Archivio del Tag ‘Facebook’
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L’Italia è nella spazzatura, e loro fan la guerra ai sacchetti
L’Italia è stata trasportata in discarica e serve quanto prima un sacchetto. Possibilmente biodegradabile… Il cervello e l’intelligenza del gregge oramai sono un optional e un vero e proprio mistero. Viviamo in una dittatura oligarchica sfacciatamente manifesta, nella quale ci hanno svuotato e privato di ogni diritto, libertà e sovranità (monetaria, economica, politica) e il popolino si preoccupa e si scandalizza per il sacchetto della spazzatura! Migliaia di persone su Facebook e nel web si stanno mobilitando per acquistare le zucchine senza sacchetto. Spedizioni punitive di consumatori furibondi entrano nei supermercati con la maschera di Anonymous per prendere in ostaggio le bilance pesa-verdura. Ha ragione il grande Natalino Balasso quando dice che siamo un popolo da «rivoluzione polleggiata». «Siamo i Pile Fighter: combattenti con la tuta di pile e le ciabatte a forma di Brunetta che si scandalizzano per le ingiustizie di X-Factor». E’ come affogare in un oceano e preoccuparsi dello schizzetto di fango nella maglietta Nike… Abbiamo una gigantesca trave nel didietro e un anello al naso, ma il gregge si preoccupa di pesare singolarmente frutta e verdura per attaccare le etichette evitando così di pagare l’ingiusto balzello legato al sacchetto.
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Tolstoj: se paghi le tasse, finanzi il sistema che ti domina
C’è un bel saggio di Tolstoj – il Tolstoj vecchio, quello più pericoloso – che in Italia è stato tradotto solo nel 1989, pensate: un terzo della produzione di Tolstoj non tradotta in Italia fino all’89 perché troppo pericolosa. Impressionante. Quindi, le biografie italiane di Tolstoj – compresa quella, famosa, di Citati, ancora nelle librerie – sono fatte su due terzi dell’opera di Tolstoj: manca un terzo, che sono i suoi saggi terribili, popolarissimi prima della Prima Guerra Mondiale, che hanno determinato un sacco di guai, per i regimi del tempo. C’era una vignetta interessante su “Le Figaro”, dove si vedeva lo Zar Nicola II piccolino così, spaventato, che scappava, e Tolstoj (enorme) che voleva dargli una pacca sulla testa, per punirlo – pensate che fama aveva. Ecco, è un saggio del 1908, che si intitola “Di chi è la colpa”. Era un periodo brutto, per la Russia: Nicola II era quasi impazzito, a quel tempo, e permetteva ai cosacchi di fare di tutto – dai pogrom alle sciabolate durante le manifestazioni, esecuzioni capitali ogni giorno. E Tolstoj fa un brevissimo elenco di 7-8 righe su quello che è terribile, in Russia, in quel periodo, e dice: quante pene di morte ci sono al giorno? Nove, dieci. Quanta gente viene deportata?Proprio Nicola II aveva cominciato a fare le deportazioni forzate. Tutta la popolazione di una regione viene presa e viene messa in fondo alla Siberia, in un posto che ha sempre l’isobara di gennaio totalmente negativa. Capitava alle sètte religiose. C’era quella dei Molochany, quella dei Duchobory – Molochany vuol dire “bevitori di latte”, perché erano ultra-vegetariani, mentre i Duchobory aborrivano le armi: si rifiutavano di usare persino i coltelli. Gruppi ritenuti pericolosi per la società russa, quindi deportati in massa. E Tolstoj, arrabbiato contro questo, scrive un libro, “Resurrezione”. Gli fanno dei contratti pazzeschi, in tutto il mondo. Tutti i soldi che prende da “Resurrezione”, Tolstoj li usa per comprare una nave e un pezzo di Canada. Dopodiché manda i suoi figli a raccogliere tutti i Duchobory lungo la strada della deportazione, li carica sulla nave nel Mar Nero e li porta in Canada, dove vivono ancora adesso i loro discendenti, che tuttora parlano russo. Tutto ciò, con “Resurrezione”: una cosa grandiosa. Era un pericolo vivente, Tolstoj: non potevano ammazzarlo, né arrestarlo, perché troppo famoso. E in Italia di questo s’è saputo pochissimo, tra l’altro, fino agli anni ‘90.Il saggio “Di chi è la colpa” dice: le cose in Russia vanno male. Di chi è la colpa? Tutti quanti dicono: dello Zar. Ma lo Zar – dice Tolstoj, che era un nobile russo dell’alta società – è un ometto piccolo così, che gioca a tennis e a cricket tutto il tempo. Lui scrive diari, la Zarina segue Rasputin. Come fa, uno così, a dominare 180 milioni di russi? Non può essere tutta colpa sua, la colpa sarà della corte. Ci sono tremila persone, a corte, che fanno i loro maneggi – allora non c’erano le multinazionali, c’erano le corti. Colpa loro, quindi? Ma io, dice Tolstoj, sono vissuto in mezzo a questi fin da bambino: è gente che si fa gli affari suoi, che cerca vantaggi personali anche piccoli; sono tutti indebitati, si sono rovinati con il gioco tutti quanti, bevono come spugne. Come volete che facciano, queste duemilacinquecento persone, a dominare 180 milioni di russi? Allora la colpa è del governo, della Duma, del Parlamento. Inclusi sottosegretari e uscieri, sono settemila persone. Può darsi che sia colpa loro, dice Tolstoj. Però, aggiunge, sono settemila, mentre i russi sono 180 milioni. Come fanno, ’sti settemila, a imporre il loro dominio su 180 milioni di persone?Dicono che esiste il potere, ragiona Tolstoj, che ha sempre odiato questa parola. Cos’è il potere? Nessuno l’ha mai definito. Napoleone sposta cinquecentomila uomini, dalla Francia alla Russia, e ne muoiono 480.000. Napoleone, si dice, aveva un grande potere. Ma era un turacciolo, spinto da una marea di francesi che – chissà perché – volevano andare in Russia e sono morti tutti lì. Il potere? Io non ci credo, dice Tolstoj. E poi questi parlamentari, fisicamente, cosa fanno? Vanno dal russo e gli dicono “tu mi obbedisci”? Se vanno dal Mugik, quello li uccide: li mangia, se non c’è nessuno che guarda. Quindi il problema non sono quei tremila. Chi può essere, allora? L’esercito. Qui ragioniamo, dice: sono quattro milioni di persone. E quello russo era l’esercito più potente del mondo. Ma cos’è un esercito? E’ un insieme di soldati. Va bene, e cos’è un soldato? Questa era il modo di ragionare di Tolstoj, affascinante: sembra un bambino, che fa domande su domande. Dunque, che differenza c’è tra un soldato e un normale cittadino? Le armi: il soldato ha le armi. Le ha comprate lui? No. Gliele ha pagate lo Zar? No. Il governo? No. La corte? Nemmeno. Le armi gliele hanno pagate le tasse. E quindi: chi ha pagato le armi, che fanno diventare un uomo un soldato? E’ chiaro che sei stato tu, perché le tasse le hai pagate tu. E allora: tu perché le paghi, le tasse?E’ chiaro che questo libro qui non poteva uscire negli anni Trenta, non poteva uscire negli anni Settanta e non può uscire oggi. Io l’ho fatto nell’89, questo librone (“Perché la gente si droga”, sono 800 pagine di saggio di Tolstoj). Era un periodo buono, quello. L’Ottantanove, poco prima di Berlusconi. Lì è uscito, il libro. E’ andato molto bene, poi è sparito. E non lo ripubblicano più, perché è troppo pericoloso. Se tu metti una pagina di quel libro lì su Internet, su Facebook, il giorno dopo ricevi una comunicazione della questura, perché è un reato. Oggi, fare questo discorso è un reato: perché è un’esortazione a non rispettare una legge della nazione. Non pagare le tasse? Grave: ti trovi subito nei guai. Tolstoj poteva, a quel tempo. E l’idea è questa: se tu paghi le tasse, perché le paghi? Cosa ti spinge a pagarle? La psicologia del dominio, in realtà, è tutta qua. E’ vero: il dominio non è l’esercizio di un potente, è l’esercizio di un potente condizionato all’approvazione del suddito. Anche la multinazionale può manipolarti, ma si regge sugli acquisti: e tu puoi smettere, di comprare. Sartre diceva: l’uomo è condannato a essere libero; se è servo, è perché ha scelto lui di esserlo.(Igor Sibaldi, estratto della conferenza nell’ambito del seminario “Psicologia del dominio”, svoltosi il 3 dicembre 2017 con Salvatore Brizzi, Giorgio Galli e Calogero Falcone, ripreso su YouTube).C’è un bel saggio di Tolstoj – il Tolstoj vecchio, quello più pericoloso – che in Italia è stato tradotto solo nel 1989, pensate: un terzo della produzione di Tolstoj non tradotta in Italia fino all’89 perché troppo pericolosa. Impressionante. Quindi, le biografie italiane di Tolstoj – compresa quella, famosa, di Citati, ancora nelle librerie – sono fatte su due terzi dell’opera di Tolstoj: manca un terzo, che sono i suoi saggi terribili, popolarissimi prima della Prima Guerra Mondiale, che hanno determinato un sacco di guai, per i regimi del tempo. C’era una vignetta interessante su “Le Figaro”, dove si vedeva lo Zar Nicola II piccolino così, spaventato, che scappava, e Tolstoj (enorme) che voleva dargli una pacca sulla testa, per punirlo – pensate che fama aveva. Ecco, è un saggio del 1908, che si intitola “Di chi è la colpa”. Era un periodo brutto, per la Russia: Nicola II era quasi impazzito, a quel tempo, e permetteva ai cosacchi di fare di tutto – dai pogrom alle sciabolate durante le manifestazioni, esecuzioni capitali ogni giorno. E Tolstoj fa un brevissimo elenco di 7-8 righe su quello che è terribile, in Russia, in quel periodo, e dice: quante pene di morte ci sono al giorno? Nove, dieci. Quanta gente viene deportata?
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Il coraggio di Imposimato, in quest’Italia senza giustizia
«Un paese si salva dalla rovina solo se tutti i cittadini vivono in una condizione di dignità». E’ il testamento spirituale di Ferdinando Imposimato, alto magistrato e uomo libero, senza paura di affrontare il vero potere: nell’Italia politica delle anime morte ha attaccato il decreto Lorenzin sui vaccini, ha denunciato il ruolo della mafia nella rete ferroviaria Tav e ha accusato la cupola Gladio-Bilderberg per il caso Moro, evento simbolo della strategia della tensione che manipolò le Brigate Rosse per azzoppare il paese. E’ arrivato a minacciare di trascinare gli Stati Uniti al Tribunale dell’Aja, per aver deliberatamente ignorato i preparativi terroristici del maxi-attentato dell’11 Settembre, che poi ha proiettato la “guerra americana” in mezzo mondo. Già presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Imposimato – spentosi a Roma il 2 gennaio all’età di 81 anni – non amava i giri di parole. «Ormai sappiamo tutto della strategia del terrore», disse, presentando il recente saggio “La repubblica delle stragi impunite”. Quella strategia «fu attuata dalla struttura Gladio (Stay Behind) in supporto ai servizi segreti (non deviati) italiani. Serviva a scoraggiare l’instaurarsi di governi di sinistra ed era orchestrata dalla Cia».
