Archivio del Tag ‘doppiezza’
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Politici sempre in vendita: e questa sarebbe democrazia?
La scoperta di Machiavelli è che l’esercizio del potere, ossia la politica (internazionale e nazionale, compreso il potere giudiziario), è complotto: inganno, finzione, doppiezza, affarismo, segreti, tradimento, calunnia, ricatto, disinformazione, prevaricazione, propaganda, manipolazione, (contro)spionaggio, killeraggio, terrorismo, controllo, limitazione delle libertà – il tutto nascosto o giustificato con ragioni ideali ed etiche. E ovviamente, la politica è anche vigorosa negazione di essere quello che è, soprattutto quando si vuole legittimare come democrazia: vuole il consenso popolare per legittimare i suoi atti contrari all’interesse popolare, consenso che non otterrebbe se non nascondendo e negando la propria natura e sforzandosi di screditare chi la analizza e descrive nella sua realtà complottista, accusandolo di complottismo. Che cosa sono i rapporti tra magistrati e politici, e tra politici e banchieri, emersi da recenti scandali, se non complotti? E i falsi dati sulla cosiddetta pandemia, attribuiti alla Protezione Civile per giustificare l’eversiva sospensione della Costituzione, che ora emergono anche grazie ad onesti giudici del Tar del Lazio, non rivelano un complotto del governo?
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L’ex Fiat pretende 6 miliardi da un paese che sta morendo
Fca chiede un mega-prestito di 6,3 miliardi di euro allo Stato. Gli Agnelli controllano “Repubblica” che ha una linea nettamente pro-Fca (basta vedere la lite tra il cdr e il direttore Molinari). Conflitto di interessi? Sono francamente sconcertato dalla vicenda Fiat e dalla richiesta di finanziamento allo Stato. Poi non so se in questo caso ci sia un conflitto di interessi, è l’eterna storia della Fiat che ha sempre usato i suoi giornali per fare lobbying e per curare i propri interessi. Quello che stiamo vedendo in questi giorni è solo un altro capitolo di una storia antica. Perché sono sconcertato dalla richiesta di finanziamento allo Stato? Quando un’azienda si sgancia dal paese portando il domicilio legale e fiscale all’estero vuol dire che non sopporta l’onere di essere italiana, però ne vuole i vantaggi e torna attraverso la banca che controlla in buona parte, Intesa San Paolo, e pretende un prestito dallo Stato. Poi l’alibi è che riguarda gli stabilimenti italiani.
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Magaldi: giù le mani da Armando Siri (e dai suoi giudici)
Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».Cattiva politica, made in Italy, inaugurata da Tangentopoli: quello fu un golpe bianco, in cui finiva sul rogo qualsiasi politico colpito da un semplice avviso di garanzia. La vittima veniva isolata «dai colleghi di partito, pusillanimi, che si illudevano di farla franca», senza capire che quel sistema «sarebbe crollato per la sua stessa fragilità». Mani Pulite ha spazzato via la Prima Repubblica fondata sul patto atlantico: fare da argine rispetto all’Urss. Ma nella Seconda Repubblica – a lungo dominata da Berlusconi – quel male oscuro è rimasto: l’ombra dell’uso politico della giustizia. «Io non voglio nemmeno essere sfiorato dal sospetto che un’indagine, anziché essere mirata ad accertare la verità, persegua invece finalità improprie», dice Magaldi: «Questi dubbi sono perniciosi per lo stesso prestigio della magistratura, che resta uno dei cardini della democrazia». In altre parole: si deve poter indagare tranquillamente Armando Siri, per appurare se è innocente o colpevole, lasciando però che nel frattempo svolga il suo ruolo di sottosegretario. Se così fosse, nessuno a quel punto penserebbe più che ti mandano un avviso di garanzia perché c’è qualcosa di losco nel tuo operato: la magistratura farebbe semplicemente il suo dovere, senza che questo possa turbare l’agenda politica.Con un simile approccio, nessuno avrebbe più il minimo interesse a tentare di usare la carta giudiziaria per far fuori i rivali. E invece «si è creato un clima improprio, corrotto moralmente e politicamente, da quando l’opportunità politica e morale si è opposta allo Stato di diritto». Era la famosa “questione morale”, agitata innanzitutto da Berlinguer: «Come si fa ad anteporre una presunta morale allo Stato di diritto? La moralità pubblica è proprio quella che promana dallo Stato di diritto», sottolinea Magaldi, che denuncia lo «stile inappropriato», usato da Di Maio e anche dal ministro Toninelli, che ha tolto le deleghe a Siri: «Un atto improprio, becero e inopportuno, in un momento così delicato nei rapporti tra 5 Stelle e Lega». Pur critico sull’operato del governo Conte, troppo timido con Bruxelles, il presidente del Movimento Roosevelt apprezza l’impegno di Siri: ha dato più spessore e più maturità all’ex Carroccio, ispirando la scuola politica del partito e lanciando l’idea della Flat Tax. Una misura – il taglio della pressione fiscale – che va nella direzione giusta: «Non sarà risolutiva, ma contribuisce comunque ad aggredire la malattia socio-economica dell’Italia, che è il rigore imposto dal neoliberismo».Coincidenze: si