Archivio del Tag ‘estinzione’
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Grillo coi nemici dell’Italia che vogliono Draghi al Quirinale
Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.Si commenta da solo lo sconcio offerto al pubblico, anche internazionale: un governo di nani obbedienti, coalizzati per disperazione e con sprezzo del ridicolo. Missione: emarginare Salvini, come vuole il padrone, e impedire agli elettori di tornare a votare. La classica manovra di palazzo, che comporterà conseguenze spiacevoli per i congiurati: il discredito definitivo del Pd e l’estinzione politica dei 5 Stelle, condannati a essere presi a pesci in faccia dagli elettori di oggi e di domani. Si aprono praterie sconfinate per chiunque ambisca a portarsi a casa i milioni di voti in fuga dall’increscioso e indecente equivoco pentastellato. Ma intanto, al padrone interessa innanzitutto “la roba”: vale a dire le 500 nomine pesanti in arrivo l’anno prossimo, nei posti che contano. Sfrattato l’intruso leghista grazie al signor Beppe e ai suoi diligenti camerieri travestiti da parlamentari, i posti-chiave saranno scelti accuratamente tra Berlino, Parigi e Bruxelles; i nomi saranno comunicati a tempo debito ai prestanome italiani, in quota al Pd e ai 5 Stelle. Dopo il varo dell’impresentabile Conte-bis, quello sarà il secondo step della Lunga Marcia. Il terzo, definitivo, si avrebbe con l’incoronazione del venerabile maestro Mario Draghi, come tredicesimo presidente della Repubblica italiana.La leggenda di Super-Mario? Salvatore dell’euro e santo protettore della sventurata Penisola. Vero il contrario, purtroppo: di formazione progressista e keynesiana, studente cresciuto alla corte dell’insigne ecomomista democratico Federico Caffè (scomparso nel nulla dalla sua abitazione romana nel 1987), Draghi è l’emblema stesso del tradimento: il cattivo allievo, lo ribattezzò Bruno Amoroso, formatosi con Caffè insieme a Nino Galloni. Amoroso e Galloni hanno tenuto alto l’onore dell’antico maestro, tramandandone la lezione. Che è questa: lo Stato non è una famiglia, perché – a differenza delle famiglie e delle aziende – dispone del potere monetario. Può emettere moneta in modo virtualmente illimitato. Ergo: il deficit, in termini di spesa pubblica strategica, è puro ossigeno per i cittadini, le famiglie, le imprese. Viceversa, il suo contrario – il pareggio di bilancio – condanna l’economia. E se migliaia di imprese si arrendono alla crisi, strangolate dalle tasse, il loro business viene letteralmente rastrellato dai grandi gruppi, dotati di elevato potenziale finanziario. L’alleanza storica tra multinazionali, banche d’affari e vertice politico in Europa ha un nome esemplare: Mario Draghi.Per via delle altissime responsabilità rivestite nel disastro sociale europeo, proprio Super-Mario rappresenta al meglio, da grande tecnocrate, il potere oligarchico che ha piegato i governi, confiscato la democrazia, ridotto le elezioni a pura ritualità. Lo si vede anche oggi, ancora una volta, con l’immondo esito della crisi parlamentare italiana. In Europa, la menzogna neoliberista (più tagli, più cresci) è aggravata dalla prassi mercantile dell’ordoliberismo di marca teutonica: all’impoverimento programmato del popolo si aggiuge la sottomissione sociale dei dominati. Dopo la Grecia, l’Italia è scandalosamente in cima alla classifica dello sfruttamento: da moltissimi anni il nostro paese, a cui i tizi come Draghi rimproverano di aver vissuto “al di sopra delle sue possibilità”, è addirittura in avanzo primario. Ovvero: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini versino in tasse. In questo, proprio Draghi – massimo sacerdote dell’austerity (altrui) – incarna il massimo tradimento possibile della dottrina di Keynes e di Caffè, economisti progressisti cui si deve – nel mondo, e anche in Italia – l’archiettura dell’economia statale espansiva che permise ai popoli di risollevarsi, accedendo a stagioni di grande benessere, mobilità sociale, futuro da costruire con fiducia e ottimismo.Tutto questo doveva finire: non per via di leggi economiche, ma a causa di determinazioni politiche, in parte palesi (il neoliberismo di Milton Friedman e soci) e in parte occulte, di matrice iniziatica. Già nell’Ottocento, il medico francese Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, teorizzò la dottrina della “sinarchia”. In spiccioli: la politica è un affare troppo serio perché sia lasciata al popolo bue. A guidarlo dev’essere un’élite illuminata. Questa élite reazionaria si è nascosta, nel Novecento, dovendo subire l’offensiva delle democrazie sociali, le conquiste dei diritti del lavoro. Poi è rimersa, lentamente, a partire dagli anni Settanta. In Europa, l’Italia era un boccone golosissimo: eravamo il paese del boom, trainato dal maggior conglomerato industriale d’Europa, l’Iri, gestito dallo Stato. Le vaste inefficienze dell’Iri, di origine clientelare, erano largamente compensate dalle enormi ricadute sull’indotto privato. A demolire l’Iri fu chiamato il tecnocrate di turno, l’allora semisconisciuto Romano Prodi, mentre a Draghi – direttore del Tesoro – fu chiesto di oliare lo smembramento privatizzatore gli altri gioielli industriali italiani: Telecom, Eni, Enel, Comit, Credito Italiano.Dal Britannia in poi, Mario Draghi si è fatto apprezzare dai padroni del mondo, che l’hanno ricompensato da par loro. Una marcia trionfale: Goldman Sachs, Bankitalia, Bce. Ora, Draghi ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde al vertice del Fmi. Si è tenuto libero per Palazzo Chigi? No: per il Quirinale. Vanta crediti importanti, sulla strada del Colle. D’intesa con Napolitano, nel 2011 disarcionò Berlusconi (ultimo premier eletto dagli italiani, nel 2008: da allora, alla guida del governo si sono succeduti soltanto politici non eletti dai cittadini, da Monti fino a Conte). E’ la declinazione italica della “sinarchia” del marchese Saint-Yves d’Alveydre: guai a lasciare che il popolo si governi da sé. A tener aperta la strada del Quirinale per Mario Draghi è il finto outsider e falso rivoluzionario Beppe Grillo: solo grazie all’inventore dei 5 Stelle il super-banchiere dell’élite può sperare, domani, di raggiungere la meta. Non è solo, ovviamente: oltre a Grillo e al solito servizievole Pd, Draghi può contare sulle potenti superlogge massoniche internazionali in cui milita. E’ affiliato a ben 5 Ur-Lodges di stampo reazionario: si chiamano “Three Eyes” e “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Der Ring” e “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. E’ per questi signori che in fondo lavorano Beppe Grillo e il suo figurante sistemato a Palazzo Chigi, il carneade “Giuseppi” Conte, sedicente “avvocato degli italiani”: un piccolo e infido mestierante, di cui oggi i connazionali farebbero volentieri a meno.Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.
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Truffa 5 Stelle, il giocattolo preferito dei nemici dell’Italia
Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di ladroni”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.Per pesare lo spessore politico del loro attuale, pericolante portavoce, basta ricordare la disinvoltura con cui Luigi Di Maio nella primavera 2018 tendeva la mano indifferentemente alla Lega e al Pd, pur di far nascere un governo quale che fosse. Lo si è visto brillare puntualmente, Di Maio: prima amico dei Gilet Gialli e poi devoto ad Angela Merkel, socia della bestia nera dei Gilet Janunes, Emmanuel Macron. Una conversione folgorante, sulla via di Bruxelles, come quelle – altrettanto mistiche – sull’Ilva di Taranto, sul Tap pugliese, sulle trivelle petrolifere in Adriatico. Anticamente, i 5 Stelle blateravano di un referendum consultivo sull’euro. Poi, guidati dal loro padrone Beppe Grillo, hanno chiesto asilo a Strasburgo agli ultra-euristi dell’Alde. Mossa non riuscita al primo colpo, ma ora insaponata alla perfezione dall’operazione-Ursula: tra i nazi-euristi, oggi i 5 Stelle si sono aggregati tra gli applausi di chi l’Italia l’ha distrutta per davvero. Sono riusciti in un’impresa da record: tradire ogni tipo di promessa. Non volevano gli F-35 né l’obbligo vaccinale, ma si sono rimangiati tutto. Persino il Tav Torino-Lione è finito nella spazzatura grillina, con l’aggiunta della farsa parlamentare inscenata per recitare per l’ultima volta la commedia degli oppositori, in realtà allineati ai diktat indiscutibili del loro premier Conte e del solito padrone Grillo.Fondato nel 2009, il Movimento 5 Stelle non ha mai sentito il bisogno – in dieci anni – di confrontarsi in un regolare congresso, per misurare idee e verificare tesi e impostazioni. Ha offerto di sé uno spettacolo indecoroso, particolarmente rassicurante per il grande potere economico: una belante scolaresca al guinzaglio, al posto di quella che, nell’Europa devastata dall’austerity, doveva essere l’avanguardia di un riscatto popolare democratico. Non hanno solo tradito ogni aspettativa: hanno diserbato il terreno dove poteva crescere una protesta seria fino a tradursi in proposta concreta. Sono il giocattolo perfetto per chiunque abbia cattive intenzioni, e quindi interesse a disinnescare il dissenso, convogliandolo verso lidi innocui. Appena è comparso un concorrente – non un eroe omerico, solo il modesto Salvini – l’elettorato ex-grillino ha dato inizio all’emorragia, riconoscendo nel capo della Lega molte delle parole d’ordine del grillismo delle origini, messe in campo però con ben altra coerenza. Non appena Salvini ha accennato a contestare Bruxelles, cioè i dominatori che ci fanno la guerra da decenni, il potere ha prontamente usato i grillini per neutralizzare il potenziale disturbatore.Se si votasse oggi, dicono i sondaggi, i 5 Stelle scenderebbero attorno al 10% dei consensi. Se invece sorreggessero il governo anti-italiano al quale stanno affanosamente lavorando, per loro l’estinzione sarebbe garantita. Ma non importa, perché a questo dovevano servire: a disarmare il paese, mantenendolo debole e vulnerabile, dopo aver abilmente finto di raccogliere le migliore istanze degli italiani. Quello infatti era il pericolo: che avesse uno sbocco politico la rabbia di milioni di italiani, esasperati dalla “democratura” finanziaria gestita dall’establishment neoliberista col supporto dei collaborazionisti domestici. Più che servizievoli, i 5 Stelle hanno gareggiato in zelo con le peggiori maschere del vecchio potere italiano ed eurocratico. E ora eccoli – con Matteo Renzi – a progettare un esecutivo con un’unica missione: sabotare Salvini, cioè l’unico politico che mostri (in modo larvale, almeno) una specie di visione del futuro, avendo chiaro che lo status quo – i “signor no” della Commissione che tagliano i viveri all’Italia – può voler dire solo una cosa, e cioè crisi infinita. Gettata la maschera, contro l’Italia ora combattono a viso aperto anche i grillini, disperatamente avvinghiati ai loro seggi parlamentari: capiscono perfettamente che gli elettori, ferocemente traditi, non li perdoneranno mai.Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di pidioti”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.
