Archivio del Tag ‘fake news’
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Sì, l’Amazzonia brucia. Ma meno del cervello dei creduloni
Le decine di migliaia di incendi in corso in Amazzonia in questo momento hanno attirato l’attenzione di ambientalisti, politici e celebrità hollywoodiane. Sfortunatamente, molti di loro hanno diffuso cattive informazioni sotto forma di immagini vecchie di decenni e fatti errati, come l’affermazione per la quale l’Amazzonia è il “polmone del mondo”. Cristiano Ronaldo, Madonna, Greta Thunberg e Macron hanno postato immagini di foreste in fiamme che sono riferite ad altri luoghi del pianeta, e non all’Amazzonia, ma come al solito nessuno ha osato parlare di fake news pilotate per ottenere consensi. Tutti, da “Avvenire” a “Linkiesta”, sottolineano che la foresta sudamericana produce il 20% dell’ossigeno della Terra. Come ogni estate, per riempire i giornali e usare un po’ di frasi fatte, ribadiscono pure che «non si è mai visto nulla di tutto ciò». Balle! Solo pochi media, e sommessamente dopo averlo chiesto agli esperti, hanno osservato che la foresta amazzonica produce meno del 6% dell’ossigeno necessario al pianeta. Come osservato dallo scienziato Dan Nepstad, ad esempio, campi coltivati e pascoli producono la stessa quantità di ossigeno delle foreste.Inoltre, non è nemmeno vero che il mondo si stia deforestando; e il dato più tranquillizzante pare venire dall’Europa, complice la crisi industriale, perché a quanto pare nel Vecchio Continente c’è più vegetazione rispetto a cento anni or sono. Nepstad c’è andato giù pesante: «Sono stronzate», ha dichiarato. «Non c’è scienza dietro a ciò. L’Amazzonia produce molto ossigeno ma usa la stessa quantità di ossigeno attraverso la respirazione, quindi è un lavaggio». Secondo Nepstad, inoltre, il numero di incendi nel 2019 è solo del 7% superiore alla media degli ultimi 10 anni. Come se non bastasse, è uscita a dir poco in sordina la notizia che in Africa in queste ore ci sono più fiamme che in Amazzonia. Secondo i dati raccolti dalla Nasa, infatti, l’Angola e parte della repubblica del Congo starebbero bruciando più che nei dintorni di Manaus in Brasile. Ci sono prove a sostegno di questa affermazione? Indizi utili arrivano dalle applicazioni di allerta incendi come Global Forest Watch e Firms, installate sui satelliti della Nasa: «In base alle analisi condotte da Weather Source, negli ultimi giorni sono stati registrati quasi 7.000 roghi in Angola, 3.395 nella Repubblica Democratica del Congo e 2.217 in Brasile».Non è facile comprendere il motivo delle fake sull’Amazzonia e del silenzio sugli altri disastri, quelli africani in primis. Però si possono formulare alcune ipotesi. Com’è noto, infatti, il presidente Bolsonaro (che, beninteso, mi è simpatico come un paio di mutande sporche) ha prima rifiutato (e poi ritrattato) la profferta d’aiuto dalla Francia. Dopo Macron ci ha pensato anche Trudeau, il presidente del Canada, famoso per i suoi calzini. Il poeta Virgilio direbbe “timeo danaos et dona ferentes”, cioè “temo i greci anche quando portano regali”. E i doni di Marcon e Trudeau sembrano alquanto sospetti, visto che come dimostrato c’è chi è messo molto peggio (l’Africa) in tema d’incendi, mentre quelli brasiliani non sembrano affatto una novità. E dunque, perchè tutta questa attenzione? Forse l’Occidente che conta, riunitosi in pompa magna al G7 fancese, vuole mettere il cappello in casa d’altri, come al solito, oppure impedire la deforestazione per ostacolare le infrastruttre di paesi che potrebbero fungere da alternativa (Brics). Oppure, semplicemente, perchè i due fighetti del G7 sono buoni e aiutano chiunque sia in difficoltà. Scegliete voi.(Massimo Bordin, “L’Amazzonia brucia, ma mai come il cervello dei creduloni”, da “Micidial” del 28 agosto 2019. Il citato Dan Nepstad, dottore forestale e fondatore dell’Earth Innovation Institute, ha lavorato nell’Amazzonia brasiliana per oltre 30 anni, studiando l’impatto dell’uomo nella regione. Autorità mondiale in materia di sviluppo rurale a basse emissioni, ha lavorato nelle più prestigiose fondazioni scientifiche legate alle discipline ecologiche, insegnando anche all’Università di Yale. E’ stato co-fondatore dell’Amazon Environmental Research Institute (Ipam) e dell’Aliança da Terra. È stato inoltre il principale promotore del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici Wg2).Le decine di migliaia di incendi in corso in Amazzonia in questo momento hanno attirato l’attenzione di ambientalisti, politici e celebrità hollywoodiane. Sfortunatamente, molti di loro hanno diffuso cattive informazioni sotto forma di immagini vecchie di decenni e fatti errati, come l’affermazione per la quale l’Amazzonia è il “polmone del mondo”. Cristiano Ronaldo, Madonna, Greta Thunberg e Macron hanno postato immagini di foreste in fiamme che sono riferite ad altri luoghi del pianeta, e non all’Amazzonia, ma come al solito nessuno ha osato parlare di fake news pilotate per ottenere consensi. Tutti, da “Avvenire” a “Linkiesta”, sottolineano che la foresta sudamericana produce il 20% dell’ossigeno della Terra. Come ogni estate, per riempire i giornali e usare un po’ di frasi fatte, ribadiscono pure che «non si è mai visto nulla di tutto ciò». Balle! Solo pochi media, e sommessamente dopo averlo chiesto agli esperti, hanno osservato che la foresta amazzonica produce meno del 6% dell’ossigeno necessario al pianeta. Come osservato dallo scienziato Dan Nepstad, ad esempio, campi coltivati e pascoli producono la stessa quantità di ossigeno delle foreste.
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Su Marte nel 2024: cosa nascondono le fake news ufficiali?