attacca Siri proprio ora che si riparla di Flat Tax. Un modo per colpire Salvini e affondare il governo, in un momento così delicato per il precario “matrimonio” gialloverde? «Dobbiamo liberare i magistrati da qualunque ombra», insiste Magaldi. «E quindi bisogna che il ceto politico la smetta di pensare che si possa sovrapporre una seconda morale alla morale pubblica, già garantita per principio dalla presunzione di innocenza». Per Magaldi, si tratta di «metodologia costituzionale in ambito democratico, in uno Stato di diritto». Come tutelarsi dal sospetto che vi possa essere una giustizia eterodiretta o deviata verso finalità politiche improprie? «Basta mantenere il presupposto – tipico dell’ordinamento democratico e liberale – che ciascuno di noi è innocente fino a prova contraria». Purtroppo, aggiunge Magaldi, da Tangentopoli in poi «abbiamo vissuto un rigurgito di cultura inquisitoriale – di tempi bui, antichi e pre-moderni», in un’Italia «vessata per secoli da una cultura clericale, da una brutta versione del cristianesimo: quella che considera tutti peccatori, in attesa di redenzione».Meglio partire invece dall’idea di dignità umana come riflesso divino, «rilanciata da un grande cristiano come Giovanni Pico della Mirandola». Le democrazie hanno raccolto proprio questa idea: siamo dotati di dignità e di innocenza presunta, e il potere «appartiene agli uomini, non a un dio interpretato da caste sacerdotali o da aristocrazie laiche». Se è così, «si resta innocenti anche di fronte a una condanna non definitiva». Applicare questa regola, sottolinea Magaldi, sarebbe la migliore salvaguardia, sul piano politico, da qualunque sospetto di interferenza impropria della magistratura. Tutti innocenti fino a prova contraria, dunque, incluso Armando Siri: «Qualunque giurista democratico non potrebbe che sottoscrivere questo principio, che invece è stato pervertito dagli anni di Tangentopoli». Aggiunge Magaldi: «Dobbiamo liberarci di questa immoralità istituzionale. La cultura del sospetto appartiene ai regimi liberticidi. In democrazia invece i magistrati fanno il loro dovere, svolgono inchieste in modo libero e senza essere sospettati di lavorare a orologeria, sapendo che il ceto politico non metterà in discussione un soggetto solo perché è sottoposto a indagine».In questa vicenda emergono «ostilità e doppiopesismo», continua Magaldi: «Giustamente Salvini ha fatto notare che anche Virginia Raggi è stata ed è nuovamente indagata, e nessuno – nella Lega – si è sognato di chiedere le sue dimissioni. Semmai la Raggi dovrebbe dimettersi per la sua conclamata incapacità di governare Roma». Per Magaldi ci sono molti motivi per criticare lo scarso coraggio politico del governo, che anziché puntare al cambiamento «tira a campare, con pannicelli caldi per curare una malattia – quella economico-sociale dell’Italia – che ha bisogno di ben altre cure». Quello che non è accettabile, però, è che si strumentalizzi il lavoro della magistratura per colpire Salvini e seminare zizzania tra 5 Stelle e Lega». In questo, svetta il cinismo di Di Maio: «Un ipocrita, che tuona pubblicamente contro la massoneria ma poi fa il giro delle sette chiese per chiedere in segreto di essere accolto nei peggiori circuiti massonici sovranazionali, di segno neo-aristocratico, fingendo anche di non sapere che il governo Conte è affollato di massoni, sia tra i ministri che fra i sottosegretari». E ora si mette a far la morale ad Armando Siri, “colpevole” di aver trasmesso al governo le istanze di alcuni imprenditori?Decisamente sconcertante, l’harakiri gialloverde imposto da Di Maio: anziché serrare i ranghi per fronteggiare l’avversario comune, l’oligarchia di Bruxelles che impedisce all’Italia di crescere, il leader dei 5 Stelle preferisce “speronare” l’alleato leghista in vista delle europee, traguardo temutissimo dai grillini. Anche in questo, Di Maio ha brillato per doppiezza: prima ha omaggiato in modo clamoroso e irrituale i Gilet Gialli facendo infuriare Macron, poi s’è genuflesso davanti ad Angela Merkel, che di Macron è l’interfaccia in salsa prussiana. Una manfrina indecorosa, secondo Magaldi, per sperare di essere accolto nella Golden Eurasia, la superloggia massonica della Cancelliera. A che gioco sta giocando, Di Maio? Il presidente del Movimento Roosevelt, massone progressista, ha le idee chiare: il capo dei pentastellati ha ormai capito che il governo Conte ha fallito l’obiettivo del cambiamento, e spera – con l’aiuto delle superlogge – di sopravvivere politicamente al declino del Movimento 5 Stelle. Comunque la si veda, il risultato non cambia: la guerra intestina indebolisce l’Italia, cioè il paese che avrebbe dovuto sfidare la “dittatura” tecnocratica di Bruxelles. I guai per il Belpaese – aggredito dai poteri forti europei, con la complicità del Deep State italico – cominciarono con Tangentopoli: uso politico della giustizia. Non è un caso, forse, che dopo un quarto di secolo sia lo stesso Di Maio a ricorrere, ancora e sempre, al giustizialismo sommario che ha “suicidato” l’economia italiana, trasformando il paese in terra di conquista per le potenze straniere.Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».