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Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
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Anche Sanders evoca gli Ufo. Cercano di dirci qualcosa?
Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».“Chi comanda il mondo?”, recitava una canzone dell’italiano Povia. E se un giorno saltasse fuori che a tirare le fila – al di sopra degli arsenali, missilistici e finanziari – c’è qualcuno che proprio terrestre non è? Che figura ci farebbero, i padreterni come Trump, Putin e Xi-Jinping? O meglio: quel giorno si capirebbe “per chi lavorano, davvero”. Fantascienza? Peggio: complottismo da strapazzo. Così almeno strepitano, prontamente, tutti i debunker del globo. Carina, la barzelletta degli alieni: ideale per assolvere comodamente i peggiori politici. Ma appunto, chi comanda il mondo? Non certo i cittadini tramite i governi: si vede che fine fanno, più o meno ovunque, le promesse elettorali (senza contare i paesi – non pochi – dove la democrazia formale neppure esiste). Chi c’è dietro, cioè sopra? Elenco sterminato di poteri forti. Le banche, Wall Street, la Trilaterale, i signorotti che ogni anno concedono passerelle rituali a beneficio dei riflettori, da Davos al Bilderberg. Poi ci sono i decisori veri, il Gruppo dei Trenta, la Ert. Ma il Group of Thirty si occupa di finanza, e la European Roundtable of Industrialists di leggi e agevolazioni strategiche per incrementare i profitti industriali. Chi, allora, lassù?Spiccano ad esempio onnipotenze geopolitiche come la Chatham House, alias Royal Institute of International Affairs, e il suo omologo super-salotto statunitense Cfr, Council on Foreign Relations. Va bene, ma chi stabilisce chi può accedere a quei sommi santuari del potere? Il gotha massonico mondiale, risponde Gioele Magaldi: un’élite di matrice iniziatica, che seleziona accuratamente i suoi adepti. Alcuni dei quali, ha ammesso di recente lo stesso Magaldi, vantano rapporti privilegiati con “entità extraterrestri”. Dall’alto della presidenza del Cun, Centro Ufologico Nazionale, e dei suoi storici rapporti con l’aeronautica, l’italiano Roberto Pinotti afferma: il vero problema, per gli alieni, è trovare adeguati interocultori terrestri. I capi delle superpotenze? Spettacolo sconsolante: sono ancora lì a minacciarsi a vicenda, mentre la Terra sta per implodere a causa dell’inquinamento. Forse, aggiunge Pinotti, gli unici portavoce credibili potrebbero essere i leader religiosi. Davvero? Torna alla mente lo sconcertante racconto di monsignor Loris Capovilla, “cameriere segreto” di Giovanni XXIII. Raccontò alla stampa estera che, nel luglio del 1961, un disco volante atterrò nel parco di Castel Gandolfo. Dall’astronave scese un individuo che si appartò a parlare col pontefice. Una volta decollato, il Papa era in lacrime: «I figli di Dio sono dappertutto», si limitò a dire all’esterrefatto segretario.Di “fratelli dello spazio” parla anche l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, direttore della Specola Vaticana, potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. A “Tv 2000”, padre Funes ha dichiarato che non avrebbe difficoltà a battezzarli, gli eventuali “fratelli dello spazio”. Quante cose sa, padre Funes? Perché si occupa così intensamente di esobiologia, cioè di vita extraterrestre? E perché i gesuiti spendono milioni di dollari per sondare lo spazio, in proprio, “rubando il mestiere” alla Nasa? Stanno cercando di dirci qualcosa di importante? Vogliono prepararci a un evento forse imminente, ormai? Viceversa, non si capisce perché un pezzo da novanta del Vaticano si metta, di punto in bianco, a parlare di marziani. Siamo arrivati alla fine di un lungo “Truman Show” allestito per depistare il pubblico, che non avrebbe retto alla notizia? A domandarselo è un fenomeno editoriale come Mauro Biglino, che entro fine anno debutterà anche come attore nel kolossal “Creators, the past”, con Gerard Dépardieu e William Shatner, il “capitano Kirk” della serie televisiva “Star Trek”. La tesi: siamo stati “fabbricati” dagli alieni, che – da millenni – ci controllano a distanza, tramite i loro fiduciari terrestri.Prima di pubblicare libri di successo (trecentomila le copie vendute solo in Italia, senza contare le versioni per l’estero), Biglino ha tradotto 19 libri dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, destinate agli studenti universitari. Nella sua rilettura strettamente letterale della Bibbia, Biglino sposta il problema di Dio molto più in là di Yahwè: senza mai escludere la possibilità dell’esistenza di una divinità superiore, l’autore dimostra che il protagonista biblico non era onnisciente, né onnipotente, né immortale. Era solo uno dei tanti Elohim, una ventina, presentati nel testo antico coi loro nomi: individui potenti e temuti, molto longevi, tecnologicamente evoluti e dotati di velivoli rumorosi. La loro specialità? Governare popoli, l’un contro l’altro armati. La Bibbia è un libro di guerra, identico ai testi antichi di tanti altri popoli, dalla Mesopotamia all’India. Si narra che la nozione filosofica di spiritualità sia nata coi Veda, ma il ricercatore Enrico Baccarini, giornalista della “Bbc”, smentisce: i libri indiani, antichissimi, non contengono tracce religiose. Sono solo cronache, che narrano le gesta dei Deva, anch’essi potentissimi ma non onnipotenti, estremamente longevi ma non immortali. Chi erano? Gli stessi che i sumeri chiamavano Anunnaki, gli egizi Netheru, i peruviani Viracochas, i greci Theoi, gli irlandesi Túatha Dé Dànann.Ogni popolo della Terra – per iscritto, mediante incisioni nella roccia o tramite racconti orali – ci ha tramandato la memoria dello stesso tipo di incontri, dalla Cina all’Africa, passando per il Medio Oriente, l’America e l’Europa: secondo i nuovi ricercatori come Biglino, la memoria dell’umanità porta impressa nel suo Dna quell’impronta decisiva, che secondo i genetisti odierni (ed esempio Pietro Buffa, del King’s College di Londra) spiegherebbe anche il “salto quantico”, l’anello mancante tra noi e la scimmia. Abbiamo sbagliato tutto, scrisse Alfred Russel Wallace, co-autore con Charles Darwin della teoria evoluzionistica: «Con l’uomo non funziona», disse Wallace all’illustre collega. «Nel nostro caso è evidente l’intervento di un’intelligenza superiore». Venuta da dove? Dalla Terra o dallo spazio? Dalla nostra galassia? Da Orione, come dicono le fonti indiane? Dalle Pleiadi? Per i Veda, l’universo è popolato da non meno di 400.000 specie umanoidi, alcune delle quali comparse anche sulla Terra. Se neppure Darwin l’ha mai trovato, il “missing link” tra noi e lo scimpanzè, i nuovi studiosi – archeologi, paleontologi, fisiologi – sembrano propensi a identificarlo, l’anello mancante, collegando i testi antichi alla fantascienza, così spesso anticipatice di tanta tecnologia poi divenuta d’uso comune. Profezie visionarie o vere e proprie anticipazioni, quelle di “Guerre stellari” e “Star Trek”?Cos’è cambiato, negli ultimi anni, riguardo alle nostre conoscenze in materia? Moltissimo. Gruppi di scienziati, spesso giovani, si stanno concentrando proprio su questo: la possibile coerenza storica delle fonti letterarie antiche, alla luce dei più recenti ritrovamenti. Che si succedono a cascata, a valanga: nel 2014, i geofisici Richard Firestone e James Kennett hanno accertato che la Terra è stata sconvolta in due round, attorno a 12.000 anni fa, da una pioggia di comete. Risultato: tsunami, esplosione di vulcani, buio e gelo, glaciazione, estinzioni di massa, disgelo e “diluvio universale”, con innalzamento degli oceani fino a ridisegnare la geografia dei continenti. Dai bassi fondali dell’Oceano Indiano ora emergono rovine di città sommerse. Le date coincidono: il cantiere archeologico che ha messo a nudo il complesso di Göbekli Tepe, in Turchia (interrato nel 9.500 avanti Cristo) costringe a retrodatare di migliaia di anni l’introduzione dell’agricoltura. E mentre l’egittologia continua a raccontare che le piramidi erano tombe monumentali erette dai faraoni 5.000 anni fa, geologi e climatologi spiegano che hanno almeno 15.000 anni. Fisici di tutto il mondo, intanto, compiono test ogni notte nella piramide di Cheope, scoprendone le doti di stupefacente concentratore energetico capace di provocare l’abbattimento di particelle subatomiche.Sui giornali è circolata la seguente notizia: il sofisticato schema tecnologico della grande piranide di Giza potrebbe ispirare nuove celle fotovoltaiche decisamente avveniristiche e ultra-potenti. Altre piramidi, intanto, sono emerse in Bosnia: immense, a lungo scambiate per colline, e datate 30.000 anni in base al radiocarbonio. Costruite da chi? Lo scopritore, l’antropologo Sam Osmanagich, già in forza all’università di Houston, protesta: l’archeologia ufficiale non le classifica ancora come manufatti, benché siano state costruire con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Sono percorse da chilometri di sotterranei, come quelle egizie, ed emettono un’energia di cui gli studiosi non hanno ancora rilevato l’origine. La storia è interamente da riscrivere, sostiene un pioniere come lo scozzese Graham Hancock: quelli che gli antichi chiamavano dei, dice il professor Graziano Baccolini dell’università di Bologna, erano chiaramente astronauti. L’orizzonte della civiltà, di colpo, sembra allungarsi a dismisura: in Sudafrica, Michael Tellinger ha rilevato le tracce di una vera e propria “metropoli”, a due passi dalle miniere d’oro più antiche del pianeta. Una città imnmensa, che oggi avrebbe addirittura 200.000 anni. Ancora più enigmatica la scoperta della “mappa del creato”, in Russia, sugli Urali: un lastrone che riproduce perfettamente, dall’alto, la geografia russa. Dettaglio: molluschi ora fossili, ma intrappolati ancora vivi fra uno strato e l’altro dell’opera all’epoca della sua misteriosa realizzazione, si estinsero non meno di 120 milioni di anni fa.Informazioni frammentarie e sconcertanti: un po’ troppe, e tutte emerse nel giro di pochi anni. Si affacciano sui media come curiosità esotiche, ma non riescono ancora a essere metabolizzate dal sapere accademico, completamente spiazzato. E’ partita una specie di corsa, affidata a scienziati coraggiosi. Vuoi vedere che la nostra storia è infinitamente più lunga di quella finora tracciata dalla storiografia? E se si accertasse che la nostra vera origine è davvero extraterrestre? Nel libro “L’altra Europa”, l’avvocato vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, parla di un’unica dinastia di potere saldamente al comando da 12.000 anni, dietro al paravento di imperi e Stati. Fonte: l’esoterista francese Maurice Schumann, massone e gollista, tra gli ispiratori dell’Ue. Schumann la chiama “La Struttura”. Dalla Mesopotamia avrebbe conquistato il Mediterraneo, quindi il resto del mondo. Lo stesso Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, che dà credito al greco Filone di Byblos quando cita l’opera del fenicio Sanchuniathon, che nel 1200 avanti Cristo scrive: le divinità vivevano tra noi ed erano prepotenti, la loro mitologia mistica è stata poi costruita a tavolino dai sacerdoti antichi, che hanno velato la verità inventando la categoria del mistero.Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, nel saggio “Il mistero della situazione internazionale” sintetizza: i “poteri oscuri” che dominano il pianeta sono costituiti da due grandi catene di comando, una massonica e l’altra religiosa. In realtà sono “forze dell’ostacolo”, che – scatenando guerre e seminando ingiustizie – costringono l’umanità ad evolversi. La sua è una lettura quasi consolante e spiritualistica, di marca steineriana. Il concetto di spiritualità, però, nella nostra storia – almeno, quella leggibile – è stato introdotto solo in epoca recente, dal platonismo. Prima, c’erano solo “divinità” aliene, in carne e ossa, generose come l’indiano Krishna o spietate come Yahwè e colleghi. Unica eccezione, la teologia mazdea che la tradizione attribuisce a Zoroastro, 1400 avanti Cristo: l’uomo, di origine celeste, “intrappolato” sulla Terra dal perfido Ahriman, principio del male, antagonista del signore della luce Ahura Mazda. Extraterrestri ante litteram? Suggestioni ricorrenti, se ora ci si mettono anche i politici – con un’inistenza francamente sorprendente. Diversi presidenti americani avrebbero promesso, in campagna elettorale, di dire “tutta la verità” sugli Ufo. Nel 2009, Mikhail Gorbaciov ha ricordato che lui e Reagan si promisero reciproco aiuto, nel 1985 a Ginevra, in caso di “invasione aliena”. Scherzavano soltanto?Il 2 luglio 1947, un oggetto volante non identificato – ma in panne, vistosamente infuocato – precipitò a Roswell, in New Mexico. Ai testimoni oculari, le autorità mostrarono giorni dopo un pallone-sonda caduto: non era l’oggetto che avevamo avvistato, dissero i contadini. Il caso venne rapidamente archiviato. Ma nei 12 mesi seguenti, stranamente, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu assediato da innovazioni avioniche, da cui poi si svilupparono rapidamente i moderni jet. Coincidenze? Di extraterrestri si parla sempre più spesso: gli X-Files sbancano sempre il botteghino. Ma perché ora l’argomento finisce in modo insistente nel menù della politica? Nel 2015 ha fatto il giro del mondo la nota del ministero della difesa russo, che annunciava l’attracco di una nave di Mosca nel porto saudita di Gedda. I russi avrebbero imbarcato l’Arca di Gabriele, per poi “tombarla” in Antartide, dopo che la strana cassa d’oro, custodita alla Mecca, avrebbe scatenato una tempesta energetica capace di uccidere migliaia di pellegrini. Vero o falso? I media sauditi attribuirono la strage a una crisi di panico tra la folla, mentre un’équipe di tecnici, nel sottosuolo, avrebbe tentato di raggiungere la misteriosa reliquia, donata a Maometto e gemella di quella affidata da Yahwè a Mosè.Per inciso: l’Arca biblica – alla lettera – era un oggetto pericoloso, da maneggiare con cura, affidato a personale specializzato e debitamente abbigliato. Una sorta di potente generatore energetico. Sta davvero per accadere qualcosa di rivoluzionario? Domani, magari grazie a qualche capo di Stato (o anche solo alla signora Sanders), emergeranno come verità ufficiali gli indizi che i testi antichi sembrano metterci sotto il naso da migliaia di anni? Sarebbe un colpo sensazionale, dopotutto: crollerebbe l’intera costruzione del potere terrestre. Tutti burattini inconsapevoli, manovrati da pochissimi eletti in contatto coi signori della galassia? Un po’ troppo, per la mente umana: inaccettabile, per popolazioni afflitte da grane ordinarie come lo spread, i migranti e le crisi geopolitiche, tra un campionato di calcio e la messa cantata dal religioso di turno, col ditino alzato, impegnato a lanciare severi ammonimenti morali. L’epifania sarebbe un capolavoro comico: salve, vengo da Marte e ho due o tre cose da dirvi, come peraltro i vostri capi già sanno. Tra chi non ride affatto, di fronte all’ipotesi che la fantascienza si decida a venirci finalmente a trovare, c’è proprio l’ufologo Pinotti: storicamente, dice, l’incontro improvviso tra civiltà diversissime comporta la fine, anche traumatica, della società meno avanzata. Della nostra, peraltro, non c’è di che vantarsi. Ma non tutti sono pessimisti, riguardo agli incontri ravvicinati. “Extraterrestre, portami via”, cantava Finardi, quasi fiducioso – già allora, 1978 – in un aiuto dal cielo.Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».
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Uno vale zero: la squallida pochezza dei “traditori” 5 Stelle
«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.Persino la promessa elettorale mantenuta nel vano tentativo di comprarsi una manciata di voti s’è rivelata una mezza truffa: quel reddito di cittadinanza pubblicizzato come “l’abolizione della povertà”, ma in realtà costruito in modo che potessero effettivamente ottenerlo solo meno d’un quinto di coloro ai quali era stato promesso, ricevendo in media solo meno di metà della cifra promessa. La convinzione di potersi comprare a prezzo scontato il voto di chi è povero è quanto di più classista si possa concepire. Infatti ci aveva provato anche il Pd, col micragnoso “reddito d’inclusione”. Intanto, vinte le europee, Salvini ha di fatto gettato la maschera, e la felpa, da “amico del popolo”, per imporre il suo programma solidamente classista: Flat Tax per favorire i contribuenti più ricchi, autonomia differenziata per favorire le regioni più ricche, Grandi Opere per favorire gli speculatori, condoni per favorire gli evasori, e decreti sicurezza per manganellare e incarcerare chiunque dissenta.È questa, da sempre, la sostanza del fascismo leghista. Il resto è clickbait. Perciò l’improvviso “antifascismo” elettorale del socio M5S non è più credibile di quello del Pd, che con la Lega condivide Grandi Opere e Dottrina Minniti su migranti e manganelli. Ogni altra Grande Opera al Nero che il Movimento Zero Stelle controfirmerà, sarà un altro passo verso l’estinzione.(Alessandra Daniele, “Uno vale zero”, da “Carmilla” del 2 giugno 2019).«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.
