Archivio del Tag ‘dualismo’
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“Bogre”, Fredo Valla: il mio film sul massacro dei Catari
«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea”. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.In Italia, il catarismo trovò terreno fertile a partire dal XI secolo, con forti comunità di buoni uomini a Desenzano, Concorezzo (Milano), Piacenza, Cremona, Sirmione, Verona, Marca Trevigiana, Firenze, Spoleto, Orvieto e, in Piemonte, a Monforte d’Alba, Roccavione, Cuneo e Acqui. Alcuni studiosi pensano che ai tempi di Farinata degli Uberti, una buona percentuale di fiorentini fosse catara. I rapporti fra le chiese catare d’Occitania, Italia e Bosnia con i bogomili di Bulgaria furono frequenti, perlomeno fino al XIII secolo, con un flusso dai Balcani di libri dottrinali e la partecipazione ai concili, favorito dai commerci e dal passaggio delle crociate verso la Terrasanta. A testimonianza della ricchezza di contatti e scambi in un’Europa medievale che siamo abituati a pensare chiusa e isolata.In Occidente il catarismo si propose come alternativa alla Chiesa di Roma. Per questo motivo nel 1209 Papa Innocenzo III scatenò contro i Catari una crociata di cristiani contro cristiani, chiamando a raccolta baroni e cavalieri del nord della Francia, coraggiosi ma spiantati – un po’ come i conquistadores spagnoli in Messico e Perù – promettendo loro la salvezza eterna e i ricchi feudi della Linguadoca. Il colpo più duro lo diede nuovamente il Papa nel 1230, con l’istituzione dei tribunali dell’Inquisizione, che crearono un clima di terrore e di delazione, che non può non portare alla mente il terrore staliniano. Ultima a resistere fu la Bosnia, dove il catarismo si estinse nella seconda metà del XV secolo con la conquista ottomana, quando la dottrina originaria già si stava esaurendo in un sincretismo religioso compromesso col potere.In che cosa credevano Bogomìli e Catari? Essenzialmente distinguevano fra Spirito e Materia. Tutto ciò che appartiene allo Spirito è stato creato dal Dio Buono, mentre tutto ciò che è Materia (quindi anche i corpi umani) sono creatura di un Demiurgo, Dio del Male o Demonio a seconda del nome che gli si voleva attribuire. In questo modo essi rispondevano alla domanda delle domande: Unde malum? Perché il Male? Il Male esiste – dicevano – perché esiste un Dio del Male. Sono anni che faccio documentari e mi occupo di lingua e di cultura occitana, quindi la vicenda dei Catari ha attraversato la mia vita. Poi nel 2005 ho avuto l’occasione di cominciare una collaborazione con Antonio e Pupi Avati, che producevano una serie di puntate sui paesi dell’Est per “Tv2000″. A me fu assegnata la Bulgaria. Là conobbi Axinia Dzurova, studiosa di testi slavi e glagolitici.Axinia, allieva di Ivan Dujcev, tra i maggiori studiosi dei Bogomili, mi rivelò – e fu una vera rivelazione – le relazioni fra Bogomìli e Catari. Da qui l’idea del film, per raccontare un’eresia europea che nessun film aveva mai raccontato. Tra il 2016 e il 2017 ho lavorato alla scrittura. Le prime riprese sono state in Bulgaria, nell’autunno del ’17, là dove la vicenda di questi eretici ha preso le mosse. A marzo di quest’anno, “Bogre” ha esordito con successo al Film Festival Internazionale di Sofia ed è un po’ come se si fosse chiuso un cerchio, come se il film cominciasse la sua strada da dove tutto è iniziato. Ma “Bogre” ha una storia particolare anche per ciò che riguarda il reclutamento della troupe, composta da ex allievi e collaboratori de “l’Aura”, la scuola di cinema che ho fondato col mio sodale Giorgio Diritti a Ostana, paese delle Alpi occitane davanti al Monviso. Girare è stato come fare scuola sul campo. Una bella soddisfazione, per me e per gli allievi che sono cresciuti facendo.“Bogre – la grande eresia europea” si presenta come un evento anche a partire dalla durata, 200 minuti, in cui chiedo allo spettatore di essermi complice, di entrare con me nella bolla e abbandonarsi alle immagini e alle parole del racconto. Per questo il film va visto al cinema e non in tivù. Duecento minuti che sono una scelta di linguaggio, in cui il film si dipana e si mostra nel suo farsi, con la mia troupe in scena, o io e il mio montatore, Beppe Leonetti che è anche co-produttore con Chambra d’Oc e Lontane Province, in sala montaggio. Ho sempre pensato che un film dura quanto deve durare. Questa volta mi sono sentito libero: come i Catari e i Bogomili. “Bogre” è un film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere (eresia significa scelta), su un’idea di giustizia in opposizione ai poteri intolleranti. Le vicende di questi eretici trovano un parallelo in storie a noi più vicine, come la Shoah, il genocidio armeno, l’intolleranza verso chi è diverso da noi e viene a “invadere” l’Occidente civilizzato. I “bogre” di oggi! Una storia estirpata dai libri di storia che ritorna, perché, ahimé, il male non finisce.(Fredo Valla, “Bogre, il mio film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere, su un’idea di giustizia contro i poteri intolleranti”, da “La Stampa” dell’8 giugno 2021. Autore, regista e sceneggiatore, Fredo Valla ha curato il copione di film come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, diretti da Giorgio Diritti. E’ un instancabile difensore della minoranza linguistica occitanica e della sua antica cultura, che sopravvive nelle valli alpine cuneesi e nel Sud della attuale Francia).«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea“. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.
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Cercano vittime: il rock degli Area 51 contro l’inferno 2020
«Cercano anime, cercano vite senza senso: cercano vittime». L’onda nera del 2020 finisce per infrangersi anche contro chi non vuole lasciarsi «trasportare a bassa quota», e avverte: «Tieniti forte, stringi i denti». Loro si tengono forte alle chitarre, alla tastiere e alla batteria, sfornando un piccolo capolavoro prog-rock che si concede tutta la nostalgia possibile per i fasti italiani della Pfm, delle Orme, del Banco del Mutuo Soccorso. “Vento” è il titolo dell’Ep del combat-group torinese chiamato Area 51, che sa ruggire con una freschezza invidiabile, senza paura di affrontare gli arabeschi struggenti dell’epica pura. La chitarra di Silvio Fasano non ha nulla da inviare a quella della leggendaria “Velasquez” di Vecchioni (”Elisir”, 1976), a sua volta ispirata alla mitica “Cortez the killer”, del miglior Neil Young. Trascinante la regia di Giulio Romiti (tastiere), assistito da Paolo Noce al basso, con la batteria di Daniele Veroli che all’occorrenza sa passeggiare con disinvoltura tra i riverberi gioiosamente fragorosi del grunge, zona Sonic Youth e Nirvana. Un’altalena di emozioni in chiaroscuro, mai leziosa, senza pause: una nave pirata, condotta da capitani coraggiosi in vena di avvertimenti: «Cercano anime da consumare senza pietà: e se ti distrai, fanno centro».Quattro brani, quattro gemme: testi di Romiti e Fasano (più Marco Gaviani). Sempre autorevole e coinvolgente il vocalist, Dennis Savoja Lucchitta. “Bassa quota”, “Vento”, “Cuore di carta” e “Genesi” compongono un quadrante perfetto, da cui guardare il mare tempestoso dell’Annus Horribilis che finalmente sta per essere archiviato, al termine di uno sterminato cimitero di lutti, catastrofi e menzogne. Noi non ci stiamo, è come se dicessero i marinai nella burrasca. Unico imperativo: non tremare. «Vai più veloce che puoi, non avere paura», anche perché «cuore di carta non sente la vita che chiama». Testi danzanti, senza mezze misure: «Il destino è una strada, non smarrire la tua», ben sapendo che «l’inverno darà il suo cielo all’estate». Slanci e abissi, sapienti sospensioni e rincorse, nutrite di profondità: è proprio il mare in tempesta il gran maestro della navigazione. Puoi lasciarti atterrire dalla sua furia o invece cavalcarla come fanno i veri cavalieri, dando fiato all’infinita potenza di quello che, anche nelle canzoni, si chiama amore. La nuda forza della verità, da sciogliere in purezza dentro l’infinito, in cerca di una bellezza inesauribile e invincibile: il sentimento dell’immortalità da conquistare combattendo, riscattando, risvegliando, perdonando e risorgendo come fa la Terra dopo ogni cataclisma.Nel mirino, la nave pirata inquadra «questo mondo ladro e spento», pieno di anime «da consumare all’eternità». Una drammatica caccia all’uomo, sulle acque scure in cui naviga a vista il vascello battezzato Area 51 tanti anni fa, con intatta la sua bussola: solcare i flutti tempestosi sapendo che vanno affrontati, che ogni esitazione può essere fatale. Le mosse dei nemici sono ormai visibili: «Cercano anime a bassa quota, a fuoco lento». Lucida la fotografia della moltitudine che sta «camminando sui carboni ardenti», in questa specie di inaspettato inferno. Senza scomodare Dante o lo gnosticismo riesumato dal dualismo medievale eretico, quello che denunciava il Dio Straniero, è sorprendente ascoltare – in una bella salsa pop, capace di snellezza e leggerezza – una sorta di sermone contro la prigionia mentale, specialità del Re del Mondo e di tutti gli stregoni che maneggiano la nuova apocalisse psico-sanitaria come orizzonte di deprivazione, fabbrica d’incubi e terrori innominabili.«Sale il vento, soffia il tempo»: i marinai filano dritti, tra le fauci minacciose di acque nere, sapendo che l’unica vera sciagura dell’umanità è solo la sua paura. Sentirlo dire – meglio, cantare – fa un bell’effetto, proprio alla fine dello stramaledetto duemilaventi. Punti di vista, naturalmente: magari c’era proprio bisogno di tutto questo, dell’immenso sfacelo, per aprire finalmente gli occhi? Non spetta ai musicisti, la risposta. Loro presidiano la zona d’ombra da cui poi rinasce sempre il sole. Attingono al mistero del risorgere, vi si affidano con sfrontata sicurezza: ti prendono per mano, a suon di note. Così li puoi vedere andare, senza sbandamenti, verso la genesi alchemica che poi è il cuore del rigenerarsi, del conoscere, del nascere di nuovo. Sapendo che la forza – la tua, quella del sole – non ti abbandonerà.(Giorgio Cattaneo, 18 dicembre 2020. Il ricavato dell’Ep “Vento” servirà a sostenere la Onlus “Il cerchio delle abilità”. Info: sul sito ufficiale degli Area 51 e sulla loro pagina Facebook).«Cercano anime, cercano vite senza senso: cercano vittime». L’onda nera del 2020 finisce per infrangersi anche contro chi non vuole lasciarsi «trasportare a bassa quota», e avverte: «Tieniti forte, stringi i denti». Loro si tengono forte alle chitarre, alla tastiere e alla batteria, sfornando un piccolo capolavoro prog-rock che si concede tutta la nostalgia possibile per i fasti italiani della Pfm, delle Orme, del Banco del Mutuo Soccorso. “Vento” è il titolo dell’Ep del combat-group torinese chiamato Area 51, che sa ruggire con una freschezza invidiabile, senza paura di affrontare gli arabeschi struggenti dell’epica pura. La chitarra di Silvio Fasano non ha nulla da inviare a quella della leggendaria “Velasquez” di Vecchioni (”Elisir”, 1976), a sua volta ispirata alla mitica “Cortez the killer”, del miglior Neil Young. Trascinante la regia di Giulio Romiti (tastiere), assistito da Paolo Noce al basso, con la batteria di Daniele Veroli che all’occorrenza sa passeggiare con disinvoltura tra i riverberi gioiosamente fragorosi del grunge, zona Sonic Youth e Nirvana. Un’altalena di emozioni in chiaroscuro, mai leziosa, senza pause: una nave pirata, condotta da capitani coraggiosi in vena di avvertimenti: «Cercano anime da consumare senza pietà: e se ti distrai, fanno centro».