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Massoni: Di Maio bussa alla Golden Eurasia, in barba al M5S
Luigi Di Maio omaggia Angela Merkel con un obiettivo preciso: spera di essere accolto nella Ur-Lodge della Cancelliera. Lo afferma il movimento massonico d’opinione “Grande Oriente Democratico”, presieduto da Gioele Magaldi, secondo cui il vicepremier grillino «bacia la pantofola della libera muratrice Angela Merkel per entrare nella superloggia Golden Eurasia e assicurarsi un avvenire a prescindere dal governo gialloverde e dalla sorte del M5S». Forte la polemica di Magaldi con Di Maio, accusato di essersi riproposto nei panni di «aspirante massone neoaristocratico», nonostante i 5 Stelle vietino ai propri esponenti (a parole) di avvicinarsi alla massoneria, a cui peraltro appartengono svariati uomini del governo Conte, inclusi i ministri Tria e Moavero. Di Maio? «Tradisce gli elettori pentastellati», lo accusa Magaldi, se dichiara – come ha fatto – che politici come la Merkel farebbero tanto bene anche all’Italia. «Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere», scrive “Grande Oriente Democratico”: «Ci auguriamo che Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e tutti quei parlamentari, dirigenti, attivisti, elettori e simpatizzanti pentastellati che hanno sempre individuato in Angela Merkel la campiona dell’austerity e dei dogmi neoliberisti che hanno funestato l’Europa e l’Italia prendano Luigi Di Maio a pedate nel sedere e a pomodori in faccia».Non è senza precedenti, l’accusa rivolta a Di Maio dal presidente del Movimento Roosevelt, che nel saggio “Massoni” racconta che le 36 Ur-Lodges planetarie (sovranazionali e apolidi) reggono di fatto il potere mondiale. E’ il caso della stessa “Golden Eurasia”, alla quale secondo Magaldi sarebbero affiliati – oltre alla Merkel – anche il presidente russo Vladimir Putin, nonché l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder (poi arruolato dalla russa Gazprom come super-consulente) e l’ex manager industriale Peter Hartz, da cui Schröder mutuò la riforma neoliberista che precarizzò il lavoro in Germania, introducendo la flessibilità, la perdita dei diritti e i micro-salari (mini-job) che hanno poi fatto da battistrada in tutta Europa nell’annientare le storiche conquiste sindacali. «L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scriveva Magaldi su “Grande Oriente Democratico” già nel febbraio 2018, durante la campagna elettorale per le politiche che poi avrebbero incoronato i 5 Stelle come primo partito, proiettandoli insieme alla Lega verso il futuro governo gialloverde.Secondo Magaldi, lo scorso anno, il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington ai quali aveva bussato, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante, la quale privatamente anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». C’è un diffuso meccanismo, aggiungeva Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio – che si affrettò a dichiarare a “La7” che non avrebbe voluto massoni tra i piedi – non è stata affatto casuale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza», disse Magaldi. Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», in realtà indirizzato – in codice – a soggetti ai quali Di Maio si sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».E adesso Di Maio che fa, ci riprova? Il leader dei 5 Stelle, scrive ora “Grande Oriente Democratico”, «non si è mai fatto scrupolo di demonizzare da una parte la massoneria e i massoni genericamente intesi (per titillare una porzione dell’elettorato italiano, massonofobico in modo becero, indifferenziato e insipiente), dall’altra, ipocritamente, di far insediare nel governo Conte diversi massoni e di sollecitare lui stesso, prima dell’esperienza della maggioranza gialloverde, una iniziazione presso qualche Ur-Lodge (superloggia sovranazionale) di segno neoaristocratico». In effetti, continua “God” sul proprio sito, «dopo la costruzione del governo attuale sembrava che Di Maio avesse optato per un avvicinamento alla “libera muratoria progressista” (al netto della perdurante e ipocrita massonofobia ostentata in pubblico)», visto che «almeno nominalmente i massoni del governo Conte appartengono a tali circuiti». Ma le dichiarazioni rese l’altro giorno al quotidiano tedesco conservatore “Die Welt” dimostrerebbero tutt’altro scenario: «Uno scenario inquietante, verminoso, squallido e scandaloso», sottolinea “Grande Oriente Democratico”, perché – bussando alla “Golden Eurasia” – Di Maio chiederebbe di essere accolto tra i massimi esponenti dell’ordoliberismo Ue a trazione tedesca, quello che ha