Archivio del Tag ‘Facebook’
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Oscurare il web: una firma contro l’ultima vergogna dell’Ue
Ci stanno provando in tutti i modi da tempo, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. Chi segue questo blog sa come la penso: da quando l’establishment ha perso il controllo della Rete e soprattutto dei social media, veicolando idee non mainstream e favorendo l’affermazione di movimenti alternativi, quelli che vengono sprezzamentemente definiti “populisti”, ogni pretesto è buono per favorire misure per limitare la libertà di pensiero. Ci hanno provato usando l’ariete delle “fake news” e il tentativo è ancora in corso, in queste ore stanno usando un altro grimaldello, il copyright. Come ha denunciato, in perfetta solitudine, Claudio Messora su “ByoBlu”, la Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo, su proposta dell’immancabile commisario tedesco Oettinger, ha dato il primo via libera alla legge sul copyright, che di fatto, se verrà approvata anche in Aula, permetterà di introdurre misure censorie. L’articolo 11, instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!Spiega Messora, che così continua: «Secondo l’articolo 13 “le piattaforme online sono responsabili per le violazioni del copyright dei loro utenti” e “devono in ogni caso implementare filtri preventivi sugli upload”. Significa che gli algoritmi rigetteranno a priori qualunque contenuto che “potrebbe” violare il copyright, prima ancora che appaia online. Ma gli algoritmi non sono immuni ai falsi positivi e non possono certamente distinguere gli usi ammissibili, come le parodie, i meme, il diritto di critica… Non c’è nessuna concessione al concetto stesso di “Fair Use”. Ecco, ad esempio sarà impossibile pubblicare la foto di chicchessia con una scritta sotto, appunto i meme, a meno che quella foto non l’abbiate scattata voi stessi, e anche così sarete comunque giudicati “colpevoli” a meno che non vi dimostriate “innocenti” e non conduciate lunghe battaglie per riportare online i vostri contenuti». Il messaggio è chiaro: se questa legge passerà, la diffusione di contenuti politici potrà avvenire solo senza il supporto di immagini, perché è evidente che il singolo cittadino mai potrà procurarsi le foto di un primo ministro o della guerra in Siria. E anche la citazione di brani di articoli potrebbe portare alla soppressione della vostra pagina Facebook o del vostro account Twitter.Insomma, se questa legge dovesse entrare in vigore, i blog e le pagine politiche sui social media con foto “non autorizzate” potebbero essere cancellate d’ufficio, privando la Rete di uno strumento di supporto ormai indispensabile. Quale attrattiva potrebbero avere avere pagine di solo testo? Volete davvero che la Rete venga ridotta a un’immensa bacheca di foto di gattini (solo i vostri, perché gli altri violerebbero il copyright)? Claudio Messora ha lanciato una petizione contro questo provvedimento, che sarà votato in aula a Bruxelles il 4 luglio. Lo scopo è di suscitare una sollevazione della Rete e siccome le grandi testate stanno, ovviamente, ignorando la notizia, l’unica possibilità è di innescare un passaparola che induca decine di migliaia di cittadini a firmare questa petizione. Io ho firmato. E tu? Mancano pochi giorni, non perdere tempo!(Marcello Foa, “L’ultima della Ue: il web senza immagini (e senza idee). Si chiama censura. Io non ci sto. E tu?”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 24 giugno 2018).Ci stanno provando in tutti i modi da tempo, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. Chi segue questo blog sa come la penso: da quando l’establishment ha perso il controllo della Rete e soprattutto dei social media, veicolando idee non mainstream e favorendo l’affermazione di movimenti alternativi, quelli che vengono sprezzamentemente definiti “populisti”, ogni pretesto è buono per favorire misure per limitare la libertà di pensiero. Ci hanno provato usando l’ariete delle “fake news” e il tentativo è ancora in corso, in queste ore stanno usando un altro grimaldello, il copyright. Come ha denunciato, in perfetta solitudine, Claudio Messora su “ByoBlu”, la Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo, su proposta dell’immancabile commisario tedesco Oettinger, ha dato il primo via libera alla legge sul copyright, che di fatto, se verrà approvata anche in Aula, permetterà di introdurre misure censorie. L’articolo 11, instaura la cosiddetta “tassa sui link”. Non stiamo parlando, a scanso di equivoci di film o di canzoni o di interi libri, ma stiamo parlando del testo che, citato testualmente si riferisce, “anche ai più piccoli frammenti di articoli contenenti notizie”, che “devono avere una licenza”. Avete presente quel piccolo testo di anteprima che appare a fianco o sotto a un link, in mancanza del quale nessuno sano di mente si sogna di cliccare? Ecco, anche quello dovrebbe disporre di un’adeguata licenza!
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Così l’Ue prepara il bavaglio al web: fine dei link e dei social
Vietato postare contenuti altrui, vietato far circolare link e idee. In altre parole: sarà svuotato e sterilizzato il web, stando ai “muggiti” che salgono dall’Unione Europea, cioè dalla roccaforte burocratica dove i governi – ridotti a passacarte delle grandi lobby – assistono con terrore all’insorgenza democratica che, in tutta Europa, i media mainstream chiamano “populismo”. «Addio meme, addio upload libero di foto e filmini sul web», scrive Emanuele Bonini sulla “Stampa”. «Il Parlamento Europeo è pronto alla stretta su Internet in nome dei diritti d’autore». La commissione giuridica, infatti, ha appena approvato le proposte di modifica della legislazione comunitaria sui copyright, «dando il proprio benestare a norme che aprono la strada a possibili future tasse per la pubblicazione di link di articoli di giornale e a filtri che blocchino, sulle grandi piattaforme, contenuti audio-visivi in tutto o in parte protetti da diritti». Sarebbe, tecnicamente, la fine del web come lo consciamo oggi, fondato sulla circolazione illimitata di notizie, analisi e idee. La questione è controversa, scrive la “Stampa”: per il legislatore europeo c’è «l’esigenza di tutelare i diritti intellettuali», mentre per l’internauta «una mossa di questo tipo rappresenta un restringimento delle maglie della rete». Un vero e proprio bavaglio.Le nuove norme, di fatto, «impongono a tutti di pagare per ogni contenuto protetto», aggiunge Bonini. «Con la riscrittura delle regole così come proposta – spiega – tutti i grandi operatori dovranno sviluppare un sistema per controllare cosa si intende caricare». Attenzione dunque a YouTube, Instagram, eBay, Facebook. «Un video con immagini o brani tutelati da licenze non potrà essere condiviso, così come una foto, anche quella da usare eventualmente per i meme». Non ci saranno grandi alternative, avverte la “Stampa”: o si impedirà la pubblicazione del contenuto, o si dovrà far pagare per consultarlo. E non è tutto: sempre in nome della tutela dei diritti intellettuali e del loro rispetto, «ci saranno limitazioni alle notizie e agli articoli che gli aggregatori di notizie possono mostrare». La Commissione Europea chiedeva una “link tax”, cioè una vera e propria tassa sui collegamenti ipertestuali, in base al principio per cui “chi clicca, paga”, se vuole tenersi informato. L’esecutivo comunitario «prevedeva nello specifico che chiunque usi “snippet” di contenuti giornalistici on-line debba prima ottenere una licenza dall’editore, diritto valido per vent’anni a partire dalla pubblicazione».La commissione giuridica del Parlamento Europeo ha trovato una sorta di compromesso, secondo Bonini, nella limitazione degli elementi di un articolo che gli aggregatori possono mostrare e condividere senza far scattare il pagamento automatico del copyright. Cioè: se un indirizzo web incorpora un estratto breve (o solo il titolo di un articolo), non scatta la tassa. Secondo il tedesco Axel Voss, esponente del partito della Merkel, si tratta di innovazioni doverose. «Creatori e editori di notizie devono adattarsi al nuovo mondo di Internet come funziona oggi», dice Voss, relatore del provvedimento in commissione giuridica. L’europarlamentare ricorda che artisti ed editori di notizie, «specialmente quelli più piccoli», non vengono pagati «a causa delle pratiche di potenti piattaforme di condivisione dei contenuti online e aggregatori di notizie». Un modo di fare «sbagliato, che intendiamo correggere», dice, perché il principio di un’equa retribuzione il lavoro svolto «dovrebbe applicarsi a tutti, ovunque, sia nel mondo fisico che on-line». Agendo sul copyright, Strasburgo sostiene di proporre un equilibrio tra le esigenze dei proprietari dei diritti d’autore e quelle dei consumatori: se da una parte si introducono limiti all’uso di prodotti sotto licenza, dall’altra si abbassa da 20 a 5 anni il periodo di protezione sulla Rete. Se la riforma passa, addio web: il successo della Rete si basa infatti sulla circolazione, libera e istantanea, di contenuti gratuti.Vietato postare contenuti altrui, vietato far circolare link e idee. In altre parole: sarà svuotato e sterilizzato il web, stando ai “muggiti” che salgono dall’Unione Europea, cioè dalla roccaforte burocratica dove i governi – ridotti a passacarte delle grandi lobby – assistono con terrore all’insorgenza democratica che, in tutta Europa, i media mainstream chiamano “populismo”. «Addio meme, addio upload libero di foto e filmini sul web», scrive Emanuele Bonini sulla “Stampa”. «Il Parlamento Europeo è pronto alla stretta su Internet in nome dei diritti d’autore». La commissione giuridica, infatti, ha appena approvato le proposte di modifica della legislazione comunitaria sui copyright, «dando il proprio benestare a norme che aprono la strada a possibili future tasse per la pubblicazione di link di articoli di giornale e a filtri che blocchino, sulle grandi piattaforme, contenuti audio-visivi in tutto o in parte protetti da diritti». Sarebbe, tecnicamente, la fine del web come lo consciamo oggi, fondato sulla circolazione illimitata di notizie, analisi e idee. La questione è controversa, scrive la “Stampa”: per il legislatore europeo c’è «l’esigenza di tutelare i diritti intellettuali», mentre per l’internauta «una mossa di questo tipo rappresenta un restringimento delle maglie della rete». Un vero e proprio bavaglio.
