Archivio del Tag ‘elezioni europee’
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Libertà, contro i diktat: scommettere su Marine Le Pen
«Negozierò sulle questioni per noi irrinunciabili. Se non si giungesse ad una soluzione soddisfacente, chiederò l’uscita. L’Europa è solo un bluff. Da un lato vi è l’enorme potere di popoli sovrani, dall’altro un pugno di tecnocrati». Così Marine Le Pen ad Ambrose Evans-Pritchard, del “Telegraph”. Uscire dalla moneta unica? La leader del Front National ne parlava già un anno fa: «Sì, perché l’euro impedisce qualsiasi autonomia nelle scelte di politica economica», e la Francia «non è un paese che possa accettare di ricevere ordini da Bruxelles». Scenari da cataclisma finanziario, coi tecnici incaricati di pianificare un ritorno al franco e i custodi dell’Eurozona chiamati a una difficile decisione: collaborare con la Francia per concertarne l’uscita, coordinando la rottura dell’unione monetaria, o attendere fatalmente una disgregazione disordinata. La Le Pen ostenta tranquillità: «L’euro cesserebbe nel momento stesso della nostra uscita, questa è la nostra forza. Cosa farebbero? Invierebbero i carri armati?».Secondo il Front National, per mantenere la Francia nell’Unione Europea occorrono l’uscita dall’euro, la reintroduzione dei controlli alla frontiera, la superiorità della legge francese rispetto alle norme europee e il “patriottismo economico”, cioè la possibilità per Parigi di perseguire un “protezionismo intelligente” e salvaguardare lo stato sociale. «Non riesco a immaginare una politica economica senza il pieno controllo di quella monetaria», dice la Le Pen a Pritchard, in un’intervista ripresa da un post su “Come Don Chisciotte”. A gonfiare le vele del Fn sono i sondaggi che lo presentano come primo partito francese e la fresca vittoria alle amministrative di Brignoles (maggioranza assoluta degli elettori), ma il partito anti-euro fa presa molto saldamente, e non da oggi, sui lavoratori francesi delusi dalla sinistra europeista e “finanziaria” di Hollande. Da qui il nuovo termine coniato dalla stampa francese: “Lepenismo di sinistra”. La figlia di Jean-Marie Le Pen «sta scavalcando a sinistra i socialisti attaccando le banche e il capitalismo internazionale». E rifiuta con sdegno la definizione di “estrema destra”: ha appena accolto tra le sue fila Anna Rosso-Roig, candidata per il partito comunista nelle elezioni del 2012.Il piano di uscita dall’euro della Le Pen, spiega Evans-Pritchard, è basato sugli studi degli economisti dell’École des Hautes Études di Parigi, diretta dal professore Jacques Sapir, secondo cui «la Francia, la Spagna e l’Italia beneficerebbero di un’uscita dall’euro, potendo riacquistare immediatamente competitività sul versante del costo del lavoro senza anni di decrescita». Gli squilibri nella bilancia dei pagamenti fra nord e sud Europa sono giunti ad un punto di non ritorno: il tentativo di ridurli attraverso ulteriore deflazione e tagli dei salari causerebbe disoccupazione di massa e la perdita di buona parte dell’apparato industriale. Per Sapir, la soluzione migliore sarebbe «uno smantellamento coordinato dell’euro, con controlli nei movimenti dei capitali e con le banche centrali impegnate a far convergere le nuove valute verso le quotazioni desiderate». Il modello stima che il marco tedesco e il fiorino olandese sarebbero rivalutati del 15% rispetto all’euro, mentre il franco sarebbe svalutato del 20%. Vantaggi competitivi che invece sarebbero compromessi da una disgregazione non concertata, con brusche fluttuazioni delle valute.Nella sua “conversione” radicalmente anti-europeista, aggiunge Evans-Pritchard, il Front National ha “rimosso” le sue vecchie istanze antisemite, mentre le sue chiusure sull’immigrazione «condurranno inevitabilmente a una resa dei conti con i 5 milioni di francesi musulmani». Attenzione anche alla propaganda: «La mia impressione è che Marine Le Pen abbia una visione più moderata sui diritti degli omosessuali e sull’aborto di quello che dica», osserva il giornalista inglese. «Per certi versi è più vicina alle posizioni populiste del politico olandese assassinato Pim Fortuyn che a quelle di suo padre Jean-Marie Le Pen, che si lamenta delle idee “piccolo-borghesi” maturate dalla figlia frequentando le scuole di Parigi». Comunque, la sua campagna contro la “demonizzazione” del Fn sembra stia funzionando: «Solo una minoranza di elettori ancora ritiene che il Front sia “una minaccia per la democrazia”». La Le Pen «sta conquistando il consenso di moltissime lavoratrici bianche». E, con una leadership femminile, il Front National «non è più un partito maschilista bianco». Se il padre chiamò l’Olocausto «un dettaglio della storia», lei lo definisce «l’apice della barbarie umana». Solo cinico calcolo elettoralistico? Pritchard resta prudente, ma ammette che «un nuovo scenario» si sta aprendo: la possibilità che i cittadini di un paese-chiave come la Francia possano tornare a dire la loro su quest’Europa così disastrosa.Di fatto, il Front National eredita la maggiore bandiera storica della sinistra, il welfare dei diritti: niente a che vedere con gli anti-euro inglesi, l’Ukip di Nigel Farage che detesta l’euro ma non il libero mercato. Al contrario, Marine Le Pen «è una fiera sostenitrice del modello francese di stato sociale», e la sua critica frontale al capitalismo «le dona una sfumatura di sinistra». La Le Pen «critica severamente Washington e la Nato, rivendicando per la Francia una politica di paese “non schierato” in un mondo multipolare, e rinfaccia al partito gollista Ump di aver venduto l’anima della Francia all’Europa e all’egemonia anglo-americana». L’ascesa del Front National «continua a ricordarci che la lenta crisi politica dell’Europa è lungi dall’aver raggiunto l’apice», sostiene Pritchard. «La disoccupazione di massa e le conseguenze negative delle politiche di deflazione stanno minando le fondamenta dell’establishment, così come avvenne nei primi anni ’30 sotto il Gold Standard», il regime di cambi fissi che coinvolse i principali paesi del mondo, «analoga situazione dell’attuale unione monetaria europea».La Francia «sta soffrendo la stessa lenta agonia di allora», perché il Fiscal Compact voluto da Angela Merkel «è esattamente una rivisitazione della politica deflazionista» che provocò il collasso economico del 1936. «Non c’è nessuna giustificazione macroeconomica per aver costretto la Francia all’inasprimento fiscale così pesante degli ultimi due anni, spingendo l’economia nuovamente in recessione», scrive Pritchard. «Le misure sono state fatte ingoiare alla Francia perché la dottrina dell’Unione Europea prevede solo “austerity”», cioè riduzione della spesa pubblica e aumento delle tasse con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico, senza controbilanciare il rigore con stimoli monetari come la creazione di moneta sovrana da parte della banca centrale per facilitare il credito a beneficio di consumatori e imprese. Fino a ieri, «la Francia ha permesso alla Germania di decidere per tutti»: è questo che ha provocato la valanga elettorale del Front National, che ha «frantumato l’assetto politico francese» e ora ha la strada spianata verso le elezioni europee del maggio 2014. Marine Le Pen non sarà sola: molti altri euro-scettici prenotano il Parlamento Europeo. Giusto così: «Le più grandi paure delle élite europee si stanno avverando», conclude Pritchard, «ed è solamente colpa loro».«Negozierò sulle questioni per noi irrinunciabili. Se non si giungesse ad una soluzione soddisfacente, chiederò l’uscita. L’Europa è solo un bluff. Da un lato vi è l’enorme potere di popoli sovrani, dall’altro un pugno di tecnocrati». Così Marine Le Pen ad Ambrose Evans-Pritchard, del “Telegraph”. Uscire dalla moneta unica? La leader del Front National ne parlava già un anno fa: «Sì, perché l’euro impedisce qualsiasi autonomia nelle scelte di politica economica», e la Francia «non è un paese che possa accettare di ricevere ordini da Bruxelles». Scenari da cataclisma finanziario, coi tecnici incaricati di pianificare un ritorno al franco e i custodi dell’Eurozona chiamati a una difficile decisione: collaborare con la Francia per concertarne l’uscita, coordinando la rottura dell’unione monetaria, o attendere fatalmente una disgregazione disordinata. La Le Pen ostenta tranquillità: «L’euro cesserebbe nel momento stesso della nostra uscita, questa è la nostra forza. Cosa farebbero? Invierebbero i carri armati?».
