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Il Fiscal Compact? Provano a nasconderlo ipotecando l’oro
Cancelliamo il Fiscal Compact? Forse, ma in compenso ipotechiamo gli Stati, dalle aziende leader alla riserva aurea, facendo persino riscuotere le tasse a un soggetto esterno, non più nazionale, in cambio dell’emissione di eurobond garantiti dall’Ue. «L’idea base di questo progetto è italiana, in quanto i primi a lanciarla, nell’agosto 2011, sono stati Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio». L’ipotesi è poi piaciuta anche agli economisti tedeschi che affiancano il governo di Berlino, i quali hanno anche suggerito alcune clausole sugli aspetti patrimoniali, pur manifestando il consueto scetticismo sugli eurobond. Tutto questo, a quanto pare, sarebbe stato architettato per tenere in piedi l’euro. A questo accordo, spiega Tino Oldani su “Italia Oggi”, starebbero lavorando in segreto economisti e politici di diversi paesi. «La novità centrale sarebbe l’istituzione di un nuovo fondo, l’European Redemption Fund (Fondo per il rimborso del debito), le cui caratteristiche sono illustrate in un “paper” dell’economista Luca Boscolo, discusso il 22 novembre scorso alla London School of Economics».Il punto di partenza sarebbe l’archiviazione del Fiscal Compact, maxi-tagliola approvata con perfetto autolesionismo dai paesi dell’Eurozona per volere dal “partito dell’austerità”? In breve, ricorda il blog “Senza Soste”, si tratta dello sciagurato accordo che impegna gli Stati a tagliare la spesa pubblica per comprimere il debito fino al 60% del Pil. In Italia si tratterebbe di 50 miliardi all’anno, per vent’anni. «Approvato quasi in segreto dal Parlamento, con il voto entusiasta del centrosinistra, il Fiscal Compact è velocemente sparito dalla scena», data la paura provocata da un’amputazione così abnorme del bilancio statale. Così, cominciano a circolare strane ipotesi: il debito considerato “in eccesso”, gravato dagli interessi passivi e divenuto “tossico” in quanto denominato in moneta non sovrana, finiebbe in una sorta di “bad bank” che lo governerebbe, usando come garanzia l’emissione di eurobond e le riserve auree dei vari paesi. Ma attenzione alle clausole-capestro: se un paese non paga, la “bad bank del debito” dovrebbe riscuotere direttamente le tasse, al posto dello Stato.Impossibile, ovviamente, tornare alla moneta nazionale. Per contro, ogni paese dell’Eurozona dovrebbe ipotecare il proprio oro e le principali aziende statali, oltre a dare l’ok a un soggetto esterno per la riscossione coercitiva delle tasse. A monte, l’obiettivo sarebbe completamente fuorviante: contenere il debito pubblico, che in realtà è proprio il motore dello sviluppo. Un lettore del “Corriere della Sera”, Mario Bocci, in una lettera al quotidiano milanese osserva: «Il debito è aumentato in ottobre di 23,5 miliardi e ha raggiunto quota 2.157,5 miliardi. Come faremo a pagare il Fiscal Compact?». Nonostante le manovre e le tasse, il debito cresce ogni anno. Attualmente rappresenta il 135,6% del Pil italiano. «In Europa – scrive “Italia Oggi” – ci supera soltanto la Grecia (174,1%), mentre la media dell’Eurozona è del 93,9%, con la Germania al 77,3%». Rispondere a Bocci non è facile, ammette Oldani, e il “Corriere” non ci ha neppure provato. Renzi ha proposto ai partner europei più flessibilità? Angela Merkel ha avuto gioco facile a bocciarlo, ribadendo le solite false verità neoliberiste, secondo cui non si può fare crescita aumentando la spesa e il debito pubblico.A smentire la Merkel è la storia: l’intero boom economico del dopoguerra, negli Usa e in Europa (e in particolare in Germania) è stato innescato esattamente dagli enormi investimenti statali, spesa pubblica a deficit, quindi debito pubblico. Ma visto che la verità è stata bandita dall’Eurozona, tiene banco il bullismo politico della cancelliera, longa manus delle banche tedesche. Solo che oggi il giocattolo degli speculatori si sta incrinando: «Tra gli economisti, c’è chi considera ormai fallita la moneta unica europea, e ne prevede sempre più vicina la “ropture”», annota Oldani. «Altri prevedono invece che l’euro sarà tenuto in vita grazie a un nuovo accordo europeo, destinato a superare il Fiscal Compact. E qui sta la vera novità, di cui non c’è ancora traccia nel dibattito politico». Così com’è, sostiene Luca Boscolo, l’euro ha troppi difetti per poter durare. E gli interventi della Troika per far rispettare il Fiscal Compact hanno peggiorato dovunque la situazione, invece di migliorarla. Inoltre, l’euro ha provocato pesanti squilibri nell’Eurozona, che lo stesso Fmi ha riconosciuto in un rapporto del luglio 2014: è una moneta sottovalutata in Germania (del 15%), mentre è sopravvalutata (10-14%) nei paesi periferici. Questo ha creato le condizioni per il surplus commerciale dell’export tedesco, superiore al 6% da tre anni, dunque passibile di sanzioni Ue, come lo è lo sforamento del 3% nel rapporto deficit-Pil.