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Cabras: l’Era dell’Aquarius e l’ipocrisia dei Buonisti Mannari
È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.Quel che è in atto è “solo” un braccio di ferro politico sulla destinazione di questo segmento del viaggio. Come ogni questione politica, la decisione è da ritenersi un argomento controverso, ma quel che è certo è che non sussiste una minaccia diretta e grave all’esistenza delle persone che stanno dentro l’Aquarius. Chi definisce la decisione del governo (che nega l’approdo in porti italiani della nave proveniente dalle acque libiche) come un’operazione spietata di gente “senza cuore”, e invita nel frattempo a guardare in faccia “gli occhi dei bambini”, punta a un importante lato emotivo che tuttavia è fuorviante se si considera che non è affatto in questione il loro salvataggio, bensì la forma che assumerà la loro accoglienza e le decisioni su chi abbia diritto a restare. Le forze politiche che hanno composto la maggioranza parlamentare e firmato il “Contratto di governo” condividono questi elementi essenziali in materia di migrazioni: il sistema di accoglienza deve essere autenticamente europeo, non nazionale; chi richiede asilo deve farlo direttamente dai paesi di provenienza o transito e chi ne ha diritto, direttamente da lì, deve essere già ripartito obbligatoriamente presso i 27 Stati membri dell’Unione europea e quindi integrato negli stessi.Un problema gigantesco come le migrazioni contemporanee, in particolare nelle sue forme irregolari e illegali, non deve essere gestito solo dalla Repubblica Italiana intanto che gli altri membri della Ue blindano da decenni le frontiere e i porti, inclusi quelli retti da governi sedicenti “progressisti”. Veltroni in questi giorni ha paventato un ritorno agli anni trenta, ma ha dimenticato cosa faceva il suo governo negli anni novanta. Proprio mentre dal centrosinistra si urla alla disumanità del caso Aquarius, possiamo compulsare pagine ancora non sbiadite delle azioni di governo di quella parte, come il blocco navale anti immigrazione deciso dal governo Prodi, con “disposizioni rigide sul respingimento” in mare degli albanesi. Nell’album di famiglia della sinistra italiana c’è un’iniziativa molto più drastica di quel che accade oggi. Certo, non lo ricorda il solito Roberto Saviano, quando intima al ministro dei trasporti di aprire i porti e twitta: «#umanitàperta #apriteiporti #Aquarius». È lo stesso Saviano che non fa una piega su come Israele gestisce le questioni di #umanitàaperta alle sue frontiere e su come bombarda i porticcioli dei pescatori palestinesi. Omissioni umanitarie.In questo quadro mi colpisce un’osservazione del giornalista Sebastiano Caputo, che chiama in causa una delle critiche rivolte alla chiusura dei porti, ossia il fatto che si concentri sui soggetti più deboli. Dice Caputo che chiudere i porti «è un atto politico, non razzista, che mira a fermare questa orrenda tratta di esseri umani. Ora però aspettiamo da Matteo Salvini, e dai suoi colleghi al governo, un gesto altrettanto forte quando i vertici della Nato ci chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare paesi sovrani e appoggiare guerre “umanitarie” che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. Forti coi forti, senza doppi standard». Le risposte sono scritte nel futuro, e dovranno contrastare le pressioni di quelle stesse parti politiche che oggi ci accusano di razzismo ma si sono schierate con tutte le guerre imperialistiche che hanno devastato Africa e Asia negli ultimi venticinque anni. Non mi è congeniale la postura mediatica di Salvini su questa materia, troppo attenta al possibile risvolto elettorale, come d’altro canto, sul fronte opposto, lo è quella del sindaco di Napoli De Magistris. Tuttavia le cose vanno viste nell’insieme, senza pregiudizi, e senza sconti per i signori delle pagliuzze e delle travi.Faccio un esempio che sconcerterà qualche lettore. Ricordo di aver assistito a un dibattito in Tv del 2011, quando si stava per fare la guerra alla Libia. Sino a quel giorno Salvini lo conoscevo solo di viso, non lo avevo mai seguito in un confronto. Praticamente vinse a mani basse su esponenti della sinistra che si spendevano per la guerra a Gheddafi, ai quali diceva in sostanza: “Ma vi rendete conto che, devastando questo paese, oltre a fare decine di migliaia di morti, causerete una catastrofe migratoria dai costi umani esagerati?”. E concluse con “Povera sinistra, come si è ridotta, povera sinistra”. Mi colpì moltissimo perché aveva ragionato e concluso con lucidità prevedendo gli esiti di quel disastro criminale, al quale la sinistra si consegnò totalmente, in parte complicemente e in parte stupidamente. Ricordo l’odio sparso dagli organi di informazione vicini alla sinistra: una totale demonizzazione di Gheddafi, una campagna isterica e guerrafondaia, un delirio che accompagnava le stragi, lo sterminio dei dirigenti dello Stato libico, la distruzione dei potabilizzatori e delle infrastrutture, e infine l’espulsione di due milioni di africani che lavoravano in Libia. Non mi piace il frasario del Salvini di oggi, lo ribadisco, ma la sinistra è ancora incapace di un’autocritica sulle sue grandi colpe storiche di anni recenti, non imputabili a Salvini.Le classi dirigenti francesi e britanniche negli ultimi sette anni hanno scatenato guerre che oltre ai lutti e oltre alla distruzione di interi Stati con cui noi avevamo relazioni convenienti, hanno provocato un drastico peggioramento nella gestione dei flussi migratori, e ora dicono che gestirli non è affar loro ma solo affar nostro. Non siamo di fronte a casuale o banale egoismo. Stanno invece ridisegnando la gerarchia europea, trasformando il fianco sud dell’Europa in un mondo troppo debole per farsi valere, troppo ripiegato sui suoi problemi per esigere che più a nord si paghi il prezzo delle spietate politiche di potenza. Le classi dirigenti di Parigi e Londra hanno scelto cosa voler fare dell’Italia: il paraurti per le tragedie della globalizzazione; così come a Francoforte, Bruxelles e Berlino avevano deciso cosa fare della Grecia: il laboratorio dove sperimentare la futura ‘mezzogiornificazione’ di mezza Europa. È l’autodemolizione del sogno europeo in vista di un ordine che toglie già, ancora una volta, il velo che nascondeva ciò che non è mai venuto meno: i soliti brutali rapporti di forza guidati dalle grandi capitali dei grandi capitali. In questa particolare congiuntura è giusto richiamare l’Europa ai suoi doveri, in tempi rapidi. L’estate è lunga.(Pino Cabras, “L’era dell’Aquarius”, dal blog “Vietato Parlare” dell’11 giugno 2018. L’intervento è ripreso dalla pagina Facebook di Cabras, neo-deputato 5 Stelle).È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.