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Soldi facili, senza debito: arriva la Mmt, lo dice Ray Dalio
Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.Nessuno, tranne il vostro blogger preferito (cioè io) e “Bloomberg”, un giornaletto che pare essere apprezzato oltreoceano da qualche attento lettore di cose economiche. Ecco cosa scrivono: il sistema bancario centrale, come sappiamo, è in via di estinzione, ed è “inevitabile” che qualcosa come la teoria monetaria moderna lo sostituirà, ha detto l’investitore miliardario Ray Dalio. La dottrina, nota come Mmt, afferma che i governi dovrebbero gestire le loro economie attraverso la spesa e le tasse – invece di affidarsi a banche centrali indipendenti per farlo attraverso i tassi di interesse. La Mmt cerca anche di placare i timori sui deficit di bilancio e sui debiti nazionali, sostenendo che paesi come gli Stati Uniti, che hanno una propria valuta, non possono andare in rovina e avere più spazio da spendere di quanto si supponga normalmente – purché l’inflazione sia contenuta, poiché è questo il momento. Il dibattito sulla Mmt, che languiva nell’oscurità da decenni, è esploso negli ultimi mesi. L’idea è stata criticata da una serie di pesi massimi finanziari, da Warren Buffett al presidente della Federal Reserve Jerome Powell. Ma Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, ha detto che i politici non avranno altra scelta che abbracciarlo.La loro sfida sarà «produrre un benessere economico per la maggior parte delle persone quando la politica monetaria non funziona», ha scritto Dalio nel suo ultimo articolo su LinkedIn. Negli ultimi quarant’anni, l’era della dominanza della banca centrale, della disuguaglianza di reddito e di ricchezza è cresciuta nella maggior parte delle nazioni sviluppate. Tagliando i tassi di interesse, o acquistando titoli nel processo noto come allentamento quantitativo (Qe), le banche centrali hanno quasi esaurito la loro capacità di stimolare le economie. Probabilmente saranno rimpiazzati da una politica monetaria di terza generazione, etichettata da Dalio come “Mp3”. Comporterà «il coordinamento della politica fiscale e monetaria» secondo le linee generali suggerite dagli economisti Mmt, ha detto Dalio, anche se non necessariamente seguendo le loro prescrizioni alla lettera. Il cambio verso la Mmt è a buon punto, ha detto Dalio. Con tassi di interesse bloccati vicino allo zero in Europa e in Giappone, e con la probabillità che tornino negli Stati Uniti quando l’economia vacilla, l’acquisizione della politica fiscale è «in linea di massima ciò che sta già accadendo».Gli Stati Uniti hanno aumentato i deficit di bilancio dopo la crisi del 2008, e lo hanno fatto di nuovo sotto il presidente Donald Trump. La risposta al mercato obbligazionario ha sostenuto gli argomenti della Mmt: i rendimenti sul debito pubblico non sono aumentati molto, anche se ce n’è molto di più in giro. Il Giappone lo sta facendo da molto più tempo – eppure dopo due decenni di grandi deficit, può ancora prendere in prestito denaro virtualmente gratis. Dalio ha fornito esempi di come tali politiche potrebbero evolversi. Le banche centrali potrebbero stampare denaro direttamente per finanziare programmi governativi, evitando la necessità di vendere obbligazioni. Potrebbero comprare immobili «che sarebbero idealmente utilizzati per fini socialmente vantaggiosi». Potrebbero anche cancellare i debiti incombenti sull’economia, in una sorta di “giubileo”. Nelle fasi discendenti, potrebbero consegnare denaro direttamente al pubblico, un’idea ampiamente conosciuta come “il denaro dall’elicottero”. Ci sono dei rischi, ha riconosciuto Dalio. Tali politiche metterebbero «il potere di creare e stanziare denaro, credito e spesa» nelle mani dei politici. «È difficile immaginare come verrà costruito il sistema per raggiungere questo obiettivo», ha affermato. «Allo stesso tempo è inevitabile che siamo diretti in questa direzione» (fonte: “Bloomberg”).(Massimo Bordin, “Ray Dalio dice che la Mmt sta arrivando, che ci piaccia o no”, dal blog “Micidial” del 2 maggio 2018).Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Perdo dunque esisto, senza futuro la fiction della Basilicata
“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.A questo è dunque servita l’ultima tornata regionale, a riesumare la memoria: il fiabesco invertebrato, riverniciato di fresco dal tenace carrozziere Zingaretti, un tempo ebbe vita propria almeno sul piano dell’apparenza mediatica, corroborato nei fatti dalla piccola geografia pensinsulare delle poltrone. Non che sia meno grottesca quella del volenteroso neo-presidente insediato a Potenza, l’ex generale della Guardia di Finanza scelto dall’omino della playstation: gli piacerebbe riunire in modo spettacolare, in una convention “made in Sud”, la famigliola dispersa – nonno Silvio e l’enfant terrible Matteo, insieme all’ornamentale Giorgia. Per fare cosa? Ovvio: per ricordare agli affezionati, agli appassionati cultori di storia patria (spazzatura inclusa), che un tempo esistette – regolarmente registrato all’anagrafe politica – anche il leggendario centrodestra, uscito dalle catacombe della Prima Repubblica e riformattato ad Arcore. L’esperimento vide la luce grazie a un prodigioso lifting, spettacolare e meno casereccio di quello del centrosinistra, l’animalone altrettanto tombale nato dalla clonazione di individui a loro volta ibernati, provenienti dalle retrovie delle parrocchie e dalla dirigenza transgenica del partito che aveva lasciato l’Urss, o almeno l’icona del comunismo storico, per transitare armi e bagagli nel peggior avamposto del campo nemico, ma senza dirlo ai propri elettori.Oltre che tra i Sassi di Matera (“perdo, dunque esisto”), il centrosinistra sembra sopravvivere – come venerata reliquia – almeno nello studio televisivo di Fabio Fazio, il conduttore che prima si genuflette di fronte al suo presidente (Macron) e poi celebra il party delle lacrime fondendo i giovanissimi Rami e Adam con i bravi carabinieri che li hanno salvati, nell’hinterland di Milano, dalla follia di un senegalese aspirante kamikaze. Nient’altro da segnalare, in fondo, eccetto il sontuoso video hollywoodiano (“citofonare Al Gore”, ha detto qualcuno) che mostra migliaia di giovanissimi intonare “Bella Ciao” in inglese, per la recita internazionale modellata sull’edificante storiella della piccola fiammiferaia Greta. Il resto è grisaglia: Cottarelli, Mattarella, l’ectoplasma di Tajani. Ce lo chiedeva l’Europa, eccetera. Guai a voi, anime prave: non isperate mai veder lo cielo. L’han ripetuto tutti, in questi anni, dalle divinità di Bankitalia a quelle della Bundesbank e della Bce, che poi in televisione sembrano avatar identici emanati dallo stesso pantheon. Apparizioni eteree, severissimi profeti dell’altrui sventura: qualcosa di amarissimo da somministrare, al volgo timorato, in virtù di misteriche conoscenze superiori, inaccessibili al comune mortale.Spenti i riflettori sull’inutile soap-opera lucana, in scena resta solo lo sceriffo Salvini, in compagnia del sorriso tirato e un po’ cinese di Di Maio. Niente di speciale, diranno i meno indulgenti – ma abbastanza, comunque, per convocare ad Aquisgrana il cast per uno spaghetti-western sul Sacro Romano Impero. Quanto ancora reggerà, il cerotto gialloverde, sulle piaghe di un’Italia deliberatamente retrocessa – con frode – dai numi dell’Olimpo tecno-totalitario? Non avrai altro Elohim all’infuori di me, tuonò la voce dal finto cielo. E così fu, per un buon quarto di secolo. Verità storica cercasi: c’è da riempire un cratere. Non ci sono alternative: un mantra bugiardo, spacciato per metafisico e durato venticinque anni. Il dogma nero, adottato da tutti – liberisti, sindacati, professori, anchorman – ha fatto morti e feriti, e ancora oggi diffonde rabbia e ostilità, innescando livide vendette. Il vero guaio, dicono voci eretiche come quelle di Gianfranco Carpeoro e Mauro Scardovelli, è che votiamo “contro”, ancora e sempre – contro qualcuno, non per qualcosa – senza capire che la nostra è l’animosità dei manzoniani capponi di Renzo, destinati ai fornelli.C’è da riempirlo di parole e idee, il vasto cratere spalancato dal meteorite neoliberale. Impresa estrema, alla portata di astronauti visionari. E il modulo spaziale chiamato Movimento Roosevelt sembra proiettato verso un altrove inafferrabile, in cerca di vita intelligente: a Londra, per esempio, dove il 30 marzo verrà allestita una stazione orbitale chiamata “New Deal per l’Europa”. A bordo saliranno gli economisti Rinaldi e Pisauro, Galloni e Grossi, la cosmonauta Ilaria Bifarini, lo start-upper Danilo Broggi, il fanta-imprenditore Fabio Zoffi. Missione: riempire il cratere, con istruzioni precise su come riacciuffare un futuro non virtuale, nel quale ci sia posto per tutti. E’ il futuro per il quale combatterono, e caddero, gli eroi che sempre il Movimento Roosevelt evocherà a Milano il 3 maggio: Carlo Rosselli e il sogno del socialismo liberale, Olof Palme e il sogno di un’Europa democratica e solidale, Thomas Sankara e il sogno di un’Africa libera e sovrana. Sono fondamentali, i sogni, per fabbricare qualcosa che non sia mediocre, scadente e deludente. “Sognai talmente forte”, cantava De André, “che mi uscì sangue dal naso”. Non si sogna più, oggi, in Italia e in Europa? Qualcuno, si sono detti gli astronauti, deve pur ricominciare a farlo. Perché tutto ciò che abbiamo, che abbiamo avuto, è venuto proprio da lì: dal coraggio dei sogni vissuti ad occhi aperti, che a volte finiscono per contagiare il mondo e liberarlo dal ciarpame che lo opprime. I sognatori questo credono: che un’alternativa ci sia sempre, in fondo al cuore di ognuno di noi, nessuno escluso.(Giorgio Cattaneo, “Perdo dunque esisto, l’inutile fiction preistorica della Basilicata e il viaggio nel futuro col Movimento Roosevelt a Londra, in cerca di vita intelligente”, dal blog del Movimento Roosevelt del 26 marzo 2019).“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.
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Urali, mappa del mondo: chi la incise, 120 milioni d’anni fa?