«Una situazione esplosiva, che mette in conflitto i paesi più forti con quelli più deboli, dalla quale si può uscire soltanto superando il Fiscal Compact». Come? Tra le soluzioni all’esame della Commissione Europea, rivela Boscolo, vi è appunto l’European Redemption Fund (Erf), in cui mettere tutte le eccedenze del debito dei paesi che sforano il limite del 60%. Dalle prime bozze, il Fondo Erf, da istituire con un nuovo trattato europeo, avrebbe le precise caratteristiche. La prima: il Fondo potrà emettere eurobond sui mercati, dando in garanzia i beni dello Stato interessato, oltre alle riserve valutarie e a quelle auree. Poi: in caso di mancato pagamento dei bond da parte degli Stati interessati, il Fondo potrà incassarne direttamente le tasse. Terza mossa: gli Stati aderenti non avranno più giurisdizione sul loro debito pubblico e non potranno più tornare alla moneta nazionale. Nel caso dell’Italia, spiega Boscolo, la parte del debito che eccede il 60% è pari a 1.182 miliardi: questa sarà la quota che dovrebbe andare nell’Erf. A garanzia dei bond, il nostro paese dovrebbe impegnare i propri asset di valore, cioé beni dello Stato come Eni, Enel e Finmeccanica, oltre alle riserve valutarie e auree.Vantaggi dell’operazione? Riduzione dell’eccesso di debito, medesimi tassi d’interesse nel mercato europeo dei bond, stabilizzazione sui mercati del debito pubblico, con tassi d’interesse più bassi. In definitiva, sparirebbe il rischio di bail-out (salvataggio): niente più prestiti di denaro agli Stati indebitati. Risultato: lunga vita per l’euro. Nemmeno per sogno, dice Boscolo, che ne descrive i rischi: «Sarà l’inizio della fine degli Stati così come li abbiamo conosciuti. Finiranno nelle mani dei grandi capitalisti, i quali hanno voluto l’euro e la globalizzazione per acquistare a prezzi stracciati gli asset dei paesi con moneta debole, per poi rivederli con ottimi guadagni, distruggendo così l’economia locale e impoverendone i cittadini». Va inoltre ricordato che ogni possibile soluzione – se si resta nell’euro – è votata al fallimento dello Stato democratico, premiando esclusivamente l’élite finanziaria. Solo grazie all’euro, infatti, il debito pubblico è diventato un problema esplosivo: non essendo più denominato in moneta sovrana (l’euro non è di nessuno, nemmeno della Bce), il debito in Eurozona va “garantito”, a spese dell’economia reale. Se lo Stato tornasse libero di fare il suo “mestiere”, e cioè realizzare la piena occupazione, secondo gli economisti della Mmt non avrebbe più neppure bisogno di emettere bond, gli basterebbe disporre liberamente di moneta. E il nostro debito farebbe la fine di quello del Giappone, che è enorme (quasi il doppio di quello italiano) ma non costituisce un problema, perché è sovrano e dunque sempre ripagabile, in qualsiasi momento.Cancelliamo il Fiscal Compact? Forse, ma in compenso ipotechiamo gli Stati, dalle aziende leader alla riserva aurea, facendo persino riscuotere le tasse a un soggetto esterno, non più nazionale, in cambio dell’emissione di eurobond garantiti dall’Ue. «L’idea base di questo progetto è italiana, in quanto i primi a lanciarla, nell’agosto 2011, sono stati Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio». L’ipotesi è poi piaciuta anche agli economisti tedeschi che affiancano il governo di Berlino, i quali hanno anche suggerito alcune clausole sugli aspetti patrimoniali, pur manifestando il consueto scetticismo sugli eurobond. Tutto questo, a quanto pare, sarebbe stato architettato per tenere in piedi l’euro. A questo accordo, spiega Tino Oldani su “Italia Oggi”, starebbero lavorando in segreto economisti e politici di diversi paesi. «La novità centrale sarebbe l’istituzione di un nuovo fondo, l’European Redemption Fund (Fondo per il rimborso del debito), le cui caratteristiche sono illustrate in un “paper” dell’economista Luca Boscolo, discusso il 22 novembre scorso alla London School of Economics».