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Sovranismo yankee anti-Ue: ora l’Italia è sotto tutela Usa
Ho iniziato a parlare dell’esistenza di una Via Yankee al Sovranismo, più o meno da quando ho iniziato a identificarmi, da un punto di vista marxista, con tale categoria politica. Dunque, intorno al 2012. Infatti, dall’avvento dell’austerity del governo Monti nel 2011, si è immediatamente palesato che, a fronte della rigidità tedesca che indirizzava le posizioni dell’Unione Europea imponendo politiche di macelleria sociale a Grecia e Italia, da parte degli Stati Uniti vi era un atteggiamento decisamente più elastico nei confronti della spesa pubblica e del bilancio statale. La Troika che impartiva ordine ai governi euro-mediterranei, in altre parole, risultava essere composta dal “poliziotto buono” Fmi e dal “poliziotto cattivo” Commissione Europea. Così, molte figure pubbliche che in quel periodo e a vario titolo si pronunciavano contro l’austerity – per esempio Paolo Barnard, ma anche Stefano Fassina – enunciavano altresì esplicitamente la necessità di cercare sponda politica negli Stati Uniti e nel Fondo Monetario per uscire dalla trappola mortale del Fiscal Compact e dal controllo tedesco sulla nostra economia. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti.
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Scanzi: governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella
Tutti in piedi, perché siamo già dritti dritti dentro la leggenda. E’ tutto bellissimo. Domenica, quando Re Sergio ha preso a pretesto il vecchio trombone Savona facendolo passare per un Bakunin scavezzacollo, la cosa più bella era vedere i renziani e gli annessi cortigiani che esultavano, ovviamente ignari di qualsivoglia competenza costituzionale e del tutto sconnessi da qualsiasi analisi politica minima: “Ha salvato il paese”, “Ha salvato la democrazia”. Come no. E magari ha pure salvato la buonanima di stocazzo. Per carità: l’impeachment proposto da M5S e Meloni è una buffonata, che oltretutto porta pure sfiga (chiedere a Occhetto, che poi si sfracellò nel ’94, e al M5S, che di lì a poco fu disintegrato alle Europee 2014). Quello di Mattarella non è un atto eversivo: molto più semplicemente, è una delle più grandi puttanate politiche nella storia della galassia. Leggo che ora sono in molti a voler votare il 29 luglio. Non solo M5S e Lega, ma pure Pd, magari quella quota anti-renziana (si fa per dire) che spera così di mondare le liste dal mosciume andrearomanico-renzista-migliorista. Ohibò: ricordo male o votare a luglio era esattamente ciò che più non voleva Mattarella?Domenica sera ho letto molti commenti, ora renzisti e ora sinistrorsisti, che dicevano: “Alè, abbiamo evitato Salvini agli Interni! #iostoconmattarella”. Bravi: non avrete Salvini al Viminale, ma lo avrete come Presidente del Consiglio. Son soddisfazioni. Intanto lo spread cresce ancora (ma non era colpa del Salvimaio?), Cottarelli ha la grinta di Orfini in ciabatte e Renzi ha ricominciato a parlare da solo su Facebook, dispensando le consuete battute da Panariello irrisolto. C’è poi Gunther Oettinger, Commissario Ue al Bilancio, che dichiara: “Mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti”. Giusto per ricordarci che votiamo in Italia, ma decidono in Germania. Non male anche la grande pensata dei sinistrorsi, in prima fila Boldrini e D’Alema, antichi sfollatori di consensi, che esortano a unirsi a tutti (anche e soprattutto con Renzi) per difendere Mattarella (che Renzi sfanculava fino a ieri poiché colpevole di non averci fatto votare “in una delle finestre del 2017”) e “per arginare la deriva sovranista”, come fosse Antani e con tapioca prematurata. La poraccitudine imperversa e sciaborda con sicumera crassa.Con il suo gesto costituzionalmente spericolato (lo dicono Onida e Villone, non proprio grillo-leghisti) e politicamente folle, il rutilante Mattarella ha regalato il paese proprio a chi detesta di più. Cioè i populisti. A partire dalla Lega. Che infatti, a giudicare dai sondaggi, è già a un passo dal 30% (a marzo non arrivava al 18). Dopo il voto Salvini potrà scegliere: o governare (con ruolo dominante) con M5S, realizzando un governo ancora più forte – e quindi più detestabile dai mattarellisti – del governicchio Conte. Oppure, ed è l’ipotesi più probabile, sarà il dux indiscusso di un governo di centrodestra con Berlusconi ridotto a vassallo, ma comunque ben presente. Un capolavoro di cui dovremo ringraziare il Capo dello Stato, fenomeno vero e idolo imperituro delle galassie. Daje.(Andrea Scanzi, “Governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella”, dal “Fatto Quotidiano” del 29 maggio 2018).Tutti in piedi, perché siamo già dritti dritti dentro la leggenda. E’ tutto bellissimo. Domenica, quando Re Sergio ha preso a pretesto il vecchio trombone Savona facendolo passare per un Bakunin scavezzacollo, la cosa più bella era vedere i renziani e gli annessi cortigiani che esultavano, ovviamente ignari di qualsivoglia competenza costituzionale e del tutto sconnessi da qualsiasi analisi politica minima: “Ha salvato il paese”, “Ha salvato la democrazia”. Come no. E magari ha pure salvato la buonanima di stocazzo. Per carità: l’impeachment proposto da M5S e Meloni è una buffonata, che oltretutto porta pure sfiga (chiedere a Occhetto, che poi si sfracellò nel ’94, e al M5S, che di lì a poco fu disintegrato alle Europee 2014). Quello di Mattarella non è un atto eversivo: molto più semplicemente, è una delle più grandi puttanate politiche nella storia della galassia. Leggo che ora sono in molti a voler votare il 29 luglio. Non solo M5S e Lega, ma pure Pd, magari quella quota anti-renziana (si fa per dire) che spera così di mondare le liste dal mosciume andrearomanico-renzista-migliorista. Ohibò: ricordo male o votare a luglio era esattamente ciò che più non voleva Mattarella?