«Scienziati russi hanno annunciato di aver trovato nella regione degli Urali una grande lastra minerale di origine artificiale che ritengono vecchia di 120 milioni di anni e che riporterebbe una mappa geografica in rilievo della regione». Così il “Corriere della Sera” nell’ormai lontanissimo 2002, raccontando le sconcertanti esternazioni del professor Aleksandr Chuvyrov, della facoltà di chimica dell’Università di Bashkir, nella repubblica russa dei Bashiri. Secondo lo scienziato, la mappa tridimensionale potrebbe essere stata realizzata solo grazie a prospezioni aeree. La lastra «sarebbe solo un frammento di un’enorme mappa di tutta la Terra che, data l’ipotizzata età del manufatto, sconvolgerebbe tutte le conoscenze attuali». Chuvyrov non vuole suggerire un’origine extraterrestre, osserva il “Corriere”, ma definisce «inspiegabile» la mappa. La lastra, alta 148 centimetri e larga 106, è spessa 16 centimetri e pesa una tonnellata e mezza. E’ formata da tre strati sovrapposti di dolomite, diopside e porcellana. È stata rinvenuta nella località di Chandar, negli Urali, già nel 1999 – ma la notizia è trapelata solo tre anni dopo. Secondo il professor Chuvyrov, il manufatto riporta la identificabile geografia antica della regione, più quelle che appaiono come opere di ingegneria con sistemi di canali e dighe. Vi sono inoltre iscrizioni in una lingua geroglifico-sillabica di origine sconosciuta.All’inizio, scrive sempre il “Corriere”, gli scenziati russi ritenevano che potesse risalire ad alcune migliaia di anni fa, ma poi sono state ritrovate incastrate negli strati conchiglie fossili che risalgono a un tempo remotissimo: fra i 50 e i 120 milioni di anni fa. «L’età sarebbe confermata anche dalla configurazione dei fiumi e dei canyon come sarebbero stati decine di milioni di anni fa». Sempre secondo i russi, la “mappa” non potrebbe essere stata realizzata a mano, ma verosimilmente «con strumenti di alta precisione e grazie a prospezioni aeree». Dal 2002, a quanto pare, del caso si è cercato di non parlare più: troppo imbarazzante, per l’ambiente accademico mondiale? «Mentre il mondo scientifico si apprestava a voltare immediatamente pagina, dimenticando l’accaduto, una nuvola di polvere sempre più fitta s’addensava sulla rete Internet», scrivono – sette anni dopo – Alessandro Moriccioni e Andrea Somma sul blog “Terra Incognita”. «La guerra tra scettici e credenti non ha portato ovviamente a nulla, se non ad un ispessimento dell’enigmatica vicenda». Tuttavia, lo stranissimo ritrovamento «ha posto leciti interrogativi circa le affermazioni del professore russo». “Mappa del creatore, una bufala mondiale”, si affrettò a concludere Silvio Sosio dalle pagine di “Corriere.fantascienza.com”, attaccando scienziati in errore e giornalisti creduloni.Domande comprensibili, ammettono Moriccioni e Somma: perché un professore universitario come Chuvyrov, seppure laureato in chimica, ha commesso un errore madornale affermando che l’uomo di Neanderthal comparve sulla Terra 75.000 anni fa, quando gli stessi archeologi – dubbiosi per convenzione – stimano un’età di 300.000 anni ai fossili più antichi? E ancora: come può Chuvyrov riconoscere tra le pieghe di una lastra di pietra «zone della Russia che certamente 120 milioni di anni fa erano completamente diverse da come appaiono oggi?». Ad ogni modo, obietta “Terra Incognita” nel 2009, lo scettico Sosio «non fornisce alcuna risposta». Gli scienziati russi «sono ormai convinti che la lastra di Chandar sia solo uno dei 348 frammenti che dovrebbero comporre una mappa dell’intero pianeta». Ne consegue che la mappa completa «avrebbe delle dimensioni di circa 340×340 metri». Perché il “creatore” avrebbe utilizzato la nanotecnologia e la sua scienza sconosciuta e avanzatissima per realizzare un’opera di dimensioni mastodontiche e certamente poco funzionale? Perché fabbricare una lastra formata da tre strati eccezionalmente duri e pesanti semplicemente per descrivere la geologia di una zona? Anche ammesso che tutto questo sia possibile – conclude “Terra Incognita” – a che scopo fu realizzata questa enorme carta geografica?«Gli studi di Chuvyrov – rilevano Moriccioni e Somma – hanno messo in luce l’accuratezza dei rilievi geografici rappresentati, senza però fornire una spiegazione sull’utilità dell’avere una mappa, un tempo integra, di tali dimensioni. Ma chi potrebbe mai utilizzare un simile manufatto?». In ogni caso, riassume “Terra Incognita”, la scoperta degli Urali «ha messo in seria difficoltà l’intera concezione storica umana, riproponendo alla scienza quegli spettri del passato ai quali ha sempre cercato di sottrarsi». La stranissima lastra «sarebbe la prova incontestabile dell’esistenza di una civiltà venuta molto prima e scomparsa d’improvviso». Se questa dichiarazione fosse confermata «straccerebbe ogni umana certezza riguardo ciò che è stato nel passato». Secondo una leggenda del luogo, un numero imprecisato di lastre – raffiguranti grandi zone della Terra – dovevano trovarsi nel piccolo paese ai piedi dei monti Urali. Quella rinvenuta nel luglio del 1999 è emersa scavando sotto il pavimento del porticato della casa di un ex funzionario dell’amministrazione locale. L’obiettivo iniziale degli archeologi russi? Provare una migrazione cinese verso le zone della Siberia e degli Urali. Per questo, pensarono che le indecifrabili iscrizioni scolpite sulla lastra fossero un antico idioma di origine cinese.In passato, infatti – ricorda “Terra Incognita” – in molte zone della Siberia e della Russia sono state in passato rinvenute steli incise in un’antica lingua del Catai, come documentato nel libro di Gavin Menzies “1421: la Cina scopre l’America”. Ma la tesi non ha retto per molto, poiché nessuno degli esperti è riuscito a leggere quei segni. «Si pensa attualmente che si tratti di un linguaggio geroglifico-sillabico di origine sconosciuta». Negli archivi del governo della città di Ufa sono presenti documenti che riportano il ritrovamento, avvenuto nel diciottesimo secolo, di numerose lastre di pietra di aspetto curioso. «Fino al 1998 Chuvyrov era convinto che si trattasse appunto solo di una leggenda», aggiunge “Terra Incognita”, ma poi nel 1999 una lastra venne segnalata a Chuvyrov dall’ex funzionario statale di Chandar. La lastra, pesantissima, venne estratta con la massima cautela e venne ripulita dal terriccio. Gli scienziati poterono a questo punto esaminare il reperto e riconobbero la morfologia della Bashkiria. Chuvyrov afferma che nell’arco di milioni di anni la geografia della zona rappresentata non è poi cambiata molto; infatti gli studiosi russi e cinesi al seguito di Chuvyrov stabilirono che la mappa descriveva i fiumi Belya, Ufimka e Sutolka, oltre a diversi canyon dei monti Urali.Tra i segni sconosciuti incisi sulla pietra, di chiara origine artificiale, il professore russo è convinto di averne decifrato uno: a parer suo, indicherebbe la latitudine dell’attuale città di Ufa. Gli studiosi hanno stabilito l’età della lastra prima attraverso l’analisi al radiocarbonio degli strati, quindi per mezzo di due molluschi rinvenuti all’interno dello strato di porcellana con lo scopo di segnalare due punti precisi. Questi molluschi, noti alla scienza come “Navicopsina munitus” e “Ecculiomphalus princeps”, risultano estinti (rispettivamente 500 e 120 milioni di anni fa). «Si è diffusa la convinzione che la lastra sia stata realizzata quando il polo magnetico del globo terrestre si trovava presso la zona della Terra di Francesco Giuseppe nel Mare di Barents». E’ a questo punto che Chuvyrov, grazie al suo sodalizio con una scienziata cinese, ha abbandonato definitivamente l’idea di una possibile origine storico-cinese della mappa. «Ci siamo stupiti incredibilmente, quando abbiamo tirato su questa lastra e abbiamo visto che era praticamente un’iscrizione», ha dichiarato Aleksandr Chuvyrov alla trasmissione “Stargate, linea di confine”: «Era una mappa in tre dimensioni che raffigurava una parte della superficie terrestre».Trasferito il manufatto a Ufa, capoluogo regionale, il professore ha costituito un team di specialisti: geologi e geografi, cartografi, filologi, fisici, matematici ed esperti di merci e tecnologia dei materiali. «Da una prima analisi – ha detto Chuvyrov – abbiamo scoperto che questa pietra contiene delle informazioni cartografiche relative alla parte meridionale della catena dei monti Urali». Una mappa “tridimensionale”, dove «sono indicate tutte le montagne e tutti i fiumi nell’aspetto reale che hanno, secondo le misure riportate in scala 1 a 1,1», vale a dire: ogni centimetro equivale a un chilometro e cento metri. Colpisce anche la stratificazione della lastra: prima la dolomite, poi la diopsite e infine la copertura di porcellana, eseguita «dopo che era stato fatto il rilievo, cioè dopo che erano stati fatti i tagli sulla pietra». Lo scienziato russo fa notare che lo strato di diopside è stato fatto «utilizzando la nanotecnologia», data la durezza di quel materiale. Sulla “mappa”, gli studiosi hanno rilevato 12.000 chilometri di canali, larghi 500 metri e profondi 300. «Oggi come oggi – ha ammesso Chuvyrov – non possiamo immaginare con esattezza chi possa aver fatto questo lavoro». La lastra resta l’unica finora rinvenuta, ed è anche l’unico oggetto di quel genere di cui si abbia conoscenza: non ci sono reperti analoghi, al mondo.Analizzando a fondo la porcellana, i russi si sono resi conto che si tratta di «un tipo di porcellana sconosciuto», la cui origine è oscura quanto quella delle misteriose iscrizioni che presenta. «Abbiamo notato che nella parte sinistra della carta c’è un modello del sistema solare, e da questo dettaglio – ha aggiunto il professore – possiamo cercare di determinare la data più bassa di quando hanno fatto questa mappa. Possiamo dire perlomeno che la mappa è stata realizzata più di 13.000 anni fa». I dati indiretti, paleontologici – i fossili dei molluschi – costringono invece a retrodatare la lastra di qualcosa come 120 milioni di anni. Ma le conchiglie non potevano essere già presenti sulla lastra all’epoca in cui il misterioso autore della “mappa” la usò per inciderla? Ipotesi esclusa: «Un’analisi molto attenta di questi molluschi ci ha dimostrato che sono stati murati nella mappa quando erano ancora vivi», ha chiarito Chuvyrov. «Per cui, in base a questo dato, possiamo dire qual è l’età della carta». Perfetto: il mistero è servito. Con la conseuta superficialità, i “debunker” del Cicap si erano affrettati a definire “bufala mondiale” la scoperta di Chuvyrov, appigliandosi esclusivamente all’errore (qui irrivelante) sulla datazione del Neanderthal. Lungi, quindi, dal rispondere all’unica domanda che conti, tuttora senza risposta. Ovvero: chi può aver istoriato quella lastra, usando una lingua sconosciuta, 120 milioni di anni fa?«Scienziati russi hanno annunciato di aver trovato nella regione degli Urali una grande lastra minerale di origine artificiale che ritengono vecchia di 120 milioni di anni e che riporterebbe una mappa geografica in rilievo della regione». Così il “Corriere della Sera” nell’ormai lontanissimo 2002, raccontando le sconcertanti esternazioni del professor Aleksandr Chuvyrov, della facoltà di chimica dell’Università di Bashkir, nella repubblica russa dei Bashiri. Secondo lo scienziato, la mappa tridimensionale potrebbe essere stata realizzata solo grazie a prospezioni aeree. La lastra «sarebbe solo un frammento di un’enorme mappa di tutta la Terra che, data l’ipotizzata età del manufatto, sconvolgerebbe tutte le conoscenze attuali». Chuvyrov non vuole suggerire un’origine extraterrestre, osserva il “Corriere”, ma definisce «inspiegabile» la mappa. La lastra, alta 148 centimetri e larga 106, è spessa 16 centimetri e pesa una tonnellata e mezza. E’ formata da tre strati sovrapposti di dolomite, diopside e porcellana. È stata rinvenuta nella località di Chandar, negli Urali, già nel 1999 – ma la notizia è trapelata solo tre anni dopo. Secondo il professor Chuvyrov, il manufatto riporta la identificabile geografia antica della regione, più quelle che appaiono come opere di ingegneria con sistemi di canali e dighe. Vi sono inoltre iscrizioni in una lingua geroglifico-sillabica di origine sconosciuta.