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Il Dio della Medicina piega quelli del Papa e del capitalismo
Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente. Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre “religioni” si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del comune interesse. Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale. Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.Non sorprende che protagonista di questa nuova guerra di religione sia quella parte della scienza dove la dommatica è meno rigorosa e più forte l’aspetto pragmatico: la medicina, il cui oggetto immediato è il corpo vivente degli esseri umani. Proviamo a fissare i caratteri essenziali di questa fede vittoriosa con la quale dovremo fare i conti in misura crescente. 1) Il primo carattere è che la medicina, come il capitalismo, non ha bisogno di una dogmatica speciale, ma si limita a prendere in prestito dalla biologia i suoi concetti fondamentali. A differenza della biologia, tuttavia, essa articola questi concetti in senso gnostico-manicheo, cioè secondo una esasperata opposizione dualistica. Vi è un dio o un principio maligno, la malattia, appunto, i cui agenti specifici sono i batteri e i virus, e un dio o un principio benefico, che non è la salute, ma la guarigione, i cui agenti cultuali sono i medici e la terapia. Come in ogni fede gnostica, i due principi sono chiaramente separati, ma nella prassi possono contaminarsi e il principio benefico e il medico che lo rappresenta possono sbagliare e collaborare inconsapevolmente con il loro nemico, senza che questo invalidi in alcun modo la realtà del dualismo e la necessità del culto attraverso cui il principio benefico combatte la sua battaglia. Ed è significativo che i teologi che devono fissarne la strategia siano i rappresentanti di una scienza, la virologia, che non ha un luogo proprio, ma si situa al confine fra la biologia e la medicina.2) Se questa pratica cultuale era finora, come ogni liturgia, episodica e limitata nel tempo, il fenomeno inaspettato a cui stiamo assistendo è che essa è diventata permanente e onnipervasiva. Non si tratta più di assumere delle medicine o di sottoporsi quando è necessario a una visita medica o a un intervento chirurgico: la vita intera degli esseri umani deve diventare in ogni istante il luogo di una ininterrotta celebrazione cultuale. Il nemico, il virus, è sempre presente e deve essere combattuto incessantemente e senza possibile tregua. Anche la religione cristiana conosceva simili tendenze totalitarie, ma esse riguardavano solo alcuni individui – in particolare i monaci – che sceglievano di porre la loro intera esistenza sotto l’insegna «pregate incessantemente». La medicina come religione raccoglie questo precetto paolino e, insieme, lo rovescia: dove i monaci si riunivano in conventi per pregare insieme, ora il culto deve essere praticato altrettanto assiduamente, ma mantenendosi separati e a distanza.3) La pratica cultuale non è più libera e volontaria, esposta solo a sanzioni di ordine spirituale, ma deve essere resa normativamente obbligatoria. La collusione fra religione e potere profano non è certo un fatto nuovo; del tutto nuovo è, però, che essa non riguardi più, come avveniva per le eresie, la professione dei dogmi, ma esclusivamente la celebrazione del culto. Il potere profano deve vegliare a che la liturgia della religione medica, che coincide ormai con l’intera vita, sia puntualmente osservata nei fatti. Che si tratti qui di una pratica cultuale e non di un’esigenza scientifica razionale è immediatamente evidente. La causa di mortalità di gran lunga più frequente nel nostro paese sono le malattie cardio-vascolari ed è noto che queste potrebbero diminuire se si praticasse una forma di vita più sana e se ci si attenesse a una alimentazione particolare. Ma a nessun medico era mai venuto in mente che questa forma di vita e di alimentazione, che essi consigliavano ai pazienti, diventasse oggetto di una normativa giuridica, che decretasse ex lege che cosa si deve mangiare e come si deve vivere, trasformando l’intera esistenza in un obbligo sanitario.Proprio questo è stato fatto e, almeno per ora, la gente ha accettato come se fosse ovvio di rinunciare alla propria libertà di movimento, al lavoro, alle amicizie, agli amori, alle relazioni sociali, alle proprie convinzioni religiose e politiche. Si misura qui come le due altre religioni dell’Occidente, la religione di Cristo e la religione del denaro, abbiano ceduto il primato, apparentemente senza combattere, alla medicina e alla scienza. La Chiesa ha rinnegato puramente e semplicemente i suoi principi, dimenticando che il santo di cui l’attuale pontefice ha preso il nome abbracciava i lebbrosi, che una delle opere della misericordia era visitare gli ammalati, che i sacramenti si possono amministrare solo in presenza. Il capitalismo per parte sua, pur con qualche protesta, ha accettato perdite di produttività che non aveva mai osato mettere in conto, probabilmente sperando di trovare più tardi un accordo con la nuova religione, che su questo punto sembra disposta a transigere.4) La religione medica ha raccolto senza riserve dal cristianesimo l’istanza escatologica che quello aveva lasciato cadere. Già il capitalismo, secolarizzando il paradigma teologico della salvezza, aveva eliminato l’idea di una fine dei tempi, sostituendola con uno stato di crisi permanente, senza redenzione né fine. Krisis è in origine un concetto medico, che designava nel corpus ippocratico il momento in cui il medico decideva se il paziente sarebbe sopravvissuto alla malattia. I teologi hanno ripreso il termine per indicare il Giudizio finale che ha luogo nell’ultimo giorno. Se si osserva lo stato di eccezione che stiamo vivendo, si direbbe che la religione medica coniughi insieme la crisi perpetua del capitalismo con l’idea cristiana di un tempo ultimo, di un eschaton in cui la decisione estrema è sempre in corso e la fine viene insieme precipitata e dilazionata, nel tentativo incessante di poterla governare, senza però mai risolverla una volta per tutte. È la religione di un mondo che si sente alla fine e tuttavia non è in grado, come il medico ippocratico, di decidere se sopravviverà o morirà.5) Come il capitalismo e a differenza del cristianesimo, la religione medica non offre prospettive di salvezza e di redenzione. Al contrario, la guarigione cui mira non può essere che provvisoria, dal momento che il Dio malvagio, il virus, non può essere eliminato una volta per tutte, anzi muta continuamente e assume sempre nuove forme, presumibilmente più rischiose. L’epidemia, come l’etimologia del termine suggerisce (demos è in greco il popolo come corpo politico e polemos epidemios è in Omero il nome della guerra civile) è innanzi tutto un concetto politico, che si appresta a diventare il nuovo terreno della politica – o della non-politica – mondiale. È possibile, anzi, che l’epidemia che stiamo vivendo sia la realizzazione della guerra civile mondiale che secondo i politologi più attenti ha preso il posto delle guerre mondiali tradizionali. Tutte le nazioni e tutti i popoli sono ora durevolmente in guerra con sé stessi, perché il nemico invisibile e inafferrabile con cui sono in lotta è dentro di noi.Com’è avvenuto più volte nel corso della storia, i filosofi dovranno nuovamente entrare in conflitto con la religione, che non è più il cristianesimo, ma la scienza o quella parte di essa che ha assunto la forma di una religione. Non so se torneranno ad accendersi i roghi e dei libri verranno messi all’indice, ma certo il pensiero di coloro che continuano a cercare la verità e rifiutano la menzogna dominante sarà, come già sta accadendo sotto i nostri occhi, escluso e accusato di diffondere notizie (notizie, non idee, poiché la notizia è più importante della realtà!) false. Come in tutti i momenti di emergenza, vera o simulata, si vedranno nuovamente gli ignoranti calunniare i filosofi e le canaglie cercare di trarre profitto dalle sciagure che esse stesse hanno provocato. Tutto questo è già avvenuto e continuerà a avvenire, ma coloro che testimoniano per la verità non cesseranno di farlo, perché nessuno può testimoniare per il testimone.(Giorgio Agamben, “La medicina come religione”, da “Quodlibet” del 2 maggio 2020).Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente. Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre “religioni” si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del comune interesse. Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale. Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.