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Petizione: Mattarella si dimetta, non “osi obbedir tacendo”
«Riteniamo che la sua figura sia ampiamente delegittimata rispetto alla carica». Così Gianfranco Carpeoro si rivolge (via Facebook) al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendogli di dimettersi dopo aver bloccato il varo del governo “gialloverde” presieduto da Giuseppe Conte, ponendo il veto su Paolo Savona per il ministero dell’economia. «Non voglio entrare nel dibattito sulla legittimità di tale scelta», premette Carpeoro, ma aggiunge: «Non ho dubbi che, sul piano etico e sul piano della sensibilità democratica, ciò avrebbe già dovuto suggerire a un presidente di alta preparazione costituzionale la doverosa presentazione delle sue dimissioni». E spiega, rivolgendosi al capo dello Stato: «Se entrasse in conflitto anche con la maggioranza del prossimo Parlamento cosa farebbe? Se un governo prossimo futuro entrasse in serio confronto con le burocrazia europea cosa avverrebbe? Un vero e proprio golpe?». Per questo, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso – chiede apertamente ai lettori di aderire alla raccolta di firme lanciata su “Change.org” da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un dirigente. «L’unica speranza degli italiani – dice – è chiedere con un autentico plebiscito le dimissioni del presidente della Repubblica».Sul più diffuso webmagazine nazionale, “Affari Italiani”, proprio Magaldi esprime un severo giudizio politico su Mattarella, definendolo «paramassone conservatore dalla cifra servizievole e subalterna» rispetto ai poteri super-massonici neo-aristocratici che dominano la governance europea. Tuttavia, il “niet” del Quirinale su Savona ha l’aria di essere un autogoal: «I poteri “marci” che si sono serviti del servizievole Mattarella – dichiara Magaldi – hanno compiuto un clamoroso errore», perché il veto su Savona, che il presidente del Movimento Roosevelt definisce un gesto «anticostituzionale e antidemocratico», ha mostrato a tutti che il “Re” è nudo e senza veli: «Il Re (collettivo) neo-aristocratico, post-democratico, anticostituzionale e “controiniziatico” è finalmente denudato e smascherato». Scacco matto alla democrazia? «No. Era stato fatto Scacco al Re con la candidatura di Paolo Savona al ministero dell’economia». Ma adesso, aggiunge Magaldi, «grazie all’inaudita insipienza arrogante di Sergio Mattarella – ostaggio di pressioni oscure e antidemocratiche – lo Scacco al Re si è tramutato in Scacco Matto a quei poteri marci, neoaristocratici e controiniziatici che tengono in ostaggio l’Italia e l’Europa da troppo tempo, ma che ormai sono “nudi e ben visibili” allo sguardo giustamente indignato dei cittadini».Stiamo assistendo in queste ore ad una crisi politica mai vista, osserva Patrizia Scanu, altro esponente del Movimento Roosevelt: «Un presidente della Repubblica, forzando le sue prerogative istituzionali, non permette la formazione di un un governo che avrebbe la maggioranza parlamentare uscita dalle urne (il primo dopo molti anni) per pregiudizio di tipo politico verso il ministro dell’economia proposto dalla maggioranza». Patrizia Scanu cita Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale: per Onida, sul piano strettamente giuridico, Mattarella può dire “io non firmo”. Di fronte all’inistenza sul nome di Savona, aggiunge Onida, «il capo dello Stato si è opposto per ragioni politiche, non personali». E aggiunge: Mattarella è andato contro l’idea che il nostro sia un sistema parlamentare. Non ha neppure posto obiezioni sul programma di governo: «Si è opposto solo a una persona, temendo che potesse mettere in pericolo la stabilità dei mercati finanziari, e la difesa dei risparmiatori. Così facendo – afferma Onida – si dà ai creditori dello Stato un potere immenso, che va al di là delle obbligazioni di un debitore. Un debitore non può diventare così politicamente asservito da accettare ingerenza sulla maggioranza. In questo caso mi sembra sia andato un po’ troppo oltre».Gli avvenimenti degli ultimi giorni, riassume Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, richiedono un chiarimento analitico di alcuni aspetti. «Una delle prime preoccupazioni della “sovragestione” reazionaria, oligarchica, familistica e aristocratica», rivela Carpeoro, è stata quella di «ridurre al lumicino l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole». Forse a qualcuno sfugge che il presidente della Repubblica resta in carica 7 anni, contro i 5 del Parlamento che lo elegge. Decisione che nacque nel contesto storico-politico del momento post-bellico, dopo la fine del regime fascista. Obiettivo: sottolineare l’autonomia e l’indipendenza della figura istituzionale più alta. «Si trattò all’epoca di una scelta condivisibile, ma col tempo – secondo Carpeoro – si è rivelata anche come la confessione della debolezza intrinseca della figura presidenziale, sotto il profilo della legittimazione democratica e popolare». Debolezza, aggiunge Carpeoro, che di recente «ha costretto a forzature personali di varia natura dei limiti delle prerogative della carica: forzature proporzionali all’arretramento generale sotto il profilo della credibilità, ma anche della efficacia della politica in generale, tanto del potere legislativo che di quello governativo».Gli ultimi decenni della storia politica dell’Italia, aggiunge Carpeoro, hanno registrato onde di flusso e riflusso tra chi voleva rinchiudere la figura presidenziale in un grigio studio notarile e che invece, nel buio della politica, voleva un cavalleresco baluardo: «Non solo unico garante di legalità e costituzionalità, ma anche garante di buon governo, secondo le varie posizioni politiche e idee che peraltro si fronteggiavano in campagne elettorali feroci e perenni». È in questo contesto, continua Carpeoro, che il nostro presidente della Repubblica si è appena rifiutato di varare un governo «scaturito dalla convergenza di una maggioranza parlamentare emersa dopo le numerose consultazioni». Così facendo, aggiunge, «il presidente si è apertamente messo in dissenso con la maggioranza democratica di un Parlamento, peraltro diverso da quello che, a suo tempo, lo aveva eletto». Il motivo del dissenso, secondo lo stesso presidente? Il timore che la nomina di Paolo Savona, «pur legittima sul piano democratico, avrebbe comportato ripercussioni nei mercati sui risparmi degli italiani». Con «affetto e deferenza», Carpeoro si rivolge direttamente a Mattarella. «Non siamo usi agli insulti e alle polemiche incivili», premette. Ma aggiunge: «Indipendentemente dallo stabilire se sia stato un ricatto dei mercati o una imposizione di altri poteri», sarebbe meglio che si facesse da parte. «Ci ascolti, presidente, si dimetta: non non “osi obbedir tacendo”, si rilegittimi e non si consegni alla storia come un don Abbondio qualunque. Il Griso e i suoi bravi glieli rimandi indietro con le pive nel sacco a don Rodrigo».«Riteniamo che la sua figura sia ampiamente delegittimata rispetto alla carica». Così Gianfranco Carpeoro si rivolge (via Facebook) al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendogli di dimettersi dopo aver bloccato il varo del governo “gialloverde” presieduto da Giuseppe Conte, ponendo il veto su Paolo Savona per il ministero dell’economia. «Non voglio entrare nel dibattito sulla legittimità di tale scelta», premette Carpeoro, ma aggiunge: «Non ho dubbi che, sul piano etico e sul piano della sensibilità democratica, ciò avrebbe già dovuto suggerire a un presidente di alta preparazione costituzionale la doverosa presentazione delle sue dimissioni». E si domanda, rivolgendosi al capo dello Stato: «Se entrasse in conflitto anche con la maggioranza del prossimo Parlamento cosa farebbe? Se un governo prossimo futuro entrasse in serio confronto con le burocrazia europea cosa avverrebbe? Un vero e proprio golpe?». Per questo, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso – chiede apertamente ai lettori di aderire alla raccolta di firme lanciata su “Change.org” da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un dirigente. «L’unica speranza degli italiani – dice – è chiedere con un autentico plebiscito le dimissioni del presidente della Repubblica».