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Grillo: stop al racket dell’oscuro parassita chiamato Europa
Dobbiamo togliere di mezzo ogni ostacolo che impedisca ai cittadini di sapere cosa accade, chi prende le decisioni, chi ne fa le spese e chi governa senza essere mai stato eletto dal popolo, ma cambia la vita di chi resta senza lavoro, di chi non ha i soldi per comprarsi da mangiare, di chi è costretto a licenziare i suoi dipendenti o a dichiarare fallimento. Dobbiamo dire alla gente chi sono i nominati, da chi sono stati messi sulle loro poltrone e perché sanno solo ripetere che “serve più Europa”, “servono più soldi alle banche”, “serve più rigore”. L’austerity! Cioè tagli alla spesa pubblica, ma soprattutto ai salari, agli stipendi e alle pensioni. E quando qualcosa si taglia, qualcos’altro deve per forza aumentare: le tasse. Le tasse in Italia sono diventate così alte che ormai bisogna lavorare fino a ottobre non per guadagnare, ma solo per riuscire a pagarle. Ci hanno detto che la soluzione era l’austerity. Era una soluzione, certo, ma era quella sbagliata! In Irlanda e in Portogallo ha funzionato talmente bene che c’è stato un esodo quasi senza precedenti verso altri paesi.In Italia ha funzionato anche meglio: solo nel 2013, più di trecento aziende al giorno sono state costrette a chiudere. Il motivo è semplice: i grandi sacerdoti dell’austerity hanno basato la loro religione su dati parziali. Non serviva essere economisti per accorgersi che una compressione della spesa in un momento di crisi avrebbe portato a una stagnazione, la quale avrebbe peggiorato la crisi. Perfino al Fondo Monetario Internazionale, alla fine, se ne sono accorti: Blanchard ha ammesso l’errore, ma nessuno ha cambiato direzione. Ne ammazza di più la medicina della malattia, ma nessuno che pensi di interrompere il salasso: si continua a succhiare sangue alle aziende, alle imprese, ai lavoratori, ai pensionati, ai cittadini, ai quali si sottrae ogni giorno una fetta di sovranità, per conferirla nelle mani di un oscuro centro di potere governato da non eletti. Così, questa Europa si è trasformata in un gigantesco parassita, un parassita che vive sulle nostre spalle, un parassita che ci afferra per la gola e ci toglie ossigeno.Ci rassicurano che le cose vanno meglio, che la crisi sta passando, che si intravede la luce alla fine del tunnel, ma sono i fari del treno che ci sta per venire addosso! Il treno si chiama Fiscal Compact, il nuovo irrigidimento del Patto di Stabilità e di Crescita che negli anni è stato sforato dalla stragrande maggioranza degli Stati europei. Così, a un paziente già ammalato, hanno somministrato il colpo di grazia: il pareggio di bilancio. Che in Italia abbiamo inserito addirittura nella Costituzione. Significa che se non abbiamo soldi non possiamo neppure trovarne, privi come siamo di sovranità monetaria, senza indebitarci. Una genialata! In più, ci hanno chiesto di ridurre il rapporto debito pubblico-Pil al 60% in 20 anni. Significa prendere un tessuto economico già disastrato, un tessuto imprenditoriale disperato, un tessuto assistenziale ai limiti dell’inesistente, e applicarvi tagli a pioggia pari anche a 50 miliardi all’anno per vent’anni! E lo chiamano “grande sogno europeo”! Ci accorgeremo presto delle conseguenze del Fiscal Compact sui paesi già piegati dal rigore a tutti i costi. «E poi», come in un celebre romanzo di Agatha Christie, «non ne rimase nessuno».Non contenti, per salvare gli amici degli amici, cioè il mondo della tecno-finanza la cui sconsiderata ingordigia ha ridotto in povertà decine di milioni di persone, hanno istituito il Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, e l’hanno ratificato quatti quatti, zitti zitti, come piace a loro. Il Mes indebita interi popoli all’infinito, impegnandosi per centinaia di miliardi che possono essere rinnovati a piacere da un gruppo di oscuri oligarchi che si ritrovano in Lussemburgo, come una setta, senza che nessuno possa leggere le carte che si passano, senza che nessuno possa citarli in giudizio, senza che nessun governo nazionale, neppure futuro, possa rifiutarsi di pagare. E a fronte di questo salasso, che per l’Italia vale da subito 125 miliardi e poi chi lo sa, se un giorno dovessimo avere bisogno di essere salvati, il Mes ci presta i soldi. Ce li presta! E’ come se tu pagassi una kasko per l’assicurazione della tua auto e poi, quando qualcuno ti viene addosso, ti prestano i soldi per il carrozziere. Ce li prestano in cambio di “condizionalità”. Le chiamano “condizionalità”. Ma significano “cessioni di sovranità”. Si infilano nei Parlamenti nazionali e sottraggono ai cittadini ogni giorno un pezzetto dei loro diritti, per conferirli dentro a qualcosa che non c’è ancora. E’ a questo che è servita