Siete pronti? Tra poco atterriamo su Marte: alla peggio nel 2024, cioè fra cinque anni. Chi l’ha detto? Donald Trump, nientemeno. Prima esternazione: un anno fa. «Il succo della missione sarebbe questo: si manderebbero su Marte alcuni astronauti», scrive Paolo Franceschetti, che in due distinti post sul blog “Petali di Loto”, intitolati “Bufale su Marte”, riassume l’ultima epopea fanta-spaziale che i media fingono di prendere sul serio, dopo aver trionfalmente celebrato l’anniversario del presunto allunaggio del 1969. E in quanti sarebbero a sbarcare sul Pianeta Rosso? «Quattro astronauti, pare. Oppure 6, a seconda dei progetti. Ma ne esistono alcuni che prevedono ben 80.000 persone». Caspita: «Impianterebbero una prima colonia, per poi far venire altri coloni negli anni successivi». La cosa non è nuova, ricorda Franceschetti: «Già Bush aveva lanciato l’idea e un piano di studi che prevedesse la fattibilità del progetto, nei primi anni ‘90. Una storia a cui, credo, non ha abboccato nessuno». I giornali hanno dato la notizia in modo asettico, senza approfondimenti. Sicchè, «la maggior parte dei complottisti avrà sicuramente odorato aria di balle spaziali».
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Università dell’Alaska: 11 Settembre, l’Edificio 7 fu demolito
Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.Sul suo sito, Craig Roberts fa notare che «ci sono voluti 18 anni per ottenere una vera indagine sulla distruzione di un edificio di cui erano stati accusati dei terroristi musulmani». Inoltre, «l’unico modo in cui si può verificare il “cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio” è attraverso una demolizione controllata». E questo straordinario risultato, certificato dai tecnici universitari, non è stato riportato dai grandi media. «In altre parole – aggiunge Roberts – lo studio è già stato destinato al Buco della Memoria: questo è il modo in cui opera “The Matrix”». Accusa l’ex sottosegreario al Tesoro: «L’unico scopo dei notiziari stampati e televisivi è quello di programmarvi in modo che seguiate pedissequamente l’agenda di chi vi governa: quelli che seguono i notiziari della Tv, ascoltano la National Public Radio o leggono i giornali vengono programmati per essere automi senza cervello». Richiamandosi al clamoroso rapporto fornito poche settimane fa dai vigili del fuoco di New York – che confermano la tesi della “demolizione controllata” delle Torri Gemelle e chiedono alle autorità giudiziarie di riaprire il caso – Craig Roberts invoca giustizia: stabilita finalmente la verità sul disastro, è ora che i responsabili vengano trascinati in tribunale.L’immane tragedia ha causato circa 15.000 vittime: quasi 3.000 nei crolli, più almeno 12.000 persone morte nei mesi e anni seguenti, per i tumori provocati dalla nube di amianto su Manhattan (numeri accertati dalle autorità, che hanno riconosciuto gli ingenti indennizzi). Molti sospetti caddero da subito sul proprietario del World Trade Center, Larry Silverstein, che aveva appena assicurato le Torri Gemelle e l’Edificio 7 contro un “incidente” come quello poi verificatosi. Mentre però le Twin Towers furono colpite da aerei di linea (o almeno, in apparenza da dei Boeing), l’Edificio 7 collassò senza essere colpito né da velivoli, né dal fuoco. Per Massimo Mazzucco, autore dei documentari “Inganno globale” (trasmesso da Canale 5 nel 2006) e “La nuova Pearl Harbor”, è probabile che gli aerei che colpirono le torri fossero dei droni militari: la stessa Boeing ha escluso che i suoi velivoli possano compiere manovre così precise, a bassa quota, viaggiando a quella velocità: a 800 chilometri orari, le ali dei Boeing si staccherebbero. Ma se non c’erano viaggiatori, su quegli aerei-bomba, dov’erano finiti i passeggeri imbarcati?Mazzucco ricorda che l’Operazione Northwoods del 1962 (memorandum “Justification for Us Military Intervention in Cuba”) prevedeva che i passeggeri di un volo di linea – da far esplodere nei cieli cubani per poi incolpare Fidel Castro – fossero fatti segretamente sbarcare in una base militare, prima che l’aereo (telecomandato) proseguisse per la sua missione suicida. Come accettare l’idea mostruosa di eliminare centinaia di ignari passeggeri? In un solo modo possibile, osserva Mazzucco: «Certa gente non ragiona come noi: di fronte opzioni come quella, le persone diventano semplici dettagli». Ragionando in grande: senza il bagno di sangue delle Twin Towers, il Deep State che dominava il governo Usa non sarebbe mai riuscito a far accettare, all’opinione pubblica americana, la “guerra al terrorismo” che comportò le disastrose invasioni militari dell’Afghanistan e dell’Iraq. Nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Gioele Magaldi scrive che fu la superloggia “Hathor Pentalpha”, del clan Bush, a concepire l’attacco alle Torri, dopo aver affiliato Osama Bin Laden. Lo stesso Abu-Bakr Al Baghdadi, “califfo” del sedicente Isis, sarebbe stato poi affiliato alla “Hathor”.«Entro un paio d’anni emergerà la verità sull’11 Settembre», annunciò tempo fa Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. A quanto pare, importanti rivelazioni stanno ora affiorando. Il russo Dimitri Khalezov, veterano dell’intelligence nucleare sovietica, ricorda che la costruzione del World Trade Center fu autorizzata dal Comune di New York solo dopo che i costruttori ebbero fornito le istruzioni per la demolizione degli edifici, come prevedeva la prassi a Manhattan: tutti i grattacieli dovevano poter essere demoliti, all’occorrenza. Solo che per demolire le Torri Gemelle – considerate indistruttibili – i progettisti calcolarono che sarebbe stata indispensabile la bomba atomica. E infatti, osserva Khalezov, dai documenti dell’ufficio edilizia della città emerge che, nelle fondamenta, furono appositamente ricavati dei bunker nei quali ospitare, nel caso, delle “mini-nukes” destinate a “fondere” le torri, dal basso. Questo spiegherebbe anche le folli temperature sprigionatesi nel rogo, che trasformò il sottosuolo in una specie di vulcano arroventato, per mesi. Per contro, i vigili del fuoco raccontarono di aver udito precise esplosioni, molto di sotto del punto di impatto degli aerei: esplosioni peraltro confermate dallo strano scoppio (verso l’esterno) delle vetrate, non spiegabile dall’urto degli aerei decine di metri più in alto.In attesa di accertare la verità integrale, i pompieri di New York certificano l’inattendibilità della versione ufficiale. Il distretto di Franklin Square e Munson, dei vigili del fuoco, riconosce «la natura significativa e convincente della petizione posta all’attenzione del procuratore degli Stati Uniti per il distretto meridionale di New York riferentesi a crimini federali non perseguiti commessi presso il World Trade Center l’11 settembre 2001», e invita il procuratore «a presentare tale petizione ad uno speciale Gran Giurì ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti». Il dossier dei vigili del fuoco aggiunge che «le prove schiaccianti presentate in detta petizione dimostrano oltre ogni dubbio che esplosivi e/o materiali incendiari pre-impiantati – non solo gli aerei e gli incendi conseguenti – avevano causato la distruzione dei tre edifici del World Trade Center, uccidendo la stragrande maggioranza delle vittime». Conclude Paul Craig Robers: «Le vittime dell’11 Settembre, le loro famiglie, la popolazione di New York City e la nostra nazione meritano che ogni crimine relativo agli attacchi dell’11 settembre 2001 sia indagato con il massimo rigore e che ogni persona responsabile sia portata di fronte alla giustizia».Cosa fu, davvero, ad abbattere le Twin Towers e l’Edificio 7 «non lo sappiamo, né spetta a noi l’onere di stabilirlo», sintetizza Mazzucco: «L’unica cosa ormai certa è che a far crollare le torri non furono quegli strani Boeing, capaci di manovre estreme (da jet militari) e a velocità folle, a bassissima quota, senza che si smembrassero in volo prima dell’impatto». Droni senza pilota? Per Mazzucco, è l’unica spiegazione logica: velivoli telecomandati, “truccati” da Boeing e super-rinforzati, probabilmente col muso imbottito di esplosivo. A csa erano dovute le esplosioni che i pompieri dicono di aver udito distintamente nella parte bassa delle torri? Cariche di nano-termite? Mini-atomiche? Tutte queste cose insieme? Magaldi ricorda che le Twin Towers rappresentavano Jachin e Boaz, le colonne del tempio massonico: chi le ha distrutte ha voluto dichiarare guerra, simbolicamente, all’ideologia massonico-progressista di Roosevelt, che trasformò gli Usa nella superpotenza leader dell’Occidente prospero, del benessere diffuso. La “prova del nove” è imbarazzante: lo scenario al quale oggi siamo abituati (conflitti ovunque, dalla Libia alla Siria, con escalation sanguinose) prima dell’11 Settembre non sarebbe stato neppure lontanamente pensabile.Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.