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Europee 2014, gli elettori voteranno contro Bruxelles
L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.Mentre i partiti di governo sono più preoccupati per elezioni nazionali che per quelle europee a scarsa partecipazione, queste forze “contro” vogliono capitalizzare i loro voti sull’elezione del 22 e del 25 maggio 2014 per rafforzare la loro influenza. Inoltre questo movimento arriva nel momento in cui il Parlamento europeo ottiene poteri più importanti, in particolare sulla scelta del presidente della Commissione. Il presidente del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip) Nigel Farage ha fatto delle elezioni europee il suo principale obiettivo per imporsi nel Regno Unito e cambiare il rapporto di forza a Bruxelles. Questa è anche la priorità dei Veri Finlandesi o del Fronte Nazionale (Fn) francese, così come di Beppe Grillo in Italia o di Syriza, il principale partito di opposizione in Grecia. Tutte queste forze politiche sperano di raccogliere i voti “contro”, che si esprimono più facilmente in questo genere di elezioni. «Le europee sono tradizionalmente favorevoli ai partiti periferici», spiega il politologo Dominique Reynié. «Sono a scrutinio proporzionale e l’astensione è molto forte, soprattutto fra i moderati».Gli ingredienti del cocktail sono noti: l’immigrazione, la burocrazia e il rigore. E quando vengono mescolati possono diventare esplosivi. La polemica sui Rom in Francia mostra che l’immigrazione – sia verso l’Europa che all’interno dell’Unione – sarà uno dei temi della campagna elettorale. Questo è uno dei cavalli di battaglia dell’estrema destra, dalla Danimarca alla Grecia, dai Paesi Bassi all’Austria o alla Francia. Si tratta di un argomento spesso trattato dagli euroscettici dell’Ukip o da parte del nuovo partito anti-euro “Alternativa per la Germania” (Afd). Una parte degli europei preoccupati dalla crisi vede la libera circolazione come una minaccia per l’occupazione. Il lavoratore romeno o bulgaro sta sostituendo l’idraulico polacco. L’euroscetticismo approfitta della crisi. Alle critiche nei confronti della burocrazia di Bruxelles si aggiunge la cattiva gestione della tempesta finanziaria. «Dopo la crisi del debito i paesi del sud sono persuasi che quello che succede loro è colpa di Berlino, mentre i paesi del nord ritengono che è colpa di Bruxelles se devono dare del denaro al sud», spiega il deputato del Partito popolare europeo (Ppe) Alain Lamassoure.I Veri Finlandesi vedono nell’aiuto alla Grecia la giustificazione del loro euroscetticismo, così come il Partito della Libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi, che nei sondaggi raggiunge il 30 per cento. Accanto a queste due opposizione tradizionali, la crisi ha dato vita a un fronte anti-Merkel e anti-troika molto attivo nell’Europa meridionale, tanto a sinistra quanto a destra. In Grecia, Syriza e il partito populista dei Greci Indipendenti vogliono approfittare del rifiuto delle misure imposte da Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per imporsi a Strasburgo. In Spagna il movimento degli Indignados vuole presentare delle liste alle elezioni di maggio. Finora l’estrema destra e i movimenti euroscettici, molto divisi, hanno avuto un’influenza limitata al Parlamento Europeo. «Il progetto europeo corre un grave pericolo», riconosce Anni Podimata, vicepresidente del Parlamento ed esponente del Partito socialista greco (Pasok). «L’avversione all’Europa è sempre più forte. Questo deve spingere i partiti a farsi carico di un messaggio europeista».I deputati dell’Fn non sono iscritti, mentre gli altri movimenti si ritrovano nel gruppo “Europa libertà democrazia” intorno a Nigel Farage e ai membri della Lega Nord. Il sogno dell’Fn è quello di creare un gruppo con l’Fpö austriaco, che ha superato il 20 per cento alle elezioni politiche del 29 settembre. «Tra un quarto e un terzo dei deputati voterà “no” a tutto, ma questo non impedirà al Parlamento di funzionare. L’intesa fra il Ppe e i socialdemocratici sarà più necessaria che mai», sostiene Lamassoure. I due partiti hanno annunciato che faranno una campagna destra-sinistra, ma l’inizio della campagna elettorale dei socialdemocratici è coincisa con la decisione dell’Spd di partecipare al governo Merkel.(Alain Salles, “Elezioni europee 2014, la minaccia del voto di protesta”, intervento pubblicato da “Presseurop” e ripreso da “Globalist” il 7 ottobre 2013).L’affermazione del partito anti-euro in Germania, la crescita dell’estrema destra in Austria, la pressione degli eurofobi di Nigel Farage sui conservatori britannici e il disastro elettorale del partito di governo alle elezioni amministrative portoghesi a causa delle misure di rigore rappresentano una sorta di introduzione alla campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2014, che rischia di essere caratterizzata dai gruppi ostili all’ortodossia di Bruxelles. Ai tradizionali voti contro l’immigrazione e contro Bruxelles, che hanno alimentato le campagne euroscettiche in occasione delle precedenti elezioni, si aggiunge un voto anti-Merkel e anti-troika rafforzatosi con la crisi dell’euro e con i successivi piani di rigore. Spesso questi fronti anti-Europa si mescolano tra di loro. Da un lato gli euroscettici sono preoccupati dello sviluppo dell’immigrazione, dall’altro il rigore alimenta il rifiuto di un’Europa liberista.