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Il pensiero positivo? Nato da Stalin, copiato da Hitler e Usa
La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.Quindi la critica non è permessa, è intesa come un esempio di psicosi. Vai in manicomio perché hai detto che c’era qualcosa su cui non eri d’accordo: hai pensato negativo. Stalin l’ha fatto, facendo sparire dalla Russia intere classi sociali – contadini, borghesi, militari. E il primo che l’ha preso seriamente in considerazione è stato Hitler. Al tempo del “Mein Kampf” no, negli anni Venti non ancora: Hitler allora era sempre incazzato e andava forte, cresceva tanto. Ma, una volta arriavato al potere, ha messo in moto il pensiero positivo staliniano con i tedeschi, dicendo: cari tedeschi, voi siete spaventati, terrorizzati, istupiditi dalla crisi economica, ma sbagliate, state pensando negativo. Pensiamo positivo: noi siamo il popolo superiore del mondo, non per motivi ideologici (come quei bastardi dei russi), ma per motivi razziali. Noi siamo gli ariani, siamo meglio di chiunque altro, e qualsiasi cosa sia ariana va bene. Questo è pensiero positivo – un misto di pensiero positivo e di autostima. In questo modo Hitler è riuscito ad avere un controllo formidabile su un popolo, e l’ha esteso ai minimi dettagli. Per esempio, cosa c’era scritto all’ingresso di diversi campi di concentramento? “Arbeit macht frei”, il lavoro fa diventare liberi. Cosa voleva dire? Dentro, mica lavoravano. Però uno scendeva dal treno, vedeva scritto “arbeit macht frei” e poteva pensare, vabbè, è un posto civile. Era un modo, quello lì, che poi gli americani hanno teorizzato e capito bene.Quando sono arrivati i russi, ad Auschwitz, hanno visto il campo di concentramento e han detto: sono dilettanti, non si fa così, la gente la si ammazza “normale”. Gli americani, invece – ingenui, ma pratici – vedono e contano: quanti prigionieri ci sono? Dodicimila. E quante guardie? Cento, e con anche una piscina per loro (quindi le guardie stavano rilassate). E pensano: come han fatto? Ci interessa. Come han fatto, in cento, a tenerne a bada dodicimila, che peraltro non avevano nessuna speranza di sopravvivere e quindi, in qualsiasi momento, potevano ammazzare quei cento, prendendosi almeno la soddisfazione? Si son detti: qui bisogna chiamare gli organizzatori. Presi, prelevati, arrivati in America insieme a un sacco di scienziati. E lì è venuto fuori il “positive thinking”. Però gli americani gli han detto: sentite, noi non siamo come voi pazzi, che usate queste cose per sterminare le persone. A noi interessa solo vendere. Ci interessano tre cose: vendere tanto, non avere comunisti tra i piedi e far sopportare alla gente l’inquinamento – non quello delle auto, quello radioattivo, che sta crescendo a livelli esponenziali.Nei bollettini meteorologici degli anni ‘50, in America, c’era scritto: per oggi è prevista pioggia, la temperatura sarà questa, il livello di radiazioni oggi sarà tollerabile. Uno legge questa roba e dice: «Voi siete pazzi. Livelli di radiazioni? Siete matti». Invece, dicono gli americani agli ex nazisti, noi vogliamo che i nostri concittadini siano contenti. Potete aiutarci? Sennò tornate in galera. E loro: eccoci pronti. Tanti sociologi ne hanno parlato – Adorno, Marcuse. L’idea era proprio: qui bisogna convincerli che tutto va bene. E la teoria che c’è dietro è bellissima. Rispetto a “Good”, l’espressione “Bad” vale cinque volte tanto, a livello energetico: per bilanciare un’esperienza “Bad” occorrono cinque esperienze “Good”. Quindi, se vuoi dominare un popolo, gli dai esperienze belle. Come si faceva, nei campi di concentramento, quando torturavano qualcuno? Chiamavano l’orchestrina. Non per coprire le urla: per abbassare l’energia. Se tu tieni la gente a livello “Good” per 10-15 anni, dopo puoi fargli quello che vuoi, perché sono tutti diventati deboli. Gli dai esperienze “Bad”? Non puoi fargli pagare le tasse al 73%, come adesso. In Francia non puoi, ti spaccano tutto. Il francese, dicono, è un italiano arrabbiato. Si permette esperienze “Bad”, non per niente ha fatto la rivoluzione – l’italiano no. Ma “Bad” non vuole dire cattivo, brutto. Vuol dire: difficile.Una cosa che colpisce, nel pubblico italiano, è che – a tutti i livelli – salta fuori qualcuno che dice: questo libro è difficile, cioè è “Bad”, ha un coefficiente di avversità alto. Dice: preferisco il libro “Good”. Ma non è vero che lo preferisce, è che non ce la fa più, non ci arriva più. A forza di esperienze “Good”, è cambiato in Italia il livello di attenzione, nell’arco di una sola generazione. Provate a guardare, su YouTube, un qualsiasi Carosello degli anni Sessanta. Dura tre minuti, erano 15 minuti in tutto e c’erano 5 Caroselli. Non riesci a seguirlo: non ce la fai, ti distrai. “La stella di Negroni vuol dire qualità”. Lo vedevano tutti, anche i bambini. Dopo, cos’è successo? “Good”, “Good”, “Good”, e l’energia cala. Ti do un libro “Bad”? Non ce la faccio più, non reggo. Devi fare un libro “Good”, perché la gente non ce la fa più. Ecco il prodotto del pensiero “Good”. Autostima, uguale: pensiero “Good”, applicato al singolo individuo. Se uno si autostima, cosa vuoi che desideri? Se per di più pensa positivo è già a posto, no? Ci mancherebbe che uno che si autostima avesse un’esperienza “Bad” come un desiderio.Il desiderio è un’esperienza “Bad”, perché vuol dire che tu dichiari che nella tua vita, alla tua età, ti manca ancora quella roba lì. E’ “Bad”, perché ammetti che ti manca. Ti spiace, riconosci questa mancanza. Gli altri ce l’hanno, quella cosa, e tu no. Ma, se hai dentro questa esperienza “Bad”, hai un desiderio: e allora la tua vita comincia a salire. Se invece sei abituato al “Good”, ti fermi. Pensi: non mi serve niente, ho già tutto. Naturalmente, uno che pensa positivo e ha un sacco di autostima, a un certo punto vede che qualcun altro esprime desideri. Allora ci prova anche lui, per evitare di avere un’esperienza “Bad”. Ma sono desideri finti, non sono cose davvero desiderate: sono cose copiate, e se non si realizzano non gliene frega niente. Ricordate Gesù? Due tizi salirono al tempio a pregare. Uno era un fariseo, e diceva quella bella preghiera farisaica che era tutta pensiero positivo: ti ringrazio, mio Signore, d’avermi fatto nascere ebreo, ricco e maschio. Si complimentava con Dio, per averlo creato bene. Invece l’altro era un pubblicano, cioè un mafioso, un delinquente, che diceva: che merda, mi sa che quando vengo qui a Te dà fastidio, Ti volti dall’altra parte, che brutta roba che sono… Chi dei due sarà piaciuto di più a Dio? Esatto: meglio l’esperienza “Bad” dell’esperienza “Good”.Autostima e pensiero positivo sono utilissimi nelle negoziazioni. C’è un aspirante suicida, in bilico sul cornicione al ventesimo piano, a un passo dal trovare il tremendo coraggio di lanciarsi nel vuoto? Cosa usa, nei suoi confronti, il negoziatore della polizia? Pensiero positivo e autostima. Un così bel ragazzo, perché vuoi buttarti giù? Non vedi che belle prospettive hai davanti? Via via che il negoziatore parla, gli fa calare l’energia. Alla fine, l’aspirante suicida ha talmente paura, che rientra. Gli cala l’energia, non ha più il coraggio di uccidersi. Se sei un suicida, ovviamente, pensiero positivo e autostima sono utilissimi – ma se non sei un suicida, no. Vuol dire che hai paura. Di cosa? Di quello che succede se cominci a desiderare – cioè a uscire dal “sidera”, dalle tue “stelle” prestabilite. Vengono fuori delle parti di te che sono spiazzanti, impreviste. Perché, se mollo il guinzaglio, salta fuori l’altro problema grosso, che è la paura. Non c’è praticamente mai, nella nostra vita, ma è il più grosso dei problemi che abbiamo. Se fai un testacoda, in macchina, ti ricordi che in quel preciso momento eri calmissimo; la paura è sopraggiunta dopo, quando eri già al sicuro. Ma quella non è paura, è paura derivata: paura di aver paura.La paura della paura ti tranquilizza: tu non ci sali, sul trampolino da dieci metri. Però vedi gli altri, in piscina, che invece ci salgono. E pensi: quasi quasi ci salgo anch’io. E senti che la tua “paura della paura” diventa un po’ agitata. E allora ricorri a un’altra cosa ancora: la paura della paura della paura. E’ il fatto che, in piscina, non ti volti mai verso il trampolino da dieci metri. E così finisci per non andarci neppure più, in piscina. Perché hai paura della paura di aver paura. E questo è il sentimento più diffuso, nel mondo occidentale. Uno molto coraggioso ha paura: arriva in certi stati in cui ha paura. Non che sia questa gran cosa, la paura: è energia frenata. Il topolino che spia il tuo frigorifero, quando scappa o lotta, non ha paura. E’ astuto e ride, o ringhia, o piange – però non ha paura. La paura è quando tu non puoi fare delle cose che sai fare: quella è paura, energia frenata. Produce una serie di ormoni, che girano nel cervello limbico: una serie di reazioni fisiche sono innescate da ormoni precisi, che scattano quando sei impedito nel fare qualcosa. Per cui una persona coraggiosa, che prova la paura, la prova per pochissimi istanti – se è libera. La prova giusto il tempo di accorgersi della sua energia frenata: allora la mette in moto e, da quel momento, non ha più paura. Poi gli resta la memoria di quella paura che ha avuto, che gli produce la paura della paura.Se fai un testacoda, hai una scarica di adrenalina forte che per un po, rimane in circolo. Ti spingerebbe, dopo un quarto d’ora, a fare un’altra cavolata. Non puoi farla, allora freni l’energia e viene fuori la paura, quando ormai sei al sicuro. Proprio per la paura di aver paura, quanti trampolini non vedi, durante il giorno? Quanta parte della tua vita non frequenti più, per paura della paura? Tanta. Naturalmente, “consideri”. Poi vedi che tutti gli altri fanno uguale, e allora dici: sono normale, va bene così. E no, che non va bene: perché poi ti accorgi che il desiderio non ce l’hai più. E formuli quel pensiero tremendo: se vengo via, non vado più a lavorare. Nelle lingue dell’Europa nord-occidentale, ma anche in latino e in greco, sono due le parole che indicano “lavoro”: in inglese sono “work” e “job”. In italiano ce n’è una sola, dal latino “labor”, che vuol dire: lavoro degli schiavi. In inglese, se dici “I work” non è “I have a job”. “Job” è sgobbare, suona anche uguale. “Work” è: fare delle opere, che ti piacciono. Le volte che trovo un bambino incustodito, gli dico: mi raccomando, tu non lavorare mai. E questo lo capisce al volo.Secondo la Bibbia, il lavoro è la piaga principale dell’umanità. La parola che indica “lavoro”, nella Bibbia, è la stessa che indica “schiavitù”, tale quale all’italiano “labor”, lavoro di schiavo, e al francese “travail”, nonché allo spagnolo “trabajo”. Il travaglio era uno strumento di tortura medievale, una gabbia fatta di travi. C’è gente che vive di “travaglio”, e poi dice: “Io, nel mio tempo libero”, e non si accorge mai di cosa sta dicendo. Nel tuo tempo libero fai le scemate e guardi Facebook? Ma tu sei pazzo. Tempo libero? E il resto del tempo cos’è? Tempo lavorativo. Il tempo dello schiavo, del travagliante. Ecco, se si comincia a mettere in discussione questo, si sa da dove di parte ma non dove si arriva. E’ lo stesso principio dell’Esodo: molliamo l’Egitto per andare dove? Si va verso di te, naturalmente. Però quel “tu” verso cui vai dà una bella preoccupazione – e poi vaglielo a spiegare, a casa, quando comincia ad andarvi stretto un po’ tutto, dal guardaroba al colore delle pareti, fino al coniuge…(Igor Sibaldi, estratto da YouTube della conferenza di presentazione del libro “Il mondo dei desideri”, sottotitolo “101 progetti di libertà”, edito da Tlön nel 2016).La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.