schiantato l’economia italiana».Luigi Di Maio omaggia Angela Merkel con un obiettivo preciso: spera di essere accolto nella Ur-Lodge della Cancelliera. Lo afferma il movimento massonico d’opinione “Grande Oriente Democratico”, presieduto da Gioele Magaldi, secondo cui il vicepremier grillino «bacia la pantofola della libera muratrice Angela Merkel per entrare nella superloggia Golden Eurasia e assicurarsi un avvenire a prescindere dal governo gialloverde e dalla sorte del M5S». Forte la polemica di Magaldi con Di Maio, accusato di essersi riproposto nei panni di «aspirante massone neoaristocratico», nonostante i 5 Stelle vietino ai propri esponenti (a parole) di avvicinarsi alla massoneria, a cui peraltro appartengono svariati uomini del governo Conte, inclusi i ministri Tria e Moavero. Di Maio? «Tradisce gli elettori pentastellati», lo accusa Magaldi, se dichiara – come ha fatto – che politici come la Merkel farebbero tanto bene anche all’Italia. «Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere», scrive “Grande Oriente Democratico”: «Ci auguriamo che Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e tutti quei parlamentari, dirigenti, attivisti, elettori e simpatizzanti pentastellati che hanno sempre individuato in Angela Merkel la campiona dell’austerity e dei dogmi neoliberisti che hanno funestato l’Europa e l’Italia prendano Luigi Di Maio a pedate nel sedere e a pomodori in faccia».
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Da Fassino a Salvini, il sovranismo nato nel 2005 in val Susa
Matteo Salvini si rassegni: dovrà davvero governare, ininterrottamente, per i prossimi trent’anni. Chi lo dice? La statistica. O meglio: la cronometrica precisione (a rovescio) delle famosissime previsioni-auspicio formulate da Piero Fassino. «Trent’anni di Salvini? Vediamo se gli darannoi i voti», ha detto l’ex dirigente del Pci-Pds, quindi ex ministro, ex capo dei Ds ed ex sindaco di Torino. Non gli era bastato, scrive Massimo Mazzucco, il celebre pronostico su Beppe Grillo, messo alla porta quando chiese – provocatoriamente – di partecipare alle inedite primarie del neonato Pd. «Grillo vuole governare? Fondi un suo partito – disse Fassino – e poi vediamo se prenderà i voti». Non pago, in qualità di primo cittadino torinese, lo stesso Fassino concesse una spassosa replica, rivolgendosi a Chiara Appendino, allora all’opposizione, portavoce a Torino della forza politica puntualmente fondata, nel frattempo, da Grillo: «Vuole governare lei? Si candidi come sindaca, e vedremo se la eleggono». La Appendino oggi siede al posto di Fassino, mentre gli uomini di Grillo governano l’Italia insieme a Salvini? C’è il rischio che lo facciano in eterno, dice Mazzucco sul blog “Luogo Comune”, stando all’ormai leggendaria chiaroveggenza fassiniana: «Ora, con il suo nuovo vaticinio – se la ride Mazzucco – Fassino ha appena regalato trent’anni di dominio politico a Matteo Salvini. Che uomo fantastico, questa “punta di diamante” del Pd».Tutto si può imputare, a Fassino, tranne la mancanza di schiettezza. Gran faticatore della politica, vissuta come missione palingenetica ai tempi eroici del Pci berlingueriano, Piero il Lungo – come lo ribattezzò Giampaolo Pansa – incarna bene le luci e le ombre, in versione sabauda, dell’ex sinistra incarnata dall’Elefante Rosso. Una sinistra rivoluzionaria solo a parole, ma in realtà prudentemente riformista, che visse il trauma della caduta del Muro di Berlino come la fine di un universo marmoreo e basato, per settant’anni, sull’indicibile tradimento di una grande promessa. Più di ogni altra città Italia, forse, proprio Torino ha rivelato la natura doppia di quello che fu il partito di Togliatti: orizzonti quasi onirici di riscatto sociale per il Quarto Stato ma, al tempo stesso, estremo pragmatismo nell’azione di governo, attraverso l’inedita alleanza di potere – non dichiarata – con il vertice industriale e finanziario dell’ex capitale Fiat, alle prese col declino operaio e l’incerta riconversione post-industriale. Negli anni più sguaiati del berlusconismo, con Roma e Milano trasformate in trincee mediatiche per scatenare la caccia all’immigrato clandestino presentato come pericoloso criminale, Torino ha brillato per misura, equilibrio e capacità di integrazione, smussando gli spigoli e investendo al meglio nelle strategie di convivenza: la città di Fassino e Chiamparino, che nell’immediato dopoguerra esibiva cartelli-vergogna del tipo “non si affittano case ai meridionali”, è diventata la metropoli italiana probabilmente più tollerante e con meno problemi di micro-criminalità, proprio grazie alle politiche sociali sapientemente