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Savona: ho subito un grave torto, così si distrugge l’Europa
Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio comunicato, criticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti. Insieme alla solidarietà espressa da chi mi conosce e non distorce il mio pensiero, una particolare consolazione mi è venuta da Jean Paul Fitoussi sul “Mattino” di Napoli e da Wolfgang Münchau sul “Financial Times”. Il primo, con cui ho da decenni civili discussioni sul tema, afferma correttamente che non avrei mai messo in discussione l’euro, ma avrei chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membri; aggiungo che ciò si sarebbe dovuto svolgere secondo la strategia di negoziazione suggerita dalla teoria dei giochi che raccomanda di non rivelare i limiti dell’azione, perché altrimenti si è già sconfitti, un concetto da me ripetutamente espresso pubblicamente. Nell’epoca dei like o don’t like anche la presidenza della Repubblica segue questa moda.Più incisivo e vicino al mio pensiero è il commento di Münchau. Nel suo commento egli analizza come deve essere l’euro per non subire la dominanza mondiale del dollaro e della geopolitica degli Stati Uniti, affermando che la moneta europea è stata mal costruita per colpa della miopia dei tedeschi. La Germania impedisce che l’euro divenga come il dollaro «una parte essenziale della politica estera». Purtroppo, egli aggiunge, il dollaro ha perso questa caratteristica, l’euro non è in condizione di rimpiazzarlo o, quanto meno, svolgere un ruolo parallelo, e di conseguenza siamo nel caos delle relazioni economiche internazionali; queste volgono verso il protezionismo nazionalistico, non certo foriero di stabilità politica, sociale ed economica. È il tema che con Paolo Panerai ho toccato nel pamphlet recentemente pubblicato su Carli e il Trattato di Maastricht, dove emerge la lucida grandezza di Paolo Baffi.L’Italia registra fenomeni di povertà, minore reddito e maggiori disuguaglianze. Il 28 e 29 giugno si terrà un incontro importante tra capi di Stato a Bruxelles: chi rappresenterà le istanze del popolo italiano? Non potrà andarci Mattarella, né può farlo Cottarelli. Se non avesse avuto veti inaccettabili, perché infondati, il governo Conte avrebbe potuto contare sul sostegno di Macron, così incanalando le reazioni scomposte che provengono dall’interno di tutti indistintamente i paesi-membri europei verso decisioni che aiutino l’Italia a uscire dalla china verso cui è stata spinta. Münchau giustamente afferma che teme «non vi sia un sostegno politico nel Nord Europa» e quindi non ci resta che patire gli effetti del protezionismo e dell’instabilità sociale. Si tratta di decidere se gli europeisti sono quelli che stanno creando le condizioni per la fine dell’Ue o chi, come me, ne chiede la riforma per salvare gli obiettivi che si era prefissi.Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio comunicato, criticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti. Insieme alla solidarietà espressa da chi mi conosce e non distorce il mio pensiero, una particolare consolazione mi è venuta da Jean Paul Fitoussi sul “Mattino” di Napoli e da Wolfgang Münchau sul “Financial Times”. Il primo, con cui ho da decenni civili discussioni sul tema, afferma correttamente che non avrei mai messo in discussione l’euro, ma avrei chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membri; aggiungo che ciò si sarebbe dovuto svolgere secondo la strategia di negoziazione suggerita dalla teoria dei giochi che raccomanda di non rivelare i limiti dell’azione, perché altrimenti si è già sconfitti, un concetto da me ripetutamente espresso pubblicamente. Nell’epoca dei like o don’t like anche la presidenza della Repubblica segue questa moda.
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Travaglio meglio di Mentana, anche se tace sulla geopolitica
«Ma come, il grande Travaglio ha bisogno di leggere le domande da un foglietto?». Memorabile, il Berlusca, nella storica ospitata del 2013 in cui accettò di metter piede nella tana del leone, vigilata da Santoro in tandem col direttore del “Fatto Quotidiano”, arcinemico del Cavaliere. «Resta comunque il miglior giornalista italiano, il polemista più efficace», lo applaude il berlusconiano Vittorio Feltri. Non la pensa così Paolo Barnard, co-fondatore di “Report” con la Gabanelli e ora scomparso dai radar (ha oscurato anche il suo blog, deluso dagli italiani). Barnard ha ripetutamente accusato proprio Travaglio: alza la voce coi nanerottoli della politica italiana – questa l’imputazione – fingendo di non sapere che non contano niente, di fronte ai veri padroni (finanziari) del vapore, che il Marco nazionale si guarda bene dall’insolentire. «Sta ben attento, Travaglio, a non superare quel Rubicone: per lui la politica internazionale è come se non esistesse», conferma Massimo Mazzucco, che però – come Feltri – apprezza il travaglismo: «Sempre meglio del giornalismo che oggi produce Mentana, che pure un tempo stimavo: a “La7” poteva essere il primo degli ultimi, invece ha preferito diventare l’ultimo in primi», accodandosi al coro del mainstream.Parole in libertà, che Mazzucco – documentarista “complottista”, autore del film “Inganno Globale” sull’11 Settembre trasmesso proprio da Mentana a “Matrix” su Canale 5 – offre a Fabio Frabetti in web-streaming su YouTube: dopo “Carpeoro Racconta”, in onda la domenica mattina, ora c’è anche “Mazzucco Live” il sabato ad arricchire il weekend di “Border Nights”, trasmissione web-radio di informazione indipendente (in diretta il martedì sera) che ormai annovera una media di 20.000 ascoltatori a settimana. Obiettivo: fornire al pubblico la voce di interlocutori poco presenti sul mainstream ma considerati autorevoli testimoni della confusa attualità in cui viviamo. «Non è mai andata così bene, per noi “alternativi”, da quando abbiamo a disposizione questo meraviglioso strumento di comunicazione che è il web: basta usarlo in modo intelligente, anziché perdere tempo a scrivere stupidaggini su Facebook». Così, una semplice chat via Skype può diventare interessante per riflettere sullo stato della nostra informazione: meglio Travaglio, comunque, insiste Mazzucco. E spiega: «E’ evidente che gli lasciano dire quello che vuole, sull’Italia, a patto che non si occupi di geopolitica. Se non altro, sull’Italia fa bene il suo mestiere, a differenza di Mentana», ormai completamente “embedded” rispetto al sistema.Se ne rammarica, Mazzucco: «Mentana è abile, ha ottime qualità». Ma è come se avesse smesso di usarle, abdicando al ruolo: «Penso sia anche in buona fede, per esempio sull’11 Settembre: crede davvero che quell’attentato sia stato troppo grosso perché si possa pensare a un complotto interno». Peccato, dice Mazzucco, perché in questo modo Mentana ha cessato di informarsi, e quindi di informare il suo pubblico: è stato ormai dimostrato, da ingegneri e fisici, che le Torri Gemelle sono cadute per demolizione controllata, non per l’impatto degli aerei. Peggio: nel fare di tutta l’erba un fascio, per comodità chiamato “fake news”, il direttore del telegiornale de “La7”, un tempo autonomo nei giudizi, ormai ragiona per categorie: quelli che credono al complotto dell’11 Settembre, alle scie chimiche, ai danni da vaccino. Risultato: nessuna informazione di qualità sulle Twin Towers, e neppure sulle scie degli aerei o sulle vaccinazioni obbligatorie. C’è da scoraggiarsi? Assolutamente no, giura Mazzucco: «Ho scoperto che il mio elettrauto calabrese non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre perché suo figlio lo informa consultando il web: non vi dico la faccia che ha fatto quando gli ho svelato che la fonte cui attinge il ragazzo sono io». Ottimismo: «Noi siamo tanti, siamo miliardi. Qualunque nostra azione, in termini di infomazione, ha un impatto. Lentamente, nonostante i Mentana, la verità si farà strada».«Ma come, il grande Travaglio ha bisogno di leggere le domande da un foglietto?». Memorabile, il Berlusca, nella storica ospitata del 2013 in cui accettò di metter piede nella tana del leone, vigilata da Santoro in tandem col direttore del “Fatto Quotidiano”, arcinemico del Cavaliere. «Resta comunque il miglior giornalista italiano, il polemista più efficace», lo applaude il berlusconiano Vittorio Feltri. Non la pensa così Paolo Barnard, co-fondatore di “Report” con la Gabanelli e ora scomparso dai radar (ha oscurato anche il suo blog, deluso dagli italiani). Barnard ha ripetutamente accusato proprio Travaglio: alza la voce coi nanerottoli della politica nostrana – questa l’imputazione – fingendo di non sapere che non contano niente, di fronte ai veri padroni (finanziari) del vapore, che il Marco nazionale si guarda bene dall’insolentire. «Sta ben attento, Travaglio, a non superare quel Rubicone: per lui la politica internazionale è come se non esistesse», conferma Massimo Mazzucco, che però – come Feltri – apprezza il travaglismo: «Sempre meglio del giornalismo che oggi produce Mentana, che pure un tempo stimavo: a “La7” poteva essere il primo degli ultimi, invece ha preferito diventare l’ultimo in primi», accodandosi al coro del mainstream.