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Marine Le Pen spaventa Draghi: Francia sovrana, addio Ue
Il rigore è miracoloso, perché produce crescita. Magia? No: errore. O meglio: falsificazione della realtà, grazie a dati incompleti, parziali e truccati. Così la comunità economica internazionale ha clamorosamente bocciato Harvard, il santuario del neoliberismo imbroglione, e il falso “vangelo” di Ken Rogoff e Carmen Reinhart, fondato su cifre sballate. Proprio Harvard è la sede che Mario Draghi ha scelto per “rispondere” a distanza a Marine Le Pen, che promette di fare della Francia il paese che scardinerà l’impostura di Bruxelles. La scelta dell’euro è irreversibile, ha sottolineato testualmente Draghi, evidentemente a nome dei super-banchieri che rappresenta. Dall’euro non c’è ritorno (come dall’inferno) perché, dice l’ex stratega della Goldman Sachs, esponente di una micidiale super-lobby come il Gruppo dei Trenta, la moneta unica è frutto di una storica decisione degli Stati europei. Curiosa concezione della storia: come se la vicenda del mondo non fosse una trama fluida di continui cambiamenti. Tutto è sempre reversibile, compresa la miserabile moneta europea. Sta a dimostrarlo la Le Pen: sovranità e fine dell’austerity, o la Francia saluterà non solo l’euro, ma anche l’Unione Europea.I sondaggi del “Nouvelle Observateur” che danno il Front National primo partito francese alle europee della primavera 2014 fanno tremare non solo l’Eliseo, ma anche l’Unione Europea e i suoi veri padroni, i “Masters of Universe” che pilotano l’atroce crisi europea attraverso l’Eurotower di Francoforte affidata all’ex banchiere centrale italiano. «Se le elezioni confermassero i risultati dei sondaggi, la vittoria di una forza dichiaratamente antieuropea porterebbe i mercati a scommettere nuovamente sull’uscita dei paesi periferici dall’area euro», scrive il “Keynes blog” in una nota ripresa da “Come Don Chisciotte”. «Non si può escludere che a quel punto la Le Pen, che si dice già pronta a guidare la Francia come presidente, potrebbe diventare un esempio da seguire nelle periferie europee». Di fronte al 24% pronosticato dal sondaggio, François Hollande non ha avuto meglio da dire che occorre «rialzare la testa di fronte agli estremismi e alla xenofobia».Il successo annunciato della Le Pen «è dovuto in buona parte al fatto che la Francia socialista ha abbassato la testa di fronte alla Germania: Hollande aveva promesso in campagna elettorale di ricontrattare il Fiscal Compact e imporre una svolta all’Europa, ma ha infranto questa promessa già pochi giorni dopo la vittoria», sottolinea il blog. Le classi dirigenti europee sembrano ignorare totalmente la popolarità di chi denuncia in modo diretto l’abuso di potere commesso da Bruxelles, e «insistono nel percorrere la strada del rigore e dell’abbattimento dei redditi». In realtà, l’ostinazione nel non prendere atto dell’insostenibilità dell’euro sembra resistere di fronte all’evidenza, «sorretta dall’illusione che l’austerità e le “riforme strutturali” stiano producendo un nuovo equilibrio nell’Eurozona». Presto, il successo della Le Pen contagerà anche l’Italia, dove «una classe dirigente incapace di autocritica si illude di ottenere qualcosa dall’Ue rispettando alla lettera i parametri di Maastricht e presentandosi in Europa con il cappello in mano». Scriveva Keynes: «Le persone timide in posizione di responsabilità sono un passivo per la nazione».Il rigore è miracoloso, perché produce crescita. Magia? No: errore. O meglio: falsificazione della realtà, grazie a dati incompleti, parziali e truccati. Così la comunità economica internazionale ha clamorosamente bocciato Harvard, il santuario del neoliberismo imbroglione, e il falso “vangelo” di Ken Rogoff e Carmen Reinhart, fondato su cifre sballate. Proprio Harvard è la sede che Mario Draghi ha scelto per “rispondere” a distanza a Marine Le Pen, che promette di fare della Francia