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Il subcomandante Di Maio sfida l’Europa con Grasso e il Pd
Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».Se Renzi ottenesse un risultato deludente, «ad esempio intorno al 20% dei voti o addirittura meno (e non è da escludere) l’agguato di una resa dei conti interna è dietro l’angolo», scrive Becchi su “Libero”, in un’analisi firmata insieme a Giuseppe Palma e ripresa da “Scenari Economici”. Il possibile esito della catastrofe renziana: «Dimissioni da segretario e, al suo posto, una figura Caronte che traghetti il partito verso nuove primarie e un nuovo congresso. A quel punto, tolto di mezzo Renzi, l’accordo tra M5S e Pd è presto fatto». Anche in questo caso, secondo Becchi e Palma, basterà puntare su tecnici “di area”, per un governo «formalmente guidato dal M5S, ma in realtà dalla vecchia sinistra: una maggioranza parlamentare che va da Di Maio a Grasso, passando da Orlando, Finocchiaro e Franceschini, con il godimento massimo di Massimo D’Alema e di Bersani». Insomma, un’alternativa alla coalizione del centrodestra c’è, e proprio Di Maio «la sta abilmente costruendo». La verifica della sua tenuta? «E’ già sperimentata: a questo – e solo a questo – serviva la legge sul testamento biologico», che ha allineato in anticipo i voti trasversali che domani, secondo i due analisti, potrebbero sorreggere il governo Di Maio.Quanto al programma dell’eventuale esecutivo “arcobaleno”, è meglio non farsi illusioni. «Se dovessimo arrivare al referendum sull’uscita dall’euro, che per me è l’extrema ratio, è chiaro che sarei per l’uscita», dice Di Maio a “La7”, «perché vorrebbe dire che l’Europa non ci avrebbe ascoltato su nulla». Ma prima, aggiunge, «proverei a ottenere risultati andando in Europa». Se Di Maio scherza, Renzi non ride alle sue barzellette. Mette in discussione il tabù dell’euro? «Sarebbe una follia per l’economia italiana», replica l’ex premier, il mancato salvatore dell’Italia. Questa la sua visione: «Immaginate cosa accadrebbe al nostro export, e ai lavoratori delle aziende interessate, se al governo ci fosse chi vuole uscire dall’euro come Salvini o Di Maio: chi pagherebbe il conto?». E’ vero, si corregge Di Maio: non dicevo sul serio. «L’obbiettivo di governo del M5S non è assolutamente l’uscita dall’euro», chiarisce il grillino, su Facebook. La vera missione è «rendere la permanenza del nostro paese nella moneta unica una posizione conveniente per l’Italia». Perfetto, e come?Di Maio spiega che porterà in Europa un «pacchetto di proposte», essendo, beato lui, «fiducioso nella strada del dialogo con le istituzioni europee». Poi però minaccia: «Se l’Europa sarà rimasta sorda a tutte le nostre richieste, non sacrificheremo la ricchezza e il benessere degli italiani sull’altare dell’euro». Ma non lo sa, il subcomandante Di Maio, che i buoi sono giù fuggiti dalla stalla, mentre i 5 Stelle dormivano e a Strasburgo cercavano addirittura di traslocare tra i super-euristi dell’Alde, in compagnia di Mario Monti? Evidentemente, i candidati alle politiche 2018 sanno di potersi permettere di tutto, convinti che gli italiani ci cascheranno ancora. Magari votando per frontman anziani, o giovanissimi già decrepiti, che pensano di mandare Massimo D’Alema a sbattere i pugni sui tavoli di Bruxelles. Un programma veramente credibile, rivoluzionario. Difatti, il vero potere ostile all’Italia – da Wall Street a Bruxelles – sta già tremando, all’idea di doversela vedere con Di Maio e Bersani, Grasso e Franceschini. Un altro lottatore, Stefano Fassina, avverte: «Sull’euro il referendum consultivo è impraticabile per evidenti ragioni pratiche: la fuga di capitali dall’Italia e l’impennata degli spread sui titoli di Stato al solo annuncio di volerlo celebrare».Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».
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Zizek: solo i miliardari progressisti salveranno l’umanità?
Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?Perché sappiamo che le parole contano nei dibattiti pubblici: e anche se ciò di cui parla Gates non è “vero socialismo”, parla dei limiti fatali del capitalismo – e, ancora una volta, possiamo chiedere: gli autoproclamatisi socialisti attuali hanno una visione seria di cosa il socialismo debba essere oggi? Il paradosso della nostra situazione è quindi che, mentre la resistenza contro il capitalismo globale sembra non riuscire ad indebolirne l’avanzata, i suoi oppositori sembrano non essersi accorti dei vari trend che segnalano chiaramente la progressiva disintegrazione del capitalismo. Ed è come se le due tendenze (resistenza ed auto-disintegrazione) si muovessero a ritmi diversi e non riuscissero a incontrarsi: abbiamo dunque inutili proteste in parallelo a voci di imminente decadenza, ma sembra che non ci sia modo di riunire le due in un atto coordinato (come il superamento del capitalismo). Miliardari buoni? Come si è arrivati a questo? Mentre la sinistra (o perlomeno la maggior parte) cerca disperatamente di proteggere i diritti dei vecchi lavoratori contro l’assalto del capitalismo globale, è quasi esclusivamente il capitalismo più “progressista” (da Elon Musk a Mark Zuckerberg) che parla del post-capitalismo – come se il vero argomento del passaggio dal capitalismo, come lo conosciamo, ad un nuovo ordine post-capitalista sia stato appropriato dal capitalismo stesso.Di conseguenza, sta emergendo un nuovo gruppo di “intellettuali organici”, che esemplificano la privatizzazione dei nostri beni comuni. La figura di Elon Musk è emblematica, e appartiene alla stessa classe di Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed altri: tutti miliardari “socialmente consapevoli”. Rappresentano il capitale globale nella sua forma più seducente e “progressista”: in breve, nella sua forma più pericolosa. Ma allora questi ultra-ricchi possono salvarci? Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk non sarebbe Sloterdijk se non avesse tratto questa provocatoria conclusione: prima si pensava che solo i poveri (uniti) avrebbero potuto salvare il mondo, il ventesimo secolo ha invece mostrato le conseguenze catastrofiche di questo atteggiamento e la violenza distruttiva generata da un risentimento universalizzato. Ora, nel ventunesimo secolo, dovremmo finalmente avere il coraggio di accettare il fatto che solo i ricchi possono salvare il mondo, e possiamo dire che individui eccezionalmente creativi, che donano con generosità, come Gates e Soros, hanno fatto per le lotte per la libertà politica e contro le malattie più di quanto non abbia fatto qualsiasi intervento statale.La diagnosi di Sloterdijk non deve essere confusa con la solita protesta liberal-conservatrice contro il cosiddetto “risentimento di sinistra”. Perché l’idea centrale che sostiene questo sproloquio è che ne abbiamo avuto abbastanza della “tirannia del welfare” che abbonda nel nostro “dispotismo democratico”; come nel medioevo, l’orgoglio personale è oggi il più grande peccato, ed il nostro diritto fondamentale è sempre più semplicemente il “diritto alla dipendenza”. Approccio alternativo: «Il welfare oggi è una droga dalla quale dipendono sempre più persone. Una buona idea umana diventata una sorta di oppio dei popoli», ha detto Norbert Bolz, un altro pensatore tedesco. Quel che rende Sloterdijk diverso però è che intende la propria proposta come strategia per assicurare la sopravvivenza della più grande conquista economico-politica dell’Europa moderna, il social-democratico welfare State.Secondo Sloterdijk, la nostra realtà – perlmeno in Europa – è la democrazia sociale “oggettiva”, in contrapposizione alla democrazia sociale “soggettiva”. E per tenerla in vita, dovremmo creare una “nuova semantica”, un nuovo spazio di idee egemoniche in cui la cultura dell’orgoglio ed il riconoscimento dei vincenti (non solo in senso economico ma anche morale) avranno il proprio posto. Ma può funzionare? Io non la penso così. Torniamo a Bill Gates: individua correttamente la causa ultima dei nostri problemi (ecologici) nel capitalismo, e poi, invece di proporre cambiamenti al sistema stesso, fa appello al senso comune dei singoli capitalisti. Non sarebbe molto più appropriato cercare di creare un sistema non capitalista, che però premi anche i vincenti? Questi due desideri sono veramente inconciliabili?(Slavoj Zizek, “Solo i miliardari progressisti possono salvare l’umanità?”, da “Rt” dell’8 dicembre 2017; analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, con traduzione di Hmg).Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?