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Sul web la censura Ue: ma oscurare la verità non è reato?
Solo in Italia ci sono 10 milioni di account Internet che corrispondono a persone ormai abituate a informarsi sul web, per avere lumi sui retroscena che i media mainstream non svelano. Basta questo, secondo Glauco Benigni (presidente di Wac, Web Activists Community) a spiegare la crescente voglia di bavaglio che pervade palazzi, ministeri e alte cariche pubbliche. Per mascherarla, l’establishment ricorre all’ennesimo inglesismo abusivo e infestante, “fake news”. Una propaganda martellante fatta di minacce, dietro al pretesto incarnato da un altro neologismo, quello che trasforma in “hater” (odiatore) anche chi esprime indignazione verso l’abuso politico di potere. Ora siamo alla vigilia di una censura grottesca e sistemica, presentata come definitiva dal Ministero della Verità di un’istituzione tra le meno democratiche al mondo, la Commissione Europea. L’inglese Julian King, commissario alla sicurezza, avverte: saremo inondati di “fact-checkers”, almeno ventimila, incaricati di organizzare una sorta di delazione di massa per criminalizzare qualsiasi fonte difforme da quelle istituzionali. Attenzione, però: l’oscuramento della libertà d’opinione non è solo un atto odioso e antidemocratico. Non è solo pericoloso per tutti, come la storia insegna. La lesione di un diritto fondamentale non è anche un reato?Fino a quando potranno restare impuniti, i presunti “ladri di verità” che impediscono all’opinione pubblica di acquisire dati su quanto avviene ogni giorno nel mondo? E’ annosa la polemica sulla disinformazione che finisce per coprire crimini gravissimi, inclusi quelli che l’Onu definisce “contro l’umanità”. In occasione del recente bombardamento dimostrativo sulla Siria, motivato dal presunto impiego di armi chimiche da parte del governo di Damasco, Marcello Foa – in tarda serata, su RaiTre – ha accusato i colleghi di aver dato per scontata la versione ufficiale degli Usa, rifiutando di constatare l’assenza di prove: non risulta infatti che Assad abbia colpito civili con i gas (né è dimostrato che altri abbiano impiegato agenti chimici a Douma: non ci sono prove che la popolazione siriana sia stata effettivamente colpita, quel giorno). In collegamento da Washington, la corrispondente Giovanna Botteri si è difesa in modo singolare, affermando che è inevitabile il rischio di essere imprecisi nelle cronache sulla Siria, dal momento che ai reporter è vietato l’accesso al teatro bellico – diversamente da quanto accaduto, ad esempio, in Iraq. Peccato che, proprio in occasione della Guerra del Golfo, fece la sua comparsa il primo degli inglesismi poi tristemente noti, “embedded”: in Iraq, i giornalisti “impacchettati” furono costretti a vedere solo quanto stabilito dal comando del generale Norman Schwarzkopf.Fu la prima volta, nella storia del giornalismo bellico. Se ne lamentarono, i veterani premiati dal Pulitzer: la prima vittima della guerra è sempre la verità, dissero, ma in Iraq si passò il limite, giungendo alla censura preventiva apertamente dichiarata. Assistemmo così al festival delle fake news governative: dal set hollywoodiano con i poveri cormorani intrappolati nel petrolio fino alla (mai avvenuta) strage degli innocenti, la bufala dei neonati “massacrati nelle incubatrici dai soldati di Saddam” a Kuwait City. Notizie false, regolarmente “bevute” da centinaia di reporter e offerte, come amaro aperitivo, a milioni di lettori e telespettatori, mentre i missili “intelligenti” grandinavano sulla testa delle famiglie di Baghdad. E ora che il bavaglio di massa torna prepotentemente di moda, quale guerra preoccupa i censori dell’Unione Europea? Quella contro la possibile verità su un’istituzione che si professa europeista e invece lavora intensamente contro l’Europa unita, contro la concordia e la prosperità dei popoli europei? Temono le elezioni del 2019, i lobbisti privatizzatori di Bruxelles: a loro, il celebre paladino della trasparenza universale Mark Zuckerberg ha appena promesso la massima vigilanza, sulle pagine del maggior social network del mondo. Il Grande Fratello non permetterà che siano veicolate verità sgradite: saranno “bannate”, dai possessori dell’infrastruttura informatica.Il web, beninteso, non è la palestra assoluta della libertà: immenso motore economico, è strettamente controllato dai suoi dominus, dagli algoritmi di Google, da fantasiosi tecno-stregoni come quelli di Cambridge Analytica. Il web è anche una pattumiera di malcostume e violenza verbale: si è lasciato credere che chiunque, protetto dall’anonimato di un nickname, potesse arbitrariamente distribuire insolenze, insulti e minacce. Forse però varrebbe la pena di ricordare ai legislatori che non siamo nel far west: esistono leggi a tutela dei cittadini, che sanzionano reati come la diffamazione. Di colpo non bastano più? Servono normative speciali, d’emergenza? E soprattutto: sono legali, le disposizioni speciali? Così come è un reato la calunnia, perché mai non dovrebbe essere perseguita per legge anche la distorsione della verità, che rende cieco il pubblico di fronte agli eventi? Ancora più grave è il proposito di “spegnere” programmaticamente le voci libere del web, magari segnalate dagli invisibili censori (penalmente irresponsabili) dell’impunita Unione Europea. Non è reato, occultare la verità? Non sarebbe materia, questa, su cui consultare innanzitutto i più autorevoli giuristi? Come in ogni questione controversa, l’ultima parola non potrebbe spettare a un tribunale? La parte civile, in questo caso, rappresenterebbe mezzo miliardo di persone: i cittadini dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Sul web la censura Ue, ma oscurare la verità non è reato?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 30 aprile 2018).Solo in Italia ci sono 10 milioni di account Internet che corrispondono a persone ormai abituate a informarsi sul web, per avere lumi sui retroscena che i media mainstream non svelano. Basta questo, secondo Glauco Benigni (presidente di Wac, Web Activists Community) a spiegare la crescente voglia di bavaglio che pervade palazzi, ministeri e alte cariche pubbliche. Per mascherarla, l’establishment ricorre all’ennesimo inglesismo abusivo e infestante, “fake news”. Una propaganda martellante fatta di minacce, dietro al pretesto incarnato da un altro neologismo, quello che trasforma in “hater” (odiatore) anche chi esprime indignazione verso l’abuso politico di potere. Ora siamo alla vigilia di una censura grottesca e sistemica, presentata come definitiva dal Ministero della Verità di un’istituzione tra le meno democratiche al mondo, la Commissione Europea. L’inglese Julian King, commissario alla sicurezza, avverte: saremo inondati di “fact-checkers”, almeno ventimila, incaricati di organizzare una sorta di delazione di massa per criminalizzare qualsiasi fonte difforme da quelle istituzionali. Attenzione, però: l’oscuramento della libertà d’opinione non è solo un atto odioso e antidemocratico. Non è solo pericoloso per tutti, come la storia insegna. La lesione di un diritto fondamentale non è anche un reato?