messe in atto dagli esponenti del futuro Pd.A cancellare però l’illusione che il consenso politico possa essere eterno, anche quando motivato da solide ragioni come la buona amministrazione di una grande città, ha provveduto un territorio periferico ma contiguo, la valle di Susa, da sempre “seconda casa” dei torinesi che amano la montagna e lo sci. Spaventata dal progetto di una maxi-opera faraonica come la linea Tav Torino-Lione, potenzialmente devastante e classificata come desolatamente inutile dai massimi esperti dell’università italiana, la valle di Susa – una comunità di quasi centomila abitanti, orientata a sinistra anche in virtù della sua tradizione antifascista – si è sentita letteralmente tradita dai suoi storici rappresentanti politici. Gli uomini del centrosinistra rimasero risolutamente sordi di fronte alla protesta popolare esplosa nel 2005 in forma di esemplare rivolta nonviolenta, capitanata dai sindaci in fascia tricolore: una quasi-sommossa, che riuscì a fermare per ben cinque anni l’avvio dei cantieri. Per la valle di Susa, dalla sponda prodiana, si spesero comunisti come Paolo Ferrero e verdi come Edo Ronchi – ma non Sergio Chiamparino, passato disinvoltamente dalla guida di Torino a quella della Compagnia di San Paolo, potente fondazione bancaria, per poi tornare tranquillamente alla politica nei panni di presidente della Regione Piemonte, come se finanza e democrazia oggi non rappresentassero un bionomio stridente.Dalla parte dei valsusini si è invece schierato in modo nettissimo Beppe Grillo, protagonista di interventi decisivi – a livello politico – per rinfrancare la popolazione, con la promessa che non sarebbe più stata abbandonata al suo destino di paura, angoscia e rabbia. E’ come se il Movimento 5 Stelle avesse conquistato Torino partendo proprio dalla negletta valle di Susa, territorio accanitamente emarginato e isolato, infine anche criminalizzato. Con almeno dieci anni di anticipo sul resto del paese, proprio la valle di Susa – nel 2005 – sperimentò sulla propria pelle il crollo della vecchia politica fondata sulla presunta dicotomia destra-sinistra. Fu chiaro, ai valsusini, che si imponeva un’altra visione del mondo: da una parte la democrazia, cioè il rispetto della sovranità popolare, e dall’altra le oscure ragioni di un’oligarchia finanziaria che, in vent’anni, non ha ancora avuto modo di spiegare chiaramente a cosa mai servirebbe, davvero, quell’ipotetico super-treno che forse al Pd è già costato anche la clamorosa perdita di Torino. Inutilmente, i valsusini si erano rivolti – in prima battuta – proprio a Piero Fassino, figlio di un comandante partigiano della valle. Ma quando Fassino salì in montagna a commemorare i caduti, tra cui gli uomini di suo padre, gli esponenti locali del Pd lo rampognarono soltanto per certe alleanze locali con Forza Italia, e non invece per il silenzio assordante – del partito, e dello stesso Fassino – sulla grande opera percepita dalla popolazione come un’autentica calamità. Così oggi il Pd sembra guardare – con gli occhi smarriti di Fassino – all’inspiegabile trionfo di Salvini, emblema di un’Italia che l’ex centrosinistra ha smesso, da molto tempo, di capire.Matteo Salvini si rassegni: dovrà davvero governare, ininterrottamente, per i prossimi trent’anni. Chi lo dice? La statistica. O meglio: la cronometrica precisione (a rovescio) delle famosissime previsioni-auspicio formulate da Piero Fassino. «Trent’anni di Salvini? Vediamo se gli daranno i i voti», ha detto l’ex dirigente del Pci-Pds, quindi ex ministro, ex capo dei Ds ed ex sindaco di Torino. Non gli era bastato, scrive Massimo Mazzucco, il celebre pronostico su Beppe Grillo, messo alla porta quando chiese – provocatoriamente – di partecipare alle inedite primarie del neonato Pd. «Grillo vuole governare? Fondi un suo partito – disse Fassino – e poi vediamo se prenderà i voti». Non pago, in qualità di primo cittadino torinese, lo stesso Fassino concesse una spassosa replica, rivolgendosi a Chiara Appendino, allora all’opposizione, portavoce a Torino della forza politica puntualmente fondata, nel frattempo, da Grillo: «Vuole governare lei? Si candidi come sindaca, e vedremo se la eleggono». La Appendino oggi siede al posto di Fassino, mentre gli uomini di Grillo governano l’Italia insieme a Salvini? C’è il rischio che lo facciano in eterno, dice Mazzucco sul blog “Luogo Comune”, stando all’ormai leggendaria chiaroveggenza fassiniana: «Ora, con il suo nuovo vaticinio – se la ride Mazzucco – Fassino ha appena regalato trent’anni di dominio politico a Matteo Salvini. Che uomo fantastico, questa “punta di diamante” del Pd».