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Amazon è partner Cia, di Bezos anche il Washington Post
Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che la relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.«Bezos ha acquisito la sua ricchezza grazie allo sfruttamento della sua forza lavoro, circa 300.000 persone in tutto il globo», scrive “Dedefensa” citando il sito economico Wsws.org. «I lavoratori di Amazon guadagnano 233 dollari al mese in India, per una media di solo 12,40 dollari l’ora negli Stati-Uniti». I dipendenti hanno tutele minime, salari bassi, contratti flessibili e spesso temporanei, aggiunge “Dedefensa”, in un post tradotto da Vollmond per “Come Don Chisciotte”. A rischio, pare, anche le condizioni di sicurezza sul lavoro: «In settembre, quando Phillip Terry, di 59 anni, è stato schiacciato da un carrello elevatore in una fabbrica di Amazon a Indianapolis, il ministro del lavoro ha dichiarato che l’impresa potrebbe essere costretta a pagare 28.000 dollari d’ammenda. Bezos guadagna una cifra simile in un minuto, più dei suoi operai americani in un intero anno». La società, inoltre, «esige gli stessi privilegi dei governi del mondo, privilegi fiscali e altre agevolazioni gratuite in cambio della costruzione dei suoi magazzini». Amazon messo in competizione più di 200 città americane desiderose di diventare il secondo quartier generale della compagnia, ottenendo in cambio enormi donazioni. «Chicago, per esempio, ha offerto ad Amazon un “pacchetto di incentivi” da 2,25 miliardi di dollari, mentre Stonecrest, in Georgia, ha deciso di cambiare il suo nome in “Amazonie” e di nominare Bezos “sindaco a vita”».Ma il binonio Bezos-Amazon, aggiunge “Dedefensa”, ha un tratto assai particolare, ovvero «la sua relazione estremamente forte e pubblicamente ostentata con la Comunità di sicurezza nazionale (Csn), e in particolare la comunità dell’intelligence». La sua collaborazione con la Cia è ormai palese, rileva il blog, dopo il contratto firmato nel 2013 tra Amazon e l’agenzia di Langley: 600 milioni di dollari, con i quali Bezos ha comprato il “Washington Post”, da allora divenuto «l’organo officiale della sicurezza nazionale (in particolare della Cia) e, durante la campagna Usa-2016, l’organo anti-Trump», in nome della posizione assunta dalla stessa Central Intelligence Agency. Una vera e propria luna di miele, con la Cia che «afferma apertamente la sua soddisfazione per questa cooperazione». Da registrare anche una visita ad Amazon altamente mediatizzata dal segretario alla difesa, James Mattis, «che ci permette di comprendere che anche il Pentagono amoreggi con Bezos». Ovvero: «Non si lavora più in segreto, come accadeva prima dell’affare Snowden». Secondo le fonti citate da “Dedefensa”, «Bezos ha trasformato la sua società in un organo semi-ufficiale dell’apparato di informazione militare americana». Amazon e la Cia hanno appena annunciato il lancio di un nuovo sistema di cloud “regione segreta”, nel quale la società ospiterà dei dati per la Cia, l’Nsa, il Dipartimento della difesa e altre agenzie di informazione militare.Un portavoce della Cia ha recentemente qualificato l’accordo sull’acquisto del “Washington Post” da parte di Bezos come «la migliore decisione che abbiamo preso». Nel quadro delle spese militari approvate a novembre dal Senato, Amazon sarà tra i maggiori fornitori di attrezzature informatiche. «L’uomo da 100 miliardi di dollari – scrive “Dedefensa” – ha impiegato la propria ricchezza per esercitare un’influenza considerevole nei corridoi del potere. Quest’anno Amazon ha finanziato il governo federale sborsando più di 9,6 milioni di dollari». Bezos è ricorso alle pagine del “Washington Post” per promuovere l’agenda del Partito democratico. Il “Post”, sotto la gestione di Bezos, è stato uno dei principali difensori della campagna contro la Russia, pubblicando nel novembre 2016 la lista “PropOrNot”, «una finta compilation di agenzie di stampa presumibilmente “propagandisti russi” includente anche siti di informazione di sinistra». In più, Bezos «sta prendendo nettamente le distanze dal piccolo mondo dei super-ricchi, e soprattutto dai compari della Silicon Valley». Lo si evince «dall’affermazione quasi pubblica dei legami tra Bezos e il servizio di informazione ed eventualmente i militari», con la convinzione che la Cia sia priviligiata come interlocutrice principale.Beninteso: «Tutta la Silicon Valley, dalla preistoria di Gates alla sexy-semplicità di Zuckerberg, ha sempre camminato a braccetto con la Comunità di sicurezza nazionale, Snowden ce l’ha ampliamente dimostrato». Ma con Bezos è un’altra cosa, continua “Dedefensa”: «La relazione è alla luce del sole, ambo le parti ostentano soddisfazione, e nulla ci può dire dove essa possa portare, né chi dei due domini l’altro; c’è un problema di preponderanza del potere». Secondo un analista come Robert Parry, il “Washington Post” di Bezos ha influenzato tutta la stampa mainstream, compreso il “New York Times” e gli altri grandi media occidentali, anche non americani. «L’isteria del Russiagate – scrive Parry – ha provocato un enorme abbassamento del livello giornalistico», per il fatto che i principali media statunitensi hanno ignorato le regole fondamentali nell’acquisizione di vere prove, prendendo per buone semplici vociferazioni sulla presunta interferenza russa nelle elezioni presidenziali. «Dato che la creazione di questa isteria antirussa, avviata dal 2013-2014 (Siria e sopratutto Ucraina), poteva effettivamente essere un obiettivo strategico della Cia, si può concludere che la missione sia stata compiuta. Ma a che prezzo?».Quanto alla Cia, non può non destare attenzione «la sua maniera di uscire allo scoperto, come ha fatto e continua a fare, affermando pubblicamente la sua soddisfazione di “lavorare” con un tale partner». La Cia è incredibilmente potente, come lo stesso Bezos, rileva “Dedefensa”. Ma si ha l’impressione – rispetto alle operazioni che furono affettuate dall’agenzia nel primo mezzo secolo dalla sua fondazione – che si sia persa un po’ di quella “sottigliezza”, tipica del recente passato. «Tra questi due partner – conclude “Dedefensa” – ci sono diverse cose in comune: il potere, la brutalità, il cinismo, la falsa virtù affermata perentoriamente e, in breve, tutto ciò che caratterizza la politica-sistema dal 2001, ma ostentato, istituzionalizzato, ufficializzato, proclamato». Se si analizza il risultato dei primi 16 anni di geopolitica Usa a partire dalla data-spartacque dell’11 Settembre, osservando «questo mostro Bezos-Cia», secondo il blog «si ha un’impressione per certi aspetti temperata: la loro potenza combinata può dare la vertigine, ma la vertigine può anche generare errori di manovra e cadute ancora più brutali». L’unione tra Bezos e la Cia era nell’aria da tempo, ma «si tratta di un’unione eccessiva che nasconde in sé la chiave della propria autodistruzione».Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che ha relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.
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Giulietto Chiesa: così Beppe Grillo ha ingannato gli italiani
Avevo creduto alle promesse di Grillo, ma mi ero sbagliato: che se ne rendano conto o meno, i grillini non hanno nessuna possibilità di cambiare l’Italia. E nemmeno nessuna intenzione di farlo, stando a come si comportano i leader: nessuna proposta vera su niente di importante, né la crisi economica né quella geopolitica. «Fanno le pulci alle spese dei parlamentari, ma tacciono sui fiumi di soldi che spendiamo per la difesa militare: 60 milioni di euro al giorno, contro i 44 di finanziamento pubblico a cui i parlamentari grillini hanno rinunciato, dal 2013». Parola di Giulietto Chiesa, direttore di “Pandora Tv” e promotore – con Antonio Igroia – del progetto “Lista del Popolo”, definito anche “La Mossa del Cavallo”. In sintesi: «Metà degli italiani non vanno più a votare, l’altra metà votano per partiti in cui non credono più, in gran parte, e intanto l’Italia va a rotoli: quindi che facciamo, stiamo a guardare?». Chiesa punta su una lista che si rivolga all’oceano dell’astensionismo, per portare in Parlamento un nucleo di opposizione radicale al mainstream politico: «Fra cinque anni sarà tardi, perché i cartelli bancari avranno finito di privatizzare il paese e per l’Italia non ci sarà più niente da fare», dice, ai microfoni di “Border Nights”.A motivare Chiesa rispetto al progetto elettorale con Igroia, anche la cocente delusione rappresentata dai 5 Stelle: «Li ho votati, sperando che la loro spallata sarebbe stata molto utile, ma poi alla spallata non è seguita un’azione». Beppe Grillo? «Mi aveva telefonato, promettendomi che ci saremmo risentiti, per parlare di contenuti. Invece è sparito». Peccato, si rammarica il giornalista, autore di saggi come “La guerra infinita”, sul terrorismo “false flag” dell’11 Settembre. Giulietto Chiesa è tra quanti avevano sperato che, dopo i “vaffa” iniziali, i grillini potessero accettare di crescere e confrontarsi con altri interlocutori sui temi più decisivi. Errore: continuano a ripetere che non faranno alleanze con nessuno. «Hanno ottenuto un grande risultato, dovuto alla genialità spettacolare di Beppe Grillo», ammette. Ma poi, aggiunge, «sostanzialmente hanno ingannato milioni di persone, perché non si può cambiare l’Italia con il 25%». Onestamente: è impensabile cambiare un paese complesso come l’Italia rappresentando solo un elettore su quattro. Si erano illusi di poter conquistare il 51% per cento? «Qualcuno ha addirittura scritto, stupidamente, che tutti si dovrebbero iscrivere al M5S». Altra sciocchezza: «Nel paese ci sono sensibilità diverse, esperienze, storie. Non puoi chiedere alla gente di cancellare il proprio passato. Non esiste una maggioranza della totalità».Nel frattempo, aggiunge Chiesa, «i leader sono andati dietro a Grillo, il deus ex machina che li aveva portati, tra virgolette, al potere. Hanno creduto che, essendo entrati in Parlamento, fossero entrati nel potere: e ci sono stati comodi». Volevano moralizzare il paese? «Ma la moralizzazione che avevano concepito, adesso si vede con tutta chiarezza: era la lotta contro i politici. Sembravano (e sembrano) non rendersi conto che i politici sono solo dei maggiordomi. E’ un errore di analisi», sottolinea Chiesa. «I veri guastatori della democrazia sono state le banche, i grandi imprenditori che hanno venduto le loro imprese all’estero». Un nome su tutti, la Fiat. «Come mai non si parla mai dei grandi imprenditori ladri? Come mai non si parla dei politici che, insieme a loro, hanno cambiato le leggi dello Stato? Non le hanno mica fatte i politici: le hanno fatte i ricchi banchieri che hanno deciso chi doveva scrivere quelle leggi». Giulietto Chiesa non ha mai smesso di parlare con gli elettori grillini, anche su Facebook. «Qualcuno mi ha detto: ma perché non ti iscrivi al M5S? Io ci ho persino provato, ma sono stato respinto: perché ero troppo ingombrante, per questi signori, a cominciare da Beppe Grillo, e a quel punto ho cominciato a pensare che non era un uomo sincero. E adesso lo penso con cognizione di causa».Racconta Chiesa: «A Grillo ho offerto aiuto. Gratis, senza nessun impegno. Gli ho offerto documenti, analisi. Una volta mi telefonò, ero a Mosca, mi ringraziava per aver invitato a votare 5 Stelle in Sicilia. Mi disse: forse dovremmo parlarci. E io: bene, lo farò molto volentieri, al mio rientro in Italia. Mai più sentito». Aggiunge Giulietto Chiesa: «Io sono stato espulso, virtualmente, probabilmente perché sapevano che si sarebbero trovati in grave difficoltà a rispondere a mie obiezioni, che erano tutte amichevoli». Assicura: «Non ho niente contro il Movimento 5 Stelle. Anzi, al contrario: penso che in gran parte sia composto da persone arrabbiate, che non hanno il quadro della situazione ma sono arrabbiate, come milioni di italiani. E io sono arrabbiato esattamente come loro, ma ho capito che senza una linea politica chiara, senza aver individuato il nemico, non si vince. Ecco la differenza». In altre parole: inutile sparare sui politici, meglio individuare i veri “mandanti”. E magari, fare proposte concrete: «Il loro programma 2018 è inconsistente, pari a quello del 2013. Nessun impegno sostanziale sull’economia, sull’Europa, sulla Nato».C’è chi sospetta che i 5 Stelle non siano nient’altro che “gatekeeper”, specchietti per allodole. Missione: deviare l’indignazione popolare verso binari non pericolosi per il potere. Giulietto Chiesa non lo crede: «Ho l’impressione che all’inizio non ci fosse nessun disegno. Credo che né Grillo né gli altri avessero qualche secondo fine. Semplicemente, non essendo in politica, hanno saputo percepire gli umori popolari, e li hanno interpretati. Un fatto spontaneo, quindi, senza un disegno per imbrigliare la spinta popolare». Del resto, qualcosa del genere è avvenuto un po’ in tutta Europa: «Chi ha capito al volo la sfiducia verso i partiti tradizionali ha raccolto questa protesta». Poi, ovvio, i poteri forti hanno strumenti formidabili per imbrigliarla: «Riescono a corrompere, distorcere, inquinare la spinta del nemico. Quindi qualcuno adesso può benissimo aver pensato a questa forza nuova, che però è molto primitiva, non conosce la situazione, non ha esperienza. Qualcuno quindi può aver pensato: ok, dirottiamola su fenomeni secondari. Così il nemico è diventato la classe politica, tutto il resto non è stato visto».Secondo Giulietto Chiesa, «l’Italia è ridotta a colonia dell’America», al guinzaglio della Nato che minaccia la pace in mezzo mondo. «Ma se tu non ti poni il problema di chi è il padrone che ti ha colonizzato, come diavolo puoi pensare di rivoltare l’Italia come un calzino?». I grillini, insiste Chiesa, si sono scatenati contro il finanziamento pubblico ai partiti, rinunciando finora a 44 milioni di euro. «Ma 44 milioni fanno ridere: la nostra difesa militare ci costa 60 milioni di euro al giorno». Grillo dispone di 170, tra deputati e senatori, che si limitano a fare le pulci al conti dei parlamentari: il problema della spesa militare Nato «dovrebbero sollevarlo in Parlamento e gridarlo ai quattro venti», dice Chiesa. «Almeno, quei 44 milioni dovrebbero usarli fare una televisione, che lo dica tutti i giorni dove finiscono quei soldi. Allora sì, ci sarebbe stato un rilancio del movimento: e invece, su queste questioni, silenzio». A quattro anni dalle elezioni 2013, «il Movimento 5 Stelle non solo non dice “uscire dalla Nato”, ma dice “ci voglio rimanere, nella Nato”». E il suo nuovo leader, Di Maio, «va negli Stati Uniti per dire agli americani: state tranquilli, noi non metteremo in discussione il nostro essere una vostra colonia». E allora, conclude Chiesa, «è la fine del Movimento 5 Stelle, e mi dispiace». Può anche darsi che vadano bene, a queste elezioni, «e io glielo auguro». Ma non hanno più nessuna chance di salvare l’Italia.Avevo creduto alle promesse di Grillo, ma sbagliavo: che se ne rendano conto o meno, i grillini non hanno nessuna possibilità di cambiare l’Italia. E nemmeno nessuna intenzione di farlo, stando a come si comportano i leader: nessuna proposta vera su niente di importante, né la crisi economica né quella geopolitica. «Fanno le pulci alle spese dei parlamentari, ma tacciono sui fiumi di soldi che spendiamo per la difesa militare: 60 milioni di euro al giorno, contro i 44 di finanziamento pubblico a cui i parlamentari grillini hanno rinunciato, dal 2013». Parola di Giulietto Chiesa, direttore di “Pandora Tv” e promotore – con Antonio Igroia – del progetto “Lista del Popolo”, definito anche “La Mossa del Cavallo”. In sintesi: «Metà degli italiani non vanno più a votare, l’altra metà votano per partiti in cui non credono più, in gran parte, e intanto l’Italia va a rotoli: quindi che facciamo, stiamo a guardare?». Chiesa punta su una lista che si rivolga all’oceano dell’astensionismo, per portare in Parlamento un nucleo di opposizione radicale al mainstream politico: «Fra cinque anni sarà tardi, perché i cartelli bancari avranno finito di privatizzare il paese e per l’Italia non ci sarà più niente da fare», dice, ai microfoni di “Border Nights”.