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Vaccini e falsi profeti: Bob Dylan contro la mafia del Covid
Il diavolo non veste Prada: di questi tempi va in giro con in mano una siringa mortale, truccata da regalo, che puzza di vaccino lontano un miglio. E’ dedicato al Demiurgo degli gnostici – il Dio Straniero dei catari – l’ultimo guanto di sfida (il terzo, in poche settimane) lanciato dallo stupefacente Bob Dylan, 79 anni a fine maggio. Un blues lento e accidentato, scandito da chitarre sulfuree, tra Muddy Waters e Tom Waits, e presentato da un’icona inequivocabile: uno spettro vestito a festa, da banditore ottocentesco. Il riferimento dell’immagine – trasmessa via web nella notte tra il 7 e l’8 maggio, per accompagnare l’ennesimo, esplosivo brano inedito, “False Prophet” – è all’Uomo Ombra, «il personaggio misterioso creato da Walter Gibson, dal 1931 protagonista di “The Shadow”, il primo magazine pulp interamente dedicato a un singolo “character hero” e progenitore di giustizieri, cupi e solitari, come Batman», annota Valeria Rusconi su “Repubblica”. Ma se lo spettro tenebroso di Gibson impugna una pistola, quello di Dylan – che a sua volta ha sottobraccio un pacco regalo – brandisce una siringa, nientemeno. «A chi sta pensando, Bob Dylan? Qual è il dono che porta la morte?».Per intuirlo basta guardarsi attorno, tra i cimiteri del Covid-19 e le ombre che si allungano, giorno per giorno, sull’incerta origine della pandemia e sulle altrettanto opache manovre per specularvi sopra, come racconta la guerra politica fra Trump e l’Oms “cinese”, il guru Anthony Fauci, il presunto “falso profeta” Bill Gates e i suoi seguaci diffusi ovunque. E’ il coronavirus – o meglio, il clan che lo starebbe “sovragestendo” – l’obiettivo del grande cantautore americano, Premio Nobel per la Letteratura, che il 27 marzo ha sparato wordlwide il capolavoro “Murder Must Foul”, struggente ballad che rievoca l’omicidio di John Kennedy. Il brano lascia spazio a un’accusa velata: il sospetto che, dietro al superpotere che sta cercando di impossessarsi del pianeta sottoponendolo alla “dittatura sanitaria”, vi siano gli eredi dell’esclusivo club oligarchico che nel 1963 fece assassinare il presidente della New Frontier, reclutando la mafia di Chicago sotto la supervisione della Cia e dell’Fbi, con il placet di Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush.E’ il potere nero, golpista, che avrebbe imposto il neoliberismo a mano armata con il colpo di Stato in Cile che rovesciò e uccise Salvador Allende l’11 settembre del 1973. Lo stesso Deep State che poi, trent’anni dopo – in un altro 11 settembre – avrebbe terremotato il pianeta, abbattendo le Torri Gemelle per imporre il terrore “islamista”, da Al-Qaeda fino all’Isis. Esauriti i mostri creati in laboratorio deformando l’Islam, ora saremmo di fronte all’ennesimo esperimento di dominio, sempre fabbricato in vitro, ma in altri laboratori: un mostro fondato sul terrore sanitario. Vaneggiamenti? Tutt’altro, sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014). La tesi: una cupola mondiale di superlogge – dalla “Three Eyes” di Kissinger alla “Hathor Pentalpha” dei Bush – ha strapazzato il mondo, per piegarlo ai suoi voleri: dal manifesto “The crisi of democracy” del 1975 (Commissione Trilaterale) al neoliberismo-canaglia, quello che oggi – nella gabbia Ue – impedisce all’Italia persino di difendersi, finanziariamente, dalla catastrofe Covid. Ma che c’entra, Bob Dylan?«C’entra eccome», sostiene Magaldi, che un mese fa è stato autorizzato a comunicare ufficialmente la notizia: l’autore di “Blowin in the wind”, «da sempre massone ultra-progressista», fa parte del circuito massonico internazionale che si sta opponendo, con ogni mezzo, al “tentativo di golpe” che ritiene sia in corso: il brutale sequestro di miliardi di persone, terrorizzate da un virus misterioso e sottoposte al coprifuoco da parte di governi che hanno prontamente sospeso libertà e democrazia, obbedendo a oscuri tecno-scienziati. Peggio: l’alleanza massonico-progressista (di cui Dylan è parte) sospetta che sia all’opera lo stesso potere che assassinò Kennedy a Dallas nel ‘63. Ecco perché il menestrello di Duluth è uscito allo scoperto. Conferma Magaldi: «Bob Dylan è sceso in campo ufficialmente: si sente un soldato, deciso a combattere a viso aperto».Senza questa chiave di lettura, agli esegeti della dirompente tripletta scodellata da Dylan in poco più di un mese (”Murder Most Foul”, “I Contain Multitudes” e ora “False Prophet”) non restano che considerazioni preliminari: «Rimaniamo qui, stupiti, ancora incantati, brancolanti nel buio, cercando in un disco i segreti del nostro tempo», scrive sempre Valeria Rusconi nel suo bellissimo articolo su “Repubblica”. Le fa eco Federico Vacalebre sul “Mattino” di Napoli: «L’uomo che contiene moltitudini è tornato, non resta che aspettare il 19 giugno: non sono solo canzonette». Attenti alla data: è la vigilia del solstizio d’estate il giorno prescelto per l’uscita ufficiale del doppio album “Rough and Rowdy Ways”, che ricalca l’omonima opera pubblicata nel lontano 1926 da Jimmie Rodgers, una delle fonti d’ispirazione di Dylan. Quelle “maniere ruvide e turbolente” conterranno quindi la trilogia uscita per ora a rate, in queste settimane con le anticipazioni sui social a cui la stampa ha dato il massimo risalto, interrogandosi sull’improvvisa loquacità del grande artista americano, il cui ultimo album originale, “Tempest”, risale al 2012.Meglio tenere gli occhi aperti, annota anche “Rai News”, visto che il funereo “False Prophet” arriva appena dopo la pubblicazione di “I Contain Multitudes”, dove la voce di Dylan, a partire dalla citazione di “Foglie d’erba” di Walt Whitman, canta delle sue infinite sfaccettature nel suo consueto modo spiazzante («Sono come Anna Frank, come Indiana Jones, e come quei cattivi ragazzi inglesi, i Rolling Stones»). A loro volta, le “moltitudini” anticipate il 17 aprile sono il sequel, intimistico, dell’orazione commossa per Jfk, «dedicata all’America e alla sua musica – dice sempre “Rai News” – a partire dal trauma collettivo dell’assassinio di Kennedy a Dallas». Adesso siamo all’atto terzo, il “falso profeta”, che prelude a un disco la cui tempistica – un attimo prima della “resurrezione” stagionale del sole – fa pensare alle previsioni degli astrologi, secondo cui siamo tuttora immersi in un’altra vigilia, di tipo cosmico: questa immane tribolazione, calcolano, cesserà fra tre anni e mezzo, visto che il 2024 segnerà un passaggio d’epoca paragonabile a quello che tenne a battesimo la Rivoluzione Francese e quella americana, dando corso a 200 anni di vertiginosi progressi sociali, le grandi conquiste da cui è nata la modernità democratica.Niente di casuale, probabilmente, se Dylan – la cui cifra iniziatica è stata definitivamente svelata – ha abituato l’immenso popolo dei suoi fan (36 milioni di dischi venduti) al gusto per i simboli, nel gioco di specchi della tradizione esoterica. Bibbia e stelle, tarocchi, mitologia e archetipi: il materiale perfetto di chi ama parlare per enigmi. Stavolta però le parole si fanno anche esplicite, sia pure sempre attraverso il raffinato doppio fondo della poetica dylaniana: «Ciao straniero, un lungo addio. Hai governato la terra, ma l’ho fatto anch’io». Riecheggia il Dio Straniero, il Demiurgo gnostico responsabile della creazione “dannata” della materia. «Hai perso il tuo mulo», lo sfotte Dylan: fulmineo rimando all’animale-totem dei Vangeli (l’avvento di Cristo a Gerusalemme, in sella un asinello) e più ancora a Genesi 49, il passo biblico in cui i Rosa+Croce individuano la sacralità dell’investitura regale di Giuda, che «lega alla vite il suo asinello». Giuda, il cui discendente Davide («il Re che suona l’arpa») lampeggia tra i versi di “Murder Most Foul”, in cui è Kennedy a indossare i panni del nuovo “re di giustizia” davidico, «secondo a nessuno».Stesso verso, identico, anche in “False Prophet”: «Second to none», si autodefinisce lo spettro vendicatore dell’ultima scorribanda di Dylan, che sfida il Demiurgo: «Hai un cervello avvelenato», gli dice, introducendo una categoria – il veleno – più che mai attuale, nel mondo devastato dal coronavirus e insidiato dalle troppe voci sui vaccini inaffidabili (come quelle rilanciate da Robert Kennedy, figlio di Bob, in prima linea nella battaglia contro l’ipervaccinista Bill Gates). «Ti sposerò a una palla al piede», gli promette Dylan in versione templare, con un’evidente allusione a San Bernardo: incatenare il diavolo è proprio la specialità – nell’iconografia medievale – dell’ispiratore dell’Ordine del Tempio. Quello di San Bernardo è un diavolo terreno: ciascuno deve riconoscerlo come parte di sé, per poterlo tenere a bada. Diverso il demone (gnostico, creatore) contro cui si scaglia l’altro uomo-simbolo della cristianità medievale ora richiamato in servizio da Dylan, il Sant’Agostino della città celeste: «Povero diavolo, alza lo sguardo se vuoi: la città di Dio è lì sulla collina».Versi urlanti, mutuati dalla teologia dualistica ereticale: «So come è successo, l’ho visto cominciare: ho aperto il mio cuore al mondo e il mondo è entrato». Lo zampino del “diavolo” nella creazione, la Terra come regno provvisorio delle tenebre (Ahriman, per la cosmogonia di Zoroastro) compare già – sotto mentite spoglie – nell’incipit del brano: il verso «ciao, Mary Lou», omaggio apparente al country-western, mette insieme due opposti, Maria (la Madonna) e Lucifero. Insieme a «miss Pearl», Mary Lou è una guida per il viaggio dantesco negli inferi, evocato in una strofa dedicata al “principe ribelle”: «Nessuna stella nel cielo brilla più di te», ammette lo spettro, pensando al mitico occhio del grande eversore, la pietra preziosa («miss Pearl»?) contro cui però si schiera in modo categorico: «Sono nemico del conflitto», della divisione (da “diaballo”, dividere: l’etimologia greca del vocabolo “diavolo”). E attenzione: «Sono il nemico del tradimento» (altro riferimento alla fine di Kennedy, tradito dal suo stesso establishment). L’uomo che cerca «il Santo Graal in tutto il mondo», che ha «scalato montagne di spade a piedi nudi» (omaggio alla spiritualità orientale), ora va per le spicce: «Sono qui apposta per portare vendetta sulla testa di qualcuno».E’ il “soldato Dylan”, a parlare: e il diavolo che inquadra nel mirino è quello che sta dilagando, oggi, in tutto il pianeta. Un diavolo terreno, molto politico e non così antico, se contro di lui si abbatterà la vendetta dello spettro che intende fare giustizia, dopo oltre mezzo secolo, dell’infame sorte inflitta a John Kennedy. «Non mi conosci», dice l’Uomo Ombra, «non indovineresti mai: non ho niente ha che fare con quello che il mio aspetto spettrale suggerirebbe». A scanso di equivoci, assicura: «Non sono un falso profeta». E se qualche sprovveduto pensasse ai deliri del satanismo, piaga sociale attribuita persino a una parte insospettabile dello star-system, l’ossuto giustiziere precisa: «No, non sono la sposa di nessuno». Nel brano “I Contain Multitudes”, alludendo ai massoni ribelli che diedero origine alla leggendaria pirateria caraibica, Dylan annunciava: «Porto quattro pistole e due lunghi coltelli». Ora parla attraverso il profeta-fantasma, che falso profeta non è: «Non riesco a ricordare quando sono nato, e ho dimenticato quando sono morto».Sottotraccia, l’esoterista Dylan maneggia numeri: «Play numer 9, play number 6», invitava in “Murder Most Foul”, invocando la simbolizzazione dell’armonia universale. E ora, il suo “False Prophet” – così torvo e scuro – sfodera addirittura il 4, emblema della forza radiante dell’amore che la tradizione iniziatica attribuisce al quadrato. Le strofe sono dieci, ma raggruppate in quattro blocchi separati da tre intervalli: quattro più tre, cioè sette – ovvero otto, come direbbe il simbologo Michele Proclamato, che in tanti libri ha declinato quella che chiama “legge dell’Ottava”, cifra nascosta del segreto della vita. Con una clausola: l’8, mai esplicitato, corrisponde al salto dimensionale, “quantico” che ciascuno può compiere, a patto di scegliere l’amore. Coincidenze, ghirigori intellettuali? Non oggi, probabilmente, se un super-taciturno come Dylan si scomoda in modo così palese, proprio in tempi di coronavirus.«State al riparo, e che Dio sia con voi», scrisse a fine marzo, sul suo sito, presentando l’alluvione poetica di “Murder Most Foul”, monumentale capolavoro in morte di John Kennedy e della speranza assassinata: il più empio dei delitti, capace di raggelare il mondo nella morsa della paura. Ci stanno riprovando? Sì, sembra dire il grande attore travestito da profeta. Ma stavolta, aggiunge, non la spunteranno. «Ciao, straniero», si congeda lo spettro, sicuro della vittoria: «Un lungo addio: hai governato la Terra, ma l’ho fatto anch’io». Come dire: pur in mezzo a questi orrori, a questo nuovo oceano di sofferenze, sappiate che un lunghissimo ciclo doloroso sta per chiudersi. E’ questo, probabilmente, l’ultimo messaggio del profeta di Duluth, il poeta-soldato. Ma ci sarà da ballare parecchio: la battaglia finale è appena cominciata. E a proposito: non aprite la porta a chi si presenta con un pacco regalo, ma nell’altra mano impugna una siringa.(Giorgio Cattaneo, 10 maggio 2020).L’autore della storica rivelazione sull’identità massonica di Bob Dylan, Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, appartiene lui stesso al circuito sovranazionale della massoneria progressista: già “venerabile” della loggia romana Monte Sion del Goi, poi iniziato alla superloggia “Thomas Paine”, è oggi gran maestro del Grande Oriente Democratico, network italiano correlato con la rete massonica progressista sovranazionale.Il diavolo non veste Prada: di questi tempi va in giro con in mano una siringa mortale, truccata da regalo, che puzza di vaccino lontano un miglio. Sembra dedicato al Demiurgo degli gnostici – il Dio Straniero dei catari – l’ultimo guanto di sfida (il terzo, in poche settimane) lanciato dallo stupefacente Bob Dylan, 79 anni a fine maggio. Un blues lento e accidentato, scandito da chitarre sulfuree, tra Muddy Waters e Tom Waits, e presentato da un’icona inequivocabile: uno spettro vestito a festa, da banditore ottocentesco. Il riferimento dell’immagine – trasmessa via web nella notte tra il 7 e l’8 maggio, per accompagnare l’ennesimo, esplosivo brano inedito, “False Prophet” – è all’Uomo Ombra, «il personaggio misterioso creato da Walter Gibson, dal 1931 protagonista di “The Shadow”, il primo magazine pulp interamente dedicato a un singolo “character hero” e progenitore di giustizieri, cupi e solitari, come Batman», annota Valeria Rusconi su “Repubblica“. Ma se lo spettro tenebroso di Gibson impugna una pistola, quello di Dylan – che a sua volta ha sottobraccio un pacco-dono – brandisce una siringa, nientemeno. «A chi sta pensando, Bob Dylan? Qual è il dono che porta la morte?».