il paese che scardinerà l’impostura di Bruxelles. La scelta dell’euro è irreversibile, ha sottolineato testualmente Draghi, evidentemente a nome dei super-banchieri che rappresenta. Dall’euro non c’è ritorno (come dall’inferno) perché, dice l’ex stratega della Goldman Sachs, esponente di una micidiale super-lobby come il Gruppo dei Trenta, la moneta unica è frutto di una storica decisione degli Stati europei. Curiosa concezione della storia: come se la vicenda del mondo non fosse una trama fluida di continui cambiamenti. Tutto è sempre reversibile, compresa la miserabile moneta europea. Sta a dimostrarlo la Le Pen: sovranità e fine dell’austerity, o la Francia saluterà non solo l’euro, ma anche l’Unione Europea.
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La Germania fa i conti senza l’oste: il partito anti-euro
E’ vero, il partito anti-euro ha mancato l’accesso al Parlamento – però l’ha sfiorato, nonostante la brutale interdizione dei media mainstream. L’attuale risultato di “Alternativa per la Germania” non sarebbe preoccupante, per la Merkel, se le prossime elezioni fossero lontane, ma si voterà per il Parlamento Europeo fra appena nove mesi. E anche se l’assemblea di Strasburgo «conta quanto il Ducato di Hannover al Congresso di Vienna», per Aldo Giannuli si tratterà comunque di un test politico della massima importanza: «Uno sfondamento dell’Afd in quella sede (poniamo con un 9-12%) metterebbe rapidamente in crisi l’eventuale governo di larga coalizione che sembra si stia formando». Attenzione: «Se la propaganda Afd dovesse sfondare verso le grandi praterie dell’elettorato democristiano, potrebbe verificarsi un secondo caso M5S a livello europeo». E questa volta «non nella povera e marginale Italia, ma nella ricca e centrale Germania».
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Ancora Merkel: Berlino continua la guerra contro di noi
«Un risultato super», che consentirà «altri quattro anni di successi». Sono le prime parole, agghiaccianti, della regina neoliberista Angela Merkel dopo il trionfo del referendum a cui ha sottoposto se stessa, chiedendo ai tedeschi il via libera per continuare a far precipitare nel baratro il resto dell’Europa. Con oltre il 40% dei voti e ora la prospettiva di prolungare fino a 12 anni la propria stagione di potere, la Merkel è il primo leader di un paese europeo a ottenere la conferma degli elettori dopo l’inizio della grande crisi, la tempesta economico-finanziaria innescata dall’Eurozona. “Alternativa per la Germania”, il partito anti-euro, non entra neppure in Parlamento, dove probabilmente anche la cancelliera dovrà rassegnarsi alle “larghe intese” con l’incolore Spd, mentre né i Verdi né la Linke hanno mai attaccato frontalmente – come necessario – il sistema egemonico dell’Unione Europea che mette in croce i popoli, cominciando dai più deboli. Con il plebiscito tributatole dai tedeschi, a cui ha mentito – raccontando loro di aver frenato il Sud Europa “spendaccione” – la Merkel rischia di far impallidire persino il ricordo della “strega” Margaret Thatcher.
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Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia
La ricreazione è finita, presto vi dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all’Olanda l’addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali. E’ l’élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è impadronita della moneta, imponendoci l’Eurozona, per poi dirci: scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li “fabbricano” loro, mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci. Enrico Letta, che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica dell’Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent’anni. Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso: di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia, saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della Jugoslavia.
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Grillini di tutta Europa unitevi: obiettivo, elezioni 2014
«Non possiamo pensare di aver fatto tutto questo e rimanere qui, a Roma. Dobbiamo andare oltre, e l’obiettivo è Strasburgo, anno 2014, Parlamento Europeo: perché c’è una necessità simile a quella italiana e perché, se troviamo sponda in Europa, il cambiamento sarà epocale». Velleitario o visionario? Il vero obiettivo di Grillo, l’Europa, è diventato molto concreto, da quando la discussione sui “Meetup” ha abbattuto confini e lingue. Una rivoluzione? «Una specie di Sessantotto, che abbia come collante la Rete». Obiettivo, i paesi dell’Est – Slovacchia, Bulgaria, Romania – nonché Spagna, Portogallo e Grecia. «Questo intendo quando dico che abbiamo appena iniziato». I temi: ambiente, economia, decrescita. I gruppi a cui guarda, osservano Emiliano Liuzzi e Ferruccio Sansa, spaziano dagli “Indignados” iberici ai “verdi” tedeschi. Porte chiuse alla sinistra tipo “Syriza” e alla destra populista, da “Alba Dorata” al Front National francese. Meglio, come in Italia, «quei milioni di cittadini legati da battaglie comuni più che da ideologie e appartenenze».
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Comunisti italiani fuori dall’Europa, Ferrero si dimette
Si è dimesso Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, all’indomani del risultato elettorale delle europee, dove la sua lista “anticapitalista” costruita con Oliviero Diliberto (Pdci) e i socialisti di Cesare Salvi ha soltanto sfiorato il quorum del 4%, necessario per raggiungere il Parlamento di Strasburgo. Ferrero, imitato da Diliberto, ha “rimesso il mandato” alla segreteria del Prc, che nel fine settimana deciderà se confermargli la fiducia. Al tempo stesso, con Diliberto e Salvi, Ferrero ha dato vita a un coordinamento politico per superare le vecchie forme-partito e lanciare una nuova formazione politica della sinistra italiana.
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Europee, la protesta dell’Italia-contro
Astensionismo record, pallide prestazioni dei blocchi politici bipolari (Pdl e Pd, entrambi in regressione), significativa consistenza delle piccole liste “antagoniste”, che in ordine sparso rappresentano il 13% dell’elettorato, e sonora affermazione, a metà classifica, delle due maggiori formazioni di protesta, la Lega Nord di Umberto Bossi (no-immigrati) e l’Idv di Antonio Di Pietro (no-Berlusconi): gli unici due veri vincitori, destinati entrambi a condizionare in modo sempre più forte le scelte degli schieramenti maggioritari.
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Ferrero e Pannella, eresie italiane per l’Europa
I soldi per i nuovi cacciabombardieri strategici F-35? «Meglio usarli per la ricostruzione dell’Abruzzo, devastato dal terremoto». Così il leader di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, alla vigilia delle elezioni europee del 6-7 giugno nelle quali il suo partito, clamorosamente escluso dal Parlamento italiano, si gioca una fetta di possibile sopravvivenza, se riuscirà a superare il temuto sbarramento del 4%. «Make peace, not war». Facile demagogia elettorale? Archeologia politica?
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Greenpeace: elezioni, silenzio-assenso sul nucleare
Solo i candidati di Idv, Sinistra e libertà e comunisti si dichiarano contrari in toto al nucleare. Il Pd si spacca, Udc e Pdl tacciono. Sono gli sconcertati risultati della ricerca di Greenpeace sulle posizioni dei candidati italiani alle elezioni europee del 7 giugno in materia di nucleare. Mentre Berlusconi dichiara di voler ricorrere all’esercito per riportare il nucleare in Italia, Greenpeace diffonde, a una settimana dal voto, i risultati del sondaggio sul ritorno del nucleare svolto tra i candidati alle elezioni europee.
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L’euro-battaglia di Giulietto Chiesa per i diritti dei russi
«Non ho chance ma è giusto farlo. Di Pietro? Con lui ho rotto perché ha subito una degenerazione». «Budet revolucija! Budet Dzuljeto Kjeza!». Un grido percuote le masse russe della Lettonia chiamandole alla battaglia. Arriva la rivoluzione, arriva Giulietto Chiesa! Non c’è muro di Riga dove non campeggi un manifesto, non c’è strada di Daugavpils dove non sia steso uno striscione, non c’è contrada sul Baltico dove la minoranza non si passi un volantino di riscossa: russi, mandiamo a Strasburgo l’Uomo con i Baffi.