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Mattei: siamo merce da macello, controllata via smartphone
Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.Parliamo della frontiera di tanto tempo fa, del saccheggio coloniale e così via. Quella era la frontiera della modernità. Con la modernità si scoprono le Americhe, nelle Americhe si sperimenta tutto ciò che non si poteva fare all’interno del nostro continente europeo. Perché non si poteva fare? Perché la tradizione lo impediva. La tradizione giuridica impediva la sperimentazione di ideologie proprietarie come quelle di Locke, che presupponevano la tabula rasa, un’idea di un vuoto che viene colmato attraverso delle istituzioni giuridiche fortemente semplificate. Fra le quali due capisaldi della modernità che sono la proprietà privata assoluta, il dominio dispotico di cui hanno parlato i giuristi da un lato e la sovranità dello Stato. Che sono i due poli organizzativi intorno ai quali noi abbiamo costruito le categorie giuridiche e politiche della modernità: il pubblico e il privato. Oggi la frontiera non è più una frontiera fisica, non abbiamo più le scoperte di Magellano, di Amerigo Vespucci o di Cristoforo Colombo, ma chiaramente è una frontiera di tipo informatico. Quella che Floridi aveva chiamato qualche anno fa “l’Infosfera”.Questa frontiera di tipo informatico condivide con la frontiera fisica, la frontiera dell’inizio della modernità, una caratteristica fondamentale, che ha reso il capitalismo da essa completamente dipendente: oggi è impensabile immaginare il capitalismo nella forma attuale – quindi dei rapporti di produzione capitalistici globali – senza la mediazione della rete di Internet. Se voi pensate alla vostra vita quotidiana, vi rendete conto perfettamente che nulla oggi può funzionare se non mediato dalla rete. Quando andavo a comprare un biglietto del treno, per andare a trovare i miei amici in età giovanile, c’era un signore che me lo faceva a mano. Certo, io sono molto anziano, però oggi se arrivi in stazione e il computer è giù, tu il biglietto non lo compri e il treno non lo prendi. Perché la sostituzione della macchina all’umano, in queste operazioni anche molto semplici come quella di fare un biglietto, è tale per cui semplicemente non è più possibile farne a meno. Se estendete tutto questo al mercato finanziario, alle banche, a tutto quanto, vi rendete perfettamente conto che chi può accedere al Master Switch (come è stato chiamato in un famosissimo libro molto importante di un signore che si chiama Tim Wu, professore della Columbia University), che sarebbe l’interruttore centrale, è colui che in realtà può disattivare il capitalismo.In questa frontiera si sperimentano molte cose. La frontiera dell’Infosfera è una frontiera dalla quale il capitalismo è dipendente e che dev’essere naturalmente tutelata in un modo assolutamente molto forte. Tramite che cosa? Tramite la costruzione di una serie di tabù, di una serie di ideologie, di una serie di convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione. Faccio un esempio molto semplice. Quando a noi arriva un messaggio di posta elettronica, di solito sotto c’è scritto: “Non stampare questa email, mantieni l’ambiente salubre”. Questo è una sorta di messaggio criptico per cui sostanzialmente la posta elettronica sarebbe, dal punto di vista ecologico, un modo di comunicare totalmente sostenibile, mentre stampare la carta e spedire la lettera non lo sarebbe. Il messaggio che passa è che la rete Internet vive in una sorta di empireo astratto assolutamente pulito (adesso si parla di nuvole, no?). In realtà la rete Internet è fatta, fisicamente, dall’hardware: sono dei giganteschi cavi, estremamente grossi, che passano sotto i mari. Sono una serie di server potentissimi che consumano una quantità spaventosa di energia e che semplicemente nessuno sa dove siano. Si sa vagamente che sono collocati nella zona dell’Occidente degli Stati Uniti, tra la parte – diciamo – nord della Stato della California, dello Stato di Washington e dell’Oregon. Si pensa che pezzi siano nel Canada, ma non v’è certezza. Una delle tesi più accreditate è che il famoso Master Switch, cioè il server centrale, quello davvero importante, stia in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.Tutto questo si va a schiantare contro quello che è la nostra impronta ecologica. L’impronta ecologica giusta è 1, ma oggi l’impronta ecologica globale è 1.4 e 1.5, il che significa che tutti gli anni verso luglio-agosto siamo nel cosiddetto Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale abbiamo finito di consumare le risorse che sono teoricamente riproducibili e incominciamo a consumare delle risorse che non saranno mai più riprodotte. 1.4 è una pessima impronta ecologica! Ma la cosa ancor peggiore è che i luoghi che vengono indicati da tutti come i più avanzati del mondo, la famosa Silicon Valley, dove ci si va a fotografare se si diventa primi ministri, da Twitter a Cupertino, a Palo Alto, a Mellow Yellow Party, i famosi posti della famosa Silicon Valley, ebbene l’impronta ecologica della Silicon Valley è 6. Il che significa che se tutto il mondo vivesse e si sviluppasse per poter diventare come ci dicono che potremmo diventare, cioè come la Silicon Valley («Crescete in modo tecnologicamente avanzato», e noi importiamo questo modello di sviluppo), ci vorrebbero sei pianeti per poter mantenere tutti quanti questo tenore di vita. Il che significa che se l’impronta ecologica è di appena 1.4, è solo perché dal Burkina Faso, all’India alla stessa Cina, l’impronta ecologica è molto più bassa rispetto a quella che è l’impronta ecologica dell’Occidente ricco. D’accordo?La Cina ha un’impronta ecologica di più della metà rispetto a quella degli Stati Uniti, anche se viene normalmente indicata come il posto in cui tutti inquinano e fanno delle cose tremende! E quella pro-capite è doppia negli Stati Uniti. Se poi ci stupiamo dei flussi migratori, delle situazioni drammatiche che si verificano, questo dipende semplicemente dal fatto che l’equilibrio globale è fortemente sbilanciato dal punto di vista dei consumi. Nessuno dei temi, compreso quello della Costituzione, può essere affrontato senza un’analisi seria dello stato del capitalismo attuale. Perché altrimenti noi ci mettiamo a ragionare di categorie astratte e non capiamo le condizioni materiali nell’ambito delle quali l’umanità si trova a vivere. E quali sono le possibilità, i rischi legati alla costruzione di questi dispositivi? Esempio molto semplice: gli untori. «Teniamo fuori i bambini che possono contagiare tutti gli altri». Che cosa significa? Che le mamme di questi bambini sono dei cattivi cittadini perché non investono sufficientemente in precauzione rispetto agli altri. Si costruisce un modello moralistico contro quelle mamme, e questo modello moralistico rende utilizzabile una sorta di implementazione diffusa di un ordine giuridico assolutamente contrario al precetto della Costituzione stessa.La Costituzione prevede che non si possano imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in casi assolutamente particolari, ed è chiaro che una vaccinazione a tutto raggio, fatta per tutti quanti, non rientra in quelle categorie di eccezionalità che giustificano il trattamento sanitario obbligatorio. Questo lo capisce chiunque. Allora, il punto vero è che oggi quella sperimentazione che viene fatta in Italia, per poi estendere i vaccini in tutto il mondo, io credo che venga fatta anche per sperimentare una futura possibile frontiera. Che è quella di rendere l’Internet delle cose sempre più inevitabile. In altre parole, se ci fate caso, quando vi comprate un telefonino di questa generazione ultima, non potete più togliere la batteria. Vi sarete chiesti: perché non si può più togliere la batteria? Perché togliendo la batteria ci si può disconnettere. Non la puoi togliere fisicamente! E certo, potresti smontare il telefono, ma guardate che se voi comprate un telefonino di ultima generazione e lo accendete – questo vale per la vostra televisione o per qualunque oggetto Smart – prima di poterlo utilizzare dovete premere una serie di pulsanti sui quali c’è scritto: “I agree. I agree. I agree”. E voi che cosa accettate, naturalmente senza leggerlo? Tu hai accettato in quel momento una serie di cose che non accetteresti mai rispetto a una tua normale proprietà.Per esempio hai accettato il fatto che non lo potrai portare a riparare da chi ti pare, ma dovrai portarlo a riparare soltanto da quello che ti indica il venditore. Hai accettato il fatto che non potrai hackerare, manipolare la tua proprietà per renderla più compatibile con un altro sistema operativo, perché se lo fai commetti un reato! Hai accettato semplicemente una giurisdizione all’interno della quale tutta una serie di comportamenti, che sono comportamenti totalmente normali rispetto a un proprio oggetto, sono in realtà rilevanti dal punto di vista penale. Hai in più accettato anche il fatto di togliere di mezzo ogni giurisdizione, cioè che utilizzando questo strumento e scaricando qualsiasi tipo di App, implicitamente non puoi più andare in una giurisdizione – sia straordinaria che amministrativa – a far causa a uno qualsiasi di questi provider cui hai venduto i tuoi dati. Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. È tanta gente! I nostri giornalisti ci dicono che si tratta della più grande nazione del mondo. Quel miliardo e mezzo di persone hanno accettato il sistema di risoluzione delle controversie tra l’utente e Facebook stesso, ma indovinate quante volte nella storia di Facebook lo hanno utilizzato? Sessantaquattro!Vale a dire che è stato completamente tolto di mezzo qualsiasi strumento di accesso alla giurisdizione ordinaria. E anche quella speciale, che ti viene offerta come giurisdizione privata, non viene semplicemente utilizzata mai. Cosa significa questo? Significa che nella frontiera dell’Infosfera possiamo fare a meno del giurista! La presenza del diritto non è più necessaria per costruire la struttura portante del capitalismo. Il giurista e il diritto sono stati sostituiti dai programmatori che riescono a introdurre dei processi che fondano le basi di transazioni economiche al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei giuristi. Voi mi direte: «Ma che bella cosa, perché i giuristi ci stanno molto antipatici!», e io sono anche d’accordo, da un certo punto di vista, perché purtroppo li frequento molto. Però il punto è che mentre nella storia tutte le rivoluzioni fin qui hanno sempre cercato di togliersi dai piedi i giuristi, ma non ci sono mai riuscite perché prima o dopo la loro presenza era necessaria per costruire le basi di una società organizzata fondata sullo scambio, oggi per la prima volta è possibile. Il che significa che mentre prima il capitalismo doveva in qualche modo sopportare i pistolotti dei giuristi che gli dicevano: «Ma guarda che ci sono anche gli standard di decenza, ci sono i diritti umani fondamentali, non si possono imporre vaccini obbligatori, non si possono fare una serie di cose senza ragionevolezza», perché quel ceto era un ceto in qualche modo indispensabile per la funzione primaria da cumulo capitalistico, oggi che quel ceto non serve più.Anche le nostre prediche sono destinate a rimanere, come diceva il buon Bob Dylan, Blowin’in the Wind. Sono destinate a rimanere completamente inascoltate, per un semplice fatto: che incentivo hanno ad ascoltare Ugo Mattei che gli fa il predicozzo, se poi non ne hanno bisogno per poter estrarre valore nei rapporti economici commerciali utilizzando le sue dottrine sul contratto sulla proprietà? Semplicemente se lo tolgono dai piedi nell’uno e nell’altro settore. Questa è una sperimentazione che per ora sta avvenendo in frontiera, nell’Infosfera, ma che sempre più rapidamente – io prevedo – arriverà anche nella madrepatria, nel mondo off-line – come oggi si chiama – perché quelle sperimentazioni lì vengono fatte in quel luogo e poi dopo ricadono anche nella nostra vita quotidiana. Proprio come le sperimentazioni di saccheggio nell’America Latina, soprattutto nel Nord America, sono ricadute nella strutturazione del capitalismo della madrepatria. Questo è un punto di una certa gravità, perché né tu né un altro miliardo di persone adesso potete più togliere la batteria: c’è il diritto penale che presiede alla vostra ubbidienza rispetto a quello che avete accettato.E questo è gravissimo, perché nel momento in cui tutti noi, dal primo all’ultimo, commettiamo dei reati senza saperlo, perché premiamo dei pulsanti, noi tutti, dal