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Cristo e la Maddalena: così Raffaello smentisce Dan Brown
Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.Lo rivela il simbologo Gianfranco Carpeoro, analizzando l’Estasi raffaellita dipinta nel 1514 e custodita alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Raffaello riproduce alla perfezione la misteriosa figura dell’affresco di Leonardo: osservandola, «non si può non riscontrarne la assoluta somiglianza, nelle fattezze, alla omologa raffigurazione leonardesca del Cenacolo: stessi tratti efebici, stessa impostazione», scrive Carpeoro sulla sua pagina Facebook. Ma attenzione: nel quadro di Raffaello «la figura della Maddalena è presente», e quindi «la raffigurazione di San Giovanni è al di sopra di ogni sospetto». C’è lui, e c’è la Maddalena. Certo, Giovanni è ritratto giovanissimo – esattamente come la figura del Cenacolo, scambiata per la Maddalena. «Così i cosiddetti maddaleniani, compreso Dan Brown e il suo “Codice da Vinci” sono serviti a dovere». La somiglianza tra i due Giovanni è impressionante: Raffaello “cita” in modo esplicito Leonardo. E’ come se dicesse: credevate fosse la Maddalena? No, è Giovanni. Ergo: tra i Dodici, nell’ultima cena di Cristo, la Maddalena non c’era. Nell’analisi simbologica, Raffaello è lo “specchio” di Leonardo: offre la stessa identica immagine, ma capovolta nel suo significato. Come dire: per cogliere l’insieme, conviene esaminare le due opere in modo complementare, come fossero parte di un unico messaggio cifrato.Autore del ciclo saggistico “Summa Symbolica” nonché di romanzi sui Rosa+Croce, confraternita iniziatica a cui si suppone appartenessero sia Leonardo che Raffaello, Carpeoro ha condotto approfonditi studi storici e simbologici su Leonardo, figura in realtà misteriosissima e quasi comparsa dal nulla, con quel non-cognome (“da Vinci”), che indica solo una provenienza geografica, in un secolo – il ‘400 – in cui i cognomi erano regolarmente presenti. Carpeoro ipotizza che il geniale Leonardo fosse in realtà un formidabile “depistatore”, incaricato da un lato di fissare nelle sue opere la “conoscenza segreta” tramandata dalla confraternica rosacrociana (i Fidelis in Amore di Dante Alighieri, poi Giordaniti con Giordano Bruno) e dall’altra di allontanare da quel gruppo sapienziale le attenzioni delle occhiute polizie dell’epoca, a cominciare da quella vaticana. Cent’anni dopo, la firma Rosa+Croce siglerà i clamorosi manifesti pubblici apparsi in Francia (Fama Fraternitatis e Confessio Fraternitatis), scritti con l’evidente intento di suscitare una radicale riforma di una società dominata dal doppio giogo dell’assolutismo monarchico e dell’oscurantismo teocratico cattolico.Non a caso, sottolinea Carpeoro, a quel periodo appartiene la straordinaria fioritura della letteratura utopistica rosacrociana: da “Utopia” di Tommaso Moro a “La città del Sole” di Tommaso Campanella, fino a “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, considerato l’autore della Fama Fraternitatis, manifesto politico-programmatico che adotta il tema evangelico per stimolare la nascita di un’umanità migliore, fraterna e unita, non più divisa dai confini tra le nazioni. Giustizia sociale: «I Rosa+Croce propongono addirittura l’abolizione della proprietà privata: sono, a tutti gli effetti, i progenitori del socialismo», sostiene Carpeoro. E dato che proprio quella confraternita iniziatica decise di “parlare” a tutti attraverso i capolavori artistici, fino a permeare le maggiori opere del Rinascimento, ricchissime di letture a più strati, è sicuramente utile – suggerisce Carpeoro – esaminare con attenzione un’opera fondamentale come quella di Raffaello, che sembra “rispondere”, a distanza, al celeberrimo Cenacolo leonardesco. L’Estasi di Santa Cecilia è un olio su tavola poi trasferito su tela. Raffigura Santa Cecilia, patrona della musica, nel momento della sua rinuncia agli strumenti musicali in favore della voce. Traduzione simbolica: meglio il canto, per produrre «una musica vicina a Dio», visto che l’ugola è un dono “divino”, mentre gli strumenti restano una creazione umana.Come comprovato da un disegno preparatorio conservato a Parigi, aggiunge Carpeoro, è stato accertato che, nel dipinto, «il dualismo originario era tra la musica divina degli angeli, anch’essi raffigurati mentre suonavano degli strumenti, e la musica umana». Evidentemente, «in un momento successivo l’artista ha deciso di sottolineare diversamente la contrapposizione». Un altro rilievo evidente, annota sempre Carpeoro, riguarda l’analisi geometrica del dipinto: «Santa Cecilia è collocata al centro di un quadrato, formato da quattro santi», ovvero San Paolo, San Giovanni evangelista, Sant’Agostino e Santa Maria Maddalena. «Ciò può assumere il significato che Santa Cecilia simboleggi la quintessenza, il quinto elemento degli alchimisti, lo spirito universale della materia». E non è tutto: «C’è anche il sottile simbolismo di una croce spaziale e assiale, raffigurata dagli sguardi dei santi». Infatti San Paolo guarda in basso e Santa Cecilia verso l’alto, San Giovanni e Sant’Agostino «realizzano un asse destra-sinistra, incrociando reciprocamente i loro occhi», mentre la Maddalena fissa chi guarda il quadro, e quindi «stabilisce una asse tra l’interno e l’esterno dell’opera, tra il passato e il presente».A loro volta, i santi sono simboli: se Cecilia può raffigurare la quintessenza, Sant’Agostino (riprodotto col bastone) può essere la Terra. La Maddalena può simboleggiare l’acqua, visto che tiene in mano un’anfora, mentre San Paolo, «raffigurato come sempre con la spada», incarna lo spirito del fuoco. San Giovanni invece può simboleggiare l’aria, «secondo il suo simbolo evangelico, cioè l’aquila». Elementi fondamentali: terra, acqua, fuoco e aria (più la quintessenza, Cecilia: la musica). Alchimia, appunto: «La spada di San Paolo e il bastone di Sant’Agostino possono essere definiti come il “solve” e il “coagula” degli alchimisti». Quanti indizi può contenere un singolo quadro, se è opera di un genio? Carpeoro lo definisce «l’ultimo messaggio di Raffaello», dato che l’Estasi fu dipinta poco prima che l’artista si spegnesse. Un avvertimento chiarissimo, ignorato dai seguaci di Dan Brown: all’epoca di Cristo (secondo Raffaello, almeno) la Maddalena non era un’adolescente scambiabile per un ragazzino, ma una donna perfettamente compiuta.Il che non esclude di per sé la possibilità che la stessa Maddalena si sia poi davvero imbarcata per approdare nel Sud della Francia, insieme alle altre Marie del Mare, sulle spiagge della Camargue dove ancora oggi i gitani eleggono la loro regina, di nome Miriam. Proprio alla Maddalena, i francesi hanno dedicato le loro chiese più importanti, a cominciare da Notre-Dame de Paris. La storia non fornisce appigli certi: la stessa vicenda del Cristo è supportata unicamente dai Vangeli, che restano testi privi di fonti attendibili (sono attribuiti agli evangelisti solo in base alla convenzione tradizionale). Proprio per questo, può essere interessare scavare tra le pieghe delle narrazioni dei primi secoli, per scoprire l’importanza di una figura elusiva ma determinante: quella di Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che avrebbe guidato la leggendaria spedizione navale dalla Palestina alla Provenza, dopo aver avuto il coraggio di riscattare il corpo di Cristo da Pilato per poi inumarlo nella sua tomba di famiglia. Ma le notizie biografiche su Giuseppe d’Arimatea sono scarne quanto quelle sulla genealogia di Leonardo. Solo un caso?Quel racconto è di capitale importanza, per la tradizione religiosa: alla Maddalena (come anche a San Giacomo) è legata l’introduzione del Cristianesimo in Europa. Due narrazioni controverse, entrambe imbarazzanti per la Chiesa dell’epoca: il messaggio di Cristo sarebbe giunto nel continente europeo grazie a una donna, vicinissima al Maestro, e grazie all’apostolo attorno a cui fu cucita la fiaba del Campo di Stelle per battezzare il santuario di Santiago de Compostela in Galizia. Un evento miracoloso, cioè magico – la straordinaria pioggia di stelle cadenti nel campo in cui spirò Giacomo, alla fine della sua predicazione – fu inventato di sana pianta per travisare il senso del vero Campo di Stelle, tratto di Via Lattea che si riteneva visibile dalla Palestina all’Italia, che per l’antica Chiesa di Giacomo (diversa da quella di Pietro) aveva un significato simbolico preciso: riportare a Roma “la verità di Gerusalemme”, cioè la reale identità del Cristo, interpretabile come simbolo del Dio presente in ogni essere umano. Declinato in mille modi, il tema è sempre lo stesso: un pensiero che viaggia dal Medio Oriente all’Europa. Anche di questo parlarono, Leonardo e Raffaello, dietro il Cenacolo e l’Estasi, insistendo sulla Maddalena? Di certo non accennarono minimamente, neppure loro, a quella che probabilmente resta la figura più misteriosa della narrazione evangelica: Giuseppe d’Arimatea, sfuggente quanto Leonardo.Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.