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Abis: in che mondo ci fa vivere l’élite, con il nostro consenso
Oggi voglio fare da cattivo, e dirvi quanto molti di voi sono condizionati. Le oligarchie hanno due motti: 1 – unisci quello che non può essere unito; 2 – dividi quello che può essere unito. E così hanno inventato: lotte tra vegani e onnivori; lotte tra destra e sinistra; unificazione italiana, americana ed europea; hanno inventato i termini: maschilismo, femminismo, razzismo, accoglienza, bontà, partitismo, fede e devozione; impongono il concetto di cosmopolitismo; fanno sembrare naturale vivere dentro assurde megalopoli. Hanno inventato milioni di giornate mondiali(ste) di questo e di quest’altro, delle mimose e delle scarpette rosse, delle memorie più o meno fantasiose; loro genocidano, e poi chiedono soldi a chi ne ha meno di loro per ovviare alle loro devastazioni; fanno i moralisti e diffondono oscenità, a parole pontificano sulle libertà e fabbricano catene, hanno inventato la globalizzazione per le loro merci e i loro schiavi, hanno stabilito che col lavoro si può rubare il tempo alla gente; hanno occupato tutti gli strumenti per intrattenere, l’arte e la musica possono variare a seconda dei loro scopi, si sono impossessati del cielo e dell’acqua …Hanno inventato le libertà parziali, ecco alcuni termini: separatismo, indipendentismo, autonomismo, zonafranchismo. Hanno inventato la “libertà” del “libero” mercato. Hanno inventato regole, prigioni, confini e recinti per il bestiame umano. Hanno inventato la televisione. Hanno inventato i giornali. Hanno inventato gli opinionisti, il concetto di cittadino, gli albi professionali, le scuole che fanno il contrario di quello che dovrebbero fare. Hanno inventato imposte, tasse, aste giudiziarie e pignoramenti. Hanno inventato i premi Nobel, Greenpeace e “Save the” non si sa cosa, le olimpiadi e i campionati, Hollywood, le Ong, la new age, la ricerca scientifica sotto ricatto. Hanno nascosto le cure ancestrali che funzionavano, e le hanno sostituite con farmaci in grado di curare possibilmente solo i sintomi. Hanno inventato le organizzazioni ambientaliste preventive, tutti i premi letterari e cinematografici. Hanno inventato le fondazioni per nascondere le loro malefatte, non certo per lavarsi la coscienza, visto che non sanno cosa sia. Hanno inventato le vaccinazioni di massa.Hanno inventato le guerre, con conseguente spopolamento, così possono ricavare tutto quello che vogliono da terre abbandonate. Hanno inventato tutti i gruppi terroristici. Affibbiano il termine complottista a chi cerca la verità sui loro complotti reali. Hanno inventato gli auto-attentati. Hanno inventato il capitale e lo spread, gli interessi, le monete private, le monete virtuali. Hanno inventato sia il contante che la sua eliminazione. Spacciano, loro sì, monete false. Hanno inventato il termine “dittatore”, meglio se accompagnato da “becero fascista”. Hanno inventato deleghe e democrazia. Le eggregore, simbologie sataniche, il partitismo e le votazioni, foraggiato utili rivoluzioni, utili ma solo per i loro affari. Ci hanno convinto che noi occidentali stiamo sfruttando popoli poveri, ma noi chi? Fanno di tutto per farci scordare chi siamo veramente. Hanno ricoperto di scorie mondialiste il nostro cervello ancestrale. Hanno ricoperto e soffocato la nostra spiritualità con le religioni. Vorrebbero dimostrare che loro sono le élite e noi il bestiame da sfruttare. Alterano la storia e la cultura. Impongono il pensiero unico. Livellano verso il basso ogni slancio. Chi cerca di elevarsi viene tirato giù dagli utili idioti plagiati. Il loro nome è fetension, fetenzie sioniste.(MarianoAbis, “Oggi voglio fare da cattivo e parlarvi delle oligarchie”, da “Jolao77” del 14 agosto 2019).Oggi voglio fare da cattivo, e dirvi quanto molti di voi sono condizionati. Le oligarchie hanno due motti: 1 – unisci quello che non può essere unito; 2 – dividi quello che può essere unito. E così hanno inventato: lotte tra vegani e onnivori; lotte tra destra e sinistra; unificazione italiana, americana ed europea; hanno inventato i termini: maschilismo, femminismo, razzismo, accoglienza, bontà, partitismo, fede e devozione; impongono il concetto di cosmopolitismo; fanno sembrare naturale vivere dentro assurde megalopoli. Hanno inventato milioni di giornate mondiali(ste) di questo e di quest’altro, delle mimose e delle scarpette rosse, delle memorie più o meno fantasiose; loro genocidano, e poi chiedono soldi a chi ne ha meno di loro per ovviare alle loro devastazioni; fanno i moralisti e diffondono oscenità, a parole pontificano sulle libertà e fabbricano catene, hanno inventato la globalizzazione per le loro merci e i loro schiavi, hanno stabilito che col lavoro si può rubare il tempo alla gente; hanno occupato tutti gli strumenti per intrattenere, l’arte e la musica possono variare a seconda dei loro scopi, si sono impossessati del cielo e dell’acqua…
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Il peggiore dei mondi possibili, nutrito dalla nostra paura
Sembrava il migliore dei mondi possibili, quello che l’Europa aveva di fronte a sé fino al 2001, precisamente il 20 luglio, quando al G8 di Genova esplose la follia opaca della violenza e a lasciarci la pelle fu Carlo Giuliani, immortalato mentre col suo estintore minaccia i carabinieri intrappolati in un gippone. Ma Genova era solo l’antipasto dell’inferno: due mesi dopo, crollarono di colpo le Torri Gemelle di Manhattan. Tremila vittime l’11 settembre, e altre 12.000 negli anni seguenti a causa dei tumori provocati dalla nube d’amianto. Nel 2003, in Italia, le prime ipotesi sul possibile auto-attentato vennero avanzate da Giulietto Chiesa, nel bestseller “La guerra infinita”, ignorato dai media. Nel 2005, a “Matrix”, in prima serata su Canale 5, Enrico Mentana ebbe il coraggio di trasmettere “Inganno globale”, esplosivo documentario in cui Massimo Mazzucco dimostra che la versione ufficiale (terrorismo islamico) è integralmente falsa. Era già cominciata, la grande retromarcia dell’Occidente, ma pochissimi se n’erano accorti. Tra questi Bettino Craxi, che da Hammamet spiegò che l’euro-finanza avrebbe spolpato l’Italia. E prima ancora l’economista keynesiano Federico Caffè, sparito nel nulla nel 1987. E così Olof Palme, l’inventore del welfare svedese, ucciso l’anno prima a Stoccolma. Doveva aver capito tutto anche Aldo Moro, minacciato di morte da Henry Kissinger poco prima che di lui si occupassero, teoricamente, le Brigate Rosse.
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Francia, strage di poliziotti: un “suicidio” ogni quattro giorni
Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.I numeri sono impressionanti, fa notare Mazzucco: «Di fatto nel 2018 vi erano stati 68 fra poliziotti e gendarmi che si erano tolti la vita in Francia. E sono già 44 i loro colleghi che hanno fatto la stessa fine nei primi 6 mesi del 2019. Praticamente uno ogni 4 giorni». Per Mazzucco «sono cifre chiaramente fuori dalla norma, al punto che i due sindacati francesi dei poliziotti hanno chiesto al governo “misure urgenti per fermare questo massacro”». Tra i motivi dei suicidi, i sindacati citano «la fatica accumulata che continua ad affliggere quelli fra noi che sono più vulnerabili in termini di disponibilità di fronte ad un lavoro difficile». Sulla settimana nera delle forze di polizia francesi, “Le Figaro” scrive: il sindacato Alternative Police-Cfdt chiede «azioni concrete» per arginare questo «flagello». “Le Parisien” avverte: alcuni casi sono “sospetti suicidi”, la certezza sulle cause della morte degli agenti arriverà solo con le autopsie. L’associazione Mpc (Mobilitazione di Poliziotti Arrabbiati) scrive su Twitter che è come se fossero state eliminate, da inizio anno, «due brigate di polizia».Ma basta davvero la “fatica accumulata” per un “lavoro difficile” a portate tutte queste persone ad una scelta così drastica? Si domanda Mazzucco: se uno non ce la fa più, non può semplicemente dare le dimissioni e cercarsi un altro lavoro? E quindi: quale può essere la vera causa di un malessere così diffuso e così drammatico nelle forze di polizia francesi? Il primo presunto suicidio (eccellente) tra le forze di polizia francesi fu quello di Helric Fredou, commissario a Limoges, incaricato di indagare sulla strage di Charlie Hebdo. Aveva scoperto che la fidanzata di uno degli attentatori aveva stretti rapporti con un funzionario della Dgse, il servizio segreto nazionale. Il governo Hollande “seppellì” le indagini su Charlie Hebdo – apponendo il segreto di Stato (segreto militare, in questo caso) – quando un magistrato di Parigi, poco convinto del “suicidio” del commissario Fredou, aveva scoperto che il commando terrorista aveva usato dei Kalashnikov di fabbricazione slovacca appena acquistati da funzionari della Dgse presso un mercante d’armi, in Belgio.Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.
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Tav, Governo del Tradimento: sangue e bugie, addio grillini
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.Il cedimento gialloverde emerge anche dalle parole di Beppe Grillo, secondo cui è illusorio «credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo». Per Grillo, «significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale oppure una dittatura». Ammette il fondatore, che della battaglia NoTav aveva fatto una sua bandiera: «Sono molto scontento della situazione che si è venuta a creare». Ma non aggiunge altro, preparandosi a “digerire” il clamoroso voltafaccia difendendo Toninelli e Conte, che avrebbero reso «meno disastroso» lo scenario, tenendo testa a Macron. Come dire: scusate, ma finora avevamo scherzato. Vi avevamo promesso che ci saremmo messi di traverso, per fermare il Tav? Erano solo parole: come quelle contro l’obbligo vaccinale, il Tap in Puglia e le trivelle nell’Adriatico. Impossibile, sembra dire Grillo tra le righe, che un governo possa fare davvero gli interessi dei cittadini, e non quelli delle lobby che dominano l’Ue. Se non ci fossimo noi – aggiunge l’ex comico – sarebbe pure peggio. Come dire: non siamo colpevoli, e in ogni caso è inutile illudersi che il sistema possa essere cambiato. Ma non era proprio per questo che erano nati, i 5 Stelle? Difatti: non a caso, il loro consenso sta franando. E il “tradimento” sul Tav, come dice Durbiano, sembra davvero l’inizio della fine: tra poco i 5 Stelle potrebbero non esistere più.Dopo la sortita di Conte, affermano i NoTav, ora tutto è finalmente chiaro: «Come abbiamo sempre sostenuto, dalle parti del governo non abbiamo mai avuto amici». Aggiungono i NoTav: «La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine, e il cambiamento tanto promesso dal governo getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti». Formule retoriche, che si ripetono dal 2001 a prescindere dal colore politico dell’esecutivo di turno. Il governo Conte? Sembra aver voluto «cambiare tutto per non cambiare niente». Tante chiacchiere, ma poi – al dunque – il governo gialloverde «è sempre stato ambiguo, negli atti concreti, e questo è il risultato». Non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla? «E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta il futuro di molti sull’altare degli interessi politici di pochi». Lo stesso Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia. Ora perché ha cambiato idea? E’ stato «fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?».Recentissima la richiesta di arresto per il direttore della Cmc di Ravenna, general contractor della Torino-Lione, accusato per una storia di corruzione in Kenya. «Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte», sottolineano i NoTav: «Altro che interessi degli italiani!». Del resto, aggiunge il movimento valsusino, «abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica». Cosa cambia, ora? «Per noi assolutamente nulla, perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il sì all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale – che non c’è, e che nessuno dimostrerà mai». Opera inutile: lo dice anche la commissione speciale istituita da Toninelli e coordinata dal professor Marco Ponti. «Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico: dalla Torino Lione la maggioranza del paese non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti».E i 5 Stelle, da sempre NoTav, ora faranno finta di niente, tirando a campare? Bella sceneggiata, quella di «portare il voto in un Parlamento dove l’esito è già scontato, e dove il Movimento 5 Stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”». I NoTav annunciano battaglia: «Proseguiremo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile e imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto, mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo paese, che siamo convinti, sta con noi». Nel 2005, quando la polizia sgomberò con inaudita violenza i manifestanti dal presidio di Venaus, di colpo l’Italia scoprì che in valle di Susa c’era un problema – non locale, ma nazionale. «Non si possono imporre le opere pubbliche col manganello», disse Di Pietro. Da allora sono passati quasi 15 anni, e il governo in carica – stavolta rappresentato anche dai 5 Stelle – continua a premere per la grande opera senza la minima trasparenza, cioè evitando ancora una volta di dimostrarne l’utilità. Una storia tristemente italiana, di democrazia calpestata. Con un corollario: l’auto-rottamazione del movimento creato da Grillo.Era nell’aria: il Governo del Tradimento si sarebbe apprestato a rimangiarsi anche l’ultima delle sue promesse. Ovvero: non gettare via miliardi in valle di Susa per il Tav Torino-Lione, senza prima averne verificato l’utilità. La verifica – la prima, nella storia – era arrivata nei mesi scorsi dopo decenni di silenzio da parte dei governi romani, per merito del ministro Danilo Toninelli. Verdetto negativo, firmato dal più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti, già docente del Politecnico di Milano e consulente della Banca Mondiale: un’opera faraonica e completamente inutile, perfetto doppione della linea Italia-Francia che già attraversa la valle di Susa, collegando Torino e Lione via Traforo del Fréjus, da poco riammodernato al prezzo di quasi mezzo miliardo di euro per consentire il passaggio di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. Lo sapevano anche i sassi, peraltro: il traffico Italia-Francia è praticamente estinto. Lo chiarisce la Svizzera, delegata dall’Ue a monitorare i trasporti transalpini: l’attuale linea valsusina Torino-Modane-Lione, ormai semideserta e destinata a restare un binario morto anche nei prossimi decenni, potrebbe aumentare del 900% il suo volume di traffico, se solo esistesse almeno il miraggio di merci da trasportare, un giorno.
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Ivo Mej sul “Fatto” approva Mazzucco: mai stati sulla Luna
Insomma, ci siamo stati o no? Per quello che può interessare ai lettori de “Il Fatto Quotidiano”, la mia personale opinione è che no, sulla Luna non ci saremmo mai potuti andare con la tecnologia degli anni ‘60, tant’è vero che non riusciamo ad andarci neanche oggi. Ma naturalmente della mia opinione chissenefrega, e poi come è possibile che in mezzo secolo non sia mai venuta fuori la verità sulla conquista mai avvenuta del nostro satellite? Per fortuna, esistono altri positivisti-scientisti oltre al sottoscritto, non inclini ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata dalla propaganda di turno, ma determinati a verificare le miriadi di supercazzole inventate dalla Nasa in 50 anni per compiacere i presidenti di turno. E’ il caso di Massimo Mazzucco – uno che di professione ha fatto il fotografo prima di diventare regista e di immagini se ne intende – e del suo incredibile documentario “American Moon”, oltre due ore di serena e plausibile confutazione della verità ufficiale sulla Luna. Come molti sanno, la “teoria del complotto lunare” corrente vorrebbe il regista Stanley Kubrick coinvolto in prima persona dalla Nasa per simulare la conquista della Luna. Moltissimi gli indizi in merito, riportati anche in un altro incantevole documentario di Rodney Ashner, “Room 237”, del 2012.Un altro indizio sulla stretta connessione tra Kubrick e la Nasa è la costruzione da parte dell’Ente spaziale americano di un obiettivo fatto appositamente per il film di Kubrick “Barry Lyndon”. Perché la Nasa avrebbe speso ingenti fondi per studiare e realizzare un obiettivo tanto speciale per il regista? Perché non glielo fece neanche pagare? Un semplice omaggio all’autore di “2001 Odissea nello spazio” (anno: 1968)? Ma a tutto questo Mazzucco non accenna neanche. Di Kubrick nessuna traccia, in “American Moon”. Invece, per tagliare le gambe a tutti i debunker sfata-tesi, il regista gioca d’anticipo, confutando dall’inizio e scientificamente tutte le loro critiche. Il principale debunker e avversario da sempre di Mazzucco è il solito Paolo Attivissimo, di nome e di fatto nel tentare di intorbidire le acque della vicenda lunare. Ma naturalmente ci sono anche fior di fotografi professionisti, interpellati da Mazzucco sulle caratteristiche tecniche delle immagini “riportate” dalla Luna. Bene, nessuno tra Oliviero Toscani, Toni Thorimbert, Aldo Fallai, Peter Lindbergh e Nicola Pecorini riesce a spiegare la stranezza di tutte quelle immagini degli “allunaggi” se non con la loro realizzazione in uno studio fotografico.Per non parlare di uno degli argomenti principe della impossibilità di arrivare sulla Luna: l’attraversamento delle micidiali Fasce di Van Allen, in grado di “friggere” qualsiasi apparato radio (non parliamo dei corpi degli astronauti). Non posso certo riportare qui tutte le incongruenze logiche, le strane dimissioni, le ammissioni a mezza bocca dei dirigenti Nasa presenti nel film, ma voglio ricordare che nel 1994 un altro regista, l’americano Bart Sibrel, tentò di fare giurare sulla Bibbia Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins di essere davvero stati sulla Luna. Nessuno di loro volle farlo. Il documentario “American Moon” verrà proiettato il 15 luglio al Teatro Eliseo di Roma, esattamente cinque giorni prima del cinquantenario di quella che potrebbe essere ricordata come la più gigantesca fake news della storia.(Ivo Mej, “Insomma, sulla Luna ci siamo stati o no?”, dal “Fatto Quotidiano” dell’8 luglio 2019).Insomma, ci siamo stati o no? Per quello che può interessare ai lettori de “Il Fatto Quotidiano”, la mia personale opinione è che no, sulla Luna non ci saremmo mai potuti andare con la tecnologia degli anni ‘60, tant’è vero che non riusciamo ad andarci neanche oggi. Ma naturalmente della mia opinione chissenefrega, e poi come è possibile che in mezzo secolo non sia mai venuta fuori la verità sulla conquista mai avvenuta del nostro satellite? Per fortuna, esistono altri positivisti-scientisti oltre al sottoscritto, non inclini ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata dalla propaganda di turno, ma determinati a verificare le miriadi di supercazzole inventate dalla Nasa in 50 anni per compiacere i presidenti di turno. E’ il caso di Massimo Mazzucco – uno che di professione ha fatto il fotografo prima di diventare regista e di immagini se ne intende – e del suo incredibile documentario “American Moon”, oltre due ore di serena e plausibile confutazione della verità ufficiale sulla Luna. Come molti sanno, la “teoria del complotto lunare” corrente vorrebbe il regista Stanley Kubrick coinvolto in prima persona dalla Nasa per simulare la conquista della Luna. Moltissimi gli indizi in merito, riportati anche in un altro incantevole documentario di Rodney Ashner, “Room 237”, del 2012.
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Omran e la fake news sulla Siria riesumate da Mattarella
Che a diffondere fake news fossero “Repubblica” e affini eravamo abituati – a proposito, aspettiamo sempre che Facebook inizi un attento monitoraggio in linea con quanto affermato recentemente nella cosiddetta lotta alle pagine che diffondono bufale. Che fosse il presidente della Repubblica in modo così plateale meno, siamo onesti. In occasione di una commemorazione per i 100 anni di Save The Children, in uno stralcio del discorso, Mattarella ha dichiarato, secondo quanto riportano Agi, Ansa e altre agenzie: «Credo che tutti rammentiamo l’immagine del bambino siriano in ospedale, coperto di polvere, dopo il bombardamento della sua abitazione: quell’immagine ha commosso tanti nel mondo. Ma occorre che la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo». Sulle fake news che hanno giustificato i crimini contro la Siria, Save the Children è esperta (come abbiamo spesso denunciato), ma Mattarella ha proprio scelto la madre di tutte le bufale per elogiare la Ong oggi.Non nominandolo direttamente, il presidente Mattarella infatti allude chiaramente alla storia di Omran Daqneesh, divenuta celebre in tutto il mondo perché strumentalizzata dai famigerati “Caschi Bianchi” durante la propaganda mondiale prima della liberazione di Aleppo da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati (in particolare Russia, Iran e Hezbollah). Vi ricordate le mani di Saviano, Boldrini e Volo davanti la bocca in quei momenti? Ecco, Omran faceva parte di quella stessa strategia per impedire che gli abitanti di Aleppo tornassero a vivere in uno stato laico e moderno, dopo anni di torture sotto il giogo di quei terroristi che l’Occidente ha finanziato, supportato e armato. Qualcosa, tuttavia, si inceppò, nella macchina della propaganda. E proprio sul caso di Omran: l’autogol fu tanto clamoroso quanto censurato da tutti gli organi mainstream. Fu il padre stesso di Omran a denunciare la messa in scena, e la Russia portò il caso al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, chiedendo formalmente ai mass media di rettificare la fake news diffusa. In questo resoconto di Rossi sul “Giornale” è raccontata molto bene l’intera vicenda.Per un politico come Mattarella, che ha recentemente preso aperta posizione a sostegno del golpe Usa contro il Venezuela e che in passato ha avuto un ruolo attivo nella decisione italiana di aderire ai bombardamenti contro Belgrado, non può certo sorprendere la sua posizione sulle vicende siriane. Meno chiaro a molti, proprio perché immersi nelle fake news quotidiane, è chi governava ad Aleppo prima della liberazione. E chi continua ad infestare la Siria, ad esempio ad Idlib. Proprio oggi i terroristi (ribelli moderati nella vulgata di regime) hanno pubblicato questo video (“Gruppo ribelle, appoggiato dai turchi, che vuol passare per ‘moderato’, decapita soldato siriano”). E’ altamente sconsigliato ad un pubblico sensibile ma è più efficace di ogni parola possibile. Perché «la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo», è necessario estirpare completamente il terrorismo importato dall’Occidente in Siria. Chi non si esprime chiaramente in merito, Ong o politico che sia, non ha nessun diritto di pontificare sui diritti umani.(“Sergio Mattarella e le fake news contro la Siria”, da “L’Antidiplomatico” del 13 maggio 2019).Che a diffondere fake news fossero “Repubblica” e affini eravamo abituati – a proposito, aspettiamo sempre che Facebook inizi un attento monitoraggio in linea con quanto affermato recentemente nella cosiddetta lotta alle pagine che diffondono bufale. Che fosse il presidente della Repubblica in modo così plateale meno, siamo onesti. In occasione di una commemorazione per i 100 anni di Save The Children, in uno stralcio del discorso, Mattarella ha dichiarato, secondo quanto riportano Agi, Ansa e altre agenzie: «Credo che tutti rammentiamo l’immagine del bambino siriano in ospedale, coperto di polvere, dopo il bombardamento della sua abitazione: quell’immagine ha commosso tanti nel mondo. Ma occorre che la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo». Sulle fake news che hanno giustificato i crimini contro la Siria, Save the Children è esperta (come abbiamo spesso denunciato), ma Mattarella ha proprio scelto la madre di tutte le bufale per elogiare la Ong oggi.
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Magaldi: Salvini abbaia ma non morde, proprio come l’Italia
Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.Non si smuove di un millimetro l’impero abusivo di Bruxelles, dominato da lobbisti travestiti da statisti. L’altra notizia è che la situazione sta peggiorando a vista d’occhio. E il governo gialloverde non sa che pesci pigliare, non avendo osato sfidare gli oligarchi tenendo duro almeno sulla richiesta di deficit. Povero Salvini, comunque: tacciato di xenofobia, pur essendo stato l’unico a far eleggere un senatore di origine africana. Lo hanno anche accusato di fascismo per il libro pubblicato dall’editrice vicina a CasaPound, sfrontatamente cacciata dal Salone del Libro di Torino – strano posto, dove si fa la guerra (elettorale) a un’azienda, anziché eventualmente lasciar procedere i magistrati (nel caso, per apologia di fascismo) contro la discutibile sortita verbale, individuale, di uno dei suoi responsabili. E a proposito di Torino: quante volte il Salone dell’Ipocrisia ha ospitato editori e autori dichiaratamente comunisti, quindi teoricamente altrettanto ostili, sulla carta, all’orizzonte culturale e antropologico della democrazia liberale? Ne ha per tutti, Gioele Magaldi, nell’osservare il caos che domina la vigilia delle europee: «Elezioni perfettamente inutili», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, che annuncia che diserterà le urne. Motivo: impossibile sperare in un voto utile. Tutto resterà come prima, nelle mani del neoliberismo di regime incarnato da Ppe e Pse.Da una parte c’è il mostruoso e grottesco Juncker, che – in spregio di qualsiasi etica e decenza democratica – già annuncia che “i populisti” saranno tenuti lontani dai ruoli-chiave, a prescindere dal risultato della consultazione. All’ombra di Juncker siede l’altrettanto imbarazzante Moscovici, il “signor no” del deficit italiano, in conferenza stampa con l’ectoplasmatico Gentiloni, alter ego dell’impalpabile Zingaretti. A loro va bene così: con l’Italia che “subisce ancora”, come Fantozzi, votata – per una assurda maledizione – a non crescere, a restare sottomessa e depressa, a non guarire mai. Ma chi fronteggia l’impostura? In campo ci sono (rumorosamente) soltanto loro, i cosiddetti sovranisti, cioè la pessima compagnia che si è scelto Matteo Salvini: «I primi a opporsi all’Italia quando chiedeva più deficit sono stati proprio Polonia e Ungheria, gli alleati teorici della Lega», fa notare Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha disegnato la mappa segreta del potere mondialista, interamente massonico, che ha progettato questa globalizzazione senza diritti che stiamo tutti scontando, italiani senza lavoro e giovani senza futuro, aziende sull’orlo del fallimento, professionisti costretti a mendicare pagamenti che non arrivano mai.Sovranismo contro globalismo? Falsa dicotomia, checché ne pensi l’ex ideologo grillino Paolo Becchi: non contano le dimensioni del sistema, le sue frontiere, ma le modalità di gestione – democratiche oppure oligarchiche, progressiste o conservatrici (alzi la mano chi vorrebbe vivere nella Corea del Nord, paese teoricamente ultra-sovranista). E il nostro Salvini? S’è perso per strada, prima ancora di cominciare: «Abbaia, ma non morde», dice Magaldi. In questo, ricorda sinistramente l’altro Matteo, il Renzi che – a parole – sembrava sul punto di resuscitare l’Italia, opponendosi agli abusi della subdola tecnocrazia europea. In un attimo, è passato dal 40% agli scantinati della politica, tra gli ex. Potrebbe succedere anche al condottiero leghista: l’imboscata sleale di Di Maio e Conte – decapitare Armando Siri, per offrire una stampella moralistica ai 5 Stelle in pieno panico pre-elettorale – è già costata un 6% di consensi, alla Lega, almeno stando ai sondaggi. Su Siri, Magaldi è indignato: il sottosegretario doveva restare al suo posto, essendo solo indagato. «Salvini doveva difenderlo a oltranza. E invece cosa ha fatto? Al solito: ha abbaiato, minacciando sfracelli, ma poi ha ingoiato il rospo anche stavolta, incassando una sconfitta bruciante». Un guerriero di latta, il cui consenso si sta mostrando pericolosamente effimero e friabile.«Salvini sa benissimo che è Bruxelles, che dovrebbe mordere, e non i negozi di cannabis terapeutica: queste battaglie tragicomiche le lasci a Fusaro, e spenda meglio il suo tempo. Pensi all’Italia, alla crisi che sta azzannando il paese». Già, la grande crisi che tutti fingono di non vedere. Fino a ieri, se non altro, Salvini la indicava senza ipocrisie: è riuscito a piazzare al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai. Dopodiché, nebbia in Val Padana. «Oltre ad aver ceduto di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit, che avrebbe fatto crescere il Pil riducendo l’incidenza del debito – argomenta Magaldi – il governo gialloverde non ha neppure preso in considerazione la proposta che l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, avanza da anni: creare moneta parallela, non a debito e perfettamente ammessa dal Trattato di Lisbona, per aggirare la scarsità artificiosa di liquidità che affligge l’Eurozona e creare quei posti di lavoro di cui l’Italia ha drammaticamente bisogno».Infrastrutture strategiche, servizi, welfare, sicurezza del territorio. Servono soldi, che però l’élite neo-feudale non vuole che si spendano: la fine della crisi sarebbe anche la fine dell’attuale potere oligarchico, basato sulla precarizzazione del lavoro. Il piano avanza da anni, implacabile: tagliare i viveri allo Stato per costringerlo ad alzare le tasse, comprimere i salari e colpire i consumi. Amputare il welfare significa spremere il paese, spingendolo a erodere i risparmi. Il cielo si chiude: rassegnazione. Meno opportunità, meno diritti. Le elezioni? Non contano: lo dice Juncker, spettrale tecnocrate al quale Fabio Fazio, sulla Rai, stende il tappeto rosso. Se la ride, l’oligarca del Lussemburgo (rinomato paradiso fiscale, per decenni), già sapendo che l’alleanza di piombo tra popolari e socialisti europei ridurrà le elezioni del 26 maggio a una lugubre barzelletta. Ci vuole ben altro, per rovesciare questi cialtroni: un programma rivoluzionario, radicale, che smonti le loro menzogne travestite da scienza economica e vendute al popolo bue come dogma di fede. Salvini, almeno lui, lo sa benissimo. Ed è per questo che è imperdonabile, oggi, il suo ostinarsi ad abbaiare – contro falsi obiettivi – senza mai decidersi a mordere davvero.(Il pensiero di Magaldi è sintetizzato in due interventi su YouTube, l’11 maggio in video-chat con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, e il 13 maggio con Fabio Frabetti, conduttore di “Border Nights”. Dopo il recente convegno di Londra sul New Deal rooseveltiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, i temi esposti da Magaldi – come risolvere la crisi italiana, affrontando finalmente l’oligarchia di Bruxelles – saranno alla base dell’assemblea che il 14 luglio, a Roma, darà vita al “Partito che serve all’Italia”, laboratorio politico che si candida a smascherare le ipocrisie e la mancanza di coraggio della politica italiana di fronte alle reali cause del malessere del paese).Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.
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Magaldi oscurato su Facebook: “Spieghino, o li denuncio”
Gioele Magaldi oscurato da Facebook: «Da qualche giorno non posso più accedere alla mia pagina, da cui peraltro sono spariti tutti i contenuti. Nel caso ci fosse del dolo, a Facebook farò una causa coi fiocchi», avverte il presidente del Movimento Roosevelt, in web-streaming su YouTube il 13 maggio con Fabio Frabetti di “Border Nigths”. E aggiunge: «Mi auguro che sia solo un problema tecnico momentaneo, perché i miei contenuti (politico-culturali) non sono certo considerabili “inappropriati”, da Facebook». Magaldi è un personaggio pubblico piuttosto noto. «Anche nel caso si trattasse solo di un inconveniente – dice – resta comunque il danno: lo conferma una sentenza del tribunale di Pordenone, che – come ricorda l’Associazione Forense Emilio Conte – il 10 dicembre 2018 ha condannato Facebook a ripristinare il profilo di un utente arbitrariamente chiuso, infliggendo anche il pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo». Magaldi è perfettamente consapevole dell’occhiuta “sorveglianza” di Facebook alla vigilia delle elezioni europee: il social network ha appena chiuso 23 pagine italiane, con 2,4 milioni di follower, accusate di diffondere “fake news”.
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Così l’Unione Europea ha soffocato la libertà di Internet
Addio link facili, fine della libertà di circolazione dei contenuti sul web. Il Parlamento Ue ha infatti approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. «Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli – possibilità persa per soli 5 voti contrari», scrive Riccardo Coluccini su “Motherboad”. Gli sforzi dei cittadini, degli attivisti e degli esperti di Internet – culminati con la pubblicazione di una lettera contraria agli articoli 11 e 13, firmata dagli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale – non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva «che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online». Alcuni politici, aggiunge Coluccini, hanno intenzionalmente avvitato la discussione sulla direttiva copyright intorno alle sole posizioni delle grandi poattaforme e dei detentori dei diritti d’autore, «che non sempre combaciano con gli autori e i creatori dell’opera». Ignorate «le richieste dei cittadini, degli artisti e dei creatori di contenuti». Per “Motherboard”, «i colpi bassi in questi mesi hanno ricordato più una stagione di Game of Thrones che un processo democratico».Come sottolineato dalla parlamentare tedesca Julia Reda, del Partito dei Pirati, abbiamo assistito probabilmente a una delle più grandi mobilitazioni cittadine degli ultimi anni su un tema digitale. «Dall’altra parte, però – scrive Coluccini – alcuni europarlamentari si sono ostinati a svilire ogni critica liquidandola come “fake news”, bollando i cittadini come “bot”, o persino alludendo alla possibilità che i critici fossero stati assoldati dai colossi digitali». Tutto questo, «tacendo completamente, però, le pressioni portate avanti dalle lobby editoriali e del mondo della musica». Alla vigilia del voto, quasi 200.000 persone hanno manifestato in diverse città europee. «La petizione online che chiedeva la rimozione dei due articoli ha raggiunto il record di oltre 5 milioni di firme», aggiunge Coluccini. «Migliaia di cittadini hanno contattato telefonicamente i propri rappresentanti per chiedere di opporsi agli articoli 11 e 13». Inoltre, il 21 marzo Wikipedia ha oscurato completamente il proprio sito web in Estonia, Danimarca, Germania, e Slovacchia. Wikipedia in italiano si è unita al blackout il 25 marzo.Di cos’è fatto, il dispositivo ammazza-web? L’articolo 13 prevede che tutti i siti e le app che permettono l’accesso o la condivisione di materiali protetti dal diritto d’autore – e ne traggono una qualche forma di profitto economico – siano considerati responsabili per eventuali violazioni. Ogni piattaforma, spiega sempre “Motherboard”, sarà quindi obbligata a stringere accordi con tutti i detentori dei diritti. E dovrà garantire che queste licenze siano rispettate, prevedendo quindi sistemi e meccanismi per evitare che vengano caricati nuovamente contenuti vietati. Secondo molti esperti, tale richiesta può essere soddisfatta solo introducendo dei filtri per gli upload, già ampiamente criticati. David Kaye, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espressione, sottolinea come «una fiducia mal riposta nelle tecnologie di filtraggio aumenterebbe il rischio di errore e censura». Purtroppo i parlamentari europei hanno deciso di far finta di nulla. «L’articolo 13 – riassume Coluccini – esclude solamente una piccola categoria di aziende: quelle che hanno meno di tre anni di attività in Europa, un fatturato minore di 10 milioni di euro e meno di 5 milioni di visitatori unici al mese».L’articolo 11, invece, prevede il diritto per gli editori di obbligare tutte le aziende che operano su Internet a stringere accordi per pubblicare brevi estratti degli articoli e notizie – i cosiddetti snippet, che sono oramai diventati onnipresenti nella nostra navigazione quotidiana. Sono esclusi unicamente “l’utilizzo di singole parole e brevi estratti” (definizione alquanto vaga). «Così com’è, la nuova legge sul copyright minaccia la libertà di Internet per come la conosciamo: gli algoritmi non sono in grado di distinguere tra effettive violazioni del copyright e riusi perfettamente legali come nel caso delle parodie», commenta Julia Reda: «Obbligare le piattaforme a usare i filtri di caricamento implicherà un maggior numero di blocchi di contenuti legali e renderà più difficile la vita delle piattaforme più piccole che non possono concedersi costosi software per filtrare». Aggiunge la parlamentare tedesca: «Il relatore dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (Cdu) Axel Voss e la maggioranza dei parlamentari europei hanno perso l’opportunità di garantire all’Unione Europea una legge sul copyright moderna che protegge sia gli artisti che gli utenti». Oggi è davvero un giorno buio per la libertà di Internet, scrive la stessa Reda su Twitter. E avverte: «Continueremo la battaglia, contro i filtri di caricamento e contro questa nuova legge europea».Addio link facili, fine della libertà di circolazione dei contenuti sul web. Il Parlamento Ue ha infatti approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. «Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli – possibilità persa per soli 5 voti contrari», scrive Riccardo Coluccini su “Motherboad”. Gli sforzi dei cittadini, degli attivisti e degli esperti di Internet – culminati con la pubblicazione di una lettera contraria agli articoli 11 e 13, firmata dagli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale – non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva «che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online». Alcuni politici, aggiunge Coluccini, hanno intenzionalmente avvitato la discussione sulla direttiva copyright intorno alle sole posizioni delle grandi piattaforme e dei detentori dei diritti d’autore, «che non sempre combaciano con gli autori e i creatori dell’opera». Ignorate «le richieste dei cittadini, degli artisti e dei creatori di contenuti». Per “Motherboard”, «i colpi bassi in questi mesi hanno ricordato più una stagione di Game of Thrones che un processo democratico».