primo all’ultimo, possiamo essere inquisiti per quello che abbiamo fatto. E quindi noi, dal primo all’ultimo, possiamo finire nei guai proprio come è successo ad Aaron Swartz negli Stati Uniti d’America. Quanti di voi hanno sentito parlare di Aaron Swartz? Era un ragazzo che all’età di 12 anni era un genio informatico, un genio che aveva preso una sua consapevolezza politica. A 12 anni aveva fatto il Coding per il famoso programma, quello di Lawrence Lassie per i CoPilot, quindi insomma era un personaggio di grandissimo livello. A un certo punto capisce l’importanza di questi discorsi e pubblica un piccolo manifesto che si chiama “Guerilla Open Access Manifesto”. Pubblica questa cosa e comincia a dire che l’unico modo di mantenere la società come una società di liberi e non una società di schiavi è quella di rendere la cultura accessibile a tutti. Siccome era un genio e sapeva fare queste cose, penetra nella notte negli archivi del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, e scarica tutte le collezioni di Jstor, che è il più grande collettore di dati scientifici che ci siano nel mondo, e le rende pubbliche. Ok?Fa questa operazione di guerriglia per rendere accessibile questa informazione sulla base di una consapevolezza politica impressionante, perché nel Guerrilla Manifesto c’è tutto un ragionamento sul fatto dello iato tra i paesi ricchi e i paesi poveri, sulla cultura e di come deve essere in qualche modo accessibile, distribuita. Insomma, un personaggio di grande spessore nonostante la giovane età. Viene ovviamente preso di mira dall’Fbi e nonostante ottenga un accordo con Jstor per uscire dalla cosa – io conoscevo bene il suo avvocato che mi ha raccontato tutto – distrutto dai conti che ha dovuto pagare, tra avvocati e altre spese, all’età di 26 anni si è suicidato. C’è un bellissimo documentario che ne racconta la storia, si chiama “Killswitch”, vale la pena di vederlo perché è esattamente la storia di come in frontiera la partita si svolga tutta fra programmatori, così come una volta il giurista critico era visto come il peggior nemico del capitalismo stesso. Pashukanis viene ammazzato dallo stesso Stalin perché aveva introdotto una riflessione critica sul diritto che dava fastidio a chiunque volesse costruire delle strutture di sovranità. Quindi era sostanzialmente demonizzato perché conoscitore del segreto iniziatico. Stessa cosa successa per Aaron Swartz.Quindi questa è una partita molto importante. Che cosa impedirà un domani di far uscire una legge che, per ragioni di sicurezza e per lotta contro il terrorismo, ci obblighi a introdurci con una piccola iniezione un microchip sottocutaneo che si collega automaticamente con i vari sensori che ci sono nel mondo? Assolutamente nulla! Dal punto di vista tecnico è già totalmente possibile – ci sono già state sperimentazioni sull’introduzione di particelle talmente piccole che possono essere sostanzialmente iniettate sotto cute. Poi mi dicono che sono un “Conspiracy theorist”, che è il modo di dire di qualcuno che cerca di pensare criticamente: gli dicono che fa la “Conspiracy theory“, ma la verità vera è che oggi la tecnologia – se non oggi fra 3 anni, 5 anni, 8 anni, ma in un tempo molto vicino – consentirà cose di questo genere in modo assolutamente banale. Perché sono già totalmente possibili. Oggi il mio telefono, che è di un livello medio-scarso, è già molto più potente del top di gamma dell’Apple computer nel 2005. L’accelerazione tecnologica legata alla cosiddetta Legge di Moore, fa sì che oggi noi abbiamo un telefonino di livello medio-basso molto più potente del top di gamma non di 30 anni fa, ma di quattro, cinque, otto anni fa. Io credo che la questione della tecnologia debba essere affrontata in modo molto serio, perché ha trasformato profondamente i nostri sistemi politici portando alla sparizione totale della famosa contrapposizione fra pubblico e privato, sulla quale abbiamo costruito la civiltà liberale che ci governa, o comunque la civiltà moderna.Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti, io dissi: «Secondo me Obama è come Gorbaciov». Gorbaciov era stato l’ultimo dei comunisti all’interno del sistema sovietico, che aveva cercato di trasformare dall’interno senza riuscirci. Barack Obama è stato l’ultimo degli americani a provare a trasformare il sistema liberale dall’interno, a provarci secondo diciamo le possibilità concrete di farlo, che erano assai limitate perché non era un uomo particolarmente coraggioso. L’esito è stato da un lato la rivoluzione che ha portato a Putin, dall’altro Donald Trump, e poi questo modello di governo che stiamo vedendo ovunque, da Modi in India, alle trasformazioni del partito comunista cinese. Ovunque si sono istituite delle Costituzioni tecno-fasciste. In altre parole delle Costituzioni, delle strutturazioni che si sono liberate completamente dal vecchio controllo, dalla vecchia dicotomia pubblico/privato. Oggi nel consiglio di amministrazione di Facebook, delle cinque grandi corporation di grandi gruppi farmaceutici, siedono tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia all’Fbi. Perché non c’è più sostanzialmente nessuna separazione, e non può più esserci.Chi è il proprietario di queste grandi strutture dentro Internet? Chi mantiene quei cavi? Chi ha le chiavi per entrare ad aggiustare quel Master Server? Chi è che fa gli investimenti per migliorarlo? Semplicemente non lo sappiamo. Io sarò un ricercatore ignorante, zuccone e asino, ma sono tre anni che provo a trovare dei lavori scientifici seri sull’hardware, sulla parte hard della rete Internet, e non si trova assolutamente niente. Non c’è un paper scientifico che affronti dal punto di vista teorico quella che è la questione della proprietà delle infrastrutture materiali che governano l’Infosfera. Questo è un buco nelle nostre conoscenze estremamente pericoloso. Allora, se così stanno le cose, io credo che noi non possiamo trovare soluzioni che si facciano carico dei problemi, così come essi si verificano a questo livello di sviluppo tecnologico, all’interno delle vecchie strutture dell’ordinamento costituito. Noi non possiamo immaginare che possano essere i legislatori ordinari dei paesi del mondo, siano essi i paesi deboli e semiperiferici come il nostro, ma siano anche i grandi blocchi avanzati, a riuscire a mettere sotto controllo il potere economico così come è venuto a svilupparsi oggi. I rapporti di forza tra privato e pubblico sono drammaticamente cambiati.Il Leviatano un tempo era un signore pubblico, contro il quale avevamo costruito il diritto costituzionale liberale, per proteggere l’individuo vivo, la proprietà privata, la privacy, la nostra entità o la persona rispetto alle potenziali deviazioni del potere concentrato. Oggi le cose non stanno più così. Oggi non è più il privato a essere più debole del pubblico e a necessitare della tutela nei confronti del pubblico stesso, ma è il pubblico, sono questi sistemi burocratici che sono stati talmente colonizzati dal capitale privato, per cui nessuna delle scelte che vengono fatte può essere più considerata una scelta politica. Ma voi pensate che sia stata davvero la Lorenzin a decidere questa cosa dei vaccini? Ma stiamo scherzando? E pensate davvero che siano state le istituzioni europee sulla base di qualche think-tank di alto livello? Ma scherzate proprio? Sono stati i consigli di amministrazione di due, tre, quattro grosse multinazionali, che erano le stesse che ai tempi della mucca pazza – ogni tanto vengono costruite queste situazioni d’emergenza – avevano creato le condizioni per poter operare delle “estrazioni” – come dire – molto importanti.Perché per la mucca pazza in Italia avevamo comprato una quantità di vaccini, che poi abbiamo buttato via, impressionante! Milionate di vaccini! Avremmo finanziato la ricerca nei beni comuni, nel territorio e tutto quel che volevamo, ma c’è stato l’allarme mucca pazza, no? Adesso si è capito – come spesso avviene – che il momento di estrazione e di accumulo originario, quello che il vecchio Marx chiamava l’“Accumulazione Primitiva” non è un momento specifico (le Torri Gemelle, e allora dichiaro la guerra). No! Semplicemente si tratta di un modello permanente di strutturazione della società che consente a questi processi di andare avanti in modo lineare sempre in quella particolare direzione. Allora, come si risponde a questo? Io credo che prima di tutto bisogna avere l’umiltà di provare a capire questi processi. E provare a capire questi processi non è facile perché ti oppongono: «Ma tu, Mattei, sei un giurista. Che ne capisci di informatica? Tu, sociologo, che ne capisci di medicina? La medicina e l’informatica non sono democratiche, no?».Esattamente questo è il punto! Si sente la necessità di una cultura che sia nuovamente una cultura di tipo olistico, una cultura di tipo interdisciplinare che sia capace una volta tanto di esercitare un controllo critico sulle cose che lo specialismo cerca di farci ingurgitare. Questo è un punto – secondo me – molto molto importante. La seconda cosa è capire che oggi noi come individui non contiamo più niente: non importa niente a nessuno di noi come individui. Noi siamo delle categorie merceologiche. Nel momento in cui qualcosa ci viene dato gratis, significa che noi siamo la merce. Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu. Siamo categorie merceologiche che sono interessanti nel momento in cui veniamo raggruppati attraverso la forza computazionale, che sta aumentando in modo rapidissimo. Vi ricordate von Hayek? La teoria della conoscenza liberale qual era? Che il piano sovietico è destinato a perdere perché il libero mercato ha molte più informazioni di quante ne abbia il piano. Per cui i sovietici, non avendo il mercato libero che produce informazione, erano destinati al fallimento perché non si sapeva quanti stivali e quante scarpe col tacco lungo erano desiderati in quel momento, e quindi si producevano troppi stivali e troppo poche scarpe col tacco. E questo comportava l’impossibilità di far funzionare il piano.Oggi non è più così. Oggi la capacità computazionale crea una capacità pianificatoria molto più forte rispetto alla catalessi del mercato. Non c’è più – secondo me – un elemento per cui il potere diffuso possa imporsi rispetto al potere concentrato, nel momento in cui il potere concentrato mette sotto controllo la tecnologia ai livelli in cui la tecnologia è messa sotto controllo oggi. Il che significa che dobbiamo ripensare le stesse basi del dibattito teorico-filosofico che ci hanno accompagnati dalla modernità fino ad oggi. E’ un compito molto serio, molto molto importante e di cui però bisogna cominciare ad occuparsi. Bisogna che qualcuno abbia il coraggio di prendersi del buffone, ma andare a parlare di queste cose dove di queste cose bisogna parlare. Siccome non contiamo più come individui, ma come categoria merceologica, abbiamo la necessità di ricostruire istituzioni del collettivo. L’individuo è morto. L’individualismo basato sul diritto soggettivo assoluto è, come diceva Rosa Luxemburg a proposito della socialdemocrazia tedesca dell’epoca, un fetido cadavere, cioè qualcosa che non ha più senso di esistere perché oggi ci sono i collettivi che vanno ricostruiti.O ricostruiamo una situazione di collettivizzazione, anche di quelle persone che non accettano di essere merci da estrazione capitalistica, o ci siamo fatti riempire la testa di nozioni che ci depotenziano. Io sento dire che su alcune cose, i diritti civili liberisti sono più avanzati e quindi gli vogliamo dare spazio. Non si capisce che i diritti più importanti, come quelli sul nostro corpo, quelli sulla nostra identità sessuale, sono destinati a non servire assolutamente a nulla. Quindi ricostruire condizioni del senso comune, ricostruire solidarietà, ricostruire strutture di condivisione anche fondate sull’amore è secondo me molto importante, perché quello è il solo modo grazie al quale si può avere il coraggio di opporsi in modo radicale a delle leggi che sono leggi insostenibili, ingiuste e che creano obblighi collettivi di resistenza.(Ugo Mattei, “Perché non ti fanno più togliere la batteria dallo smartphone”, da “ByoBlu” del 26 novembre 2017. Il post è la trascrizione di un intervento di Mattei al convegno “Costituzione, comunità e diritti” tenutosi all’università di Torino il 19 novembre 2017. Giurista, Ugo Mattei è professore di diritto internazionale e comparato alla California University e docente di diritto privato nell’ateneo torinese).Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.
