morto. Armi in realtà descritte con precisione nei Veda indiani: Enrico Baccarini, appassionato ricercatore, rivela che le “tejas astras” (armi a energia) fuorono impiegate dai Deva (i “theoi” asiatici) nelle loro guerre stellari combattute anche sulla Terra. Un bombardamento di quel genere avrebbe raso al suolo la grande citttà di Mohenjo Daro, nella valle dell’Indo, scoperta dagli inglesi solo a metà dell’800. L’intera civiltà Arappa, spiega Baccarini, costringe gli archeologi a riconsiderare datazioni e sequenze storiche: fiorì infatti 11.000 anni fa. E rivela indizi che portano alla misteriosa presenza di paleo-astronauti. Per la verità, gli stessi Veda sostengono che l’universo sia abitato da 400.000 specie umanoidi. C’è da credere, a quegli antichi testi in sanscrito? Sulle “istruzuioni” dei Veda si sono basati scienziati aerospaziali indiani per realizzare un modellino di astronave (curiosamente, a forma di pagoda). E sempre i Veda, scritti migliaia di anni fa, indicano – con sconcertante precisione – la misura della circonferenza terrestre e la stessa velocità della luce.Ha ragione il fenicio Sanchuniaton, secondo cui il pensiero magico-religioso non sarebbe stato che un colossale depistaggio, organizzato dalla casta sacerdotale per tentare di mantenere i propri antichi privilegi? Ex dignitari di corte si trasformarono in clero, sostituendo (con l’adorazione di “divinità” invisibili) l’antica obbedienza a “theoi” un tempo visibilissimi, e tutti giunti sulla Terra – pare – dalle Pleiadi e dalla costellazione di Orione? Suggestioni sempre più insistenti, man mano che le istituzioni cominciano ad ammettere la possibilità di forme di vita extraterrestre. Roberto Pinotti (fondatore del Cun, centro ufologico nazionale) è uno degli ufologi più importanti al mondo, storico collaboratore dell’aeronautica militare italiana. Sostiene che gli avvistamenti anomali registrati negli ultimi decenni sono stati un milione, di cui il 40% (ben 400.000) classificati dalle autorità come “non terrestri”. Sembra che da più parti si stia lavorando per preparare l’umanità a rivelazioni clamorose riguardo ai “fratelli dello spazio”, come li chiama il gesuita Gabriel José Funes, argentino come Papa Francesco.Padre Funes è il direttore del potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham in Arizona. A che serve, ai gesuiti, un centro astrofisico come quello? Dichiaratamente: a indagare proprio sull’esobiologia, cioè sulla “vita extraterrestre”, a quanto pare sempre meno ipotetica: per il canadese Hellyer, a nostra insaputa, vivremmo già in compagnia dei “biondi nordici” (o anche “bianchi alti”), da non confondere con i “bassi grigi”, alti appena un metro e 20 – più o meno come la creatura che si racconta sia apparsa nel 1858 nella grotta di Lourdes alla giovanissima Bernadette Soubirous, che la chiamava “aquerò” (in occitano, “quella là”). «Se vedeste un grigio, vi rendereste subito conto di vedere qualcosa che non avete mai visto prima», dice Hellyer. «Se invece vedeste una delle “bionde nordiche”, allora potreste pensare di aver incontrato una donna della Danimarca». I “grigi”, aggiunge l’ex vicepremier canadese, sono piccini. Hanno braccia e gambe sottili, testa grossa e grandi occhi marroni. «Sono quelli che si vedono nella maggior parte dei film». A proposito: sicuri che la fantascienza non contenga precisi messaggi, come per abituarci progressivamente all’idea degli inevitabili incontri ravvicinati?Biglino ricorda che erano ebrei gli ideatori di un supereroe dei fumetti come Flash Gordon, proveniente dal pianeta Krypton (nascosto). Creato negli anni Trenta, Flash Gordon è l’antenato di Superman. Nome originario, in ebraico: Kal-El, cioè “El rapido e leggero”. La presunta “divinità” con la quale viene in contatto Abramo si presenta con il nome di El Shaddai. La traduzione in italiano (“Dio l’onnipotente”) è totalmente inventata: lo dice la Bibbia di Gerusalemme curata dagli autorevoli biblisti domenicani, secondo cui “El Shaddai” vuol dire, semplicemente, “signore della steppa”, laddove “El” è la radice di Elohim, vocabolo convenzionalmente tradotto con “Dio” ma in modo arbitrario, «visto che nessun traduttore al mondo – sottolinea Biglino – è tuttora in grado di spiegare il significato della parola “Elohim”». La Bibbia? Dibattito infinito: bisogna però sapere, ribadisce Biglino, che quell’insieme di testi è stato incessantemente manipolato a partire dal II secolo avanti Cristo, e la manipolazione è terminata