la crisi. Perché le guerre oggi non si fanno più con i carri armati. Si fanno con lo spread. Da un carrarmato ti puoi difendere: lo spread non lo vedi e non lo senti. E’ un assassino perfetto. Silenzioso ed ineffabile.Grazie allo spread puoi creare strumenti micidiali come l’Erf. Hanno sempre questi nomi biblici, quasi rassicuranti: il Fondo Europeo di Riscatto. Ti fanno credere che devi essere riscattato, perché sei un Piigs. Sei un Piigs anche se versi più soldi all’Europa di quanti alla fine l’Europa non te ne renda. E allora come ti riscattano? Se non ce la fai a rispettare il Fiscal Compact, vengono a suonare con l’esattore alla frontiera, e ti costringono a consegnare gli asset patrimoniali nazionali, le riserve valutarie, le riserve auree e parte del gettito fiscale fino ad ottenere garanzie per tutta la parte eccedente il rapporto del 60% del debito sul Pil. Un curatore fallimentare poi vende tutto. Una immensa Equitalia al cubo! E se consideriamo il gettito fiscale come lo stipendio di uno Stato, l’Europa si trasforma in un creditore che ti impone la cessione del quinto senza che tu possa avere più il controllo del tuo conto in banca.Cosa sarebbe tutto questo? Cosa stiamo diventando? E’ un’immensa Matrix, siamo governati da scienziati pazzi che fanno esperimenti di ingegneria tecnologico-finanziaria su interi popoli e se poi gli esperimenti falliscono e decine di milioni di persone muoiono, allora fa niente: siamo tutti sacrificabili. L’importante è che la casta mondiale, quel 10% degli abitanti della Terra che detiene il 90% delle ricchezze, sopravviva e continui a godere di ottima salute. In Grecia negli ultimi due anni si sono suicidate oltre 7.000 persone: gente che l’ha fatta finita non perché avesse perso il lavoro, ma perché non aveva più neppure da mangiare. Ci sono genitori che hanno deciso di abbandonare i propri figli negli orfanotrofi per garantirgli almeno un pasto al giorno e un letto caldo per l’inverno. In Italia, rispetto ai livelli pre-crisi, ci sono tre milioni di poveri in più (+93,9%), 3 milioni e 700.000 persone disoccupate in più (+122,3%), il Pil è crollato del 9%, la produzione industriale è precipitata del 23,6%, le costruzioni del 43,15%, i consumi delle famiglie si sono ridotti dell’8%, gli investimenti del 27,5%, c’è il -7,8% di occupazione e abbiamo perso quasi due milioni di posti di lavoro.E’ questo il grande successo dell’Europa? Una élite di mentitori di professione che cambia i metodi di calcolo alla bisogna, facendo così sparire in un attimo i dati che non devono essere mostrati? A noi in Italia raccontano spesso che servono più sacrifici, perché “ce lo chiede l’Europa”. Ma l’Europa che vogliamo noi non è quella che continua a drenare linfa dalla propria gente, che rovina i suoi imprenditori, i suoi lavoratori, che toglie lo Stato sociale ai deboli e tutela i ricchi e i forti. L’Europa che vogliamo noi non è quella che costringe le democrazie in crisi a versare centinaia di miliardi che finiscono su un conto in Lussemburgo a finanziare le democrazie che stanno bene, quelle della Tripla A, come la Germania. L’Europa che vogliamo noi non è quella oscura, un buco nero nel quale tutto entra e dal quale nulla esce, ma è l’Europa della democrazia diretta, dei referendum popolari, delle informazioni che circolano e della conoscenza condivisa. E’ l’Europa consapevole delle scelte ambientali che possono ancora cambiare le sorti del nostro pianeta. E’ l’Europa della libertà individuale, dei diritti, della sostenibilità. E’ l’Europa dei cittadini, non quella di Van Rompuy.(Beppe Grillo, estratti dal discorso “L’Europa che vogliamo”, pronunciato a Strasburgo il 1° luglio 2014).Dobbiamo togliere di mezzo ogni ostacolo che impedisca ai cittadini di sapere cosa accade, chi prende le decisioni, chi ne fa le spese e chi governa senza essere mai stato eletto dal popolo, ma cambia la vita di chi resta senza lavoro, di chi non ha i soldi per comprarsi da mangiare, di chi è costretto a licenziare i suoi dipendenti o a dichiarare fallimento. Dobbiamo dire alla gente chi sono i nominati, da chi sono stati messi sulle loro poltrone e perché sanno solo ripetere che “serve più Europa”, “servono più soldi alle banche”, “serve più rigore”. L’austerity! Cioè tagli alla spesa pubblica, ma soprattutto ai salari, agli stipendi e alle pensioni. E quando qualcosa si taglia, qualcos’altro deve per forza aumentare: le tasse. Le tasse in Italia sono diventate così alte che ormai bisogna lavorare fino a ottobre non per guadagnare, ma solo per riuscire a pagarle. Ci hanno detto che la soluzione era l’austerity. Era una soluzione, certo, ma era quella sbagliata! In Irlanda e in Portogallo ha funzionato talmente bene che c’è stato un esodo quasi senza precedenti verso altri paesi.