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Foa: bavaglio web, la Fake Democracy che stanno creando
«Non è un caso, è un metodo. Con un pretesto, le “fake news”, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere». Marcello Foa avverte: stanno ingabbiando la libertà sul web. Negli Usa, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna «ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano», consapevoli che la prima, grande e inaspettata sconfitta dell’establishment «non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream». A seguire, un coro: la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post-Brexit e, ovviamente, l’Italia del post-referendum. «Sia chiaro: il problema delle “fake news” esiste, soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro», o quando le false notizie vengono usate dagli “haters”, gli odiatori, «ovviamente senza mai esporsi in prima persona». E’ un fatto: «Bisogna avere il coraggio di mettere la faccia», l’anonimato non è democrazia. Ma le proposte finora avanzate, tutte su iniziativa del Pd, tendono invece a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali, talvolta anche extraterritoriali, con «l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee».Ricordate il decreto Gentiloni sulla schedatura di massa degli utenti web e telefonici e la misura che autorizzava una censura di fatto? «La prima misura è da regime autoritario, senza precedenti in democrazia», mentre la seconda «delega all’Agcom la facoltà di valutare se un sito viola il diritto di autore e, un caso affermativo, di oscurarlo». In questo modo, scrive Foa sul “Giornale”, ci si appropria di funzioni che spettano normalmente alla magistratura. La proposta di legge contro le “fake news” annunciata da Renzi? Una fonte insospettabile, “Repubblica”, la teme: «Nel ddl elaborato dai senatori Zanda e Filippin – scrive Andrea Iannuzzi – si impone ai social network con oltre un milione di utenti la rimozione di contenuti che configurano reati che vanno dalla diffamazione alla pedopornografia, dallo stalking al terrorismo. La valutazione dei reati viene demandata ai gestori delle piattaforme, che di fatto sostituiscono il giudice: la libertà di espressione potrebbe essere a rischio. Previste sanzioni pesanti per chi non rispetta una serie di adempimenti burocratici».Persino la “Repubblica”, cioè il giornale che ha amplificato le denunce di Renzi contro le “fake news”, non ha potuto esimersi dall’ammettere che così i giudici non servirebbero più, violando uno dei principi fondanti della nostra civiltà. Ammissione esplicita: la libertà di opinione è in pericolo. E non finisce qui. Marco Carrai, amico e consigliere di Renzi, in un’intervista al “Corriere della Sera” rivela: «Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un “algoritmo verità”, che tramite “artificial intelligence” riesca a capire se una notizia è falsa». L’altra idea, spiega Carrai, è quella di «creare una piattaforma di “natural language processing” che analizzi le fonti giornalistiche e gli articoli correlandoli e, attraverso un grafico, segnali le anomalie». Traduzione: «Significa che un algoritmo e meccanismi di analisi semantica stabiliranno se un singolo articolo è vero o è una “fake news”. Scusate, ma io rabbrividisco», scrive Foa: «Queste sono tecniche da Grande Fratello, e non solo perché i criteri rimarranno inevitabilmente segreti (per impedire che vengano aggirati), ma soprattutto perché così si potranno discriminare le idee, i concetti, bannando quelli che un’autorità esterna (il gestore dei social!) riterrà inappropriati».D’altronde, continua Foa, sta già avvenendo su Facebook e su Twitter, dove opinionisti anche conosciuti si sono visti cancellare gli account da un amministratore che, nel migliore dei casi, si presenta con un nome di battesimo (Marco, Jeff o Bill) e che decide che si sono “violate le regole della comunità”. «Oggi sono ancora incidenti episodici, ma domani – sotto la minaccia di sanzioni milionarie già ventilate da Renzi – i gestori sboscheranno con l’accetta. E basterà un’“esuberanza semantica”, ad esempio scrivere zingari anziché rom, o accusare un’istituzione di diffondere dati falsi o incompleti per sparire dalla faccia del web». Perché per gente come Renzi, Carrai e Gentiloni, «tutti veri splendidi progressisti», evidentemente «non può che esistere una sola Verità, quella Ufficiale, quella certificata da loro e difesa dagli implacabili gestori dei social media, novelli guardiani dell’ordine costituito». Sono cose, conclude Foa, «che possono esistere solo in una “Fake Democracy”. Quella a cui ci vogliono portare».«Non è un caso, è un metodo. Con un pretesto, le “fake news”, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere». Marcello Foa avverte: stanno ingabbiando la libertà sul web. Negli Usa, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna «ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano», consapevoli che la prima, grande e inaspettata sconfitta dell’establishment «non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream». A seguire, un coro: la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post-Brexit e, ovviamente, l’Italia del post-referendum. «Sia chiaro: il problema delle “fake news” esiste, soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro», o quando le false notizie vengono usate dagli “haters”, gli odiatori, «ovviamente senza mai esporsi in prima persona». E’ un fatto: «Bisogna avere il coraggio di mettere la faccia», l’anonimato non è democrazia. Ma le proposte finora avanzate, tutte su iniziativa del Pd, tendono invece a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali, talvolta anche extraterritoriali, con «l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee».
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Fake news, un network Facebook depista milioni di italiani
Un nuovo vasto network di disinformazione, fatto di siti web e pagine Facebook, è stato scoperto in Italia da un’analisi informatica e giornalistica di “Buzzfeed”. Il network, scrive “Buzzfeed”, «è proprietà di un imprenditore romano, con legami con un’associazione cattolica assai riservata, La Luce di Maria», ed è uno dei più estesi in lingua italiana tra i network organizzati che compiono operazioni di disinformazione su Facebook. Nel network circolano i contenuti e i temi classici delle propagande populiste, con una sovrapposizione tra post anti-migranti, mondo ultranazionalista, clickbaiting (ossia ricerca ingannevole dei clic, a fini di monetizzazione pubblicitaria). La cosa più interessante e inquietante è che questo network si collega – a valle – con gruppi Facebook di propaganda politica vicini ad altri network, di due aree politiche italiane in particolare, come vedremo più sotto. Facciamo un esempio di questa propaganda: se aprite il sito “direttanews.it” trovate una colonna “politica” che spinge notizie favorevoli ai Cinque Stelle o a CasaPound, oppure che attaccano personaggi come Monti, Visco, Laura Boldrini, Renzi.Il post “Monti-Visco, lo spettro di patrimoniale e nuove tasse da pagare”, per citare solo un caso, diventa virale anche dentro il fan club non ufficiale di big grillini, e sentiamo cosa dice: «Adesso l’incubo che possano essere reintrodotte nuove tasse sembra essere reale. Laura Boldrini, presidente della Camera, aveva espresso parere favorevole all’introduzione di una nuova imposta sul modello della vecchia patrimoniale. E Renzi, nella sua corsa alle elezioni, potrebbe scendere a compromessi con Mdp». Abbiamo verificato che Boldrini – una delle vittime più frequenti di questa “disinformazia” – mai si è espressa sul tema della patrimoniale; come del resto Matteo Renzi. La notizia è falsa ma virale, nel network scoperto da “Buzzfeed” (e nel network pro-M5S, con cui esistono sovrapposizioni). Al cuore del primo network, scoperto da Craig Silverman e Alberto Nardelli, «c’è Giancarlo Colono, e la sua società chiamata Web365». La società controlla 175 domini Internet, e una rete di pagine Facebook. News, salute, calcio, gattini e gossip: la medesima catena di altre galassie di disinformazione, comprese quelle più vicine a precisi partiti politici italiani.Allarmismo, attacchi forsennati ai migranti, xenofobia, false storie, islamofobia sono i temi ricorrenti di questa rete. Assieme – sostiene “Buzzfeed” – a propaganda pro-Putin e anticasta. I due principali siti di “news operations”, «operazioni legate alle notizie», sono “direttanews.it” e “inews24.it”. Ieri le relative pagine Facebook risultavano chiuse. Si tratta di un network che può raggiungere tra gli otto e i dieci milioni di “like” su Facebook, più della somma di due dei tre principali quotidiani italiani. Colono ha dichiarato che uno degli account Facebook sottopostigli da “Buzzfeed”, e più strettamente interconnessi al network, è “fake” (cosa che secondo le “policy” di Facebook sarebbe vietata). Intestato a tale “Roberto Granieri”, è la porta che conduce dal sito “Inews24” fin dentro una serie di gruppi Facebook «aperti o chiusi, di estrema destra, nazionalisti, anti-migranti, anti-Islam, come anche dentro gruppi pro-Putin, pro M5S, e gruppi inneggianti a Matteo Salvini». Una fonte a conoscenza delle analisi di “Buzzfeed” spiega: «Attraverso queste sovrapposizioni il network entra in un altro network, quello delle pagine fan club che usano i nomi dei big grillini». Pagine non ufficiali, giova ripeterlo, ma – per quanto riguarda le pagine filogrilline – a loro volta centralissime in un’altra rete raccontata a lungo da “La Stampa”.(Jacopo Iacoboni, “Xenofobia, Putin, anticasta: in Italia un nuovo network di disinformazione su Facebook”, da “La Stampa” del 22 novembre 2017).Un nuovo vasto network di disinformazione, fatto di siti web e pagine Facebook, è stato scoperto in Italia da un’analisi informatica e giornalistica di “Buzzfeed”. Il network, scrive “Buzzfeed”, «è proprietà di un imprenditore romano, con legami con un’associazione cattolica assai riservata, La Luce di Maria», ed è uno dei più estesi in lingua italiana tra i network organizzati che compiono operazioni di disinformazione su Facebook. Nel network circolano i contenuti e i temi classici delle propagande populiste, con una sovrapposizione tra post anti-migranti, mondo ultranazionalista, clickbaiting (ossia ricerca ingannevole dei clic, a fini di monetizzazione pubblicitaria). La cosa più interessante e inquietante è che questo network si collega – a valle – con gruppi Facebook di propaganda politica vicini ad altri network, di due aree politiche italiane in particolare, come vedremo più sotto. Facciamo un esempio di questa propaganda: se aprite il sito “direttanews.it” trovate una colonna “politica” che spinge notizie favorevoli ai Cinque Stelle o a CasaPound, oppure che attaccano personaggi come Monti, Visco, Laura Boldrini, Renzi.