solo con la vocalizzazione introdotta dai Masoreti. Un lavoro di revisione proseguito fino all’epoca di Carlomagno. Risultato: dall’Antico Testamento “masoretico” sono spariti 11 libri, ripetutamente citati in vari passi della Bibbia stessa. Uno di questi riguarda “le guerre di Yahvè”.Il teologo cattolico Ermis Segatti conferma che la Bibbia non racconta la “creazione” dell’uomo: dice solo che «siamo stati fatti», cioè “fabbricati”, utilizzando materia preesistente. Corrado Malanga, ricercatore universitario a Pisa, sottolinea l’abisso che separa l’australopiteco dagli ominidi successivi: gli stessi genetisti, oggi, convergono sull’opportunità di riconsiderare i testi antichi come “libri di storia” ante litteram, capaci di spiegare il “missing link” tra uomo e scimmia. Un analogo “anello mancante” differenzia la patata commestibile dal tubero suo progenitore, e lo stesso grano dal farro selvatico: tutte specie comparse sulla Terra all’improvviso, grossomodo nel periodo che la Genesi indica come quello in cui erano in corso le sperimentazioni genetiche del Gan, in “giardino protetto e recintato” posto nella regione geografica di Eden, fra Turchia e Mar Caspio. In antica lingua persiana, è il termine “pairidaēza” a indicare il giardino recintato (da cui il greco “parádeisos”, fino al nostro “paradiso”). Se il pensiero “essoterico” ha fondato religioni, quello esoterico tende a fidarsi solo dei simboli: conterrebbero le tracce degli archetipi, cioè gli “eventi, materiali e immateriali” all’origine della nostra storia. Un corpus sapienziale che gli esoteristi riconducono a quella che chiamano “tradizione unica primordiale”. La sua provenienza? Ignota.Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor (nipote del più volte premier Mariano Rumor) racconta di un’unica dinastia di potere che reggerebbe il mondo da 12.000 anni. Sarebbe nata in Mesopotamia per poi trasferirsi in Egitto, quindi in Grecia e nel resto del Mediterraneo, dando vita a tutte le civiltà di cui si occupano gli storici. La chiama, semplicemente, “la Struttura”. Fonte: i diari del padre, Giacomo Rumor, che nel dopoguerra fu messo a parte di questo ipotetico grande segreto dall’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo. Mesopotamia, Anunnaki: chi erano, in realtà, i Sumeri? Possibile che tuttora non si conoscano le origini di una fiorentissima civiltà nata dal nulla ma in possesso di conoscenze avanzatissime – agricoltura, architettura, diritto, astronomia – proprio sulle rive dell’Eufrate, cioè non lontano da quel Gan-Eden da cui, secondo la Genesi, fu cacciato Caino? Lo scozzese Graham Hancock suggerisce di rileggerle con occhi nuovi, le “impronte degli dei”, perché potrebbero riservarci grosse sorprese. Lo stanno già facendo: le piramidi scoperte a Visoko, in Bosnia, hanno 28.000 anni. E l’ipotetica metropoli appena rinvenuta in Sudafrica, a due passi dalle più antiche miniere d’oro del pianeta, ne avrebbe addirittura 160.000. Notizie, spunti, segnalazioni e ricerche al cui confronto, forse, rimpiccioliscono un po’ anche gli alieni di canedesi di Paul Hellyer.L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono con noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.
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Aquisgrana, due piccoli avvoltoi sul cadavere dell’Europa
Il Trattato franco-tedesco di Aquisgrana, antica capitale del Sacro Romano Impero (la città-simbolo dove si assegna il Premio Carlo Magno) formalizza quell’idea di Europa «che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario». E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie? No, basta leggere il testo predisposto da Emmanuel Macron e Angela Merkel, ultra-sovranisti alla bisogna. Secondo Alessandro Mangia, costituzionalista dell’Università Cattolica di Milano, il nuovo trattato «accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea». Fino al 2016, aggiunge, il Regno Unito è stato «il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici». Usciti di scena gli inglesi, «che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso», gli equilibri di potenza in Europa sono saltati. E l’Europa si è improvvisamente contratta. Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, il professor Mangia insiste: «Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna. E il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto». Il nuovo patto «è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo», a cominciare dagli Stati Uniti.Di fronte alle pressioni americane (e alle minacce di disimpegno degli Usa dalla Nato, a meno che i paesi europei non incrementino l’acquisto di forniture militari americane nei prossimi anni), Francia e Germania se ne escono con questo trattato che, almeno sulla carta, «disegna una struttura di tipo quasi confederale, imperniata su organi e meccanismi stabili di collaborazione in tema di difesa, sicurezza interna, operazioni militari all’estero, industria militare, posti in Consiglio di Sicurezza Onu e concertazione sulle politiche europee». Secondo Alessandro Mangia siamo di fronte a una struttura polifunzionale, «destinata a operare come patto di controllo all’interno dell’Unione in attesa che Trump se ne vada». Oppure, se lo sfaldamento dell’Ue accelera dopo le elezioni europee, Francia e Germania hanno già messo in cantiere questo possibile Piano-B: un disegno «che riduca tutto a Germania, con baltici e Olanda al seguito, e Francia, con esercito, nucleare e colonie della zona franco Cfa», tuttora sottoposte a un severo regime di sfruttamento colonialistico. E ora? L’Unione Europea «diventa qualcosa di obsoleto o, nel migliore dei casi, una struttura destinata ad essere funzionale, in chiave subordinata, ad un asse politico che ha pretese di egemonia continentale».Qui si va molto al di là di una classica cooperazione rafforzata, sottolinea il professor Mangia: si tocca la sfera militare, e dunque politica per eccellenza. «La verità è che a fomentare squilibri e conflitti all’interno dei paesi dell’Unione è stata la politica mercantilista tedesca, che non si è limitata ad operare all’interno del continente, ma ha cominciato a infastidire gli stessi Usa. Se si pensa che la sola Germania ha un surplus sull’estero superiore a quello cinese – osserva Mangia – si capisce perché la proposta di Trump di livellare le spese militari al 2% dei paesi aderenti non fosse poi tanto peregrina, almeno dal suo punto di vista». Al di fuori di armi e tecnologia militare, aggiunge Mangia, non è che gli Usa abbiano ormai molto da esportare in Europa. «E infatti questo trattato è un “no” chiaro e tondo alle richieste americane: e si propone, non so con quale efficacia, di sviluppare un’industria militare e una forza di intervento esclusivamente franco-tedesca, che possa prendere il posto del fornitore americano». Scenario realistico? Manca esprime forti dubbi: «Il mercato mondiale delle armi è soprattutto in mano ad americani e russi, che ne hanno fatto un volano economico. Andarlo a sfidare senza avere la capacità economica – e la volontà di spesa – di Usa e Russia è a dir poco velleitario. Eppure, il segnale che si vuole lanciare è esattamente questo».Quanto al testo del trattato, il livello di cooperazione (sulla carta) è molto stretto. Si parla di un Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza comune, di un Consiglio dei ministri franco-tedesco, di partecipazione su base regolare di membri del governo francese o tedesco ai Consigli dei ministri dell’altro Stato. Ma ci sono anche dei passaggi meno generici, avverte Manca: nell’articolo 6 si parla di “unità comuni per operazioni di stabilizzazione in paesi terzi”. E si prevedono interventi tanto in Europa e in Africa: e cioè nelle zone del franco Cfa. «E’ chiaro che, se queste non restassero solo parole, ci si troverebbe di fronte ad un fatto politico piuttosto rilevante». Tradotto: «Se ci si ferma a riflettere su cosa si intende per “sicurezza interna” si finisce per leggere “ordine pubblico”. E si capisce che qui si va oltre il Trattato di Velsen del 2004 che istituisce Eurogendfor come piattaforma di Gendarmeria Europea. Potenzialmente la base giuridica per interventi diretti delle rispettive polizie oltre confine qui ci sarebbe. Non so se rendo l’idea».Nella sostanza, sottolinea Manca, il trattato si prefigge di formalizzare quell’idea di “Europa core” che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario. «Sullo sfondo c’è l’idea di passare dalla sfera economico-commerciale alla sfera militare, e cioè politica per definizione». Non è casuale, infatti, che sia stata scelta Aquisgrana come sede per la firma: il luogo-simbolo del Sacro Romano Impero. «Appunto. Nella cattedrale è sepolto Carlo Magno che aveva unificato Franchi e Germani; è la città dove viene attribuito quel Premio Carlo Magno che, negli ambienti europeisti, ha un fortissimo valore simbolico. Quando si passa a curare i simboli – aggiunge il professore – ci si muove in una dimensione apertamente politica. Ricordate le piramidi o le stelle a cinque punte di Macron? Siamo sempre lì». E partendo da Aquisgrana dove si può arrivare? La Merkel, «quasi dimissionaria in patria», ha delle mire precise sulla prossima Commissione Europea. Dall’altra parte c’è Macron, «che è riuscito nella non facile impresa di battere i livelli di impopolarità di Hollande», e che da dieci settimane si trova la città messe a ferro e a fuoco, nel weekend, dai Gilet Gialli. La sua unica strategia? «Lanciare le consultazioni con i sindaci e aspettare che i rivoltosi si stufino, nel più puro stile d’Ancien Régime».Merkel e Macron, per Alessandro Manca, «sono due figure deboli in patria, deboli sullo scenario mondiale, che riescono ad imporsi solo nei confronti degli altri paesi dell’Unione». Sul breve periodo, hanno ogni convenienza a sostenersi a vicenda. Ma il professore insiste ancora sul profilo militare: in Germania, oltre che sulle infrastrutture, si è giocato al risparmio anche sulle spese militari per la Bundeswehr, che soffre di sottofinanziamenti cronici. Ma dall’estate scorsa, «dopo lo scontro con Trump, si è iniziato a parlare, sulla stampa tedesca, dell’opportunità di divenire una potenza nucleare, in barba ai trattati di non proliferazione del dopoguerra». E qui, il partner ideale è la Francia. «Sì, perché la Germania è una potenza economica, ma un nano militare». La Francia ha un’industria militare di qualche rilievo, storicamente sovralimentata dallo Stato, e dispone di capacità e tecnologia nucleare sia civile che militare. «Ha qualcosa da vendere, insomma, che i tedeschi non hanno e non possono avere a breve. In cambio – aggiunge Manca – la Francia può ricevere accoglienza al vertice politico dell’Unione come “regina consorte” e vantare un rapporto privilegiato con il paese con il più grande surplus commerciale al mondo. Sembra uno scambio utile ad entrambi».Quanto all’impegno della Francia a favorire il riconoscimento della Germania come membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu, Alessandro Manca sorride: ve le immaginate le risate, al Dipartimento di Stato e al Foreign Office inglese, il giorno che la Francia proverà a tener fede a questo impegno preso con i tedeschi, «con quello che stanno facendo passare al governo britannico sulla Brexit?». Per non parlare di Russia e Cina, «che “non aspettano altro” di avere la Germania seduta a quel tavolo a metter bocca sulle questioni internazionali». Come dire: uno scenario solo virtuale, del tutto irrealistico. Poi però ci siamo noi, l’Italia, insieme agli altri paesi esclusi dall’accordo: che conseguenze avrà, sulla nostra pelle, questo evidente progetto di dominio? «Questa è la nota più dolente, almeno a breve». Un asse franco-tedesco «che costituisca una struttura intrecciata anche militarmente ha poco rilievo fuori dal continente, ma ha molto rilievo al suo interno, soprattutto per il competitor naturale di Francia e Germania, che è poi l’Italia». Siamo «l’unico paese che, nonostante tutto, ha ancora una manifattura e un’industria militare capace di confrontarsi con Francia e Germania». L’Ue ha sgretolato le antiche alleanze. La prima vittima del Trattato di Aquisgrana, secondo Manca, sarà proprio l’industria militare italiana, «che è diretta concorrente dell’industria francese».Il Trattato franco-tedesco di Aquisgrana, antica capitale del Sacro Romano Impero (la città-simbolo dove si assegna il Premio Carlo Magno) formalizza quell’idea di Europa «che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario». E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie? No, basta leggere il testo predisposto da Emmanuel Macron e Angela Merkel, ultra-sovranisti alla bisogna. Secondo Alessandro Mangia, costituzionalista dell’Università Cattolica di Milano, il nuovo trattato «accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea». Fino al 2016, aggiunge, il Regno Unito è stato «il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici». Usciti di scena gli inglesi, «che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso», gli equilibri di potenza in Europa sono saltati. E l’Europa si è improvvisamente contratta. Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, il professor Mangia insiste: «Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna. E il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto». Il nuovo patto «è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo», a cominciare dagli Stati Uniti.