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Nessuno può sperare di fermare il cambiamento climatico
Il dibattito sulla questione ambientale negli ultimi anni va sempre più focalizzandosi sui pericoli del cambiamento climatico e finalmente anche l’informazione alternativa comincia ad approfondire l’argomento. In questo contesto, però, c’è una sorta di pregiudizio che rende sterile la discussione. Siccome la controinformazione su Internet è nata e ha tratto la sua forza dal mettere in dubbio le versioni ufficiali di eventi storici come l’11 Settembre e lo sbarco sulla Luna, c’è la tendenza a diffidare a priori di qualsiasi notizia proveniente dai media di regime. Quello che viene definito complottismo ha il merito di mettere sulla graticola la narrazione ufficiale del potere, ma spesso scade in polemiche senza capo né coda; e non solo su argomenti che sfiorano la paranoia come scie chimiche, armi psicotroniche o maremoti artificiali. Io non posso essere matematicamente certo che sia in atto un cambiamento climatico con o senza aumento della temperatura, perché i dati scientifici a cui posso accedere provengono da istituzioni governative quali la Nasa, il Noaa o l’Iccp. Grandi istituzioni su cui io, povero diavolo qualunque, non ho alcun controllo. Mi devo fidare. Tuttavia, dopo che l’ente spaziale americano, molto probabilmente, ci ha rifilato uno finto sbarco sulla Luna, prendere per veritiere le sue dichiarazioni diventa problematico.Le cospirazioni esistono e so che anche i paranoici hanno nemici. Di conseguenza non posso escludere che anche in questo frangente ci sia un secondo fine con lo scopo di inchiappettare l’umanità per l’ennesima volta. Il mio stesso subconscio cospira costantemente contro di me, mi sabota, e io inciampo e non ho certezza alcuna. Questa è l’epoca in cui viviamo, la realtà si è frammentata in miriadi di cocci impalpabili, ma ancora ci sono cercatori di Verità che spesso hanno seguaci pugnaci. Terrapiattisti ed altri poveracci impauriti sono sintomo di un reale vanificarsi di ogni punto di riferimento per interpretare l’esistente. Si è costretti a dubitare di tutto. Insomma, non mi sorprenderei se scoprissi di essere di fronte ad un ulteriore frode planetaria. E questo sarebbe un atteggiamento tutto sommato salutare, se non si rischiasse di essere vittime di quegli stessi interessi che controllano i media di regime, ma che non possiamo essere sicuri che non siano anche dietro molte fonti alternative. In questo caso, però, la versione ufficiale, apparentemente sostenuta da una percentuale altissima di specialisti del settore, è parecchio sensata: l’attività dell’uomo sta sconvolgendo in tempi rapidissimi tutta la biosfera e di conseguenza anche il clima. Ciò sta avendo ed avrà sempre più conseguenze catastrofiche. Tutto qui, ed è incredibilmente ragionevole.Eppure lo scetticismo, giustificatissimo, nei confronti della narrazione del potere dominante ha fatto sì che questo fatto lapalissiano e preoccupante fosse annacquato da mille dubbi inconsistenti. L’aumento di CO₂ determina un aumento di temperatura? Non lo so, non sono uno scienziato. Ma so che la CO₂ fa crescere le piante. Non c’è nessun aumento della temperatura, quelli dell’Iccp si sono inventati tutto. L’aumento della temperatura c’è, ma è dovuto alle macchie solari e l’attività umana non c’entra niente… non sono uno scienziato, ma ne sono convinto. Basta un Trump infinocchiante qualsiasi, eroe proletario che si batte contro le menzogne dei potenti, per finire a fare il gioco proprio di quei poteri che la controcultura dovrebbe smascherare. Continuiamo così, il ciclo produzione-consumo è salvo e siamo tutti più sollevati. Ci siamo ben resi conto che smantellare il sistema è abbondantemente al di sopra delle nostre possibilità. In realtà, dare la colpa ad impalpabili poteri occulti, sedicenti illuminati e cupole segrete, fa molto comodo. È pieno di zombie di nome Giovanni e Giuseppe che non rinuncerebbero mai alla loro auto per raggiungere il tabacchino all’angolo. Ma anche questo è irrilevante.Ammettiamolo, per quante prove si trovino in favore di una tesi, su Internet se ne possono trovare alrettante in favore della tesi opposta. Comprensibile in politica, se parliamo di scienza un po’ meno. Eppure ci sono indizi che, pur non essendo forse scientificamente validi, in quanto basati su percezioni limitate e soggettive, mi inducono ad essere scettico piuttosto nei confronti di chi nega il cambiamento climatico di origine antropica. Per esempio, i miei genitori mi dicevano che decenni fa il clima era più stabile, nel senso che si sapeva che a fine agosto, dopo la festa del santo patrono arrivavano i temporali che segnavano la fine dell’afa. E accadeva ogni anno immancabilmente. Nelle rare eccezioni, bastava mettere una sarda salata in bocca a sant’Oronzo e quello per la sete faceva piovere. Semplice. Ora i nuvoloni arrivano, ma non è detto che piova. Del resto, la vita di quelle popolazioni contadine dipendeva da quelle piogge, noi ne possiamo fare tranquillamente a meno. Forse è per questo che cominciano a disertarci.Magari la pioggia si presenta con un bel po’ di ritardo e ne cade un ettolitro per centimetro quadrato. Si dice addirittura che uno scienziato pazzo in vena di conquistare il mondo stia usando una macchina di sua invenzione per controllare il tempo a dispetto di Occam e del suo rasoio. La neve era un’altra visitatrice abituale. Pare che ogni inverno ne cadesse tanta e gli anni senza erano piuttosto sporadici, ma già quando io ero piccolo era il contrario. L’inverno con la neve era un’eccezione. Me lo ricordo bene perché appena vedevamo qualche fiocco decidevamo che non si poteva andare a scuola, ma era perfettamente praticabile la strada per andare a scivolare dalle colline con le buste di plastica sotto il sedere. Inoltre, in tutti i miei viaggi ho notato effetti sull’ambiente, evidentemente frutto di manomissioni umane. In Tanzania, la mia prima volta fuori dall’Europa, scalai la vetta del Kilimangiaro insieme ad altre centinaia di turisti e vidi che il ghiacciaio rimane ormai solo sulla porzione più alta della cresta del vulcano. Pare che in cento anni sia regredito dell’85%. Uno scioglimento un po’ troppo veloce per essere dovuto ai normali cicli cosmici.Il fenomeno non è direttamente attribuibile all’aumento della temperatura globale o locale, ma piuttosto alla deforestazione alla base della montagna che ha causato una diminuzione della traspirazione e quindi del vapore acqueo che poi si trasformava in precipitazioni nevose. Quella volta capii che scalare montagne, soprattutto se in compagnia di una mandria di occidentali in cerca d’avventura Alpitur, non faceva per me, quindi non ho informazioni di prima mano su altri ghiacciai in altre zone del pianeta, ma pare che lo stesso stia accadendo un po’ ovunque. Qualche anno dopo mi trovavo ancora in Africa ma dall’altro lato e i locali mi raccontarono che il mare in pochi anni aveva mangiato una quindicina di metri di spiaggia. Non posso essere certo della causa, ma consiglio di non fare mai un bagno nell’Oceano Atlantico al largo delle coste dell’Africa Occidentale. Ci buttano di tutto. Per quanto riguarda il livello del mare, anche dalle mie parti qualche spiaggia si è ristretta misteriosamente negli ultimi anni, ufficialmente a causa di una non meglio specificata ‘erosione’. Ma io non sono uno scienziato.In Giappone visitai una spiaggia nei pressi di Suzuka, dove fanno il moto-Gp, un paio d’anni dopo lo tsunami e il disastro di Fukushima. Una vista apocalittica. Questo non c’entra niente col cambiamento climatico. Era giusto per dire. Quest’anno mi trovavo in Amazzonia e, per il secondo anno consecutivo, a quanto mi è stato riferito, il periodo delle piogge e la relativa piena dei fiumi stagionale, che per quelle popolazioni segna l’arrivo dell’inverno, è arrivata con due mesi di ritardo. Al momento mi trovo in Svizzera per la prima volta. Mi sono sentito un po’ come Totò e Peppino che arrivano a Milano incappottati aspettandosi un tempaccio artico, invece è stato un ottobre fenomenale che, a sentire chi vive qui da molti anni, non si era mai visto. Ma un ottobre eccezionale non sarà di certo la fine del mondo. Con tutto questo bighellonare in lungo e in largo per il pianeta avrò contribuito in maniera sostanziale al casino climatico-ambientale. Non lo nego. Merito la lapidazione. Chi non ha peccato inizi pure. Ma non c’è da avere sensi di colpa. Non è proprio colpa di nessuno. Non c’è colpa. Faccio un esempio: 49 milioni di anni fa, millennio più millennio meno, accadde ciò che gli scienziati chiamano The Azolla Event. Nel mezzo dell’eocene, l’oceano artico aveva temperature ed ecosistemi tropicali. Una serie di condizioni idriche e geologiche