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Stalinismo e 5 Stelle: il partito bara, ma ha sempre ragione
Il partito ha sempre ragione. Se sbaglia si ha l’obbligo religioso di tacere, per non danneggiare la sua lunga marcia. Teoria e pratica dello stalinismo, oltre mezzo secolo dopo la morte di Stalin e la dolorosa destalinizzazione avviata da Khrushev (e a ruota, da tutti i partiti comunisti del mondo). Il partito è sacro, la sua parola è legge. La sua missione va oltre la politica, prevede una palingenesi dell’umanità. Guai, quindi, a chi osa contestarne l’illuminata guida: sarà espulso, condannato, bollato a vita come come un volgare traditore, magari anche diffamato come opportunista e in ogni caso isolato, alla stregua di un appestato. Gli iscritti assisteranno impassibili al rituale di lapidazione, al sacrificio pubblico, cercando di non domandarsi se per caso la vittima non avesse qualche ragione. E senza mininamente sospettare che quello stesso destino, che oggi tocca al malcapitato di turno, domani potrebbe travolgere ogni altro membro del club. Nell’Unione Sovietica delle fucilazioni sommarie era in gioco la vita, mentre nel movimento fondato da Grillo e Casaleggio si rischia al massimo la pubblica gogna dell’ostracismo. Il meccanismo però è analogo: la platea degli iscritti non deve solo tacere, approvando in silenzio il verdetto del vertice; deve anche assistere alla cerimonia, drammaticamente istruttiva: chi rifiuta il dogma teologico del partito perde ogni dignità politica.La dannazione è la sorte che il cattolicesimo medievale riservava agli eretici. Su di essi veniva fatta calare una maledizione, a scopo intimidatorio: era pericoloso anche solo rievocarne la memoria. Certe strutture gerarchiche utilizzano deliberatamente il metodo brutale dell’Inquisizione: il silenzio-assenso generale di fronte alla violenza del verdetto è il cemento con cui si costruisce un potere autoritario, che – dall’indomani – potrà contare sull’assoluta impunità del vertice, sempre investito (per autodefinizione) di una missione superiore, altissima, quasi mistica, certo non sindacabile dai comuni mortali, quantunque aderenti fin dall’inizio al sacro patto escatologico verso la Terra Promessa. L’ostinato silenzio dei dirigenti dell’Ottobre – muti, di fronte ai fulmini che si abbattevano su di loro, uno alla volta – rese più facile, al dittatore, eliminarli tutti, uno dopo l’altro. Si tratta di un principio duro a morire, anche se la pratica democratica dell’aborrita e corrotta partitocrazia, in Italia e nel mondo, ha comunque evitato il ripetersi della fenomenologia staliniana. Se i partiti della Prima Repubblica vivevano di correnti in perenne lotta tra loro, quelli della Seconda hanno comunque celebrato congressi e primarie, dando vita a dinamiche di aperta concorrenzialità interna: Bossi e Maroni, Berlusconi e Fini, Bersani e Renzi. Col Movimento 5 Stelle, attraverso il totem della Rete (controllata dall’onniveggente Casaleggio) si è tornati all’antico: “uno vale uno”, in teoria, ma alcuni sono “più uguali” degli altri.In modo quasi unanime, i meriti dei 5 Stelle sono considerati indiscutibili, nell’aver aggregato milioni di italiani attorno alla speranza di un mondo migliore. L’impegno: leggi da riscrivere da cima a fondo per ridisegnare una comunità socio-economica unita dal bisogno di valori condivisi. Fin dall’inizio, ingenerosamente, c’è chi ha considerato il Movimento come un mero “gatekeeper”, uno sfiatatoio del dissenso abilmente allestito al solo scopo di canalizzare la rabbia della società verso obiettivi innocui per l’establishment. Qualcuno si stupisce se Di Maio “sbianchetta” il programma elettorale dei 5 Stelle, laboriosamente assemblato con il lavoro collettivo degli iscritti? Eppure è lo stesso Di Maio che ha sparato contro “la massoneria” dopo aver bussato ai santuari massonici della finanza di Londra e di Washington, rassicurandoli sulle sue reali intenzioni. E’ lo stesso Di Maio che non ha fatto barricate contro l’obbligo vaccinale della legge Lorenzin, che non ha mai detto una parola chiara sull’euro, e che oggi si rivolge con disinvoltura al Pd dopo averlo definito abominevole, disgustosamente corrotto e mafioso, catastrofico per l’Italia.Non è Di Maio, a fare notizia, ma il perdurante silenzio-assenso dei grillini. Se le circostanze lo richiedessero, lo stesso Di Maio verrebbe rottamato all’istante. L’importante, per i sovragestori, è che – ancora e sempre – la platea approvi, ribadendo che il partito ha sempre ragione. I dirigenti stalinisti dei vari partiti comunisti europei erano leggendari per la loro celebrata doppiezza, spacciata per acume machiavellico: il dire il contrario di quello che si pensava era contrabbandato per sopraffina virtù. Un’astuzia genialmente tattica, in vista delle “magnifiche sorti e progressive”. Un riverbero di questa pratica, fondata sulla non-trasparenza, lo si è percepito nelle parole di Beppe Grillo di fronte al tragicomico infortunio del tentato trasloco, al Parlamento Europeo, nelle file degli ultra-euristi dell’Alde: come se i 5 Stelle fossero stati agenti speciali sotto copertura, un temibile cavallo di Troia introdotto tra le schiere nemiche. La “rete”, naturalmente, era stata lasciata all’oscuro della manovra. Del resto, quanto contino davvero gli iscritti lo di vede anche dall’assoluta tranquillità con cui Di Maio ne ha “bonificato” il programma.Segnali di ribellione? Non pare. Il sistema, del resto, funziona benissimo. I 5 Stelle sono il primo partito italiano. I parlamentari, selezionati via web a volte con poche decine di voti. E impegnati a pagare di persona una multa, nel caso cambiassero casacca. E’ aberrante? Di nuovo: la notizia non sta nel diktat, ma nella sua accettazione – un vulnus costituzuionale subito dai candidati e approvato dalla base, che immagina di controllarli, evidentemente non fidandosi completamente di loro. Giornalisti e commentatori, che per anni di sono esercitati nella più gratuita denigrazione del Movimento 5 Stelle, oggi tendono a incensare Luigi Di Maio come abile tattico, dimenticando di averne ripetutamente denunciato le fragilità, le incertezze, l’impreparazione. Meno è autorevole, un politico, e più è facilmente manovrabile. I caimani dell’Europa finanziaria guardano all’Italia con inquietudine, temendo che da uno dei maggiori contraenti fondativi dell’Unione Europea possa scoccare la scintilla del cambiamento, la messa in discussione dello status quo fondato sul rigore, il rifiuto del pareggio di bilancio. Possono continuare a dormire sonni tranquilli, sembra avvertirli lo “sbianchettatore” Di Maio: con lui al governo, niente di sostanziale cambierebbe. Con buona pace dei quasi 11 milioni di italiani che l’hanno votato.Il partito ha sempre ragione. Tu non sai perché, ma lui sì. E se sbaglia hai l’obbligo religioso di tacere, per non danneggiare la sua lunga marcia. Teoria e pratica dello stalinismo, oltre mezzo secolo dopo la morte di Stalin e la dolorosa destalinizzazione avviata da Khrushev (e a ruota, da tutti i partiti comunisti del mondo). Il partito è sacro, la sua parola è legge. La sua missione va oltre la politica, prevede una palingenesi dell’umanità. Guai, quindi, a chi osa contestarne l’illuminata guida: sarà espulso, condannato, bollato a vita come come un volgare traditore, magari anche diffamato come opportunista e in ogni caso isolato, alla stregua di un appestato. Gli iscritti assisteranno impassibili al rituale di lapidazione, al sacrificio pubblico, cercando di non domandarsi se per caso la vittima non avesse qualche ragione. E senza minimamente sospettare che quello stesso destino, che oggi tocca al malcapitato di turno, domani potrebbe travolgere ogni altro membro del club. Nell’Unione Sovietica delle fucilazioni sommarie era in gioco la vita, mentre nel movimento fondato da Grillo e Casaleggio si rischia al massimo la pubblica gogna dell’ostracismo. Il meccanismo però è analogo: la platea degli iscritti non deve solo tacere, approvando in silenzio il verdetto del vertice; deve anche assistere alla cerimonia, drammaticamente istruttiva: chi rifiuta il dogma teologico del partito perde ogni dignità politica.
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E bravo Di Maio, l’aspirante massone che spara sui massoni
Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, di Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare in massoneria è proprio lui.«L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scrive Magaldi su “Grande Oriente Democratico”. Il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante la quale, privatamente, anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». E poi c’è un diffuso meccanismo, aggiunge Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio non è stata casale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza». Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», rivolto – in codice – a soggetti ai quali Di Maio di sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».«Una volta che sarà stato celebrato l’ingannevole rito elettorale del 4 marzo, Luigi Di Maio non solo non avrà vinto le elezioni, ma avrà dimostrato di essere stato la peggiore scelta possibile, come “frontman”», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. Il giorno dopo le elezioni, quindi, «sarà bene che l’intero Movimento 5 Stelle – garante e padre fondatore Beppe Grillo in testa – ripensi alcune modalità comunicative e strutturali dell’avventura pentastellata», anche perché «chi si candida a governare una grande nazione democratica e repubblicana come l’Italia non può permettersi il lusso di discriminare pregiudizialmente la partecipazione politica al proprio movimento di categorie di persone – i massoni – tra le fila dei quali si annoverano peraltro i maggiori eroi del Risorgimento e i più autorevoli padri della Costituzione del 1948». Più in generale, l’asserita interdizione ai liberi muratori («evidentemente a quelli che non fanno mistero di essere tali») di partecipare alla vita politica del M5S e/o di essere candidati tra le sua fila, «non solo viola il testo costituzionale italiano e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma favorisce semmai l’infiltrazione tra i pentastellati di massoni segreti e coperti, cui nessuno potrà contestare l’appartenenza latomistica ed escluderli da liste elettorali, proprio in quanto segreti e coperti».Perciò, conclude Magaldi, «lunga vita e in bocca al lupo ai tanti ottimi candidati sinceramente democratici e progressisti delle liste M5S (in primis a Pino Cabras, giornalista e intellettuale di grande pregio e spessore), ma qualcuno si prenda la briga di sottoporre Luigi Di Maio a un corso accelerato di etica costituzionale e di principi democratici, liberali e libertari, sottraendolo alle pessime figure e alla sicura débâcle cui lo condurrà la sua insipiente, pretestuosa e insincera massonofobia». Dalle parole di Di Maio, secondo Magaldi, emerge «un abisso di ipocrisia». Intanto, sparando contro “i massoni” come categoria, attenta ai diritti costituzionali degli aderenti alla massoneria. «E sarebbe lo stesso se costui avesse usato parole discriminatorie e liberticide contro altre categorie socio-antropologiche: cattolici, ebrei, musulmani, simpatizzanti di tale o talaltra dottrina filosofica, religiosa o sapienziale, inquadrati o meno in associazioni, come la massoneria, perfettamente legali, legittime e costituzionali, e anzi all’origine della nascita stessa delle Costituzioni democratiche moderne e contemporanee». Ma, appunto, il leader grillino non è neppure sincero: «Non si può trascurare il fatto che Luigi Di Maio (al pari di Matteo Renzi, che lo ha preceduto in termini quasi identici), da mesi, stia cercando di trovare a Londra e a Washington qualcuno che gli apra le porte di templi massonici prestigiosi».Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare nei grandi circuiti delle superlogge è proprio lui.
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Spaghetti-Trump cercasi: Emiliano, dopo Salvini e Grillo
I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.Perderà sia le amministrative che l’eventuale referendum sui voucher. Persino le primarie aperte del Pd sono a rischio, da quando l’astuto Emiliano le ha indicate come nuova ordalia antirenziana, invitando a votare tutti coloro, dentro e fuori dal Pd, che vogliano infliggere al Cazzaro la disfatta definitiva. Per le elezioni politiche il Pd avrà quindi comunque disperatamente bisogno d’un altro leader spendibile che riesca nel compito fallito da Renzi: catalizzare il voto anti-establishment per convogliarlo nel principale partito dell’establishment. Di fronte agli elettori del Pd, Emiliano potrà vantare d’essere un oppositore leale che ha cercato di evitare la scissione per il Bene Supremo del partito, e che ora potrebbe ricomporla. Di fronte agli altri elettori, reciterà la sua solita parte di populista verace, che alle ultime regionali gli ha fruttato un vasto consenso trasversale. A prescindere dalla sua riuscita, la strategia di Emiliano per scalare il Pd è un notevole esempio della congenita doppiezza del cosiddetto centrosinistra.Non sono migliori gli scissionisti Dp, che pur continuando a sostenere il governo, progettano di raccogliere voti a sinistra del Pd, per poi rivenderli allo stesso Pd con la Grossolana Coalizione auspicata dal nefasto Scalfari, che va da Brunetta a Vendola in funzione anti-M5S. In realtà ognuna delle loro tortuose manovre avvicina al governo sia Grillo che Salvini. Che la parola “Sinistra” sia preda di certi grotteschi parassiti è una delle ovvie cause dell’avanzata delle destre. La protesta di ambulanti e tassinari inferociti davanti alla sede del Pd dove si celebrava l’ennesimo rituale bizantino è stata la perfetta rappresentazione plastica della situazione. Le bombe-carta che hanno fatto saltare in una pioggia di cocci tutti i vetri della strada non hanno scosso i piddini dalle loro procedure ossessivo-compulsive, che accelerano la rovina che vorrebbero scongiurare. Ma si sa, gli Dei rendono sordi coloro che vogliono perdere.(Alessandra Daniele, “Trump It”, da “Carmilla Online” del 26 febbraio 2017).I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.