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Violenta e totalitaria: la dittatura della religione monoteista
Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità, invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).Ovviamente, aggiunge Della Luna, per realizzare il loro progetto – l’uomo nuovo, il nuovo ordine mondiale – le regioni devono eliminare rapidamente il vecchio, vincendone le resistenze «con la violenza, che è sempre risultata indispensabile», perché il “vecchio”, il tradizionale, «è storicamente consolidato nell’animo della gente, nella sua sensibilità e nei mores come “fisiologia” del funzionamento culturale, sociale, politico, economico, spirituale». Che siano monoteiste (c’è un solo Dio), enoetistiche o monolatriche (gli dèi sono tanti, ma solo uno è prevalente), secondo Della Luna le religioni hanno la stessa impostazione delle ideologie politiche totalitarie: fascismo, nazismo, comunismo, maoismo. «Infatti sono tutte “species” di quella fallacia illuministica, costruttivistica, che con Karl Popper possiamo chiamare “utopismo”, ingegneria sociale “olistica”». Vale a dire: il convincimento che, in base a una nuova teoria o scoperta o rivelazione, sia possibile e doveroso ristrutturare l’uomo e la società come si ristruttura una casa – basta un buon progetto, molta buona volontà, la giusta forza e fermezza, e tutto funzionerà per il meglio: si realizzerà un ordine perfetto che durerà fino alla fine dei tempi.Puntualmente, invece, ogni tentativo di quel genere «manca la meta prefissa e causa immense sofferenze, immense stragi e persecuzioni, immensi danni civili e materiali, prima di cadere o di trasformarsi in qualcos’altro», dal momento che «un corpo sociale non è una casa, non è un corpo inerte che si possa modificare a piacimento, ma un corpo vivente, e vivente secondo un ordine, una fisiologia, sviluppatisi lentamente nel corso della sua storia, cioè di secoli». Mentre le religiosità politeistiche «esprimono e sostengono questi equilibri organici e assettati, rispettosi perlopiù delle varie componenti etniche, culturali, cultuali e censuarie del corpo sociale», essendo quindi «religiosità mature, includenti», al contrario, le religioni monoteiste – sempre per Della Luna – sorgono tutte, storicamente, «come progetti monomaniacali, rivoluzionari, escludenti, olistici e utopistici nel predetto senso, aggravati dal fatto di essere prescritti da un dio (o da una ‘scienza’ sentita come verbo divino, come è il caso del mercatismo), quindi dall’essere indiscutibili». Per questo, inevitabilmente, «generano violenza, così come le ideologie totalitarie», non solo perché «devono eliminare la religione già esistente per sostituire ad essa il loro modello», ma anche perché «promettono la soluzione rapida dei problemi esistenziali – la morte, il senso della vita, la giustizia».La religione usa la violenza per affermarsi, dice Della Luna, ma poi continua a usare la violenza anche per nascondere il fatto di non essere riuscita a mantenere le sue promesse: «Recentemente si è visto il fallimento pratico del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto». I devoti sono scossi da onde di frustrazione: non potendo le religioni riconoscere il loro fallimento, questa frustrazione «deve essere scaricata all’esterno, affinché non crei lacerazione interna o dubbi – deve essere scaricata, cioè, su un capro espiatorio, che può essere interno (gli eretici) oppure esterno (gli infedeli, chi non si converte alla nuova religione): tutti questi capri espiatori vanno uccisi per volere di Dio». I primi cristiani, come si legge nel Nuovo Testamento, si aspettavano «il ritorno in gloria e potenza del Redentore entro pochi anni», letteralmente: prima che l’ultimo dei viventi al tempo di Gesù fosse morto. La tempistica è stata allungata e infine «proiettata su un orizzonte indefinito, solo poiché questa predizione non si avverava». Similmente, aggiunge Della Luna, i Testimoni di Geova «predicevano il Giudizio per il 1914, ma poi ovviamente hanno dovuto cambiare le loro pubblicazioni».L’islamismo è propriamente monoteista, annota Della Luna, perché afferma l’esistenza di un unico essere di natura divina – onnipotente, onnisciente, eterno, creatore di tutti gli altri esseri. «Le altre religioni non sono monoteiste». L’atonismo era monolatrico, ossia «tributava culto a un unico dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei». Il mazdeismo crede in due dei: Ahura Mazda, il bene, e Arei Manyu (Ahriman), il Male. Anche il giudaismo, dice Della Luna – presentando il libro di Nicola Bizzi “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina” (Aurora Boreale, 2018) – riconosce una pluralità di Elohim (parola di origine ignota, che noi traduciamo impropriamente come “dei”), di cui Jahvè è uno (gli altri sono Milkom, Kamosh, Baal Peor, El Elion). Inoltre, aggiunge Della Luna, nella Bibbia questi Elohim vengono descritti come esseri tangibili, materiali, simili agli dei greci e romani, mentre nella cultura ebraica antica «non esistono nemmeno i concetti di ente immateriale, di eternità, di onnipotenza, di creazione dal nulla – concetti tipicamente greci». Quindi anche il giudaismo – che adora l’Elohim Jahvè in mezzo a tanti altri Elohim – potrebbe essere classificato come «monolotria politeistica».E il cristianesimo? «Parte come monoteismo, mai in seguito, col Concilio di Nicea, viene ad affermare esplicitamente l’unità della sostanza divina e la pluralità (trinità) delle persone di Dio. Poi, nei secoli, assorbe – soprattutto nella sua confessione cattolica – il vissuto devozionale della pluralità dell’esperienza e della manifestazione divina attraverso la creazione di un esercito di figure intermedie, dagli angeli ai santi alla Madre divina». Oggi fa notizia il radicalismo islamico jihadista coltivato dall’imperialismo occidentale per frantumare la regione petrolifera, mentre il giudaismo – che si impose con la violenza (la tribù di Gioacobbe che stermina i consenguinei, tutti discendenti di Abramo) si riberbera nell’Israele armato fino ai denti, in guerra perenne coi vicini. Lo stesso Nicola Bizzi afferma che il cristianesimo, dopo essersi imposto con la massima ferocia, in tempi recenti si è “civilizzato”, prendendo le distanze da quella stessa violenza che aveva praticato per 17 secoli. Il cristianesimo moderno, secolarizzato e non più politicamente al potere, è stato «ridimensionato dalla critica epistemologica, storica, filologica». La frustrazione per la sua mancata promessa «è stemperata dallo stesso stemperarsi, assieme al senso del divino, dell’aspettativa di quella soluzione». Quel che ne resta si scarica perlopiù all’interno: il credente viene educato a imputare a se stesso – peccatore – la causa del malandare delle cose. «Quindi è ora facile per questa religione far dimenticare, presso le masse non istruite, il suo prevalente passato», cioè un millennio e mezzo di potere violento e totalitario.(Il libro: Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Aurola Boreale, 162 pagine, 15 euro).Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità sulla scorta dell’ultimo libro di Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Della Luna invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).
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Ceronetti, quel genio italiano troppo scomodo per gli italiani
I cosiddetti “grandi italiani”, ebbe a dire l’autore televisivo Diego Cugia, sono personaggi che normalmente gli italiani neppure conoscono: la maggior parte della popolazione non sa neppure chi siano, che faccia abbiano, per quale ragione debbano essere ricordati. Per molti, i “grandi italiani” diventano tali, all’improvviso, solo quando muoiono: come nel caso dell’immenso letterato Guido Ceronetti, spentosi il 13 settembre all’età di 91 anni. Sul “Corriere della Sera”, Paolo Di Stefano lo rievoca con le parole di Ernesto Ferrero, tratte da “I migliori anni della nostra vita”, dove si vede l’allora quarantenne Ceronetti aggirarsi nei corridoi dell’Einaudi: «Avvolto in impermeabili sdruciti, in baschi da cui spuntavano capelli spiritati che ricordavano quelli di Artaud. Magro, anzi secco, con un naso alla Voltaire che spioveva su una bocca piegata all’ingiù, da cui uscivano riflessioni sapienziali, aforismi, profezie apocalittiche». Per ottenere il ritratto di Ceronetti, scrive Di Stefano, basta aggiungere «la erre arrotata, l’autoironia, lo strascicato accento piemontese, la voce sottile, quasi femminea. E le ossessioni vegetariane: invitato al ristorante, anche nel migliore, immancabilmente tirava fuori dalla cartella il suo olio e le sue tisane, mangiava semi di chissà che, grani di miglio».
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La sfida dell’eresia, dai Catari al mondo del pensiero unico
“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.In questa Italia frastornata da una campagna elettorale stanca e mediocre, condizionata dal dogmatismo neoliberista del pensiero unico imposto da Bruxelles, serpeggia la tentazione di una sorta di diserzione di massa, mentre cresce – silenziosamente – una minoranza sempre meno sparuta di cittadini che si fanno domande, si documentano in proprio e si riuniscono, consultando esperti, nel fondato sospetto che qualsiasi versione ufficiale – dai vaccini alla geopolitica fino alla storiografia, passando per l’esegesi biblica dottrinaria – sia sempre inattendibile, incompleta, reticente. E’ un panorama, questo, nel quale fioriscono iniziative impensabili, fino a dieci anni fa: come la lusinghiera campagna di crowdfunding per finanziare, dal basso, il documentario “Bogre”, girato da Fredo Valla tra Bulgaria, Italia, Catalogna e soprattutto Occitania. Un viaggio affascinante, che ripercorre le remote geografie della più importante eresia del medioevo, cioè il Cristianesimo “dualistico” interpretato dai bogomili nei Balcani e poi dai càtari, i “bulgari” travolti dalla Crociata Albigese nella contea di Tolosa, per poi essere annientati da settant’anni di spietate persecuzioni ad opera dell’Inquisizione. Una tragedia che causò la rovina socio-economica della terra dei Trovatori, che alla fine del 1100 era tra le regioni europee più prospere e avanzate, più libere e tolleranti.Fu un trauma, per lo sviluppo armonico dell’Europa: lo sostiene una scrittrice a sua volta “eretica” come Simone Weil, secondo cui proprio la brutale repressione dell’eresia càtara – gli assedi e le stragi, il terrore scatenato dagli inquisitori – alimentò nel continente la generale rassegnazione al culto della forza, alla guerra come esito inevitabile di qualsiasi conflitto, fino al supremo orrore dell’abominio nazista. Chi è l’eretico? E’ uno che si alza in piedi e dice, semplicemente: non sono d’accordo. E spiega il perché. Chi lo ascolta, sa che sta rischiando il carcere, magari la vita. Il coraggio dell’eretico ricorda a tutti, inevitabilmente, che le versioni dei fatti sono sempre almeno due, mai una sola. Se invece l’ideologia è unica, per di più non proposta pacificamente ma imposta in modo dogmatico (cioè con l’esplicito divieto di metterne in discussione i fondamenti) allora l’umanità è in pericolo, si disumanizza, si divide in buoni e cattivi. Sotto il governo di Raimondo VI, conte di Tolosa, sul finire del 1100 poteva capitare di assistere, nelle chiese, ad avvincenti dispute teologiche tra parroci cattolici e predicatori càtari, di fronte alla platea dei fedeli: oggi, nel 2018, è praticamente impossibile che alla televisione abbia accesso qualche vero “eretico”, radicalmente critico nei confronti del sistema socio-economico che ci viene presentato come l’unico possibile.Quella del Catarismo è una storia spesso denegata, che le burocrazie religiose tendono a sminuire, come fosse un fantasma scomodo. Lo è: ma per il potere in generale e non solo per la Roma di allora, se è vero che l’Inquisizione inaugurò la prima vera forma di terrorismo totalitario, ostacolato – per reazione – dalla rivolta armata dei cavalieri “Faidits”, i primi guerriglieri della storia europea. Uno schema che poi non ha fatto che ripetersi, in modo tragicamente sistematico. Vaticano medievale e càtari? Ruoli e maschere di quasi mille anni fa. Più che la casacca indossata, in fondo può contare un gesto destinato a rimanere vivo: come l’immensa pietà per gli sconfitti, che risuona tra i versi cavallereschi della Canzone della Crociata, scritti da cattolici. E l’ultimo “perfetto” càtaro d’Occitania, Guilhelm Belibàsta, a un passo dalla morte sul rogo arrivò a perdonare (e a tentare di convertire) l’uomo che l’aveva tradito, consegnandolo ai carnefici. E questa l’umanità che il film “Bogre” cercherà di riesumare, dopo otto secoli di oblio, tra le pieghe di vicende solo in apparenza lontane da noi. L’eresia è una domanda, che costringe a interrogarsi. E’ il contrario dell’odio, che teme le domande e ama le guerre, vietando ai soldati di pensare. Rileggere l’avventura dei càtari può servire a scoprire di cos’è stata capace, l’umanità, prima di arrendersi al comodo letargo delle verità imposte.(E’ possibile aderire alla campagna di crowdfunding del documentario “Bogre” attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”; in cambio, si potrà ricevere il film in anteprima).“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.
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Se Cardini deforma i Catari: quella strage fa ancora paura?
«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.La crociata è stata invece pienamente giustificata, e alle perplessità espresse da Paolo Mieli sul fatto che si trattava di combattere contro dei cristiani, il professor Cardini ha risposto prontamente che i catari erano peggio degli infedeli, dato che – riporto le sue testuali parole: «con la loro azione impediscono ai cristiani di darsi alla guerra contro gli infedeli e quindi sono degli obiettivi alleati degli infedeli, però sono peggiori degli infedeli in quanto sono dei traditori della loro fede». Non si sa se ridere o piangere, tanta è l’insensatezza di quello che dice. L’odio di Cardini per i catari traspare da mille indizi, come quest’altra perla: «Vengono da Oriente, esattamente come la lebbra». Come non pensare qui a quelle splendide parole di Dante, che a proposito del luogo di nascita di San Francesco scrive:“Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole” (Paradiso XI, 49-54). Da Oriente viene la luce, e da un punto di vista spirituale ha un significato simbolico altissimo, basti pensare che anticamente le chiese dovevano essere “orientate”, ovvero costruite in modo che il fedele fosse rivolto verso Oriente. Ma siccome da Oriente vengono i catari – Cardini dice infatti che venivano chiamati «bulgari», cosa che è vera – allora si è sentito in dovere di aggiungere: «come la lebbra».Cardini evidentemente crede alle calunnie che all’epoca venivano diffuse sui catari. Ma è possibile che uno storico non sappia che i vincitori hanno sempre demonizzato e criminalizzato i vinti? Possibile che non sappia che non si possono ritenere affidabili al cento per cento le fonti, quando queste sono solo trattati scritti dagli inquisitori e verbali delle dichiarazioni rilasciate – magari sotto tortura – nei processi? Possibile che non sappia che da vent’anni è in atto una riscrittura di quella storia, con toni molto più amichevoli nei confronti dei catari e del loro cristianesimo aperto al dialogo, libero e gioioso? Cardini tutto questo lo ignora, e giustifica la crociata e l’Inquisizione. Certamente la Chiesa ha il diritto di pretendere l’ortodossia da parte dei fedeli. Ma anche di torturare e uccidere chi la pensa diversamente??? E non è tutto: era una trasmissione sull’eresia dei catari, ma non è stata spesa una parola sul catarismo italiano, che, come riferiscono già le fonti dell’epoca, era assai più consistente che non quello occitano. E allora ci dobbiamo chiedere: lo sa il professor Cardini? Se lo sa, è grave il fatto che non ne abbia parlato. Se non lo sa, è gravissimo.Quella del catarismo italiano è una storia affascinante, che si inserisce nelle lotte tra guelfi e ghibellini, dove nelle città rette dai ghibellini non erano ammessi i tribunali dell’Inquisizione. Contro gli inquisitori ci furono sommosse popolari in quasi tutte le città italiane, e qui l’Inquisizione operò per secoli, fino a tutto il Quattrocento. Poi ci sono gli aspetti macabri, come i processi postumi (famoso quello a Farinata degli Uberti), e le considerazioni sull’impoverimento che tutto ciò ha causato, impoverimento di cui soffriamo ancora oggi. Passato e presente è il nome della trasmissione, quasi a voler suggerire che il passato pesa sul presente. E questa pagina del passato, questa pagina grondante sangue, pesa ancora enormemente, nonostante gli sforzi della Chiesa e dei suoi lacchè per farla dimenticare. Ero talmente indignata e arrabbiata ad ascoltare simili parole in una trasmissione che trovo di alto livello e che seguo da tempo con interesse che ho deciso di scrivere a Paolo Mieli, il conduttore.Non mi aspettavo una risposta: avevo più che altro bisogno di sfogare la mia delusione. E invece ha risposto subito, con una mail molto gentile, scusandosi dei «giudizi sommari» e informandomi che cercheranno «di riparare anche tenendo conto dei suoi lavori e delle sue osservazioni». Vedremo. Sarebbe bello se la televisione pubblica, attraverso quello che è forse il suo programma più raffinato e serio di trasmissione della cultura, facesse luce su questa pagina tragica, dolorosa ma importantissima della nostra storia. E desse voce anche alle tante iniziative che dal Cuneese al Veneto, da Milano a Firenze stanno sorgendo, promosse non solo da professori, ma anche da cittadini che vogliono conoscere e far conoscere la storia del territorio in cui vivono e che, scoprendovi le tracce della presenza degli eretici catari sentono, come è già successo nella Francia del Sud, che non è una macchia da nascondere bensì una realtà di cui andar fieri.(Maria Soresina, “I catari la crociata… se la sono cercata!”, dalla pagina Facebook del progetto “Bogre”, documentario che Fredo Valla sta girando – fra Bulgaria, Italia e Francia – sull’eresia medievale cristiano-dualistica dei bogomili e dei catari, facendo appello anche al crowdfung attraverso il portale “Produzioni dal basso”. Storica milanese, Maria Soresina è consulente del progetto cinematografico; ha pubblicato importanti libri come “Le segrete cose. Dante tra induismo ed eresie medievali” e “Libertà va cercando. Il catarismo nella poesia di Dante”, pubblicati da Moretti & Vitali e favorevolmente recensiti dalla Rai e da giornali come il “Sole 24 Ore”, fino all’“Osservatore Romano”).«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.
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Potere, dogma, dominio: noi e i Catari, i “Bogre” del 1200
I càtari? «Erano seguaci di una cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica», scrive sul “Corriere” Vittorio Messori, giornalista vicinissimo al Vaticano e autore di libri-intervista su Wojtyla e Ratzinger, fino a “La Chiesa di Francesco”. Sostiene, Messori, che gli eretici cristiano-dualisti annientati dalla Crociata Albigese all’inizio del 1200 fossero appoggiati dai nobili del Midi francese «non per motivi religiosi, ma perché volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa», dando così per scontato che il Vaticano fosse una specie di multinazionale del latifondo sorretta dalle rendite economiche, più che un’istituzione dedita alla vita spirituale dei fedeli. L’espressione “le terre della Chiesa” viene infatti pronunciata da Messori con assoluta disinvoltura, peraltro sorvolando sulla storia: centinaia di pagine, nella storiografia per lo più transalpina, documentano l’adesione alla religione càtara da parte della “meglio gioventù” nobiliare occitanica, non certo attratta dagli epigoni di una “cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica”, ma da cristiani gnostici che vivevano in religiosa povertà, senza neppure un tempio, e accusavano Roma di aver barato fin dall’inizio sull’identità di Cristo e sul significato delle Scritture.E se la tenebrosa “setta asiatica” (stranamente non citata da Messori, solo evocata) fosse il Manicheismo, è bene sapere che ormai gli storici escludono categoricamente qualsiasi filiazione dottrinaria tra la predicazione del profeta persiano Mani e l’affermazione balcanica dei bogomili, i progenitori dei càtari. Il Padre Celeste adorato dai Buoni Cristiani – ribattezzati “càtari” dai loro sterminatori – era in tutto simile ad Ahura Mazda, la divinità della luce di Zoroastro, ispiratore della religione più diffusa in Medio Oriente fino all’anno zero: sarebbero sacerdoti mazdei i Magi venuti dall’Oriente di cui parla il Vangelo di Matteo, accorsi ai piedi della culla di Betlemme. Se il Cattolicesimo contempla la vita ulteriore, “eterna”, al di là di quella presente, sia il Mazdeismo che il successivo Catarismo danno estrema importanza alla terza fase dell’esistenza, che in realtà è la prima, chiaramente narrata nelle loro teologie. La dimensione materiale? E’ vissuta come passaggio transitorio, una dolorosa “caduta” rispetto allo stadio precedente, quello in cui le anime vivevano in beatitudine “al cospetto di Dio”. Missione del credente càtaro: aiutare l’umanità a “tornare a casa”, adottando il modello evangelico (rifiutare beni e ricchezze) per riconquistare l’accesso alla terra d’origine, l’ancestrale ascendenza “divina” di cui sarebbe rimasta una traccia, una scintilla, in ogni essere vivente.Proprio il mito del ritorno pervade un suggestivo racconto dei Sufi, quello dei costruttori di navi: compito del credente è custodire l’arte del carpentiere, anche se il potere del mondo detesta i “costruttori di navi”, imponendo questo mondo come l’unico possibile. Un ponte diretto collega i mistici “dervisci” a Francesco d’Assisi, che entrò in contatto con loro durante il suo viaggio in Egitto – per poi replicare il modello dei Sufi, asceti “vestiti di lana grezza”, nel futuro ordine francescano, a sua volta poi tacciato di eresia e avvicinato pericolosamente proprio al Catarismo. Sembra un fantasma scomodo, ancora oggi, quello dell’eresia cristiana dualistica del medioevo: se un intellettuale militante come Messori la attacca frontalmente, puntando a screditarla e demonizzarla, un laico come Eugenio Scalfari in un articolo su “Repubblica” arriva a equipararla, sbadatamente, a un altro Cristianesimo alternativo, quello di Pietro Valdo, per il quale invece la divinità era una sola – non esiste Dio Straniero, per i valdesi: il mondo è opera di una sola mano, quella dell’Altissimo.Anche se non lo si vuole ammettere, osserva il regista Fredo Valla, autore dell’atteso documentario “Bogre” (un viaggio tra bogomili e càtari, dalla Bulgaria alla Francia), l’eresia cristiano-dualistica scosse il medioevo europeo come un terremoto. Condannando la materia come frutto di una “creazione dannata”, opera del Demiurgo sfuggito al controllo della divinità celeste (buona, ma non onnipotente), contestava il ruolo sociale e politico dell’istituzione religiosa come garante dello status quo, dell’ordine feudale. In Linguadoca, Acquitania e Guascogna il Catarismo fu tollerato fino a quando, a prendere i voti, non furono i figli dei nobili: disposti a rinunciare ai feudi di famiglia, pur di abbracciare la predicazione dei Buoni Uomini. E’ esplicito l’inutile grido d’allarme lanciato, a Roma, da Bernardo di Chiaravalle, reduce da una missione esplorativa nelle terre occitane: il grande monaco spiegò al pontefice che nel Midi francese la fede càtara accomunava aristocrazia e popolo, di fronte allo spettacolo indecente offerto dal clero cattolico, ricchissimo e corrotto. Il futuro San Bernardo raccomandò la via della persuasione, dopo aver bonificato le diocesi per riconquistare i fedeli. Ma il Papa, Innocenzo III, preferì la via delle armi: alla carneficina della Crociata, che in vent’anni di guerra precipitò l’Occitania nella rovina economica, seguì la catastrofe dell’Inquisizione anti-càtara, durata 70 anni, che inaugurò il terrore come arma politica sistematica.Guardare tra quelle pagine con spirito laico e distaccato non è mai semplice, avverte una studiosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sul Catarismo anche italiano: si rischia di cadere in posizioni preconcette, che non tengono conto dello spirito dei tempi, rinnovando polemiche anacronistiche. Sbagliato fare del Catarismo una sorta di mitologia new age: nel saggio “I Catari, gli eretici del male”, la Flöss si addentra fra le diatribe – prosaiche, umanissime – delle svariate comunità càtare del Lago di Garda, in competizione tra loro per la leadership teologica. Da una parte i “bulgari”, moderati e fiduciosi – come i bogomili (e i mazdei) – nella riconciliazione universale “alla fine dei tempi”, e dall’altra i càtari radicali, come il pope Niketas che evangelizzò Tolosa, convinti dell’irriducibile opposizione tra bene e male. Sul fronte opposto, nella Crociata Albigese, ai baroni francesi del Nord furono promessi i feudi del Sud come preda di guerra, ma i soldati ai loro ordini – quelli che fecero strage della popolazione civile – era stata promessa la remissione dei peccati, cioè il viatico per la vita eterna, in cambio della pulizia etnico-religiosa che avrebbe liberato l’Occitania dalla peste eretica.La stessa Simone Weil, autrice del meraviglioso saggio “I Catari e la civiltà mediterranea”, sottolinea la presenza della “pietas” tra i versi della Canzone della Crociata, opera di autori cattolici: nel poema non viene mai meno la profonda pietà per gli sconfitti. E’ un sentimento che la Weil attribuisce alla temperie socio-culturale della terra dei Trovatori, straordinariamente tollerante, al punto da far riverberare lo spirito democratico dell’Atene di Pericle, con il culto della bellezza opposto a quello della forza. E il “paratge”, il particolare senso dell’onore che anima l’ideale cavalleresco occitanico, ricomparirà sicuramente nel viaggio cinematografico di Fredo Valla, alla ricerca – sulla scorta della lezione di Simone Weil – di una perduta dimensione del vivere, che stranamente fiorì in quella regione, a partire dal 1100, prima che calasse il sipario del sangue e della paura. Molto semplicemente: in modo forse anche ingenuo, il Cristianesimo eretico dei càtari – in pieno medioevo – contesta il fatto che una religione possa indossare i panni del potere. Oggi, nel 2018, il mondo è in mano a un potere laico, fondato solo sul denaro, che però esercita il suo dominio mediante dogmi di tipo religioso, come quello neoliberista. Perché perdere tempo a fare assurdi processi alla storia, quando è possibile guardarci dentro, in quella storia, anche grazie a un documentario, per poi magari scoprire che qualcosa, del nostro presente, può avere un fondamento tra le pagine dell’epopea dei “Bogre”?I càtari? «Erano seguaci di una cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica», scrive sul “Corriere” Vittorio Messori, giornalista vicinissimo al Vaticano e autore di libri-intervista su Wojtyla e Ratzinger, fino a “La Chiesa di Francesco”. Sostiene, Messori, che gli eretici cristiano-dualisti annientati dalla Crociata Albigese all’inizio del 1200 fossero appoggiati dai nobili del Midi francese «non per motivi religiosi, ma perché volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa», dando così per scontato che il Vaticano fosse una specie di multinazionale del latifondo sorretta dalle rendite economiche, più che un’istituzione dedita alla vita spirituale dei fedeli. L’espressione “le terre della Chiesa” viene infatti pronunciata da Messori con assoluta disinvoltura, peraltro sorvolando sulla storia: centinaia di pagine, nella storiografia per lo più transalpina, documentano l’adesione alla religione càtara da parte della “meglio gioventù” nobiliare occitanica, non certo attratta dagli epigoni di una “cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica”, ma da cristiani gnostici che vivevano in religiosa povertà, senza neppure un tempio, e accusavano Roma di aver barato fin dall’inizio sull’identità di Cristo e sul significato delle Scritture.
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Bogre, il martirio dei Catari che nessuno vuole ricordare
«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della più recente pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora accomunato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».Catarismo e Bogomilismo, riassume il regista, reduce dalle prime riprese condotte in Bulgaria, «sono la testimonianza storica di un medioevo tutt’altro che buio e immobile come spesso viene rappresentato: le idee viaggiavano da un capo all’altro dell’Europa, dai Balcani ai Pirenei, dall’Italia centro-settentrionale alla Bosnia». Proprio in Bulgaria, la troupe ha filmato i luoghi dell’eresia bogomila e raccolto le testimonianze dei più grandi esperti: «Abbiamo incontrato storici, filologi, archeologi. È stata la prima tappa, la seconda sarà in Occitania francese e poi seguiranno l’Italia centro-settentrionale, la Bosnia e Istanbul». La ricognizione filmica in Occitania rappresenta il cuore del documentario: «Qui la vittoria della Chiesa di Roma, delle armi dei crociati e dell’Inquisizione sui càtari, pose fine a un’idea di Dio che si voleva fedele alle origini, che predicava la pace, sosteneva l’eguaglianza sociale e – cosa inaudita a quei tempi – la parità uomo-donna». Fu lo sterminio di un mondo, aggiunge Valla, che ora promette di far entare gli spettatori «nella quotidianità dell’essere càtari e bogomili in quegli anni». All’eresia non aderirono solo i servi e i contadini che si opponevano all’alto clero, ma anche i feudatari e le classi mercantili e colte delle città.«Sono tante le famiglie di alto lignaggio che abbracciarono la novità della dottrina càtara: a Firenze – spiega l’autore di “Bogre” – erano càtari personaggi che tutti conosciamo, come Farinata degli Uberti, il poeta Guido Cavalcanti e, secondo studi recenti, lo stesso Dante Alighieri». Eppure, nonostante il suo evidente ruolo storico, il Catarismo spesso viene considerato un fenomeno marginale. Innumerevoli documenti e tradizioni svelano i rapporti dottrinali e umani che unirono i dualisti dell’Est Europa a quelli dell’Ovest: «L’episodio che rappresenta al meglio il mondo di “Bogre” è il concilio càtaro che si tenne nel 1167 a Saint-Felix de Caraman, presso Tolosa: un concilio a cui parteciparono rappresentanti delle varie comunità càtare occitane e italiane (le comunità di Tolosa, Carcassonne, Albi e Aran, più Marco di Lombardia per l’Italia) e che vide tra gli invitati il bogomilo Nicetas, che trasmise lo Spirito Santo attraverso l’unico sacramento riconosciuto dai càtari, il “consolamentum”». È innegabile che tra i due movimenti religiosi ci fosse non solo un’affinità, ma rapporti tutt’altro che sporadici. Entrambi condividevano una teologia drasticamente alternativa a quella cattolica: per càtari e bogomili, il mondo materiale era il frutto di una “creazione dannata”, operata dal Dio Straniero, alla quale il Padre Celeste (signore del cielo, ma non onnipotente) non aveva potuto opporsi.Può sembrare un espediente teologico: scagionare “Dio” dalla responsabilità del male presente nel mondo. Ma il sincretismo gnostico e proto-cristiano dei càtari ricorda da vicino la grande religione largamente diffusa nell’area mediorientale fino all’anno zero, quella dei Magi “venuti dall’Oriente” ad adorare il neonato di Betlemme. Era l’antica religione di Zoroastro, il mazdeismo, risalente al 1400 avanti Cristo, che aveva abolito i sacrifici animali (i càtari poi saranno addirittura vegetariani) e aveva aperto il sacerdozio alle donne (accanto ai Perfetti, il Catarismo ordinerà le Perfette). I Buoni Uomini, o Buoni Cristiani, erano casti e “francescani”, nonviolenti, contrari alla proprietà privata. La prima strage di massa, nel 1028, fu ordinata, suo malgrado, dal vescovo milanese Ariberto d’Intimiano, che interrogò i “bulgari” catturati a Monforte d’Alba, nelle Langhe: bruciateci pure, rispose il loro portavoce, così torneremo più velocemente al Padre Celeste. Il loro motto (“Noi non siamo del mondo, e il mondo non è nostro”) ricalca quello dei Sufi, con cui strinse un sodalizio Francesco d’Assisi. “Nel mondo, ma non del mondo; nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”, è infatti il credo dei mistici islamici, da cui derivano i Dervisci Rotanti.In piena “new age”, avverte una studiosa rigorosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sull’argomento, il Catarismo è stato anche strumentalizzato, in modo superficiale, in funzione anti-cattolica. Uno dei massimi storici europei del fenomeno, il francese René Weis, interpreta l’adesione a quell’eresia come il bisogno del credente medievale di tornare agli ideali evangelici, in un’epoca dominata dal potere ecclesiastico, spesso corrotto. Fu lo stesso Bernardo di Chiaravalle a condurre una storica missione in Occitania: lo stile di vita dei càtari è esemplare, riferì al Papa il futuro San Bernardo, auspicando che il clero cattolico abbandonasse lussi e privilegi. Il pontefice non era dello stesso avviso: Innocenzo III bandì addirittura una crociata, in terra europea, per stroncare un’eresia che – attraverso l’adesione della classe dirigente, l’aristocrazia e la nascente borghesia artigianale e mercantile – metteva in pericolo il potere del Papato. Fonti storiche citate da Weis parlano addirittura di mezzo milione di morti, fra Crociata Albigese e Inquisizione. La tragedia scoppiò nel 1209, quando la cittadina rivierasca di Béziers, in Linguadoca, si oppose al diktat dei crociati: volevano che Béziers consegnasse loro i 200 eretici riparati fra le mura. Di fronte al rifiuto dei consoli, l’abate Arnaud Amaury – capo spirituale della crociata – reagì nel modo più spietato: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi».La tradizione storiografica parla di migliaia di vittime. Lo choc per lo sterminio dell’intera popolazione di Béziers spinse il potente Re d’Aragona, Pietro II, a scendere in battaglia a fianco del conte di Tolosa, che difendeva – di fatto – la libertà di culto nelle terre occitane. Pietro II perse la vita nel 1213 combattendo cavallerescamente nella battaglia di Muret, ma la crociata devastò la regione fino al 1229. Si arrese Tolosa, ma non i suoi alleati: i cavalieri “faidits”, messi al bando, si rifugiarono nei castelli di montagna sui Pirenei, per proteggere gli eretici in fuga. Nel 1244, dopo nove mesi di assedio, cadde la fortezza di Montségur. L’ultima notte prima della resa, donne e soldati vollero ricevere il “consolamentum”, il battesimo càtaro, ben sapendo cosa li avrebbe attesi, l’indomani: furono 220 le persone arse vive nella spianata ai piedi del castrum, in quello che ancora oggi porta il nome di “Prat dels Cremats”. I càtari? Un fantasma scomodo: erano nullatenenti, vivevano di carità. Non veneravano nessun libro sacro: per loro, l’Antico Testamento (con la sua “terra promessa”) era opera del Dio Straniero. Non avevano neppure chiese, né templi: irriducibilmente anarchici, rifiutavano qualsiasi struttura organizzata. La comunità càtara, pur articolata in diocesi, non disponeva di beni materiali.Il Catarismo aborriva la dimensione materiale del vivere, ripudiando la materia come “prigione dello spirito”: riparlarne oggi forse non è casuale, nel momento in cui è la stessa fisica a diffidare della percezione spazio-temporale, mentre la comunità scientifica rivaluta l’esegesi non teologica dei cosiddetti testi sacri. Lo stesso Mauro Biglino, che traduce la Bibbia alla lettera «scoprendo che in quelle pagine non c’è nessun Dio», ricorda che il “format” cattolico (con i suoi dogmi) si affermò soltanto nel 325 dopo Cristo, per il volere politico dell’imperatore Costantino, «a spese di tutti gli altri Cristianesimi dell’epoca, che erano decine, a partire da quelli gnostici». In quella corrente si colloca certamente il Catarismo, che invoca la divinità “celeste” con queste parole: «Facci conoscere ciò che Tu conosci». Per i càtari, il vero Graal è, appunto, la conoscenza, al quale il credente può aspirare in modo autonomo, senza alcuna mediazione sacerdotale. Di fatto, il Catarismo nega alla religione il ruolo di struttura sociale al servizio del potere politico: i Buoni Cristiani proibivano di giurare, in un’epoca in cui proprio sul giuramento si fondava l’investitura feudale, e non riconoscevano alcuna legittimazione alle autorità terrene, né ai confini tra le nazioni.L’atteso lavoro cinematografico di Fredo Valla si basa su fonti storiche e dati d’archivio, nonché su consulenze autorevoli come quella di Maria Soresina e del Centro Ivan Dujčev di Sofia, una delle più importanti istituzioni accademiche bulgare, senza dimenticare il Cirdoc, la Mediateca Occitana di Béziers e l’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze. Il documentario sarà completato grazie al contributo fondamentale del crowdfunding: anche una piccola donazione può essere importante, per una produzione che accanto a Valla (autore e regista) vede impegnati Andrea Fantino ed Elia Lombardo (fotografia, suono, montaggio) con Ines Cavalcanti della Chambra d’Oc (produzione). «Abbiamo deciso di lanciare questa campagna di crowdfunding per condividere il nostro lavoro di ricerca e continuarlo in Occitania, dove nasce la parola “bogre”, e dove in fondo nasce il nostro film documentario». Proprio l’attuale Midi francese sarà la tappa più importante del viaggio. «Abbiamo intenzione di mantenere un metodo di lavoro attento alla storiografia e ai documenti più attendibili», assicura il regista. «Vogliamo che la storia di “Bogre” contribuisca alla storia dei “bogre”, di chi quel nome se l’è trovato appiccicato come un insulto dal momento in cui ha scelto una fede diversa da quella dominante». Una storia di idee che camminano, e che lottano per non essere dimenticate.«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora cementato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».