favorirono la crescita esplosiva di una felce chiamata appunto azolla. Per circa 800.000 anni questa pianta prosperò su 4 milioni di km² sequestrando l’80% della CO₂ dall’atmosfera sul fondo anaerobico del mare, dove si trova tuttora sedimentata in uno strato geologico esteso lungo tutto il bacino artico.La concentrazione di CO₂ nell’atmosfera passò da 3.500 ppm a 650 ppm. La temperatura si abbassò da 13°C agli attuali -9. Forse per la prima volta nella storia della Terra ci fu una calotta di ghiaccio al polo nord. Ehi, questa è l’ipotesi di un gruppo di scienziati olandesi dell’università di Utrecht che potrebbero benissimo far parte del complotto. Tra l’altro, tutto ciò ha implicazioni geopolitiche, perché proprio in questi depositi organici può essersi formato il gas e il petrolio che le superpotenze si contendono, ora che quei luoghi diventano accessibili. E quegli scienziati magari lavorano per la Shell. Che mondo… Prendo per vera l’ipotesi solo per esplicitare un concetto: l’azolla ha sconvolto il suo stesso habitat in accordo con la natura o contro la natura? Per inciso, l’azolla non si è estinta, continua a prosperare a latitudini più basse. Ovviamente, l’episodio fu un evento del ciclo della natura. Si crearono le condizioni per una crescita eccezionale dell’azolla, la quale scatenò un cambiamento climatico epocale. Niente di innaturale in tutto ciò. L’azolla ha solo svolto la sua parte. Perché invece quelle stesse dinamiche sono innaturali se protagonista è l’uomo?Dall’inizio dell’era industriale la CO₂ nell’atmosfera è aumentata di quasi il 40%. Questo ha prodotto cambiamenti a livello climatico? Non lo so, ma probabilmente sì, non me ne stupirei. L’era geologica in cui viviamo si chiama antropocene. Cioè, la nostra specie altera l’ambiente così profondamente da caratterizzarne l’epoca a livello geologico. Oltre a riprocessare l’atmosfera, abbiamo alterato il corso dei fiumi, spianato colline e sventrato montagne, stravolto gli ecosistemi di interi continenti, alterato la radioattività di fondo, saturato lo spazio di elettrosmog. E volete che tutto questo non abbia alterato il clima? E perché, di grazia? Perché quel signore onnipotente che abita in cielo ha detto che potevamo fare il cazzo che ci pareva in eterno, tanto il clima l’avrebbe tenuto costante lui, perché gli siamo simpatici e proteggerà sempre e comunque il divino ordine capitalista? Si dice che il battito di una farfalla in Cina possa far scoreggiare un alieno insettoide in una dimensione parallela, figuriamoci se la superloffa della specie umana non sia capace di modificare il clima del pianeta. Quindi abbiamo fatto una cazzata immane? Probabilmente sì, ma non avevamo scelta.Non siamo diversi dall’azolla, proprio perché non ci abbiamo pensato due volte a cacciarci in questo guaio e non abbiamo la più pallida idea di come uscirne. Perché non ne siamo responsabili. Agiamo secondo le direttive della natura di cui non siamo consci per permettere alla terra di iniziare un nuovo ciclo di vita. Giovanni che prende la macchina per andare a comprare le sigarette contribuisce a cuor leggero. È questa la nostra hubris: illuderci di essere al di fuori ed al di sopra dei cicli naturali ed addirittura capaci di alterarli. Non è così, noi facciamo parte di questo scorrevole tutto e non possiamo che recitare la nostra minuscola comparsata in uno spettacolo i cui atti durano milioni di anni. Non possiamo fare proprio nulla. Secondo gli scienziati più pessimisti, come per esempio Guy McPherson e i suoi “abrupt climate change” e “near term extinction”, anche se fermassimo tutte le attività umane domani, la temperatura schizzerebbe alle stelle; infatti, oltre ad immettere gas serra nell’atmosfera che inducono un riscaldamento nel lungo termine, immettiamo anche particolato (non so se si riferisca anche alle scie chimiche), che fermando i raggi solari ne blocca l’effetto nel breve periodo. Se ci fermassimo, questo particolato cadrebbe al suolo e la schermatura che fornisce verrebbe meno, facendo salire la temperatura oltremodo.Per altro, fermare tutto l’ambaradan dall’oggi al domani è irrealizzabile, non solo praticamente, ma perché il caos sociale che ne deriverebbe sarebbe assolutamente distruttivo e quindi controproducente. McPherson prevede il collasso entro dieci anni. Hai voglia a proporre soluzioni innovative e trabiccoli succhiacarbonio con scappellamento triplo carpiato. Ormai da anni non mi occupo più di iperborei, rettiliani e altri argomenti à la Martin Mystère, ma ricordo di aver letto su un loro testo che i Rosacroce credono che nella storia della Terra si siano succedute sei civiltà evolute con esseri intelligenti più o meno simili a noi, ognuna sviluppatasi dopo la catastrofe che segnò la fine della precedente. Secondo loro siamo vicini all’avvento della settima razza e di conseguenza alla fine della sesta, cioè noi. C’è qualcosa di simile nella scienza ufficiale che ci dice che ci sono state cinque estinzioni di massa sul pianeta, e stiamo avvicinandoci con estrema velocità alla sesta. Mio padre, classe ’24, diceva che rispetto a quando era piccolo lui c’era stato un crollo impressionante nel numero degli animali che abitavano il paese e le campagne.Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Del resto nemmeno di ciò che sia successo nel passato possiamo essere tanto certi e molti di noi vagano in un presente ovattato. Non si può sapere se gli allarmisti abbiano edificato un castello di falsità per poter un giorno lucrare sullo scambio di quote di emissioni o se invece dobbiamo credere a quell’amico del popolo di Trump, che non è amico dei petrolieri, ci mancherebbe, che ci assicura che tutto va a meraviglia. Una cosa però a me sembra certa. Se non fosse ormai troppo tardi, ci sarebbe un solo obbiettivo da perseguire: dovremmo smettere di ritenerci nel bene o nel male al di fuori della natura. Per secoli è stato il nostro sogno proibito, perché la natura ci dava sostentamento, ma allo stesso tempo portava carestie, epidemie e tutto doveva essere ottenuto col sudore della fronte. Come sarebbe stato bello finalmente dominarla, la natura, anzi meglio, semplicemente tirarsene fuori. Non dover sottostare alle stagioni, alle piogge e alle siccità, alla grandine che poteva distruggere un anno di lavoro in un pomeriggio, alle cavallette, alla peste bubbonica. Anche a costo poi di dover vivere col senso di colpa e la paura che la natura si vendicasse. Abbiamo creduto di riuscirci. Ma non è possibile. Ci siamo dentro, nel bene e nel male, e non c’è via d’uscita. Parafrasando l’esimio Bill Clinton: it’s nature, stupid!(“Il cambiamento climatico è del tutto naturale”, post pubblicato da “Amago” su “Come Don Chisciotte” il 9 dicembre 2018).Il dibattito sulla questione ambientale negli ultimi anni va sempre più focalizzandosi sui pericoli del cambiamento climatico e finalmente anche l’informazione alternativa comincia ad approfondire l’argomento. In questo contesto, però, c’è una sorta di pregiudizio che rende sterile la discussione. Siccome la controinformazione su Internet è nata e ha tratto la sua forza dal mettere in dubbio le versioni ufficiali di eventi storici come l’11 Settembre e lo sbarco sulla Luna, c’è la tendenza a diffidare a priori di qualsiasi notizia proveniente dai media di regime. Quello che viene definito complottismo ha il merito di mettere sulla graticola la narrazione ufficiale del potere, ma spesso scade in polemiche senza capo né coda; e non solo su argomenti che sfiorano la paranoia come scie chimiche, armi psicotroniche o maremoti artificiali. Io non posso essere matematicamente certo che sia in atto un cambiamento climatico con o senza aumento della temperatura, perché i dati scientifici a cui posso accedere provengono da istituzioni governative quali la Nasa, il Noaa o l’Iccp. Grandi istituzioni su cui io, povero diavolo qualunque, non ho alcun controllo. Mi devo fidare. Tuttavia, dopo che l’ente spaziale americano, molto probabilmente, ci ha rifilato uno finto sbarco sulla Luna, prendere per veritiere le sue dichiarazioni diventa problematico.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Magaldi: Pd senza idee progressiste, non lo salverà Minniti
Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.Come si può pensare che Marco Minniti possa rappresentare una novità? L’ex ministro, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è stato un colonnello di D’Alema quando “baffino” era in auge, quindi «ha vissuto una stagione dalemiana di ferro» (era soprannominato Lothar, richiamando la coppia con Mandrake). Poi si è riciclato nel renzismo, «tanto che oggi diversi dirigenti del Pd dipingono la sua come una candidatura filo-renziana e anti-zingarettiana, anche se Minniti assicura che così non è». Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo, «nell’agone di questo momento difficile e crepuscolare del Pd». Gli uomini sono sempre gli stessi e le donne restano in minoranza: i media mainstream concedono solo minuscole finestre alle pochissime voci dissonanti come quella della Tarasconi («magari ce ne fossero altre, in grado di parlare un linguaggio così diretto»). Ma non è questione di uomini o donne, insiste Magaldi: il problema è l’assenza di idee. «Non si assiste a un reale rinnovamento ideologico». Ovvero: qual è l’identità del Pd? Qual è la proposta politica dei candidati?». Cosa distingue, davvero, Zingaretti da Minniti? «Di cosa si fanno promotori? Qual è la loro idea di governo della cosa pubblica? A me pare che la grande assenza sia quella delle idee», sottolinea Magaldi: «Manca un ripensamento approfondito di una prospettiva democratica».Per il presidente del Movimento Roosevelt «assistiamo a uno stranissimo paradosso: il Pd renziano ha voluto entrare nel partito socialista europeo, ma poi non si è fatto carico di elaborare, nel XXI secolo, una proposta democratica e liberale di tipo socialista». Nel Pd non c’è più nulla, di quella tradizione. «La verità è che nel mondo politico europeo e occidentale c’è stata ormai da decenni una chiara subalternità all’unico modello politico-economico, quello neoliberista (sul piano strettamente economico) e neo-aristocratico (sul piano politico)». Da qui, infatti, la denuncia della Tarasconi, che rinfaccia al partito di essere agli ordini dell’élite. Non è il solo, peraltro: in questi decenni, ricorda Magaldi, «abbiamo assistito a due versioni di un unico paradigma: quella incarnata dal cosiddetto centrodestra e quella interpretata dal sedicente centrosinistra». Diversi gli attori, ma identico il copione. «Recuperare una tradizione socialista – aggiunge Magaldi – significa richiamarsi ai personaggi che ad esempio il Movimento Roosevelt ha iniziato a ripresentare alla coscienza pubblica: Carlo Rosselli, Olof Palme, Thomas Sankara e altri come loro, da Roosevelt a John Rawls, che sono le uniche possibili bussole per recuperare una tradizione autenticamente socialista, in senso liberale e democratico».Rialzare la testa, tornare a inquadrare l’orizzonte? Impossibile, a quanto pare: «Fa un po’ tristezza osservare come, invece di guardare a quei modelli, il dibattito politico all’interno del Pd si riduca alla contrapposizione tra piccoli leader». Non ci si rende conto che «questo volare basso, questa assenza di riferimenti» è fatale, per un partito che si candidi a rappresentare un’alternativa al governo gialloverde. E a proposito di riferimenti ideali: «Ricordo che la confusione ha regnato sovrana per anni, nel Pd, quando un Boccia poteva proporre Friedrich von Hayek come punto di riferimento del nuovo centrosinistra». Von Hayek, ovvero uno dei padri del neoliberismo, insieme a Milton Friedman: il vero ispiratore della destra economica, «incardinato in una visione neo-aristocratica». Lo stesso von Hayek si definiva “un old whig”, un vecchio ultra-conservatore, «facendo riferimento a Edmund Burke, fiero avversatore della Rivoluzione Francese». E in mezzo a tanta povertà politica, cosa potrà mai fare l’ex braccio destro del D’Alema convertito al neoliberismo, l’uomo che si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank realizzando il record europeo delle privatizzazioni?«Non credo affatto che Minniti possa essere una novità, è un personaggio che già ha vissuto tante vite», ribadisce Magaldi. «Certo – aggiunge – non è l’unico a non avere “idee chiare e distinte”, in senso cartesiano, da offrire alla platea della pubblica opinione: se gli elettori del Pd non avvertono il problema di chiedere alla propria dirigenza una chiarezza metodologica sulla prospettiva politica, è chiaro che i dirigenti non la daranno». Ultimamente, peraltro, è pur vero che «i simpatizzanti questa richiesta l’hanno fatta, molti facendo mancare il loro voto al Pd, la cui base elettorale si è ristretta». Altri – come Katia Tarasconi – stanno davvero cercando di alimentare un cambio di passo reale, benché siano «silenziati dai grandi media, preoccupati di offrirci il solito pastone in cui ci domanda se Renzi farà un nuovo partito e se Martina resterà in corsa: tutti discorsi inessenziali per il futuro dell’Italia e dell’Europa». Tradotto: riguardo al ruolo del nostro paese nell’Ue, «non è di nessun interesse capire qual è il ruolo di questo o di quello, nella filiera delle poltrone da occupare». Molto più importante, dice Magaldi, è capire «dove vorranno condurre l’Italia ed eventualmente l’Europa i nuovi dirigenti del Pd, quelli che insieme al nuovo segretario che dovesse essere eletto avranno una enorme responsabilità: ridare un senso al Pd o affossare definitivamente quell’esperienza politica, perché le cose che perdono di senso poi si logorano e muoiono per consunzione».Molta della visibilità mediatica di Minniti deriva dalla compostezza con la quale, da ministro, si dice che Minniti abbia gestito il problema migranti (oggi addirittura rivendica una sorta di imprimatur sulla spigolosa fermezza esibita da Salvini). Anche su questo fronte, però, secondo Magaldi siamo fuori strada: «Respingere senza prospettiva e come accogliere senza prospettiva». Doppia miopia, identica: «E’ ormai noto a tutti che proprio l’Africa, ricchissima di risorse ma mantenuta artificiosamente in stato di povertà, è il convitato di pietra del terzo millennio: lo dimostra l’enorme interesse da parte della Cina, che in Africa ha stanziato colossali investimenti, e lo conferma anche l’atteggiamento neo-coloniale della Francia, denunciato da personalità come quella del panafricanista Mohamed Konare». Domanda: perché fingere che il problema si risolva respingendo barconi, magari cavandosela con slogan del tipo “aiutiamoli a casa loro”? «Bisogna cominciare a farlo davvero, per esempio con una sorta di Piano Marshall per l’Africa, che sviluppi anche la necessaria educazione democratica per fare piazza pulita dell’esigua élite africana tuttora complice del neo-colonialismo occidentale».Per il presidente del Movimento Roosevelt, la vera opposizione è sempre la stessa: democrazia contro oligarchia. «Viviamo in un mondo nel quale si distrugge l’immagine di un grande attore come Kevin Spacey perché, nella serie televisiva “House of Cards”, ha osato evocare il Bohemian Club, santuario del massimo potere super-massonico neo-aristocratico». E’ esattamente il tema affrontato dalla giovane Katia Tarasconi, nel bocciare in blocco la nano-dirigenza del Pd: inutile far finta che il vero potere non sia in pochissime mani. Stupido, poi, schierarsi con il rigore Ue contro il governo gialloverde: semmai, un partito progressista dovrebbe rimproverare a Lega e 5 Stelle di essere troppo timidi, rispetto a Bruxelles, essendosi accontatentati di quel misero 2,4% di deficit per il 2019. Ma appunto, ci vorrebbe un partito progressista – non il Pd di Minniti e Renzi, Martina e Zingaretti. Neoliberismo, privatizzzazioni, dominio dell’élite imposto a suon di dogmi da un soggetto che ci si ostina a chiamare “l’Europa”. Oggi, ripete Magaldi, la prima cosa che dovrebbe fare l’Italia è questa: proporre una Costituzione Europea democratica, con un governo europeo finalmente eletto dall’europarlamento votato dagli elettori. Lontano anni luce da idee come queste, restano i Lothar e gli Zingaretti a contendersi i rottami del fu Pd.Spera davvero di cavarsela, il Pd, usando Marco Minniti per tentare di riempire il vuoto cosmico della sua non-politica, ridotta a semplice esecuzione delle direttive impartite dall’élite neoliberista? Ci vorrebbe ben altro che un vecchio arnese dalemiano come l’ex ministro dell’interno, per restituire una vera offerta politica a quei milioni di elettori che nel 2008 avevano salutato con simpatia e speranza la nascita del Pd. Ci vorrebbero ad esempio parole sferzanti come quelle appena usate da una giovane dirigente, Katia Tarasconi, che ha accusato il vertice del partito di aver curato solo gli interessi dell’oligarchia, trascurando il popolo. E soprattutto, servono idee: come declinare la grande eredità democratica del socialismo, nell’Europa del 2018? E invece niente: silenzio di tomba, al di là del ronzio e del gossip su questioni irrilevanti, il deprimente derby tra renziani e anti-renziani, Minniti contro Zingaretti (e magari Martina a fungere da cuscinetto). Per fare cosa, poi? Per andare dove? Restano senza risposta, per ora, le domande che Gioele Magaldi rilancia: dovrebbero essere il punto di partenza, per tentare di far uscire il Pd dallo stato di coma in cui si trova. Ma all’orizzonte non si vedono segnali di alcun genere: avanti così il partito corre verso l’estinzione, tra la desolazione dei suoi ex elettori.