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Dopo la Grecia l’Italia, cavia europea rassegnata a Renzi
Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana. Con il Pd di Renzi stanno sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bilderberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, Cgil Cisl e Uil, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto. Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato.Qui non c’è davvero nulla che sembri una vittoria della sinistra, fondata sulla partecipazione e sulla crescita di lotte e movimenti. Il consenso a Renzi si fonda sulla fine delle illusioni e sulla rassegnazione. La forza di Renzi sta nell’inerzia e nella passività diffusa tra le persone massacrate dalla crisi, che si aggravano con l’assenza di azione sociale e sindacale, mentre tutte le élites investono su di lui. Per fare che? Per costruire con il consenso una gestione neoliberale della crisi in Europa. Potremmo davvero esportare il Gattopardo in tutto il continente. Quando Van Rompuy afferma che finora la Ue ha difeso gli affaristi e ora si deve occupare delle persone parla come Renzi. E naturalmente agisce come lui, visto che continua a portare avanti i negoziati con Usa e Canada per quello sconvolgente via libera alle multinazionali che è il Ttip, e vuole rafforzare il fiscal compact con l’Erf.La Grecia è stata una cavia in tutti i sensi, non solo per la sperimentazione delle più brutali politiche di austerità, ma anche per la comprensione dei limiti del puro esercizio brutale del potere di banche e finanza. Per questo la signora Merkel è una fan ricambiata di Matteo Renzi. Perché bisogna cambiare dosi e modalità di somministrazione di una medicina che però deve restare sempre la stessa. Gli 80 euro nella busta paga sono questo. Come ha detto Tsipras, sono una misura concordata con Merkel per rendere più accettabile la continuazione della politica di austerità. Che non a caso viene contemporaneamente ribadita nei suoi tre cardini: la flessibilità del lavoro, cioè la riduzione dei salari e dei diritti, le privatizzazioni, la riduzione della spesa pubblica sociale nel nome del pareggio di bilancio, che siamo il solo paese euro ad aver inserito nella Costituzione.La Commissione Europea ci chiede nuovo rigore mentre i disoccupati veri sono 6 milioni e quelli ufficiali più della metà. Ma non c’è alcun reale cambiamento nella politica economica, anzi. Renzi non ha mai posto in discussione il vincolo europeo, anzi ha sempre più spesso affermato che i problemi sono da noi e che si cambia l’Europa cambiando l’Italia con le riforme, liberiste. Il vecchio slogan di Monti che dobbiamo fare i compiti a casa diventa l’obiettivo di essere i primi della classe. Siamo la seconda cavia d’Europa dopo la Grecia. Lì si è usato solo il bastone, qui si prova con Renzi. Il futuro della nostra democrazia dipenderà da se e come si costruirà una opposizione a tutto questo dal lato della sinistra. Occorre operare perché il disegno di Renzi e di chi lo sostiene fallisca, altrimenti perderemo altri venti anni scoprendo ora Blair e Clinton, quando ovunque la loro politica è oggi sotto accusa per essere stata una delle cause di fondo della crisi mondiale.(Giorgio Cremaschi, estratti dell’intervento “28 giugno, in piazza contro Renzi e l’Europa del Fiscal Compact”, pubblicato da “Micromega” il 4 giugno 2014).Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana. Con il Pd di Renzi stanno sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bilderberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, Cgil Cisl e Uil, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto. Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato.