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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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Quale 25 Aprile e quale Liberazione, nella Colonia Italia?
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo. Mistificando per tale quello di chi smaschera l’operazione colonialista, detta globalizzazione, ai danni dei dominati del Sud e del Nord. Gli sciagurati sovranisti, identitari, refrattari alla levigatezza dell’uniformato. Seppure lo definiscano tale, non ne fa sicuramente parte Matteo Salvini, sovranista farlocco e sfascia-Italia del “prima gli italiani”, purchè si tratti di trafficoni eolici, trivellatori di terre e mari, sfondatori di valli e montagne, magna magna di ogni genere, cravattai lombardoveneti, insomma tutti i missi dominici dell’Impero.Genìa che è stata decisiva perché i risultati del 25 aprile fossero consegnati nelle mani e nelle borse dei nuovi invasori. Genìa maledetta. E’ stato lo spirito dei tempi coronati dal 25 aprile e subito successivi che ha innalzato l’Italia – dal fascismo squadrista frantumata in giovani obnubilati, popolo plebeizzato e impecoranato, federali in stivali e loro mignotte, intellettualità sedotta, asservita e abbandonata, brutalità ed elementarietà di azione e pensiero (salvo grandi architetti) – ai livelli di un passato come quello dei Leopardi e dei moti ottocenteschi. Che ha prodotto i Fenoglio, Calvino, Pavese, i De Sica, Rossellini, Monicelli, giganti che hanno nanificato, moralmente e culturalmente, tutto quello che è venuto dopo e che formicola a petto in fuori nei Premi Strega e Bancarella. Si può dire, e spiacerà ai nonviolenti, di vocazione o altro, che quello Zeitgeist, così generoso, è uscito dalla canna di un fucile.Da ex-direttore responsabile e inviato di guerra del quotidiano “Lotta Continua” e militante (a lungo latitante) di quell’organizzazione, che contro il fascismo aggiornato del consociativismo di regime, con il suo terrorismo di Stato, pure qualcosa ha fatto, mi permetto, nel mio piccolo e intimo, di ringraziare i partigiani tutti. Formazione di popolo. Più di tutti quelli garibaldini, e rigettare nel buco nero dell’esecrazione gli Alleati, che ai primi hanno sottratto e pervertito la vittoria, poi procedendo a sottrarre e pervertire ciò che di ogni vivente fa quello che è: la sovranità sua, della sua comunità, del suo passato, presente, futuro, nome. Di questo gli antifascisti da terrazzo, antisovranisti del re di Prussia, non sanno e non dicono, bisognosi come sono dei cartonati in camicia nera e saluto romano per occultare il fascismo global-digital-finanziario che li ha reclutati e di cui si sono inoculato il virus. Il che non mi impedisce, sia detto per inciso, di trasecolare a fronte di chi insiste a definire Piazzale Loreto “giustizia di popolo”.Stessa matrice. Oggi si vedono sul palcoscenico della commedia nazionale e occidentale, in grande spolvero, nuovi “antifascisti”. Ce ne sono addirittura di patrocinati da George Soros, che non si fa scrupoli di affiancarli all’altra sua creatura: “Me too”. Come sempre quando il pifferaio riesce a riunire e riconciliare in un’unica truppa ratti e bambini ignari, li si trovano, schiamazzoni e autocertificati, dall’estrema sinistra a quella vera destra che si dice vuoi centrosinistra, vuoi centrodestra. Virgulti, balilla e giovani italiane del Nuovo Ordine Mondiale, puntano quello che in artiglieria viene chiamato “falso scopo” (e il puntamento indiretto verso un obiettivo non individuabile a vista). In parole semplici, additando un chihuahua ringhiante nei bassifondi ideologici urbani, si urla “al lupo, al lupo”, con l’effetto di distogliere la nostra mira dal lupo mannaro vero che tiene al guinzaglio chi urla. (Chiedendo scusa al lupo per la becera metafora fiabesca. E ricordando che il ministro dell’ambiente 5 Stelle, Costa, proibisce di abbattere i lupi, mentre Salvini, forte di mitraglietta, ne autorizza l’abbattimento: fatto che contiene in nuce tutto il significato delle temperie in cui il post-25 aprile, tradito come nemmeno il presunto Giuda il presunto Gesù, ci ha ingabbiato e nelle quali, o i 5 Stelle staccano la spina, o rischiamo il corto circuito e il black out loro e di tutti noi).Il discorso della Liberazione va ripreso ab imis fundamentis. E’ per questo che ho spostato le mie commemorazioni-celebrazioni a due giorni dopo, il 27 maggio del 1937. E il giorno tristissimo della morte di Antonio Gramsci (io c’ero già e ricordo una serie di quaderni di mio padre con sopra, imparai dopo, le immagini, tra altre, di Marinetti, D’Annunzio, Gozzano, Leopardi e Gramsci). Non significa niente, ma sono contento di esserci già stato quando ancora viveva Gramsci. E’ insensato, ma mi pare che così sono in qualche modo contemporaneo e, quindi, più partecipe di quel “popolo” a cui questo sardo degno della sua terra ha ridato un nome, un’identità, un progetto, nel tempo che più lo ha visto conculcato, mistificato, sviato da una storia che era iniziata con Dante, che aveva serpeggiato per secoli e che si era rifatta prorompente con la Repubblica Romana e le altre affini, incancellabili madri dei nostri partigiani. Come Anita Garibaldi, che, sul colle Gianicolo, sparava ai francesi rinnegati, lo è specificamente delle nostre partigiane. E come lo era anche delle brigate femminili alla Comune di Parigi (dove c’erano pure i dai neoborbonici esecrati garibaldini!). Che nessun movimento o gruppo femminista ricorda e onora, preferendo icone tipo Hillary o Boldrini.(Fulvio Grimaldi, “Quale 25 aprile. Quale 27 aprile. Quale liberazione”, dal blog di Grimaldi del 26 aprile 2019).Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
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Carpeoro: nelle mie logge non c’erano magistrati né politici
Anziché escludere i massoni dalla politica, non sarebbe meglio se fosse la massoneria stessa, a monte, a chiudere le porte a chi ha incarichi pubblici? Si eviterebbero tanti equivoci, incluse le tempeste giudiziarie come quella che sta travolgendo il mondo politico siciliano, con il recentissimo caso della loggia “coperta” di Castelvetrano. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e dirigente del Movimento Roosevelt. «In alcune regioni italiane – dice – la contiguità tra mafia e massoneria è particolarmente vistosa». Nel 2005 Carpeoro arrivò a sciogliere l’intera obbedienza di cui era “sovrano gran maestro” (storica espressione del Rito Scozzese italiano) dopo aver chiuso innanzitutto le logge siciliane e calabresi. «Della mia massoneria – dichiara in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – per mia esplicita disposizione non potevano essere ammessi nemmeno magistrati ed esponenti della forze dell’ordine», proprio per evitare che li si potesse accusare, un giorno, di essere tentati di favorire “confratelli” nei guai con la giustizia. «L’aiuto massonico deve avere carattere privato», sottolinea Carpeoro: «Se un “fratello” finisce in carcere, se necessario si deve sostenere finanziariamente la sua famiglia, ma certo non gli si può evitare la galera».Osservatore privilegiato della scena politica italiana, un tempo vicino a Bettino Craxi, Carpeoro è autore di saggi particolarmente scomodi: “Dalla massoneria al terrorismo”, edito nel 2016 da Revoluzione, imputa a settori dei servizi segreti Nato la “sovragestione” degli attentati condotti dall’Isis in Europa, rilevaldone la chiara matrice simbolica non islamica, ma templarista e massonica. Quanto alla massonofobia di facciata esibita in modo ipocrita dal Movimento 5 Stelle, Carpeoro conferma l’appartenenza massonica di Gianroberto Casaleggio, da poco segnalata dal presidente del Movimento Roosevelt, Gioele Magaldi. Su Casaleggio senior, Carpeoro aggiunge: «Era affiliato alla massoneria inglese, e anche a una Ur-Lodge attualmente di segno reazionario, anch’essa radicata nel mondo britannico». Come svelato da Magaldi nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), le superlogge sovranazionali sono 36 organismi che reggono di fatto i destini mondo, al di sopra dei governi. Quello di Casaleggio era dunque un cenacolo oligarchico? «Sì, ma Casaleggio era un visionario, non un reazionario: e ogni visionario punta sempre al bene dell’umanità, non al suo male», fa notare Carpeoro, spesso critico con i grillini.Lo stesso Carpeoro ha spesso denunciato l’influenza del politologo statunitense Michael Ledeen su Luigi Di Maio: «E’ stato lui a organizzargli i tour alla vigilia dello scorso anno nei santuari supermassonici della finanza atlantica». Secondo Carpeoro, Ledeen – membro di spicco del potente Jewish Institute – è un tipico esponente della “sovragestione” della politica italiana: «Fu accanto a Craxi ma al tempo stesso anche a Di Pietro, poi a Renzi e contemporaneamente a Di Maio». Lobby ebraica? Supermassoneria reazionaria? Carpeoro diffida del complottismo, preferisce dosare rivelazioni precise e proporre analisi. La scorsa estate denunciò le manovre francesi per bloccare la nomina di Foa in Rai tramite Napolitano, Tajani e Berlusconi. Ora avverte: persa la partita contro Foa, sarebbe stato proprio il supermassone Jacques Attali, “padrino” di Macron, a premere (insieme al consueto Ledeen) perché il governo gialloverde cambiasse il vertice dei servizi segreti italiani, finora distinisi per essere riusciti a proteggere il nostro paese dal terrorismo.Dettagli che fanno pensare, specie se si alza il volume sull’infiltrazione della mafia nelle logge siciliane, ma si tace sul resto. Come dire: si strepita per piccole questioni locali, senza mai voler vedere le trame della vera massoneria di potere, quella sovranazionale. «Lo stesso dicasi per il caso Mps: il Montepaschi era una struttura interamente massonica, e il massone David Rossi – precipitato dalla finestra del suo ufficio, nel 2013 – è morto per aver scoperto una verità imbarazzante». E cioè che era stato Mario Draghi, allora governatore di Bankitalia, a manovrare perché la banca di Siena si esponesse a operazioni spericolate, eseguendo ordini di scuderia provenienti dal gotha della finanza massonica mondiale. Quanto alla massoneria nazionale italiana, Carpeoro ormai se ne tiene alla larga: reputa tramontata la sopravvivenza della sua eredità culturale, e sconsiglia chiunque dall’avvicinarsi alle logge, ormai – a suo dire – in completo declino. L’insidia della malavita? «Risolvibile anche quella, volendo – conclude l’avvocato – nella misura in cui sono risolvibili anche gli altri mali storici italiani». A patto che, ovviamente, si smetta di fingere di non vederli.Anziché escludere i massoni dalla politica, non sarebbe meglio se fosse la massoneria stessa, a monte, a chiudere le porte a chi ha incarichi pubblici? Si eviterebbero tanti equivoci, incluse le tempeste giudiziarie come quella che sta travolgendo il mondo politico siciliano, con il recentissimo caso della loggia “coperta” di Castelvetrano. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e dirigente del Movimento Roosevelt. «In alcune regioni italiane – dice – la contiguità tra mafia e massoneria è particolarmente vistosa». Nel 2005 Carpeoro arrivò a sciogliere l’intera obbedienza di cui era “sovrano gran maestro” (storica espressione del Rito Scozzese italiano) dopo aver chiuso innanzitutto le logge siciliane e calabresi. «Nella mia massoneria – dichiara in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – per mia esplicita disposizione non potevano essere ammessi nemmeno magistrati ed esponenti della forze dell’ordine», proprio per evitare che li si potesse accusare, un giorno, di essere tentati di favorire “confratelli” nei guai con la giustizia. «L’aiuto massonico deve avere carattere privato», sottolinea Carpeoro: «Se un “fratello” finisce in carcere, se necessario si deve sostenere finanziariamente la sua famiglia, ma certo non gli si può evitare la galera».
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Greta, l’ultima invenzione di chi ci impone sacrifici sociali
«Fate presto, non c’è più tempo». Ieri a dirlo era Mario Monti, oggi la piccola Greta Thunberg. Curioso, no? Vuoi vedere che, alla fine, la battaglia-spettacolo inscenata sul “climate change” dalla ragazzina svedese, sapientemente pilotata da esperti di marketing, ha obiettivi identici a quelli dell’élite globalista che impone “sacrifici” sociali al 99% della popolazione, stavolta anche con l’alibi del surriscaldamento globale? A domandarselo è l’antropologo Marco Giannini, analista indipendente e già vicino ai 5 Stelle, di fronte allo strano sciopero che il 15 marzo ha mobilitato milioni di studenti in ogni angolo del mondo. Hanno chiesto diritti sociali per i lavoratori, la fine delle morti bianche, un reddito minimo garantito che dia dignità ad ogni essere umano? Macchè. Hanno invocato un salario ragionevole e un’istruzione di livello per tutelare il futuro dei giovani, sottraendoli alla feroce lotteria competitiva del neoliberismo? Nossignore: la manifestazione era “per l’ambiente”. «Presto manifesteremo per la bontà, oppure forse contro la cattiveria: anzi, contro i cattivi», scrive Giannini: «Sì, credo proprio che Greta molto presto ci guiderà contro i cattivi, finalmente».Non era veritiero quindi – scrive Giannini, sarcastico – che le lobby si celassero dietro queste manifestazioni per colpire l’economia reale Usa, cioè Trump, cercando di scalzarla mediante la loro finanza globale, «quella che ha creato a tavolino la recessione mondiale e che necessita di reazioni stereotipate, prevedibili», allo scopo di «ottundere le menti e banalizzare le questioni». Un sospetto più che evidente, quello espresso da Giannini su “Come Don Chisciotte”: lo slogan “dobbiamo fare in fretta” serve a «creare le condizioni che rendano accettabili nuovi sacrifici (già “in canna”) altrimenti considerati odiosi e improponibili dalle popolazioni». Come ampiamente dimostrato da tutti gli studi sul comportamento umano, il “dobbiamo fare in fretta” – al fine di evitare una imminente catastrofe – è l’unico concetto che sortisce puntualmente l’effetto voluto dai manipolatori, a prescindere dalla sua eventuale coerenza. Anzi, scherza Giannini, «ormai ci aspettiamo che da un momento all’altro il Fmi, il Wto, la World Bank, BlackRock e Open Society, la Bayer-Monsanto, la Apple, Deutsche Bank e la Bce devolveranno gratuitamente verso ogni cittadino (americano, israeliano, italiano, russo, cinese, inglese) un bonus che copra interamente le spese per la coibentazione della propria abitazione».Per inciso, infatti, se si vuole ridurre il riscaldamento globale «non è tanto sulla CO2 che si deve agire, ma sul metano, che è 25 volte più impattante». Strano, vero? La manifestazione lanciata dalla piccola Greta ha avuto il plauso di Mattarella, Merkel, Macron. Applaudono anche le multinazionali finanziarie, quelle che hanno creato la crisi del 2007 per poi socializzare le perdite a spese dei governi, dopo aver «distrutto vite e privatizzato i profitti speculativi». Ancora oggi, continua Giannini, è sicuramente “cattivo” chi rivela che non sono tanto i cittadini comuni a produrre CO2, quanto «i settori terziario-quaternario e industria», come lo è chi svela che «dietro queste manifestazioni ci sono coloro che costantemente si arricchiscono col meccanismo “Cap & Trade”, cioè proprio con il business della CO2 a spese dei cittadini». Aggiunge Giannini: «Paradossale leggere che si debbano ridurre i consumi quando costoro impongono l’ideologia del crescere ad ogni costo e dell’emarginazione sociale». A meno che, oltre al lavaggio del cervello ideologico (vero target della “missione”) tutto ciò non serva «per ridurre il margine di manovra di quelle regioni del mondo che, in modo stoico, stanno cercando ancora oggi di emergere dalla recessione, nonostante la stramaledetta e controproducente austerity, in cui ad esempio l’Italia è imbavagliata».A proposito di “crescita infinita”, Giannini invita i lettori a questa riflessione: e se domani i robot rendessero disponibili beni a sufficienza per il mondo intero? Se tutti (anche agli africani “regolari”, cui Giannini insegna matematica e scienze) disponessero di un “reddito minimo”? «I consumi globali arriverebbero a un livello approssimativamente standard, ponendo fine alla finanza e ridando all’economia reale la corretta dimensione. A quel punto a cosa servirebbe crescere? A niente, se non alla selezione naturale tra esseri umani». Da quel momento, il “crescere” servirebbe solo a «dividere la torta in modo insensato, favorendo pochi “rentier” e omologando l’intera popolazione umana nell’ignoranza e nell’imbecillità». Tenere le menti lontanissime da queste considerazioni, secondo Giannini, è “necessario”, «perché la teoria della “crescita infinita” prosperi anche quando non servirà più» (beninteso: «Al momento, all’Italia serve eccome, crescere»). Ma come non vedere la manipolazione che sta dietro al fenomeno Greta? «Rendere moda, marketing, mercato (banche) certe questioni – insiste Giannini – equivale a svalutare i significati e a manipolare il senso comune, al fine di abituare i cittadini ad agire per emozioni, per stereotipi», cosicché chi la determina, la moda, cioè chi detiene i media, possa «omologare e rendere dipendenti (cioè privi di libertà) i cittadini».Dietro questa manifestazione ingenua e giovane – “comunque bella”, per citare Lucio Battisti – ci sono «coloro che hanno impoverito l’Africa e sfruttato la tratta di esseri umani». Nel continente nero (e non solo) hanno privatizzato tutto, con la complicità di un pugno di oligarchi africani traditori, razziando risorse a costo zero. «Sono coloro che hanno alimentato guerre e colpi di Stato, venduto armi per nutrire i traffici, generato carestie», fino addirittura a “testare” virus mortali prodotti in laboratorio, come quello della Sars. «Sono coloro che proteggono l’opulenza dei politicanti europei, altrettanto traditori», che hanno accettato l’euro ben sapendo che sarebbe servito a «colpire operai e classi medie». Osserva Giannini: «Fa molto male, rendersi conto che – salvo eccezioni – non sia lo stato di necessità a smuovere le masse, bensì il marketing». Siamo uno zoo falcilmente manovrabile, in fondo: “Je suis Charlie”, recitavano i cartelli nelle piazze all’indomani della strage parigina nella redazione di “Charlie Hebdo”, come se davvero l’obiettivo del commando terrorista fosse la libertà di satira. Prepariamoci, avvertiva a fine 2018 un analista come Fausto Carotenuto, veterano dell’intelligence: l’élite è in difficoltà e, per imbrogliarci, nel 2019 fabbricherà altre finte rivoluzioni. Ed ecco, puntuale, la piccola Greta.Didendere l’ambiente è sacrosanto, riconosce Giannini, ma il tema – aggiunge – va affrontato in modo non emotivo, partendo dalle cause, con un serio approccio scientifico. In Italia, dopo l’omicidio Moro, le lobby occidentali «inquinarono il Pci dei diritti sociali trasformandolo nell’eurocomunismo “fru fru”, per usare una terminologia cara a Beppe Grillo». Da allora, il progressivo assedio culturale dai movimenti effimeri (Femen, antiproibizionismo, diritti civili ma non sociali) ha inaugurato «l’eone dei sacrifici, a partire dal vincolo esterno dello Sme fino ad oggi: e i risultati si vedono». Da quel momento «la sinistra, il socialismo, non significarono più “lavoratori” ma ben altro, tra cui la distruzione della società intesa come Stato sociale», il declino della tradizione e dei “luoghi antropologici”, la fine dell’identità patriottica «in favore del globalismo d’accatto». Con Greta, «siamo su questo solco, che distrae le energie». La sinistra? «Perde definitivamente i propri tratti». E quindi «non ha più senso ragionare in termini politicamente bipolari». Infine, Giannini ricorda che «l’ignara Greta» è affetta da Asperger, dunque «è a rischio egocentrismo e fissazione». Domanda: «E’ funzionale al suo sviluppo, questa sua esposizione? O la ragazzina è usata come una cavia, come carne da macello?».«Fate presto, non c’è più tempo». Ieri a dirlo era Mario Monti, oggi la piccola Greta Thunberg. Curioso, no? Vuoi vedere che, alla fine, la battaglia-spettacolo inscenata sul “climate change” dalla ragazzina svedese, sapientemente pilotata da esperti di marketing, ha obiettivi identici a quelli dell’élite globalista che impone “sacrifici” sociali al 99% della popolazione, stavolta anche con l’alibi del surriscaldamento globale? A domandarselo è l’antropologo Marco Giannini, analista indipendente e già vicino ai 5 Stelle, di fronte allo strano sciopero che il 15 marzo ha mobilitato milioni di studenti in ogni angolo del mondo. Hanno chiesto diritti sociali per i lavoratori, la fine delle morti bianche, un reddito minimo garantito che dia dignità ad ogni essere umano? Macchè. Hanno invocato un salario ragionevole e un’istruzione di livello per tutelare il futuro dei giovani, sottraendoli alla feroce lotteria competitiva del neoliberismo? Nossignore: la manifestazione era “per l’ambiente”. «Presto manifesteremo per la bontà, oppure forse contro la cattiveria: anzi, contro i cattivi», scrive Giannini: «Sì, credo proprio che Greta molto presto ci guiderà contro i cattivi, finalmente».
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Twin Towers, 15.000 morti. Stop ai sussidi per i moribondi
Se vi chiedessero “quante persone sono morte nell’attacco alle Torri Gemelle?”, la maggioranza di voi risponderebbe: circa 3.000. Invece la cifra è di almeno 5 volte superiore, spiega Massimo Mazzucco. «Sono già oltre 15.000 le persone morte in seguito all’attacco delle Torri Gemelle, se si contano anche tutte quelle morte di cancro negli anni successivi, per aver respirato l’amianto che era contenuto nella struttura dei due grattacieli». Per tutte queste persone – soccorritori, pompieri, poliziotti, normali cittadini – il governo americano aveva stanziato circa 7 miliardi di dollari, che avrebbero dovuto ricompensare le vittime e i loro parenti nel corso degli anni. «Ma ora – vergogna dentro la vergogna – il fondo ha comunicato che i soldi stanno per finire, e che da oggi i rimborsi verranno dimezzati per tutti i nuovi malati», scrive Mazzucco, sul blog “Luogo Comune”. In due accurati documentari, “Inganno globale” (trasmesso anche da Canale 5) e “La nuova Pearl Harbor”, Mazzucco ha sbriciolato la versione ufficiale sull’attentato: le Twin Towers non possono essere crollate per l’impatto degli aerei, sono state sicuramente “demolite” in modo deliberato. Una verità tuttora inaccettabile, per moltissimi: come potrebbero mai, gli Stati Uniti, procurarsi da soli una devastazione del genere?La risposta è che i mandanti della strage del secolo – che ha aperto il terzo millennio – non sarebbero stati gli Usa, ma una struttura-ombra annidata nei gangli del Deep State e capeggiata dall’allora vicepresidente Dick Cheney. Una struttura super-segreta, capace di produrre indagini-farsa dopo aver allontanato funzionari Fbi che si erano insospettiti. E in grado di “accecare” la difesa aerea della superpotenza inserendo un videogame negli schermi radar, quella mattina, in cui – per la prima e unica volta nella storia – c’erano solo due intercettori a difendere il cielo della East Coast: oltre 700 caccia erano tutti impegnati in esercitazioni concomitanti, lontanissimo da New York. Nel saggio “La guerra infinita”, Giulietto Chiesa punta il dito contro l’élite neocon firmataria del Pnac: tre anni prima della strage, il Piano per il Nuovo Secolo Americano prevedeva – nero su bianco – l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, all’indomani del provvidenziale casus belli. In un altro saggio, “Massoni”, Gioele Magaldi è ancora più preciso: a progettare il maxi-attentato di Manhattan sarebbe stata la superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, creata da Bush senior nel 1980 dopo la sconfitta inflittagli da Reagan alle primarie repubblicane. Obiettivo della “Hathor”: procedere “manu militari” alla globalizzazione neoliberista, anche ricorrendo al terrorismo “false flag” targato prima Al-Qaeda e poi Isis.A quasi 18 anni dalla catastrofe, una quota rilevante dell’opinione pubblica mondiale ha registrato che, come minimo, la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. Certo, ai più sfugge il dato – enorme – su cui ora richiama l’attenzione Mazzucco: le vittime non sono tremila (2.996 morti, più 6.000 feriti) ma addirittura 15.000. Colpa dell’amianto disperso nell’aria durante gli incendi, senza contare le macerie di Ground Zero che continuarono a bruciare – stranamente – per settimane, esalando sostanze altamente tossiche. Triste epilogo, più che beffardo: stanno finendo i soldi stanziati per indennizzare i malati. «Più di 5 miliardi sono già stati spesi fino ad oggi per rimborsare i morti e i danneggiati da malattie respiratorie, e ne restano soltando un paio prima che il fondo si esaurisca», scrive Mazzucco. «Purtroppo – aggiunge – il mesotelioma si rivela a volte solo dopo molti anni, per cui non è possibile sapere quanti ancora si presentaranno agli sportelli governativi per reclamare il compenso per la malattia». Ma la Casa Bianca, così pronta a inviare “aiuti umanitari” nelle nazioni di cui vorrebbe far cadere il governo, «non riesce a trovar dei soldi aggiuntivi per i morti e i malati delle Torri Gemelle», vittime – tecnicamente – della peggior “strage di Stato” della storia.Se vi chiedessero “quante persone sono morte nell’attacco alle Torri Gemelle?”, la maggioranza di voi risponderebbe: circa 3.000. Invece la cifra è di almeno 5 volte superiore, spiega Massimo Mazzucco. «Sono già oltre 15.000 le persone morte in seguito all’attacco delle Torri Gemelle, se si contano anche tutte quelle morte di cancro negli anni successivi, per aver respirato l’amianto che era contenuto nella struttura dei due grattacieli». Per tutte queste persone – soccorritori, pompieri, poliziotti, normali cittadini – il governo americano aveva stanziato circa 7 miliardi di dollari, che avrebbero dovuto ricompensare le vittime e i loro parenti nel corso degli anni. «Ma ora – vergogna dentro la vergogna – il fondo ha comunicato che i soldi stanno per finire, e che da oggi i rimborsi verranno dimezzati per tutti i nuovi malati», scrive Mazzucco, sul blog “Luogo Comune”. In due accurati documentari, “Inganno globale” (trasmesso anche da Canale 5) e “La nuova Pearl Harbor”, Mazzucco ha sbriciolato la versione ufficiale sull’attentato: le Twin Towers non possono essere crollate per l’impatto degli aerei, sono state sicuramente “demolite” in modo deliberato. Una verità tuttora inaccettabile, per moltissimi: come potrebbero mai, gli Stati Uniti, procurarsi da soli una devastazione del genere?
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I Tabligh, islamici: il terrorismo Isis viene da massoni Usa
Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).Le prove? Magaldi dichiara di disporre di 6.000 pagine di documenti da poter esibire. Ma nessuno, dal 2014, si è mai fatto avanti per contestare le sue rivelazioni, secondo cui alla “Three Eyes” apparterrebbero personaggi di primissimo piano, da Henry Kissinger a Giorgio Napolitano. Quanto all’Isis, è illuminante il saggio “Dalla massoneria al terrorismo” firmato da Gianfranco Carpeoro nel 2016: un libro che analizza il retroterra simbolico – non islamico, ma interamente massonico e “templarista” – dei sanguinosi attentati condotti in Europa negli ultimi anni. Stragi affidate a manovalanza islamista e finite tutte nello stesso modo, con l’uccisione dei killer da parte della polizia, prima che un interrogatorio potesse consentire agli inquirenti di risalire agli eventuali mandanti. Ora, a confermare che sarebbe stato il braccio oscuro dell’Occidente a passare “dalla massoneria al terrorismo” sono i Tabligh Eddawa, asceti islamici che battono anche le nostre strade, di moschea in moschea. «Gli studiosi – scrive De Lorenzo, sul “Giornale” – li chiamano i “testimoni di Geova dell’Islam”. E forse i Tabligh Eddawa lo sono. O se volete sono i “frati di Maometto” che islamizzano l’Italia».Missionari, itineranti e radicali. «Predicano il vero Islam, vivono imitando lo stile di vita del Profeta e su questa strada cercano di riportare tutti i musulmani dalla fede affievolita». Il movimento nacque cent’anni fa in Pakistan dall’idea di Muhammad Ilyas Kandhalawi. «Da allora si sono diffusi in tutto il mondo, Italia compresa». Ogni membro, spiega De Lorenzo, deve seguire sei principi fondamentali: la preghiera, il ricordo continuo di Dio, lo studio, la generosità, la predicazione e la missione. «Ognuno deve sforzarsi in un percorso di auto-riforma verso il “vero”, unico Islam». “Eddawa” significa “parlare di Dio”, “Tabligh” invece “andare a portare il messaggio”: per questo, il loro obiettivo ultimo è la predicazione. Nel mondo, ricorda il “Giornale”, ci sono tra i 70 e gli 80 milioni di musulmani itineranti. Ma di loro si sa poco: non ci sono elenchi ufficiali dei membri e non esistono bilanci scritti. Non esiste una sede centrale italiana, ma solo cellule – in ogni moschea – che scelgono i responsabili «in base alla saggezza e al percorso di crescita personale». Durante le missioni i partecipanti si auto-tassano per sostenere le attività e gli spostamenti. «Il più delle volte dormono a terra, nelle moschee delle città dove si recano a predicare».Di loro, l’antiterrorismo italiano sa molto: anche se rifiutano categoricamente la violenza, sono strettamente monitorati dall’apparato di sicurezza che finora ha impedito che in Italia si verificassero gravi fatti di sangue, come invece è accaduto nel resto d’Europa. Nel suo pregevolissimo reportage, Giuseppe De Lorenzo restituisce perfettamente il clima dei colloqui intrapresi durante i tre giorni trascorsi insieme ai Tabligh Eddawa. «Uccidere è il più grande dei peccati», spiega Maufakir: un fedele può impugnare le armi solo per «combattere chi ci impedisce di professare la nostra fede». E poiché in Italia non è vietato praticare il Ramadan, non è lecito sposare la causa terrorista. L’atteggiamento del gruppo islamico radicale è duplice, osserva De Lorenzo: da una parte condannano senza mezzi termini gli attentati, dall’altra non nascondono una vena di complottismo sull’origine del jihadismo. «Un comportamento – annota il reporter – che tende a spostare le responsabilità dal mondo islamico a quello occidentale. Negano, infatti, che le bombe siano diretta espressione di una ideologia che trova nel Corano il suo testo di riferimento». Lo confermano le parole di alcuni di loro, come Jaouad: «Gli attacchi non sono opera dei musulmani. È tutto costruito: c’è qualcuno dietro».Di fronte ai microfoni, scrive De Lorenzo, nessuno si sbilancia sugli autori di questo presunto complotto. E l’attenzione si sposta sui media, accusati dai Tabligh di falsificare i video degli attentati. Un altro esponente della comunità, Hamid, ripete che le eventuali colpe dei singoli non possono ricadere sulle spalle di tutta la religione. L’Isis? Secondo i Tabligh Eddawa non è opera di Allah, ma del demonio. Abu-Bakr Al-Bahdadi? Per Magadi è un supermassone, esponente – come già Bin Laden – della “Hathor Pentalpha”. «Un criminale da sconfiggere», lo giudicano i “frati di Maometto”. Osserva De Lorenzo: «Daesh non è visto come metastasi di un tumore nato all’interno dell’Islam, ma come qualcosa di eterodiretto». Letteralmente: una pedina politica delle potenze straniere. «Per me – sentenzia Jaouad – l’Isis è una organizzazione criminale organizzata da qualche furbetto che cerca di sporcare la faccia dei musulmani». Furbetto manovrato da chi? «Dovreste indagare», risponde con sicurezza Jaouad: «Daesh è una cellula americana». Tombola: così si spiegano meglio anche le foto che, qualche anno fa in Siria, ritraevano Al-Baghdadi con l’inviato di Obama, John McCain.E’ comunque la prima volta – grazie al quotidiano milanese diretto da Alessandro Sallusti – che i media italiani registrano la denuncia del complotto, per bocca di esponenti musulmani radicali: si scrive Isis, ma si legge massoneria Usa. O meglio: spezzoni occulti della massoneria di potere di stampo reazionario, quella che alimenta il Deep State e la strategia della tensione internazionale, con il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, regolarmente proposto al pubblico occidentale sotto mentite spoglie, a colpi di “fake news”. Al “Giornale” ha collaborato a lungo Marcello Foa, la cui elezione alla presidenza della Rai – sostiene Gianfranco Carproro – è stata a lungo ostacolata dal supermassone francese Jacques Attali, “padrino” di Macron. Ad Attali, addirittura Napolitano avrebbe consigliato di premere su Berlusconi, attraverso Tajani, per far mancare a Foa i numeri necessari. Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, lo stesso Foa spiega come la verità venga sistematicamente deformata. Non è un caso, probabilmente, che sia proprio il “Giornale” a firmare lo scoop che accusa di terrorismo la massoneria atlantica, attraverso la voce dei “missionari del Profeta”.Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Piano Usa: guerra, per rovesciare Maduro (e frenare la Cina)
A Donald Trump non pare vero di poter contribuire al crollo del governo di Caracas, ultimo baluardo in Sudamerica contro lo strapotere statunitense dopo la caduta dell’Argentina e del Brasile, tornate saldamente sotto il dominio imperiale neoliberista. Scontata la debolezza dell’entourage di Maduro, votato nel 2018 da appena 6 milioni di elettori (i venezuelani sono 30 milioni). Alcuni analisti sottolineano il carattere endogeno del declino “bolivariano”, non imputabile alle recenti sanzioni: Hugo Chavez non seppe sfruttare il fiume di petrodollari, incamerato in tanti anni, per differenziare l’economia nazionale. Il Venezuela, tenuto in piedi dalla sola rendita petrolifera, ha perso la sua capacità di produrre beni essenziali: per questo, oggi, è facile stritolarlo nella morsa a cui lavorano attivamente gli Usa, che con Chavez – quasi certamente assassinato, avvelenato con agenti radioattivi – si sono liberati dell’ultimo grande produttore di petrolio nazionalizzato. Gli altri oustider furono Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi, che collaborarono con Chavez, in sede Opec, per tenere alto il prezzo del barile. Oggi il Venezuela è nel baratro, soprattutto per colpa del regime militare di Maduro. E quindi è una preda più facile per i poteri che da vent’anni cospirano per la caduta del governo socialista. Caduta forse imminente, drammatica e sanguinosa, alla quale gli Usa stanno lavorando attivamente, con ogni mezzo. Anche per tagliare la strada alla Cina, che in un altro paese “ribelle” della regione – il Nicaragua sandinista – sta costruendo un grande canale transoceanico, capace di far concorrenza a quello di Panama.A fornire gli elementi di questa analisi geopolitica è il giovane Giacomo Gabellini, redattore di “Scenari Internazionali” e collaboratore di “Eurasia”, rivista di studi geopolitici. Gabellini è autore di diversi volumi, in cui si analizzano questioni storiche ed economiche, il più recente dei quali è “Eurocrack”, sul disastro politico-economico e strategico dell’Europa, uscito nel 2015 per Anteo Edizioni. Sul sito di Arianna Editrice, ora Gabellini inquadra le grandi manovre del fronte statunitense per accelerare il collasso del regime di Maduro. «La decisione di Trump – e dei suoi alleati nel continente latino-americano (Brasile, Argentina, Paraguay, Colombia), a cui si è aggiunto l’immancabile presidente canadese Justin Trudeau – di riconoscere come legittimo leader di Caracas il capo dell’Assemblea Nazionale Juan Gaidò – premette Gabellini – rischia di far scivolare la situazione venezuelana sul piano inclinato della guerra civile, rendendola sempre più affine a quella delineatasi in Siria nel 2011». Un’analogia che emerge anche dal pesante coinvolgimento degli Stati Uniti nell’escalation, fino al recente embargo finanziario, al congelamento dei beni venezuelani in territorio Usa e al declassamento del debito di Caracas.Nel momento in cui il governo venezuelano ha cercato di difendersi svincolando la propria economia dal dollaro attraverso la creazione del “petro”, criptovaluta ancorata alle ricchezze minerarie ed energetiche, l’amministrazione Trump ha reagito vietando qualsiasi transazione nella nuova moneta all’interno degli Stati Uniti ed estendendo le sanzioni al settore dell’oro, minerale di cui il Venezuela è particolarmente ricco. «Una mossa, quest’ultima, che ha impedito al Venezuela di ricevere certificazioni straniere sulla qualità del proprio metallo prezioso, con conseguente interruzione o forte limitazione dei rapporti commerciali con le imprese operanti nel settore aurifero venezuelano». Simultaneamente, aggiunge Gabellini, Trump ha imposto pesanti sanzioni contro otto magistrati del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), con lo scopo di colpire quegli apparati istituzionali venezuelani ritenuti colpevoli di aver bloccato la proposta di intervento militare contro l’esecutivo, avanzata dal Parlamento controllato dall’opposizione. «In precedenza, una delegazione senatoriale Usa aveva sondato il terreno con il presidente colombiano Manuel Santos, maggiore alleato degli Usa in America Latina, per lanciare un’operazione militare congiunta atta a «permettere alla Colombia di difendersi dalle provocazioni venezuelane».Proprio in Colombia, ricorda Gabellini, staziona il più corposo contingente militare di cui gli Stati Uniti dispongano in tutto il continente. E accanto ai soldati americani operano le formazioni paramilitari di estrema destra vicine all’ex presidente Alvaro Uribe, «resesi responsabili di innumerevoli scorribande in territorio venezuelano». In quest’ambito rientrano anche operazioni sotto falsa bandiera: «In passato, alcuni miliziani colombiani erano stati arrestati dalle forze dell’ordine di Caracas con indosso divise della polizia venezuelana». Circostanze, osserva Gabellini, che rendono il ruolo svolto dalla Colombia nella crisi venezuelana «molto simile a quello esercitato dalla Turchia rispetto al conflitto siriano». Il presidente colombiano Manuel Santos ha infatti fornito «supporto attivo alle frange paramilitari annidate nella giungla colombiana in funzione anti-bolivariana». Sono le stesse milizie che, scrive l’analista, nella scorsa primavera presero d’assalto una stazione della polizia venezuelana al confine con la Colombia, «al fine di assumere il controllo di alcune aree strategicamente fondamentali per condurre operazioni di sabotaggio verso le regioni più interne».Ma le analogie con la crisi siriana non finiscono qui: già nel 2002, le forze venezuelane di opposizione tentarono un colpo di Stato contro Hugo Chavez, nel corso del quale «cecchini mai identificati aprirono il fuoco tanto sui civili quanto sulle forze di polizia, con lo scopo di invelenire il clima e destabilizzare l’ordine pubblico». Stesso schema in Romania nel 1989, in Russia nel 1993, in Thailandia e Kirghizistan nel 2010. Poi in Tunisia, Egitto, Libia e Siria nel 2011, e in Ucraina nel 2014. «Tutte manovre finalizzate al cambio di regime, dietro le quali si è intravista in controluce la longa manus degli Stati Uniti». In molte di esse, il clima preparatorio era stato predisposto tramite l’infiltrazione di Ong «riconducibili a George Soros o direttamente al Dipartimento di Stato», le quali «allacciarono contatti con partiti di opposizione e gruppi organizzati». Sotto questo aspetto, aggiunge Gabellini, il caso del Venezuela appare paradigmatico, se anche una fonte insospettabile come “The Independent” è arrivata a riconoscere che «oltre ad appoggiare le forze che arrestarono Chavez nel 2002, gli Usa hanno inviato centinaia di migliaia di dollari ai suoi avversari attraverso la National Endowment for Democracy».Le manovre di Washington però non si limitano a questo, rivela Gabellini: lo conferma un documento di 11 pagine firmato già nel 2018 dall’ammiraglio Kurt Tidd, comandante del SouthCom (Southern Command), in cui si dichiara apertamente che gli Usa «hanno già predisposto un piano operativo finalizzato al rovesciamento del presidente Nicolas Maduro». Un’analisi spietata: la tenuta della “dittatura chavista” è ormai minata da problemi interni, a partire dalla scarsità di cibo e dalla caduta dei proventi petroliferi, oltre che dalla corruzione dilagante. Ma il problema, per l’ammiraglio Tidd è che le forze d’opposizione «che combattono per la democrazia e il ripristino di livelli di vita accettabili per la popolazione» cioè gli uomini di Juan Guaidò, «non sono in grado di porre fine all’incubo in cui il paese è sprofondato». Motivo? Gli oppositori di Mauduro, secondo l’ammiraglio, scontano tra le loro fila il peso di «una corruzione comparabile a quella dei loro nemici». Corruzione che «impedisce loro di prendere le decisioni necessarie a ribaltare la situazione».Ecco perché, se questo è lo scenario, non resta che «l’entrata in scena negli Sati Uniti», sottolinea Gabellini, «per “recuperare” il Venezuela e reinserirlo nel novero dei paesi latino-americani alleati di Washington». Un club in cui hanno appena fatto ritorno nazioni di grande rilevanza, dall’Argentina del neoliberista Mauricio Macrì al Brasile del parafascista Jair Bolsonaro. Per far cadere anche il Venezuela, prosegue Gabellini, secondo il documento di Tidd, occorre «indebolire le strutture politiche su cui si basa il movimento “bolivariano” collegandole al narcotraffico», nientemeno. Poi bisognerebbe “lavorare ai fianchi” il regime di Maduro per favorire la diserzione dei tecnici più qualificati, alienandogli così il favore della borghesia di lingua spagnola, la stessa su cui fecero perno gli Usa durante il tentato golpe contro Chavez del 2002. Per Tidd, si tratta di agire «fomentando discordia e insoddisfazione popolare, minando l’ordine pubblico, lavorando per aggravare la penuria di cibo, esacerbando le divisioni interne alla struttura di potere chavista», nonché ovviamente «screditando il presidente Maduro, presentandolo come un leader incapace, degradato al grado di fantoccio di Cuba». Attenzione: è necessario anche «provocare vittime, stando attenti a far ricadere la responsabilità sul governo», e inoltre «ingigantire agli occhi del mondo le proporzioni della crisi in atto».L’ammiraglio Tidd raccomanda di far ulteriormente esplodere l’inflazione attraverso nuove sanzioni, così da incoraggiare una fuga di capitali dal paese, scoraggiare eventuali investitori stranieri e far colare a picco la quotazione della moneta nazionale. Occorre inoltre avvalersi di «tutte le competenze acquisite dagli Usa in materia di guerra psicologica», per orchestrare una campagna di disinformazione mirata a screditare le iniziative finalizzate all’integrazione continentale – quali l’Alba e il Petrocaribe – promosse da Caracas nel corso degli ultimi anni. «Tutto il necessario, insomma – scrive Gabellini – per scatenare lo sdegno della popolazione e indirizzarlo contro le autorità, secondo uno schema già palesatosi con le “rivoluzioni colorate” in Georgia, Ucraina e anche nello stesso Venezuela». Come già nel 2002, si suggerisce di mettere in crisi il rapporto di fedeltà che lega le forze armate al governo. Come agire? Utilizzando «gli alleati interni», incoraggiandoli a «organizzare manifestazioni e fomentare disordini e insicurezza, mediante saccheggi, furti, attentati e sequestro di mezzi di trasporto, in modo da mettere a repentaglio la sicurezza dei paesi limitrofi».Dal punto di vista statunitense, continua Gabellini, esacerbare le tensioni tra il Venezuela e i suoi vicini rappresentava un fattore determinante a garantire il conseguimento del “regime change”, nel caso in cui la rivolta interna fomentata dall’estero non si rivelasse sufficiente a scalzare Maduro dal potere. Nel documento si sottolinea infatti l’importanza di approfittare del crescente attivismo dell’Esercito di Liberazione Nazionale colombiano, che sta rapidamente colmando la voragine apertasi con la cessazione delle attività da parte delle Farc. Altra pedina menzionata cinicamente da Tidd: i narcos del Cartello del Golfo, utili per alimentare la tensione lungo il confine con la Colombia, «così da provocare incidenti con le forze di sicurezza schierate lungo il confine venezuelano». Occorrerebbe inoltre favorire «la moltiplicazione delle incursioni armate da parte di gruppi paramilitari», i cui ranghi dovrebbero essere rinfoltiti attraverso «reclutamenti presso i campi che ospitano i rifugiati della Cúcuta, della Huajira e nel nord della provincia di Santander», vaste aree abitate da cittadini colombiani che emigrarono in Venezuela e ora intendono rientrare nel loro paese.Il tutto, con l’obiettivo finale di «gettare le basi per il coinvolgimento delle forze alleate in appoggio agli ufficiali venezuelani» eventualmente disertori. Fondamentale, a questo riguardo, risulta ingraziarsi «il supporto e la cooperazione delle autorità dei paesi amici (Brasile, Argentina, Colombia, Panama e Guyana)», ma anche organizzare l’approvvigionamento delle truppe e l’appoggio logistico, di concerto con Panama. E quindi: dislocare «aerei da combattimento, elicotteri e blindati», oltre a installare «centri d’intelligence destinati ad ospitare anche unità militari specializzate nell’ambito della logistica». Per dare una parvenza di legalità all’intervento, si suggerisce di ottenere l’avallo dell’Organizzazione degli Stati Americani e di adoperarsi affinché si stabilisca una «unità di intenti da parte di Brasile, Argentina, Colombia e Panama», paesi «la cui posizione geografica e la cui collaudata capacità ad operare in scenari non convenzionali come la giungla assumono un’importanza capitale». La dimensione internazionale dell’operazione «verrà rafforzata dalla presenza di forze speciali Usa, che andranno ad affiancarsi alle unità da combattimento degli Stati summenzionati». È bene, a questo proposito, «far sì che le operazioni scattino prima che il dittatore abbia il tempo di consolidare il proprio consenso e il controllo sullo scacchiere interno».Tutto ciò, osserva Gabellini, si inscrive alla perfezione nel disegno strategico dell’amministrazione Trump, «che ambisce in tutta evidenza a riportare saldamente l’America Latina nella sfera egemonica statunitense attraverso l’appoggio a tutta una serie di clientes locali». Tra questi Lenin Moreno (Ecuador), Enrique Peña Neto (Messico) e Luis Almagro (Uruguay), oltre ai già citati Macrì e Bolsonaro. Attori continentali «con i quali concordare il ripristino di una sorta di nuova Operazione Condor rivisitata e corretta». Affidando le redini del potere nei vari Stati dell’America Latina a questi nuovi e ben più concilianti interlocutori, aggiunge Gabellini, Washington «prevede di realizzare un’integrazione economica su scala continentale, concepita appositamente per contrastare la penetrazione cinese». Ecco il punto: negli ultimi anni, osserva l’analista, la Cina ha infatti investito qualcosa come 50 miliardi di dollari per la costruzione di un canale interoceanico in Nicaragua. Sarebbe in grado di rivaleggiare con quello di Panama, controllato dagli Stati Uniti. Pechino ha inoltre messo in cantiere una ferrovia per collegare Pacifico e Atlantico attraverso Brasile e Perù.Un anno fa, il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha presenziato al vertice annuale della Communiy of Latin American and Caribbean States tenutosi a Santiago del Cile, per estendere ai 33 Stati membri l’invito a partecipare al progetto della Belt and Road Initiative, con lo scopo di «costruire collegamenti attraverso il continente, farli convergere verso le coste affacciate sul Pacifico e agganciarli ai porti locali da cui si diramano le linee di rifornimento marittimo verso la costa cinese». Una sorta di “Via della Seta Pacifica”. Nessuna competizione geopolitica, aveva sostenuto Wang Yi: «Il progetto è conforme al principio di raggiungere una crescita condivisa attraverso la discussione e la collaborazione». Ma gli Stati Uniti non sono dello stesso avviso. Dal canto suo, l’ammiraglio Tidd ha ricordato a una commissione del Senato che la Cina ha già investito 500 miliardi di dollari in progetti per lo sviluppo dell’America Latina, e ha in programma di mettere sul piatto altri 250 miliardi entro il 2030. Tidd ha inoltre aggiunto che «la più grande sfida strategica posta dalla Cina in questa regione non è ancora una sfida militare: è una sfida di tipo economico, che potrebbe richiedere un nuovo approccio da parte nostra, che ci permetta di affrontare efficacemente gli sforzi coordinati della Cina nelle Americhe».La raccomandazione di Tidd, accolta con entusiasmo da Trump, secondo Gabellini era quindi quella di rispolverare e riadattare alle esigenze del momento la cara, vecchia Dottrina Monroe, che all’epoca in cui fu enunciata (1823) contemplava la chiusura totale del cosiddetto “emisfero occidentale” a qualsiasi ingerenza europea. «Oggi, a differenza di allora, si tratta di sbarrare alla Cina la porte dell’America Latina, attraverso il collegamento di quest’ultima alla comunità economica nordamericana costituita pochi mesi fa con la radicale ristrutturazione del Nafta». In questo senso, conclude l’analista, «lo scatenamento del caos in Venezuela si configura come una tappa cruciale in vista della “risistemazione” definitiva dell’America Latina». In altre parole: il governo Maduro sembra avere le ore contate. Si trova nei guai anche per gravi errori nella sua gestione della politica economica. Ma il giorno che cadesse, non sarà per un moto spontaneo del popolo venezuelano ridotto all’esasperazione: i piani sono pronti – e non da oggi – per tornare a far sventolare la bandiera americana sul paese dove crebbe, a furor di popolo, il sogno indipendentista di Hugo Chavez.A Donald Trump non pare vero di poter contribuire al crollo del governo di Caracas, ultimo baluardo in Sudamerica contro lo strapotere statunitense dopo la caduta dell’Argentina e del Brasile, tornate saldamente sotto il dominio imperiale neoliberista. Scontata la debolezza dell’entourage di Maduro, votato nel 2018 da appena 6 milioni di elettori (i venezuelani sono 30 milioni). Alcuni analisti sottolineano il carattere endogeno del declino “bolivariano”, non imputabile alle recenti sanzioni: Hugo Chavez non seppe sfruttare il fiume di petrodollari, incamerato in tanti anni, per differenziare l’economia nazionale. Il Venezuela, tenuto in piedi dalla sola rendita petrolifera, ha perso la sua capacità di produrre beni essenziali: per questo, oggi, è facile stritolarlo nella morsa a cui lavorano attivamente gli Usa, che con Chavez – quasi certamente assassinato, avvelenato con agenti radioattivi – si sono liberati dell’ultimo grande produttore di petrolio nazionalizzato. Gli altri oustider furono Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi, che collaborarono con Chavez, in sede Opec, per tenere alto il prezzo del barile. Oggi il Venezuela è nel baratro, soprattutto per colpa del regime militare di Maduro. E quindi è una preda più facile per i poteri che da vent’anni cospirano per la caduta del governo socialista. Caduta forse imminente, drammatica e sanguinosa, alla quale gli Usa stanno lavorando attivamente, con ogni mezzo. Anche per tagliare la strada alla Cina, che in un altro paese “ribelle” della regione – il Nicaragua sandinista – sta costruendo un grande canale transoceanico, capace di far concorrenza a quello di Panama.
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Carotenuto: amici o nemici, i politici li fabbrica tutti il potere
E se fosse soltanto l’ennesima, colossale presa in giro? Tutto finto: Grillo e i 5 Stelle, il sovranista Salvini, persino i Gilet Gialli che stanno scuotendo la Francia di Macron. Ragionamento ipotetico: dato che il potere è ben consapevole del malcontento montante, ormai in vastissimi strati della società, non è forse logico concludere che sia interessato a cavalcarlo, il dissenso, magari scegliendo accuratamente “ribelli” rumorosi ma in fondo innocui? Pensateci: e se fosse stato davvero il potere supremo, massonico e religioso, a mettere in campo l’attuale populismo, prima che la protesta potesse sfociare in una vera rottura del sistema? L’autore di questa suggestione è Fausto Carotenuto, a lungo analista strategico dell’intelligence Nato. Per molti anni, si è occupato proprio di questo: consigliare i governi su come gestire le crisi e fabbricare il consenso. La sa lunga, Carotenuto, in fatto di manipolazione: “fake news”, terrorismo “false flag”, tecniche collaudate di condizionamento. Sa come si pilotano i sentimenti delle masse, grazie al vecchio trucco che funziona sempre: l’Uomo Nero. Il nemico è perfetto, per indurre il popolo a sbagliare mira: ci si divide, ci si odia. E si spara contro bersagli di cartone. Finita la bagarre, tutto torna come prima. Il Gattopardo: cambiare tutto, per non cambiare niente. E il sistema, il potere vero, resta al riparo della sua torre.Elucubrazione virtuale, teorica. Nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato anni fa da UnoEditori, Carotenuto ripropone il medesimo schematismo a livello generale, geopolitico, introducendo la categoria della metafisica: tutto quello che appare assurdo e incomprensibile (un “mistero”, appunto), avrebbe in realtà una precisa spiegazione sul terreno – sfuggente – della spiritualità. Carotenuto ridisegna il mondo secondo lo schema binario delle piramidi di potere, nere e bianche. E sostiene che le cosiddette “forze oscure”, in realtà, lavorano anch’esse – ruvidamente – per un risultato che poi non è negativo: proprio la manifestazione del male, reso visibile attraverso le atrocità della storia e dell’attualità, finisce in un ultima analisi per risvegliare l’umanità dal letargo. Non è pessimista, Carotenuto: è convinto che almeno il 30% della popolazione mondiale si stia finalmente accorgendo del grande inganno cui sarebbe sottoposta, dai “poteri oscuri”. Tradurre questa visione nella cronaca politica di oggi comporta un bel salto. Ma Carotenuto, animatore del network “Coscienze in Rete”, lo affronta senza imbarazzi ai microfoni di “Border Nights”: niente di nuovo sotto il sole, dice. Anche l’Italia gialloverde fa parte di un gioco antichissimo, destinato purtroppo a funzionare. Scontato l’esito: il cambiamento sarà solo un’illusione.A innescare questa conclusione è il desolante spettacolo del governo italiano, che (come volevasi dimostrare) non riesce a mantenere nessuna delle sue grandi promesse elettorali. Lega e 5 Stelle hanno già sgonfiato la roboante “rivoluzione” che avevano evocato: obbediscono a Big Pharma sui vaccini, cedono all’Ue su tutta la linea, lasciano impallidire il reddito di cittadinanza. Ancora: la Lega si dimentica di abolire la legge Fornero sulle pensioni, e in più si allinea all’antica cordata affaristica dell’inutile Tav Torino-Lione. Ve ne stupite? Non dovreste, dice Carotenuto: tutto va esattamente nel modo previsto fin dall’inizio. Previsto da chi? Elementare: dal potere, lo stesso che ha messo in piedi questo sovranismo populista tutto chiacchiere e distintivo, fatto di fumo senza arrosto. Il che, peraltro – ammette Carotenuto – non esclude affatto che gli attuali governanti siano meno peggiori dei precedenti: qua e là lo si vede, il loro sforzo sincero per migliorare la situazione. Ma sono soltanto briciole: quelle che il potere stesso è disposto a concedere, per rendere credibile l’operazione agli occhi degli italiani. L’importante è che gli elettori non scarichino Salvini e Di Maio – non ancora, per lo meno, perché in questo momento “servono” a tener buono un paese come il nostro, il cui vero risveglio politico sarebbe comunque temuto.Da un lato, gli impeccabili attori Merkel e Macron – burattini perfetti, in questo teatro – mettono in scena l’odioso copione centralista del Sacro Romano Impero. Dall’altro, in modo opposto ma simmetrico, speculare – l’opposizione è incarnata a livello di piazza dai Gilet Gialli, e a livello istituzionale dai nuovi politici italiani: il piccolo sceriffo Salvini e un movimento d’opinione nato dal nulla, sul web, per iniziativa dell’ex comico Beppe Grillo. Ve lo ricordate, il vecchio Beppe, prima che venisse cacciato dalla Rai per quella battutaccia sui socialisti ladri? Era un artista onesto, affabile, di medio profilo. Poi, risentitosi per l’ingiustizia subita, si è trasformato di colpo. All’improvviso, è diventato un pensatore politico acuminato e stranamente informatissimo, un vero fuoriclasse della controinformazione. Passo seguente: la creazione del partito (pardon, movimento). Infine: l’ascesa fulminea dei pentastellati, ora al governo. Ha fatto tutto da solo, il vecchio Beppe? Suvvia. Basta vedere il sequel: il suo pupillo Di Maio è in ritirata su tutta la linea, ogni fronte veramente pericoloso per il potere è stato smantellato. E l’ideologo ormai si limita a fare il filosofo, dal suo buen retiro genovese, in apparenza lontano da tutto. In quanti ci sono cascati? In tantissimi: un elettore su tre, stando alle ultime consultazioni.Molto rumore per nulla? Praticamente, sì. O quasi: perché, comunque – secondo Carotenuto – il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ovvero: anche la più amara disillusione può dare frutti, insegnando ai cittadini a diffidare di chi promette regali favolosi. Meglio delegare il meno possibile, non scommettere sulle dinamiche verticali su cui si fonda la rappresentanza, nel gioco democratico. E imparare a investire in modo orizzontale nella partecipazione diretta e concreta, che poi è quella che qualsiasi potente teme di più. Chiusa la parentesi politica, Carotenuto torna spiritualista: se ci supportassimo a vicenda in modo solidale, dice, la piramide perderebbe. Se il sistema è basato sullo sfruttamento delle persone, ha bisogno che gli individui siano soli, divisi e spaventati, pieni di rancore. Volemose bene? Non è una battuta, insiste Carotenuto: è un metodo. L’attuale potere, configurato in forma di dominio (“per stare meglio, ho bisogno che gli altri stiano peggio”) sa benissimo come funziona, lo schema: se l’Uomo Nero sparisce, è finita. Se smettessimo di odiare il nemico di turno, non potremmo più essere manipolati così facilmente. Non ce ne rendiamo conto? Vero. I “poteri oscuri”, invece, lo sanno fin troppo bene. Per questo ci fabbricano incessantemente sia i “nemici”, come Merkel e Macron, che gli “amici” come Grillo e Salvini.Troppo manicheo, l’ineffabile Carotenuto? Troppo semplicistico, nel suo riduzionismo estremo? L’alternativa che propone – costruire reti territoriali di persone leali tra loro – non prevede esiti immediati, a livello di macrocosmo. Però, sostiene, sortisce effetti vistosi e molto solidi, nel raggio d’azione alla portata dei singoli. Prendiamo la bistrattata valle di Susa: proprio grazie alla grande paura del Tav ha sviluppato un modello sociale diverso, più attento all’umanità quotidiana. Le persone hanno riscoperto valori essenziali, che erano stati trascurati. In questo senso, l’ipotetica “piramide nera” lavora per noi, a sua insaputa: si impegna a fare disastri, ma poi finisce per farci del bene, suo malgrado. Le tesi di Carotenuto’ Pensieri lunghi, da prendere per quello che sono: un invito a riflettere, a non agire sotto l’impulso di pressioni emotive sapientemente costruite secondo modalità invariabili, sempre uguali. Il risultato potrebbe essere la raffinazione della capacità di analisi. Un nuovo modo di guardare alle cose, cercando di capire – prima e meglio – di che pasta è fatto chi abbiamo di fronte, sul palcoscenico non esattamente entusiasmante della politica italiana. Se non altro, fornisce una possibile risposta alla domanda che resta sempre in sospeso: com’è possibile che tutti i politici, una volta al governo (in Italia e altrove) finiscano sempre per deludere, tradendo la fiducia ottenuta dagli elettori?E se fosse soltanto l’ennesima, colossale presa in giro? Tutto finto: Grillo e i 5 Stelle, il sovranista Salvini, persino i Gilet Gialli che stanno scuotendo la Francia di Macron. Ragionamento ipotetico: dato che il potere è ben consapevole del malcontento montante, ormai in vastissimi strati della società, non è forse logico concludere che sia interessato a cavalcarlo, il dissenso, magari scegliendo accuratamente “ribelli” rumorosi ma in fondo innocui? Pensateci: e se fosse stato davvero il potere supremo, massonico e religioso, a mettere in campo l’attuale populismo, prima che la protesta potesse sfociare in una vera rottura del sistema? L’autore di questa suggestione è Fausto Carotenuto, a lungo analista strategico dell’intelligence Nato. Per molti anni, si è occupato proprio di questo: consigliare i governi su come gestire le crisi e fabbricare il consenso. La sa lunga, Carotenuto, in fatto di manipolazione: “fake news”, terrorismo “false flag”, tecniche collaudate di condizionamento. Sa come si pilotano i sentimenti delle masse, grazie al vecchio trucco che funziona sempre: l’Uomo Nero. Il nemico è perfetto, per indurre il popolo a sbagliare mira: ci si divide, ci si odia. E si spara contro bersagli di cartone. Finita la bagarre, tutto torna come prima. Il Gattopardo: cambiare tutto, per non cambiare niente. E il sistema, il potere vero, resta al riparo della sua torre.
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Poteri oscuri, anche Salvini obbedisce al Tav Torino-Lione
Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?L’unico mini-tunnel realizzato, quello di Chiomonte, è solo una galleria esplorativa accessoria, geognostica: non potrebbe mai passarci nessun treno, anche se Matteo Salvini arriva a sostenere – davanti alle telecamere, proprio a Chiomonte – che costerebbe meno “finire il lavoro” piuttosto che “tappare il buco”. Dichiarazione ingannevole: Salvini sa benissimo che il “lavoro” per il tunnel destinato al treno non è mai neppure cominciato. Pur di premere sui 5 Stelle, il leader leghista – come già Renzi – arriva a ipotizzare un progetto “low cost”, parlando di appena 4 miliardi (cioè il costo della parte italiana dell’ipotetico futuro traforo, non quello della linea ferroviaria fino a Torino). Di più: il ministro dell’interno aggiunge che, “risparmiando” (ad esempio, rinunciando alla surreale “stazione internazionale” di Susa), si potrebbero costruire finalmente anche opere utili, come la metropolitana di Torino. Su questo ha ragione: il capoluogo piemontese, a lungo amministrato dalla dinastia Castellani-Chiamparino-Fassino, dispone solo di un’unica, patetica linea.Torino, la metropoli più inquinata della penisola, è anche la grande città italiana peggio servita dai mezzi pubblici veloci: è l’unica a non disporre di una vera rete metropolitana. In compenso, i suoi ex sindaci sono tra i più fanatici sostenitori dell’inutile Tav Torino-Lione. Chiamparino, in particolare, è il capo degli hooligan pro-Tav. Un caso esemplare di mistero italico: dopo aver fatto il sindaco è passato senza colpo ferire alla guida di una potentissima centrale finanziaria come la Compagnia di San Paolo, per poi tornare tranquillamente alla politica. L’uomo di fiducia dei grandi banchieri è oggi presidente della Regione Piemonte, poltronissima da cui martella il governo gialloverde per ottenere a tutti i costi la grande opera “maledetta”. Ci sta riuscendo? Stando a Salvini, parrebbe di sì. Sulla maxi-torta dell’appalto alpino, il capo della Lega è perfettamente allineato al fantasma del Pd.A questo punto, la ragione vacilla. Per chi ha seguito i vent’anni di protesta popolare in opposizione alla Torino-Lione, i conti non tornano. Il movimento NoTav – ormai appoggiato da vasti strati dell’opinione pubblica nazionale – è stato il primo vero esempio, in Italia e non solo, di denuncia politica “glocal”. Dal particulare all’universale, dicevano gli umanisti rinascimentali. Agire localmente e pensare globalmente, ripetevano negli anni ‘80 i primi Verdi ispirati da Alex Langer. I valsusini – popolo sulle barricate, che nel 2005 riuscì a fermare il progetto con una spettacolare protesta nonviolenta guidata dai sindaci in fascia tricolore – per molti aspetti hanno come anticipato gli americani di Occupy Wall Street, adottando un metodo di lotta, dal sit-in fino al blocco stradale, che oggi i Gilet Gialli si limitano a replicare. L’intuizione: se il potere “bara” a casa nostra, sulla base di dati falsificati, è lecito sospettare che “imbrogli” ovunque. E’ lecito supporre che si limiti a eseguire gli ordini di un’oligarchia del denaro mossa da interessi inconfessabili.Sta barando da vent’anni, il potere che insiste – come un disco rotto – nel voler imporre quella super-linea inutile in valle di Susa, facendola pagare carissima all’Italia? Vedete voi, ma sappiate che la Torino-Lione non serve: lo dicono tutti i maggiori esperti di trasporti, tra cui il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, ora collocato dal ministro Toninelli nella scomodissima posizione di presidente della commissione incaricata di formulare un giudizio decisivo sul rapporto costi-benefici della grande opera. La Torino-Lione non serve: lo ribadirono ben 360 professori e tecnici dell’università italiana, in accorati e inutili appelli rivolti al Quirinale e a Palazzo Chigi. Costi immensi, e nessun risultato: perché le merci devono comunque viaggiare a bassa velocità, per motivi di sicurezza. Quanto alla Francia, spesso usata in Italia come alibi “europeo” per costruire a tutti i costi l’infrastruttura, ha deciso ufficialmente che di Torino-Lione, a Parigi, si riparlerà eventualmente solo dopo il 2030.Il progetto Torino-Lione è un relitto ormai obsoleto degli anni ‘80: era nato come sogno di collegamento veloce per passeggeri, ed è stato archiviato dall’avvento dei voli low-cost. Al che, è stato trasformato in Tac, treno ad alta capacità per le merci, fingendo di non sapere che i convogli commerciali devono viaggiare lentamente, e che la chiave del trasporto merci non è la velocità, ma la puntualità della logistica: il sistema più efficiente al mondo è quello degli Usa, fatto da treni che viaggiano a 60 miglia utilizzando tunnel dell’800 che valicano le Montagne Rocciose. I costi territoriali della Torino-Lione sarebbero folli: le montagne della valle di Susa sono piene di amianto e tuttora traforate dalle