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Foa: casa e risparmi, entro 5 anni ci porteranno via tutto
Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.Puoi essere di destra o di sinistra, ma questo ti colpirà in ogni caso. Puoi essere liberista o meno, liberale o socialdemocratico: ti colpisce. Il Fondo Monetario Internazionale ha appena detto: attenzione, per rilanciare l’Italia bisogna andare a tassare le proprietà immobiliari e le ricchezze. Ed è molto significativo, il fatto che l’abbia detto in questo momento. Indica una rotta: significa che queste élite non hanno capito qual è il cuore del problema, vogliono continuare a perseguire il loro programma – che è aberrante, perché ci renderà tutti molto più poveri, e ci toglierà quella libertà che abbiamo conquistato. A questo non bisogna arrendersi, e per questo noi combattiamo. Per questo è molto importante capire i meccanismi dell’informazione e del condizionamento sociale e psicologico, perché è la cosa che più di ogni altra “loro” temono. Le “fake news” sono semplicemente un pretesto per imporre la censura, tenetelo a mente: e questo messaggio non deve passare, perché – se passa – non ci saremo neppure più noi a cercare di spiegarvi come vanno le cose. Questo è quello che vogliono.La polemica su Facebook e Cambridge Analytica? E’ un puro pretesto: sapevamo tutti che Facebook usa e manipola i dati che noi gentilmente gli diamo. Quando li manipolava Obama andava benissimo, se invece li usa Trump allora scoppia il casino, perché si sono resi conto che il meccanismo che avevano creato era uscito dal loro controllo e quindi stanno cercando di riportarlo sotto quel controllo. Tutto questo bisogna denunciarlo con forza. Implica una lotta continua di informazione, anche una lotta politica, bisogna mantenere gli occhi aperti e la voglia di non arrendersi. Io continuo a credere che sia possibile che ci sia tutto sommato anche un “karma” che ci può aiutare, perché alla fine il “karma” è assolutamente dalla nostra parte. E questa è una ragione molto valida, per continuare ad andare avanti.(Marcello Foa, dichiarazioni conclusive della conferenza “Gli stregoni della notizia” promossa a Roma il 21 aprile 2018 da “L’Intellettuale Dissidente” a dall’associazione “A/Simmetrie”, ripresa da “ByoBlu” nel video “Verso una censura violenta e drammatica”. Protagonisti dell’incontro, insieme a Foa, due economisti: il marxista Vladimiro Giacché e il keynesiano Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Foa è autore del saggio “Gli stregoni della notizia, atto secondo”, ovvero “Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”, editore Guerini e Associati, 293 pagine, euro 21,50).Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.
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L’Ue minaccia il web: non avrete altra verità che la nostra
E’ da un anno e mezzo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti preparano il terreno. E ora ci siamo: tra non molto avremo una rete di fact-checkers, naturalmente indipendenti, naturalmente rispettosi di un rigoroso codice etico e naturalmente dediti alla causa suprema: la lotta alle fake news, ovvero al mostro che agita i sonni dell’establishment. Tutto questo, in realtà, come ripeto da tempo, ha un solo scopo: legittimare l’introduzione della censura, limitare l’impatto e la diffusione di idee non mainstream, naturalmente negando che di censura si tratti. Ma così sarà: non c’è vera democrazia quando qualcuno si arroga il diritto di decidere cos’è vero e cos’è falso, e rendendo inviolabile e sacra, quella che in realtà una pericolosissima forma di strabismo, perché si addita solo una parte del problema, le fake news veicolate dai social media, e si ignora il vero scandalo, che è rappresentato dalla manipolazione delle notizie creata all’interno dei governi, il cui impatto è infinitamente superiore. Qualunque frottola sulla Siria, sull’Ucraina, sulla Grecia resta rigorosamente impunita, purché abbia origine dentro a un’istituzione; proprio quelle istituzioni che ora pretendono, per il nostro bene, di limitare i confini della libertà di espressione.L’Unione Europea ieri ha compiuto un altro fatale passo, annunciando misure “propedeutiche”, in attesa di ulteriori “messe a punto”, già annunciate per dicembre. L’impostazione è soft, per non allarmare le masse, e infatti pochi media ne hanno parlato; l’esito, però, è scontato. Non può essere altrimenti quando si annuncia, come ha fatto il commissario Ue alla sicurezza Julian King, che «la manipolazione della pubblica opinione attraverso le fake news è una minaccia reale alla stabilità e alla coesione delle nostre società europee», annunciando «la creazione prima dell’estate di una rete europea indipendente di fact-checkers e a settembre di una piattaforma europea sulla disinformazione per aiutarli nel loro lavoro. Inoltre Bruxelles lancerà un nuovo bando quest’anno per la produzione e la diffusione di informazione di qualità sull’Ue attraverso notizie fondate sui dati». Già, ma quali verifiche? Quali dati? Quelli certificati da Macron o dal Dipartimento di Stato americano che hanno deciso di bombardare la Siria senza prove, solo sulla base di notizie riportate dai media e dai social media? Quelli diramati da Ong che pur presentandosi come non governative in realtà sono finanziate dai governi occidentali, diventando uno strumento dissimulato ma molto efficace nell’ambito delle moderne guerre asimmetriche?King ha varato anche misure per i social media da Facebook e Twitter, proprio mentre Zuckerberg, al Parlamento Europeo, annunciava la creazione di un piccolo esercito di ventimila guardiani per garantire la correttezza delle “elezioni europee del 2019”, ovvero per togliere linfa e visibilità a idee e movimenti sovranisti e critici nei confronti della Ue. Dunque per limitare dall’alto la libertà d’opinione, come accade solo nei regimi autoritari. Purtroppo si conferma lo scenario che abbiamo delineato Alberto Bagnai, Vladimiro Giacché e il sottoscritto, durante l’affollatissima conferenza che si è svolta sabato scorso a Roma, organizzata da “L’intellettuale Dissidente” e dall’associazione “a/simmetrie”. Una conferenza che ha suscitato l’entusiasmo de presenti e che potete seguire grazie a “Byoblu” di Claudio Messora, che l’ha filmata. La battaglia che si profila per un’informazione davvero libera sarà dura, molto dura. E avremo bisogno, come non mai, del vostro sostegno.(Marcello Foa, “Ci siamo: la Ue crea una rete di censori. La libertà d’opinione è in pericolo!”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 27 aprile 2018. Nel video realizzato da “ByoBlu”, la conferenza romana con Foa, Bagnai e Giacché).E’ da un anno e mezzo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti preparano il terreno. E ora ci siamo: tra non molto avremo una rete di fact-checkers, naturalmente indipendenti, naturalmente rispettosi di un rigoroso codice etico e naturalmente dediti alla causa suprema: la lotta alle fake news, ovvero al mostro che agita i sonni dell’establishment. Tutto questo, in realtà, come ripeto da tempo, ha un solo scopo: legittimare l’introduzione della censura, limitare l’impatto e la diffusione di idee non mainstream, naturalmente negando che di censura si tratti. Ma così sarà: non c’è vera democrazia quando qualcuno si arroga il diritto di decidere cos’è vero e cos’è falso, e rendendo inviolabile e sacra, quella che in realtà una pericolosissima forma di strabismo, perché si addita solo una parte del problema, le fake news veicolate dai social media, e si ignora il vero scandalo, che è rappresentato dalla manipolazione delle notizie creata all’interno dei governi, il cui impatto è infinitamente superiore. Qualunque frottola sulla Siria, sull’Ucraina, sulla Grecia resta rigorosamente impunita, purché abbia origine dentro a un’istituzione; proprio quelle istituzioni che ora pretendono, per il nostro bene, di limitare i confini della libertà di espressione.