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No al potere: un film racconta la vera storia dei Catari
I fisici russi annunciano il primo esperimento di teletrasporto, per ora di elettroni, svelando l’illusiorietà della nostra percezione della materia? Quello che riusciamo a vedere non è che il 5% ci quanto ci circonda, confermano gli astrofisici. Il che collima perfettamente con l’opinione dei neurologi: riusciamo a utilizzare soltanto il 5% del cervello. Qualcosa ci sfugge? Eccome. Ormai lo ammette anche la scienza, dopo le profetiche anticipazioni di Einstein sull’inattendibilità dello spazio-tempo. Sono affermazioni attualissime, ma al tempo stesso anche antiche. Fanno pensare a qualcosa di remoto, rimosso e condannato all’oblio: l’eresia medievale dei càtari, la più temuta dal potere vaticano nei secoli immediatamente successivi all’anno Mille. Non fidatevi di quello che vedete, ripetevano: la dimensione materiale è solo apparenza. E’ un’illusione, suffragata dal potere che ci ripete che il mondo afferrabile dai cinque sensi è l’unico che esista. Poi venne il materialismo, su cui oggi è incardinato il sistema dei consumi: economia, finanza, guerre, multinazionali onnipotenti. E come sta andando, il nostro mondo? Comanda il denaro, e le grandi decisioni sono in mano a un pugno di famiglie: una ristretta élite possiede praticamente tutto. E’ il terzo millennio, ma sembra il medioevo. Per questo, oggi, rispolverare i càtari può risultare più che illuminante. Serve a chiarire meglio chi siamo, dove andiamo. Siamo sicuri di saperlo?Domande alle quali proverà a rispondere l’ultimo lavoro di Fredo Valla, sceneggiatore di film bellissimi come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, di Giorgio Diritti (il regista de “L’uomo che verrà”). Allievo di Ermanno Olmi, poi cresciuto alla scuola di François Fontan, il teorico dell’etnismo che guidò le valli cuneesi verso la riscoperta dell’identità occitanica, Fredo Valla ha inanellato studi, libri e documentari che svelano la radice medievale di una cultura che, tra il 1100 e il 1200, trasformò il sud-ovest dell’attuale Francia, economicamente prospero, in uno straordinario laboratorio sociale: grazie all’illuminata tolleranza dell’aristocrazia che governava la regione, nella terra dei Trovatori coesistevano musulmani ed ebrei, cattolici ed eretici càtari. Il documentario in preparazione – proprio sui càtari – rievoca un mondo per molti aspetti felice, aperto a sviluppi imprevedibili: secondo Simone Weil, in quella parte di Europa resuscitò lo spirito democratico dell’Atene di Pericle, basato sul culto della bellezza anziché su quello della forza. Bellezza e giustizia: il potere nobiliare era affiancato da quello, democratico, delle neonate autorità consolari cittadine. Un modello pericoloso, stroncato nel sangue con la Crociata Albigese.Data simbolo, sul piano militare: la battaglia di Muret che, nel 1213 alle porte di Tolosa, spezzò il sogno del nuovo ipotetico Stato, esteso dal Mediterraneo all’Atlantico, dalle Alpi ai Pirenei. Uno Stato mai nato, ucciso nella culla: avrebbe accorpato Linguadoca e Provenza, Catalogna e Aragona, rappresentando una sfida al potere di Roma e a quello del Sacro Romano Impero. Nucleo centrale della nuova entità: l’Occitania, vastissimo territorio linguistico incuso tra l’alta valle di Susa e la provincia basca francese di Bayonne, sull’oceano, passando per città come Nizza e Marsiglia, Narbonne, Tolosa e Bordeaux, fino alla “gemella” Barcellona. Alla base della disputa, una questione essenziale di sovranità: di fatto, attraverso la difesa della libertà di culto, il conte tolosano Raimondo VI scommise sull’indipendenza di una decisiva fetta d’Europa, oggetto di mire geopolitiche da parte di Roma e Parigi. Ma il cuore della rivolta, incarnata dal “Paratge” (il senso dell’onore della cavalleria occitanica) era proprio la tutela dell’eresia come diritto inalienabile, pura espressione della libertà di pensiero. Cosa diceva, il Catarismo? Era drastico, nella sua simbolizzazione teologica: questo non è il vero mondo.Di ascendenza zoroastriana, la fede càtara attribuisce la creazione al Dio Straniero, l’equivalente dell’Ahriman dei mazdei. Ma attenzione: la divinità è qui, in noi. Ognuno, pur in questo mondo di tenebra, ha in sé una scintilla d’immortalità. Per questo è fondamentale non dimenticarlo mai: è qualcosa che ricorda la “rammemorazione” dei Sufi, lontana mille miglia da qualsiasi degenerazione “magica” della religione. Il Cristo dei càtari? Venuto sulla Terra proprio per svelare, attraverso l’illusionismo dei cosiddetti miracoli, l’inattendibilità della materia. La salvezza? Altrettanto drastica: rinunciare al mondo, cioè al potere. Vietato giurare: e proprio sul giuramento si basavano le istituzioni del feudalesimo, che si pretendevano consacrate dall’alto. Se la materia è “demoniaca”, a maggior ragione gli eretici non potevano riconoscere l’autorità politica degli Stati e dei confini tra le nazioni. Erano nullatenenti, come Francesco d’Assisi avevano dato ai poveri i loro averi, e seguivano una dieta rigorosamente vegetariana. Peggio ancora – come già il clero di Zoroastro – avevano aperto il sacerdozio alle donne, perfettamente equiparate ai religiosi maschi. Il loro motto: non siamo del mondo, e il mondo non è nostro. Potevano passarla liscia, nell’Europa del Papa-Re?Il documentario che Fredo Valla ha cominciato a girare, partendo dall’Est balcanico, ripercorre la straordinaria vicenda trans-europea dei “bourgres” (o “bogres”, in occitano), cioè gli eretici dualistici – due divinità opposte, bene e male – che prima ancora dell’anno Mille varcarono il Bosforo, lasciandosi alle spalle la religione zorostriana per coniare un sincretismo gnostico, presentato come “Cristianesimo delle origini” alternativo al cattolicesimo, dando vita alle prime comunità di bogomili nella penisola balcanica. Quei “bulgari”, poi, attraverso la Lombardia si spinsero fin nel nord nell’Europa per poi insediarsi stabilmente in Occitania, acclamati dal popolo scandalizzato dal lusso e dalla corruzione del clero cattolico. Ma non si tratta soltanto di far luce sulla storica rimozione dell’eresia dualista, sbaragliata dalla Crociata e poi letteralmente incenerita, per 70 anni, dai roghi dell’Inquisizione. Quel genocidio vergognoso, coperto per secoli dalla “damnatio memoriae”, rende ancora più viva l’attesa per il film di Valla, che si rivolge al pubblico – già in fase di produzione, mediante crowdfunding – per condividere fin dall’inizio lo spirito di un’operazione a basso costo, ma ad alta intensità culturale: nel dubbio, fondato, che il potere che allora sterminò i càtari sia lo stesso che oggi opprime miliardi di individui, a cui racconta che quella che percepiscono è l’unica realtà possibile, l’unico modo di stare al mondo: guerra e sopraffazione, la legge del più forte.(Sul sito “Produzioni dal basso” è possibile concorrere alla realizzazione del documentario “Bogre”, il viaggio condotto da Fredo Valla sulle tracce di Catari e Bogomili, tra Bulgaria e Francia sud-occidentale).I fisici russi annunciano il primo esperimento di teletrasporto, per ora di elettroni, svelando l’illusiorietà della nostra percezione della materia? Quello che riusciamo a vedere non è che il 5% ci quanto ci circonda, confermano gli astrofisici. Il che collima perfettamente con l’opinione dei neurologi: riusciamo a utilizzare soltanto il 5% del cervello. Qualcosa ci sfugge? Ormai lo ammette anche la scienza, dopo le profetiche anticipazioni di Einstein sull’inattendibilità dello spazio-tempo. Sono affermazioni attualissime, ma al tempo stesso anche antiche. Fanno pensare a qualcosa di remoto, rimosso e condannato all’oblio: l’eresia medievale dei càtari, la più temuta dal potere vaticano nei secoli immediatamente successivi all’anno Mille. Non fidatevi di quello che vedete, ripetevano: la dimensione materiale è solo apparenza. E’ un’illusione, suffragata dal potere che ci ripete che il mondo afferrabile dai cinque sensi è l’unico che esista. Poi venne il materialismo, su cui oggi è incardinato il sistema dei consumi: economia, finanza, guerre, multinazionali onnipotenti. E come sta andando, il nostro mondo? Comanda il denaro, e le grandi decisioni sono in mano a un pugno di famiglie: una ristretta élite possiede praticamente tutto. E’ il terzo millennio, ma sembra il medioevo. Per questo, oggi, rispolverare i càtari può risultare più che illuminante. Serve a chiarire meglio chi siamo, dove andiamo. Siamo sicuri di saperlo?