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‘Edoardo Agnelli era un Sufi, ma con parenti nel B’nai B’rith’
Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».L’impatto sulla famiglia, di una scelta così radicale? «Per l’Avvocato, bastava che Edoardo non mettesse piede in azienda», dichiara Carpeoro a Fabio Frabetti di “Border Nigths”. «Poi lì c’è un entourage, però, che mal sopportava questo, sicuramente». E aggiunge: oggi siamo passati da un Sufi a una famiglia il cui capostipite, «che poi è il marito di Margherita Agnelli», cioè lo scrittore e giornalista Alain Alkann, appartiene al B’nai B’rith, espressione «di un certo sionismo reazionario che ha fatto tanti danni alla cultura israeliana». Il primo che si è scagliato contro questo tipo di potere «è un grande personaggio della cultura ebraica che si chiama Moni Ovadia», dice Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. B’nai B’rith? Per Wikipedia, si tratta di una innocua loggia di ebrei, di prevalente origine tedesca, nata un secolo prima dello Stato di Israele: fondata il 13 ottobre del 1843 a New York. Da allora, i “figli dell’alleanza” hanno una missione ufficiale: assistere i poveri. «L’organizzazione partecipa a numerose attività legate ai servizi sociali, tra cui la promozione dei diritti degli ebrei, l’assistenza negli ospedali e alle vittime dei disastri». Inoltre, la “lega dei fratelli” stanzia premi per gli studenti di scuole ebraiche e combatte l’antisemitismo tramite il suo Center for Human Rights and Public Policy.Oltre alle sue attività sociali, continua Wikipedia, il B’nai B’rith è anche un sostenitore dello Stato di Israele: insieme all’Aipac, potente lobby ebraica di Washington, la super-massoneria ebraica ha finanziato associazioni giovanili e studentesche. Ma, secondo Carpeoro, non sono soltanto umanitari gli scopi del B’nai B’rith, che apparterrebbe a pieno titolo al panorama delle potentissime superlogge internazionali, in strettissimo contatto con il Mossad, l’intelligence di Tel Aviv: sempre secondo Carpeoro, oltre ad Alain Elkann (cognato di Edoardo Agnelli), al B’nai B’rith apparteneva l’anziano Lion Klinghoffer, ucciso dal commando palestinese che dirottò la nave la crociera Achille Lauro nel 1985, da cui poi la crisi di Sigonella, con i carabinieri inviati da Craxi a proteggere i dirottatori, che i marines volevano catturare. Una tensione senza precedenti, in ambito Nato, che probabilmente costò il futuro politico dello stesso Craxi: «La sua telefonata con Reagan – racconta Carpeoro, allora vicino al leader socialista – fu deliberatamente mal tradotta, in diretta, dal politologo statunitense Michael Ledeen: cosa che Craxi non gli perdonò mai, perché compromise i suoi rapporti col presidente Usa».Di Ledeen, Carpeoro ha parlato spesso, anche nel suo saggio (uscito nel 2016) che denuncia la manipolazione atlantica dell’opaco neo-terrorismo europeo targato Isis. Ledeen? «All’epoca era vicino a Craxi, ma al tempo stesso anche a Di Pietro. Poi, in tempi assai più recenti, è stato al fianco di Renzi ma anche del grillino Di Maio». L’altra notizia? «Lo stesso Ledeen è un autorevole esponente del B’nai B’rith». Dunque il giovane Edoardo Agnelli, già scomodo anche per la Fiat (durissima una sua lettera al padre, all’epoca di Tangentopoli) poteva non essere più facilmente tollerato in una famiglia con componenti fortemente sioniste? La verità è più complessa, spiega Carpeoro, ricordando che Gianni Agnelli ha sposato la principessa Marella Caracciolo, sorella del fondatore de “L’Espresso”: «La linea materna di Edoardo è particolare: colta, raffinata, un po’ decadente». Il giovane Agnelli, semplicemente, «era molto più simile al ramo di sua madre che non a quello di suo padre». Lo conferma, nel modo più estremo possibile, il motto dei Sufi: “Nel mondo, ma non del mondo – nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”.Quando a Torino si impose il ramo Elkann, ricorda Lapo in un’intervista rilasciata a Giovanni Minoli per “La Storia siamo noi”, Edoardo Agnelli era già stato “bruciato” una prima volta dalla scelta del cugino Giovannino (Giovanni Alberto, figlio di Umberto Agnelli) come successore dell’Avvocato al vertice dell’impero Fiat. Poi Giovannino morì e al suo posto, pochi giorni dopo il funerale nel dicembre 1997, ricorda Gigi Moncalvo su “Lo Spiffero”, nel consiglio di amministrazione della Fiat venne nominato John Elkann, che di anni ne aveva appena 22 e nemmeno era laureato. Nella sua ultima intervista, rilasciata a Paolo Griseri per il “Manifesto”, il 15 gennaio 1998, Edoardo Agnelli boccia la designazione di “Jaky”: «Considero quella scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio padre». E aggiunge: «Non si nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni Alberto, per riempire un posto». E ancora: «Si è preferito farsi prendere dalla smania con un gesto che io considero offensivo anche per la memoria di mio cugino».Nel documentario di Minoli, è lo stesso Lapo Elkann – non ancora travolto dal suo secondo scandalo sessuale, quello di New York – ad avere parole umanissime per Edoardo Agnelli: «Era una persona bella dentro e bella fuori. Molto più intelligente di quanto molti l’hanno descritto: un insofferente che soffriva, che alternava momenti di riflessività e momenti istintivi». Nella villa di famiglia a Villar Perosa, in val Chisone, non lontano dal Sestriere, «ci sono state tante gioie ma anche tanti dolori». Dice Lapo, di Gianni Agnelli: «Con tutto l’affetto e il rispetto che ho per lui e con le cose egregie che ha fatto nella vita, mio nonno era un padre non facile. Quel che ci si aspetta da un padre – dei gesti di tenerezza, non parlo di potere: i gesti normali di una famiglia normale – probabilmente mancavano». Lapo Elkann riconosce quanto abbia pesato, su Edoardo, l’indicazione di far entrare suo fratello, John Elkann, nell’impero Fiat: «Credo che la parte difficile sia stata prima, la nomina di Giovanni Alberto. Poi, “Jaky” è stata come una seconda costola tolta. Ma Edoardo si rendeva conto che non era una posizione per lui», così portato per l’introspezione filosofica e religiosa – addirittura pervasa del misticismo Sufi, quello dei Dervisci rotanti, la confraternita iniziatica fondata dal sommo poeta afghano Rumi nel 1200.A ben altra scuola esoterica, secondo Carpeoro, appariene invece l’ebreo Alain Elkann, classe 1950, nato a New York da padre francese e madre italiana, giornalista e scrittore, docente universitario in Pennsylvania. Suo padre, il rabbino Jean-Paul Elkann, banchiere e industriale, è stato presidente del Concistoro ebraico di Parigi. La madre di Alain, Carla Ovazza, discende da una famiglia di banchieri torinesi (e nel 1976 fu vittima di un sequestro di persona). Un suo zio, il banchiere Ettore Ovazza, fascista fino al 1938 e amico di Mussolini, aveva fondato il giornale ebraico antisionista “La Nostra Bandiera”, prima di essere assassinato nel 1943 dai nazisti. Giornalista e scrittore, Alain Elkann è stato sodale di Alberto Moravia e Indro Montanelli. Ha scritto romanzi e saggi, anche in collaborazione con personaggi prestigiosi come Elio Toaff, storico rabbino capo emerito di Roma, nonché l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini e il Re di Giordania Abdullah. Tema a lui caro: la fede ebraica in rapporto alle altre religioni, e l’essere ebrei oggi. Dal 2004 è presidente della Fondazione del Museo Egizio di Torino, e ha collaborato con l’allora ministro Sandro Bondi (beni culturali).Alain Elkann è membro della Fondazione Italia-Usa e fa parte del comitato scientifico del Meis di Ferrara, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, nonché di istituzioni universitarie italo-americane. Nel 2009 è stato anche insignito della Legion d’Onore, massima onorificenza francese. Ma ovviamente nel suo curriculum non c’è traccia dell’appartenenza al B’nai B’rith. Suo figlio, John, è oggi il reggente dell’impero industriale Fca, Fiat-Chrysler. Suo cognato Edoardo Agnelli morì suicida, senza un cenno di addio, o fu assassinato? E’ la domanda irrisolta a cui cerca di rispondere Minoli, nel suo reportage televisivo. «Se qualcuno mi dimostrasse che Edoardo è stato ucciso ne sarei in qualche modo felice, perché significherebbe che non era così disperato da fare questo gesto», dice il cugino, Lupo Rattazzi, convinto però che Edoardo fosse proprio deciso a farla finita. «L’inchiesta giornalistica sulla figura dell’erede mancato della famiglia Agnelli, e sulla sua tragica scomparsa – scrive Mario Baudino sulla “Stampa” – mette in fila tutti gli elementi, anche quelli controversi, di un avvenimento che, data la notorietà del protagonista, ha avuto negli anni anche interpretazioni assai dietrologiche».Soprattutto, aggiunge il giornalista, Minoli ricostruisce una personalità complessa e tormentata, e una vicenda umana dolorosa. A tenere aperto il giallo sulla fine di Edoardo Agnelli è la testimonianza di un pastore, che la mattina del 15 novembre del 2000 pascolava i suoi animali sulle rive del fiume Stura di Demonte: l’uomo sostiene di aver visto il cadavere di Edoardo Agnelli verso le 8.30, cioè molto prima che l’auto – abbandonata sul viadotto soprastante – avesse varcato il casello autostradale. Ma l’ex capo dei Ris di Parma, Luciano Garofalo, non dà credito alla testimonianza: la ritiene un tipico caso di auto-inganno della memoria. Se invece il pastore avesse ragione, scrive Baudino, «bisognerebbe pensare che sulla Croma di Edoardo Agnelli ci fosse, in quel momento, qualcun altro; anzi, che ci fosse sempre stato qualcun altro a bordo. Un giallo troppo complicato e inverosimile». C’è poi la tesi di una televisione iraniana, che aveva fatto scalpore con un documentario in cui prospettava l’ipotesi di un omicidio “sionista”, «commesso per eliminare un erede della dinastia italiana convertitosi all’Islam». Edoardo Agnelli, ricorda Baudino, era affascinato dalle fedi: si era laureato in storia delle religioni, con una tesi su quelle orientali. Era «affascinato dalla mistica Sufi», anche se «nessuno degli amici più intimi ha mai avuto il più lontano sentore che fosse diventato musulmano». A ricordarlo, oggi, c’è invece quella foto inequivocabile, postata su Facebook da Carpeoro.Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».