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Scie chimiche in tribunale, ma resta il silenzio sul fenomeno
Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato quello che Silvia Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», scrive Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».«Una bufera a cui non ero minimamente preparata», sostiene Silvia Bencivelli: «Io mi occupo di neutrini e balene, mai avrei pensato di poter suscitare un tale odio con un mio scritto». Si occupa di neutrini e balene, ma ha affrontato anche il tema delle scie chimiche. Come? Definendo il fenomeno “la leggenda di una bufala”. Sicurezza tolemaica, esibita già a partire dal sottotitolo: “Come una storia inventata da due truffatori americani nel 1997, per colpa dell’irrazionalità e dell’antiscienza, è diventata un articolo di fede”. Dunque quelle scie bianche sono rilasciate “dall’irrazionalità e dall’antiscienza”, non dagli aerei? Nell’articolo, la Bencivelli rievoca la storia di due statunitensi, Richard Finke e Larry Wayne Harris, che per reclamizzare la Lwh Consulting, società di consulenza contro gli attacchi terroristici, nel 1997 «cominciarono a spammare email in cui annunciavano l’imminenza di un attacco», con il batterio della peste bubbonica nebulizzato in atmosfera. A seguire, un “mailing” aggressivo sulla presunta irrorazione con sostanze tossiche mescolate al carburante degli aerei: «Le linee che riempiono i nostri cieli non sono scie di condensazione: vengono disperse e possono durare ore, rilasciando lentamente il flagello». La bufala cominciò così a volare, scrive Bencivelli, approdando sui media americani grazie al giornalista William Thomas, che ha lanciato “Skyder Alert”, il primo social network per appassionati di “chemtrails”: scaricato su smartphone, permette di inviare direttamente ai propri politici di riferimento le foto del cielo solcato da strisce bianche.«Sì, perché le principali prove dell’esistenza del fenomeno sono, al momento, fotografie del cielo», aggiunge Silvia Bencivelli nel suo articolo del 2013, citando “leggende” come quella degli “elicotteri neri” e “arei invisibili” che rilascerebbero veleni. Ma, a parte le dicerie sui vettori-fantasma, che dire delle scie che infestano lettaralmente il cielo da una quindicina d’anni? «Nella loro versione tradizionale», scrive la giornalista, «le scie chimiche vere e proprie sarebbero bianche e si riconoscerebbero dalle normali scie di condensazione degli aerei perché più spesse, più durature e genericamente insolite e sospette». Sarebbero? Certo: si usa il condizionale, di fronte alle scie bianche, come se chiunque non le potesse vedere. «Sarebbero anche recenti, cose degli ultimi vent’anni», aggiunge Bencivelli, «a dispetto di documenti fotografici risalenti alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale che mostrano il cielo striato dalle tracce dei bombardieri». Qui bisogna ricorrere a Orwell: a meno di non metter mano a Photoshop, infatti – tra le foto scattate, a miliardi, sul pianeta Terra – è praticamente impossibile vedere (in tempo di pace) cieli striati di bianco, prima del Duemila. Oggi, viceversa, come chiunque può constatare – chiunque, ma non il giornalismo “scientifico” – non esiste più alcun orizzonte interamente blu, se non in giorni di forte vento: l’atmosfera è letteralmente coperta dalla griglia candida stesa in cielo ogni giorno dai “pittori” alati.Come da copione, in questi casi il mainstream si rivolge al Cicap, il think-tank fondato alla fine degli anni ‘80 su impulso di Piero Angela. L’iniziale Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, proprio nel 2013 ha cambiato pelle: il suo “controllo” si è concentrato sulle Affermazioni sulle Pseudoscienze. L’uomo Cicap immancabilmente citato da Silvia Bencivelli nel suo celebre articolo sulla “Stampa” è Simone Angioni, chimico dell’università di Pavia. Lo schema è ripetitivo: Angioni si limita a parlare delle innocue scie di condensazione, quelle che “seguono” l’aereo per pochi chilometri, dissolvendosi rapidamente. Un giornalista, “scientifico” o no, a questo punto dovrebbe fare domande. Per esempio: le scie sono aumentate? Da quando sono comparse le scie “persistenti”? Sono provocate dal carburante degli aerei o da mutate condizioni atmosferiche? C’è da preoccuparsi o possiamo stare tranquilli? In altre parole: cosa sono, tutte quelle scie che ormai velano il sole e che vent’anni da non c’erano? Ma niente: non se ne parla proprio, laddove si svela “la leggenda di una bufala”. Il chimico Angioni preferisce un altro tema: la descrizione delle dicerie comuni, a cura del “complottismo”, sulla composizione delle scie. «Per qualcuno, di recente – aggiunge il tecnico del Cicap – c’è anche il sospetto di un complotto internazionale per indurre modifiche climatiche con microparticelle metalliche o cose simili, che nasce dalla confusione con esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche».Esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche? Questa sì che è una notizia, ma a quanto pare è fuori dalla portata dal nostro giornalismo “scientifico”. Il report “owning the weather” diffuso dal generale Fabio Mini, già a capo della missione Nato in Kosovo, è rimasto per lo più confinato nel recinto “cospirazionista” del web, così come le tesi sulla geoingegneria esposte a Erice dallo scienziato americano Edward Teller, il primo a parlare di “aerosol” nei cieli. «Ma in sostanza, niente di dimostrato e niente, alla fine, di veramente spaventoso», si legge nell’articolo della Bencivelli sulle scie, rassicurante solo per i ciechi. «Solo una bufala che vola», insiste, nonostante le innumerevoli interrogazioni parlamentari sul tema e il riprovevole spazio concesso alle ipotetiche “chentrails” da trasmissioni come “Voyager” e da emittenti come “Radio Deejay”. Ma attenzione: «Non è un vero business», precisa il chimico Angioni, improvvisandosi esperto di comunicazione: «Piuttosto serve ad avere l’attenzione dei media e del pubblico, fino alla prima serata in tv», quando finalmente si parlerà di cose più serie. «Nonostante tutto, la bufala delle scie chimiche continua a viaggiare indisturbata». Perché? Secondo Angioni, per una ragione umanissima: «La convinzione di essere i salvatori del mondo è appagante, soprattutto se si può diventare eroi restando comodamente seduti alla propria scrivania».Al contrario, «rivedere le proprie convinzioni significa tornare alla dura realtà», sostiene il chimico del Cicap. «Così molti preferiscono rimanere nel mondo delle cospirazioni globali». Il mondo dei complotti: «Quello in cui le bufale volano, per esempio», chiosa Silvia Bencivelli, il cui caso – le minacce, ora sanzionate dalla magistratura – torna ad alimentare la campagna di stampa contro il web. Silenzio assoluto, invece, sulle fake news che i grandi media continuano a fabbricare: solo “Pandora Tv” ha raccontato la storia di Hassan Djab, 11 anni, trasformato – in cambio di un po’ di cibo – in “comparsa” per il video girato dagli Elmetti Bianchi per simulare le conseguenze del presunto attacco chimico a Douma, servito da pretesto per il bombardamento missilistico ordinato da Trump. Giornali e televisioni? Hanno parlato dei “gas di Assad”, poi hanno voltato pagina. «I Caschi Bianchi tentano di corrompere anche il mondo dello spettacolo», denuncia Roger Waters in un concerto a Barcellona, dopo che qualcuno aveva cercato di ingaggiare l’ex Pink Floyd per la “crociata” contro la Siria. E’ vero, sui social media circola molto odio, protetto dall’anonimato dei nickname. Le menzogne veicolate dalla grande stampa, invece, fanno volare i missili. Le scie chimiche? Sembrano una piccola palestra di deformazione della realtà. Non viene in mente, al Cicap, che per dissipare le più fervide fantasie “complottistiche” basterebbe un pizzico di verità? Chi si azzarderebbe ancora a romanzare ipotesi fantasiose, se finalmente un governo si decidesse a spiegare cosa sono, quelle scie bianche che tutti (tranne il giornalismo “scientifico”) vedono invadere il cielo, da una ventina d’anni?Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato (in primo grado) quello che la Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», si compiace Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».