gallerie scavate dall’Agip negli anni ‘70, ai tempi del nucleare italiano, perché il Massiccio dell’Ambin è un immenso giacimento di uranio. Senza contare la devastazione ambientale e urbanistica (vent’anni di cantieri), l’incognita maggiore è quella idrogeologica: quei monti fra Italia e Francia, dicono i geologi, ospitano un enorme bacino sommerso. Bucarlo potrebbe comportare conseguenze impensabili, con ripercussioni sui fiumi fino alla Valle d’Aosta.Il compianto Luca Rastello, giornalista di “Repubblica”, in un saggio sul tema spiega che poi, una volta alle porte di Torino, la nuova linea potrebbe congiungersi alla Torino-Milano solo sbancando interi quartieri o procedendo per via sotterranea, e quindi perforando la falda idropotabile che alimenta l’area metropolitana torinese. Non se ne rendono conto, gli abitanti di Torino, perché nessun politico – prima di Chiara Appendino – si è mai premurato di spiegarlo chiaramente. Né si interrogano, i torinesi, sul motivo di tanta ostinazione, da parte dei valsusini, nell’opporsi al progetto. Non sospettano, i torinesi, che la criminalizzazione a reti unificate del movimento NoTav è servita a nascondere due verità imbarazzanti. La prima: in vent’anni, la politica non ha mai voluto o saputo dimostrare l’utilità della grande opera, neppure a fronte di una protesta così rumorosa. La seconda: il progetto Torino-Lione è nato sotto una cattiva stella, la peggiore di tutte: la strategia della tensione.Negli anni ‘90, appena si cominciò a insistere sull’opera come “inevitabile” prospettiva strategica, la valle di Susa fu terrorizzata da 12 attentati dinamitardi. Alcuni furono rivendicati in modo delirante: volantini firmati “Valsusa Libera” e “Lupi Grigi” contenevano farneticazioni “guerriere” contro l’alta velocità. I giornali, all’unisono, puntarono il dito contro gli “ecoterroristi” e gli “anarco-insurrezionalisti”. Poco dopo vennero arrestati tre giovani anarchici, di cui due – Edoardo Massari e Maria Soladed Rosas, “Sole e Baleno” – trovati morti (impiccati) mentre erano in stato di detenzione. Contro di loro, l’accusa aveva vantato “prove granitiche”, che poi al processo evaporarono: non erano stati loro a mettere quelle bombe. Chi, allora? Non s’è mai saputo: caso chiuso. I valsusini però non dimenticano. Sanno che quello di Bardonecchia, santuario del turismo bianco, vicino a Sestriere, è stato il primo Consiglio Comunale italiano – a nord del Po – a essere disciolto per mafia. E sanno che, sempre negli anni ‘90, la procura di Torino intercettò un traffico di armi che collegava l’armeria di Susa a una cosca calabrese, con il placet di settori del Sismi e del Sisde. Erano gli anni della “trattativa”, in cui Falcone e Borsellino saltavano per aria, in Sicilia.Si può immaginare lo stato d’animo dei valsusini, quando – dopo tutto questo – si sono visti arrivare, nel cortile di casa, anche lo spettro della maxi-opera più controversa della storia, al pari del Ponte sullo Stretto. A parlare è il buon senso della geografia: Moncenisio, Fréjus e Monginevro. Ovvero: statali, autostrada, ferrovia, trafori. Nessun’altra valle alpina è altrettanto collegata al resto d’Europa, attraverso valichi internazionali. Perché aggiungere anche l’assurda Torino-Lione? Quale mistero indicibile trasforma la valle di Susa in un oscuro crocevia di mafie e affari, bombe e appalti? E soprattutto: com’è possibile che, in vent’anni, la politica non si sia mai degnata di dare una risposta chiara? E’ evidente che, se l’utilità della Torino-Lione venisse finalmente dimostrata, le bandiere della protesta finirebbero per venir ammainate. Basterebbe spiegare per quale motivo l’opera è ritenuta indispensabile. La valle di Susa lo chiede da vent’anni. E la risposta non è mai arrivata. Perché?Visto che la politica tace, tanto varrebbe chiedere lumi ai romanzieri come Dan Brown o all’autrice di Harry Potter, non essendo più possibile interpellare il Signore degli Anelli. Magia? Se una verità viene palesemente taciuta da decenni, il minimo che possa accadere è che si scatenino anche i complottismi più fantasiosi. Ha suscitato sconcerto, nel 2016, l’inaugurazione teatrale del traforo del Gottardo, con l’inquietante coreografia dedicata a un Dio Caprone. Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence ora passato al network “Coscienze in Rete”, sostiene che la Torino-Lione sarebbe una sorta di “attentato energetico” per violare la Linea di Michele, notissima ley-line che unisce Israele all’Irlanda attraverso i santuari dedicati all’arcangelo Michele, con epicentro proprio la Sacra di San Michele in valle di Susa. Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, nel libro “L’altra Europa” racconta una storia sconvolgente, rivelata a suo padre dall’europeista francese Maurice Schuman: il medesimo potere, di natura dinastica (denominato “La Struttura”) governerebbe il pianeta da 12.000 anni, e la stessa Unione Europea sarebbe opera sua.Non potendo interpellare Tolkien o scomodare la Rowling, non resta che tralasciare le suggestioni e attenersi ai fatti: sarebbe capace, Matteo Salvini, di spiegare il motivo per cui l’Italia, insieme alla Francia, dovrebbe scavare – da zero – un tunnel di 57 chilometri per costruire il doppione della ferrovia Torino-Lione che esiste già? Se la risposta la conosce, perché non la svela? Perché anche lui si limita, come tutti gli altri, a dire stupidaggini, sapendo che i media mainstream le ripeteranno con successo, confidando nell’ignoranza del grande pubblico? C’è davvero un grande potere-ombra che – per motivi ignoti e imperscrutabili – ha lanciato un’Opa misteriosa sulla stramaledetta Torino-Lione? Un grande affare finanziario, d’accordo, ma per pochi intimi (pochissimi i lavoratori coinvolti). E, secondo il giallista Massimo Carlotto, anche una virtuale “lavanderia” di denaro: un magistrato come Ferdinando Imposimato ha dimostrato che vasti tratti della rete Tav italiana sono stati costruiti proprio da aziende mafiose.Poi ci sarebbe il triste indotto politico della filiera, affidato ai soliti yesman che in realtà lavorano da sempre per le consorterie affaristiche che hanno costruito le loro carriere istituzionali. Ma non può essere tutto qui, il problema. Cos’altro può muovere i fili di una follia pubblica così estrema, e così potente da piegare persino i bulletti del “governo del cambiamento”? Lo spettacolo non è edificante: Salvini con l’elmetto a Chiomonte, ormai arruolato alla causa, mentre Di Maio e Toninelli non osano neppure lontanamente minacciare le dimissioni, nel caso dovessero perdere il braccio di ferro (e quindi la faccia). Li si può capire: dal canto suo, il primo ministro Conte cazzeggia beatamente al bar con Angela Merkel, l’amicona di Macron e dell’Italia, ridacchiando alle spalle di quei fessi dei 5 Stelle (e degli italiani che li hanno votati). Nel frattempo, l’inesorabile ecomostro finanziario e ferroviario avanza, passo dopo passo. E l’umorista Salvini pensa di cavarsela con le battute sui mitici “risparmi”: come se davvero si trattasse di tre o quattro miliardi, e non invece di un grottesco attentato alla sovranità democratica del paese, evidentemente organizzato – con tenacia impressionante – da poteri che possono mettersi in tasca qualsiasi politico, anche se indossa la maschera di cartone del sovranismo.(Giorgio Cattaneo, “Quale oscuro potere ha piegato anche l’ex sovranista Salvini alla teologia dell’inutile Tav Torino-Lione?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 febbraio 2019).Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?
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A chi giovano le sconcertanti minacce rivolte a Mentana?
Tutto si può imputare, a Enrico Mentana, tranne che la mancanza di cordialità e di umana empatia. E’ un affabile surfer, il direttore del telegiornale de La7, nel mare tempestoso delle fake news ufficiali: magari dribbla le verità più scomode e sta ben attento a non uscire mai dalla cornice disegnata dagli spin doctor dell’establishment, ma almeno non partecipa alle crocifissioni rituali che il sistema infligge, con acrimonia, a questo e a quello, attraverso propagandisti con la bava alla bocca, travestiti da giornalisti. Di tutto si sentiva la mancanza, oggi in Italia, fuorché di un bel costume da martire, tagliato su misura per l’Enrico nazionale. Alla bisogna ha prontamente provveduto la mano (anonima, ovviamente) che gli ha indirizzato minacce mafiose, evocando l’oscura escatologia della forca che attenderebbe, un giorno, i malfattori della disinformazione. La minaccia è stata accolta così seriamente da mobilitare nientemeno che il primo ministro, dichiaratosi preoccupato per l’incolumità della libera informazione – che evidentemente nel nostro paese esiste ancora, secondo Giuseppe Conte.Par di sentire l’eco di antiche, orrende canzoni. Del tipo: negli anni di piombo, giornalisti come Indro Montanelli finirono all’ospedale “gambizzati” (mentre altri, come Walter Tobagi e Carlo Casalegno, non ebbero altrettanta fortuna). Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, Marcello Foa – ora presidente della Rai – accusa frontalmente la categoria a cui appartiene: l’autocensura quotidiana, praticata in ossequio al potere, mina il giornalismo. Gli toglie prestigio e credibilità, e alla fine indebolisce il sistema democratico stesso, privandolo delle verità indispensabili alla buona salute dell’opinione pubblica. Oggi ci si mette a ridere, al solo ricordo della fialetta agitata da Colin Powell alle Nazioni Unite, per sembrare più convincente nel vendere la bufala delle armi di sterminio di Saddam. Ma il sorriso sparisce subito, se solo si prova a far presente – anche a Mentana – che architetti e ingegneri americani hanno dimostrato, in modo ormai incontrovertibile, che le Torri Gemelle non possono essere crollate in quel modo solo per l’impatto di aerei dirottati.Con Enrico Mentana ha ingaggiato una sorta di leale duello a distanza, a viso aperto, un personaggio come il regista e video-reporter Massimo Mazzucco, autore del primo documentario d’inchiesta sull’11 Settembre, “Inganno globale”, trasmesso proprio da Mentana nel 2006 in prima serata, su Canale 5. Bei tempi, dice Mazzucco, quando l’Enrico faceva ancora il giornalista, e quindi dava spazio anche all’altra campana, la versione non ufficiale dei fatti. Col tempo, non ha solo silenziato le indagini indipendenti sull’11 Settembre. Si è allineato all’establishment su tutto: dalla politica all’economia, sposando in modo acritico la teologia dell’austerity. Vale anche per il cosiddetto complottismo declassato a gossip. Invece di indagare giornalisticamente sulle scie che stranamente imbrattano i cieli da alcuni anni, suscitando interrogativi nella popolazione (e persino interrogazioni in Parlamento), si preferisce ridere di “quelli che credono alle scie chimiche”. Le famiglie italiane sono state terremotate dall’obbligo vaccinale per bambini e neonati? E certo, lo vuole “la scienza”. E la sanità della Regione Puglia, che ha scoperto che il 40% dei bimbi vaccinati ha subito reazioni avverse? E non è “scienza” l’ordine dei biologi, che ha scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci, perché privi degli agenti immunizzanti?Mazzucco si occupa anche di vaccinazioni – come tanti, sul web – cercando di mettere insieme notizie e ragionamenti logici. Consultando i maggiori fotografi internazionali, nel documentario “American Moon” ha dimostrato che le immagini del mitico allunaggio del 1969 furono girate in studio. Si è occupato anche di cannabis, Mazzucco, scoprendo che c’era la lobby del petrolio dietro la storica decisione di criminalizzare di punto in bianco l’uso della canapa, oggi rivalutata in campo oncologico. E sempre a proposito di salute, lo stesso Mazzucco si è occupato anche di cancro, rivelando che – da cent’anni – i medici che avrebbero imparato a guarire i pazienti colpiti da tumori vengono semplicemente ignorati e silenziati, quando non messi all’indice. Milanese come Mentana, Mazzucco è nato come fotografo, assistente di Oliviero Toscani. Poi è passato al cinema, lavorando per anni – da regista e sceneggiatore – negli studios della De Laurentiis, a Hollywood. Fino a quel maledetto lunedì 11 settembre 2001, quando ha visto il seguente spettacolo: due aerei hanno potuto centrare le Torri Gemelle senza che nessun F-16 si fosse levato il volo, quantomeno nell’eternità di tempo trascorsa tra il primo e il secondo impatto.Quella mattina, a proteggere la superpotenza più armata del mondo c’erano solo due velivoli pronti a decollare, muniti di missili, più altri due di riserva. Tutti gli altri – centinaia – erano stati trasferiti per esercitazioni concomitanti, lontanissimo da New York. Una circostanza più che anomala: mai prima verificatasi, nella storia degli Usa (né mai più ripetutasi, infatti). Nel saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2003, Giulietto Chiesa ricorda che l’ordine di attacco per l’Afghanistan era sulla scrivania di George W. Bush già il 9 settembre 2001, lo stesso giorno in cui i terroristi del “signore della guerra” Gulbuddin Hekmatyar uccisero l’unico legittimo leader agfhano, Ahman Shah Massoud. Troppo ingombrante, Massoud: campione della resistenza nazionale, prima contro l’Urss e poi contro i Talebani, sarebbe stato facilmente acclamato come nuovo presidente, una volta riconquistata Kabul. Gli assassini di Massoud – disse Benazir Bhutto – erano protetti dall’Isi, l’intelligence militare del Pakistan, succursale della Cia. «Mi candido alle elezioni», annuciò la Bhutto, «per ristabilire la verità». Saltò in aria in piena campagna elettorale, il 27 dicembre 2007, dilaniata da una bomba.Spesso, Enrico Mentana ha espresso nostalgia per il suo primo amore, la politica estera. Che fine ha fatto, dopo tanti anni, la voglia di scavare dietro la verità ufficiale della geopoltica? Mentana ha fatto la storia del giornalismo televisivo italiano: giovane esponente del Psi approdato in Rai grazie a Bettino Craxi, nel 1991 – a soli 37 anni – accettò la grande scommessa prospettatagli da Berlusconi: creando l’allora rivoluzionario Tg5, mandò in pensione il letargico e paludato Tg1, imponendo un nuovo tipo di informazione, brillante e fulminea, che già anticipava la velocità attuale del web, l’immediatezza istantanea dei social. Una volta approdato a La7, Mazzucco gli rinfaccia di essersi sprofondato nella nuova poltrona: poteva essere “il primo degli ultimi”, la maggiore delle voci indipendenti (in piena coerenza con la sua storia professionale) e invece si è rassegnato a essere “l’ultimo dei primi”, mestamente allineato al coro.Le residue illusioni sono cadute dando uno sguardo allo strombazzatissimo giornale online che Mentana ha aperto, in proprio, con il lodevole intento di dare spazio ai giovani giornalisti. Sulla nuova testata, “Open”, le notizie di apertura sono però di questo tenore: “Suoni e visioni: Google lancia l’Interpreter Mode, è l’inizio della fine degli interpreti umani?”. Ora, Mentre Mazzucco e gli altri ex estimatori augurano la buonanotte al fu Enrico Mentana, c’è però chi gli augura tutt’altro: “Presto vi puniremo, sappiamo tutto di voi, punirvi è un dovere”. Questo il messaggio che Mentana ha ricevuto, firmato “Boia chi molla”, con tanto di svastica. L’Italia ribolle di risentimenti, in parte fuori controllo: il governo gialloverde ha provato a metterci una pezza, ma con risultati deludenti. La stessa Europa sta franando, dai Gilet Gialli alle convulsioni post-Brexit. La tensione è in aumento ovunque, dopo gli opachi attentati domestici di marca Isis. Si avvicinano le europee, insieme alla temuta recessione. Cresce il caos? Manca solo il fantasma peggiore: quello del terrorismo. Qualcuno – non si sa chi – lo rianima prontamente, riuscendo a trasformare in quasi-eroe persino lo sbiadito, reticente Enrico Mentana.Mala tempora currunt: su pressione dell’oligarca tedesco Günther Oettinger, commissario Ue, il Parlamento di Strasburgo ha gettato le basi per un vero e proprio bavaglio del web, che impone il filtro dei contenuti sulle maggiori piattaforme (Google, Facebook, YouTube) e mette virtualmente fine alla libera circolazione dei link. E’ di questo che ha paura, il mainstream, dopo le ultime sconfitte subite: il referendum di Renzi e l’euro-diserzione del Regno Unito, la vittoria di Trump e quella dei gialloverdi. Comunque vada a finire, se mai dovesse sciaguratamente prendere corpo una reale minaccia di tipo terroristico contro la cosiddetta libera informazione, ci ritroveremmo di fronte a un copione già scritto: ancora più potere ai media mainstream, e un’ulteriore emarginazione dei media indipendenti, comodamente criminalizzabili in blocco. Come ha da poco ricordato lo stesso Mazzucco, l’imbecille di turno non manca mai. Il problema non è lui, ma chi poi lo manipolerà. Storia: le prime Br erano un fenomeno spontaneo. Quelle che uccisero Moro, non più.Di tutte le guerre striscianti in corso oggi, quella per l’informazione è la più cruciale: senza l’appoggio “militare” del mainstream, uno come Monti sarebbe stato preso a pesci in faccia, nel 2011. I vari Cottarelli e Moscovici possono sfilare tranquillamente in passerella davanti alle telecamere: nessun grande giornale e nessun telegiornale prenderà mai in seria considerazione le voci, anche molto autorevoli, che smontano ogni giorno le loro tesi. E’ una vera e propria emergenza democratica, quella dell’informazione manipolata. Lo dimostra, ogni giorno di più, il deficit di credibilità che oggi colpisce i giornalisti, una categoria di cui ormai la maggioranza della popolazione non si fida più. Attaccarli in modo sgangherato e proditorio non può che rafforzarli, puntellandone la pericolante attendibilità. Saranno ancora loro a scendere nell’arena delle prossime europee, ciascuno scrupolosamente “embedded”, precisamente istruito dai club come l’Aspen, il Bilderberg e la Trilaterale, sempre così premurosi nel fabbricare il consenso quotidiano attorno all’oligarchia neoliberista che ha silenziosamente svuotato le nostre democrazie, appaltate a politici di cartone trasformati in star da ex giornalisti che di tutto si occupano, tranne che delle vere ragioni della grande crisi.(Giorgio Cattaneo, “A chi giovano le sconcertanti minacce rivolte a Enrico Mentana?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 gennaio 2019).Tutto si può imputare, a Enrico Mentana, tranne che la mancanza di cordialità e di umana empatia. E’ un affabile surfer, il direttore del telegiornale de La7, nel mare tempestoso delle fake news ufficiali: magari dribbla le verità più scomode e sta ben attento a non uscire mai dalla cornice disegnata dagli spin doctor dell’establishment, ma almeno non partecipa alle crocifissioni rituali che il sistema infligge, con acrimonia, a questo e a quello, attraverso propagandisti con la bava alla bocca, travestiti da giornalisti. Di tutto si sentiva la mancanza, oggi in Italia, fuorché di un bel costume da martire, tagliato su misura per l’Enrico nazionale. Alla bisogna ha prontamente provveduto la mano (anonima, ovviamente) che gli ha indirizzato minacce mafiose, evocando l’oscura escatologia della forca che attenderebbe, un giorno, i malfattori della disinformazione. La minaccia è stata accolta così seriamente da mobilitare nientemeno che il primo ministro, dichiaratosi preoccupato per l’incolumità della libera informazione – che evidentemente nel nostro paese esiste ancora, secondo Giuseppe Conte.
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Mazzucco: che pena, se Grillo si allinea anche sui vaccini
Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».Roberto Burioni è l’immunologo che fa fatto della crociata-vaccini una ragione di vita. Grillo ha detto di non conoscerlo neppure. «Curioso, non vi pare?». Povero Beppe: «Che fa, firma un documento come quello senza accorgersi che, tra le righe, propone di silenziare – per legge – anche scienziati come il presidente dei biologi, Vincenzo D’Anna, che ha scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci? Non si rende conto, Grillo, che così facendo sdogana il pensiero unico di Big Pharma come il solo ammissibile, negando agli italiani il diritto democratico di essere innanzitutto informati sulla sicurezza dei vaccini che vengono iniettati ai neonati?». Porta lontano, l’amarezza che Mazzucco esprime nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Per principio – sottolinea – non escludo mai la buona fede di nessuno, quindi neppure quella di Grillo: che in ogni caso è ancora in tempo a prendere le distanze da quel documento, se l’ha firmato incautamente, ritirando la sua firma». Certo però che siamo di fronte all’ennesima retromarcia tattica: uno dopo l’altro, tutti i cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle finiscono in soffitta. Al punto da far dilagare il sospetto che Grillo non sia mai stato altro che un abile “gatekeeper”, un dirottatore del dissenso, da “addormentare” poi con calma, affidando a personaggi come Di Maio il pensionamento progressivo, e sempre più sbiadito, delle dirompenti denunce di un tempo.C’era una volta il Beppe Grillo rampante, il trascinatore dei teatri: tuonava contro i vaccini e gli abusi di Big Pharma, contro l’acquisto degli inutili F-35, contro l’euro e contro il bieco signoraggio bancario. «Tutti temi mai più riproposti, ora che ci sarebbe la possibilità – coi 5 Stelle al governo – di affrontarli in modo finalmente incisivo». Su un tema, dice Mazzucco, Grillo non si era scatenato nemmeno prima, quand’era ancora un battitore libero: «Lo avvicinai per chiedergli supporto, riguardo ai miei documentari e ai libri di Giulietto Chiesa, ma lui mi disse che, se si fosse messo a parlare anche di 11 Settembre, il suo pubblico non l’avrebbe più seguito». Fabio Frabetti conferma: in uno dei suoi spettacoli, una sera, Grillo citò la denuncia di Thierry Meyssan: interamente falsa la versione ufficiale, secondo cui le Torri Gemelle sarebbero crollate per via dell’impatto con gli aerei. «La sala praticamente ammutolì», segno che il timore di Grillo era fondato: sarebbe stato troppo, per quel pubblico, accettare anche quella verità. Grillo “gatekeeper”? «Mi rifiuto di crederlo – taglia corto Mazzucco – anche perché parliamo di spettacoli di molti anni fa».Piuttosto, ragione l’autore di “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, il più delle volte la realtà è più semplice. «Succede che arrivi nella stanza dei bottoni, e quel giorno “qualcuno” ti spiega che devi rinunciare a molte delle tue idee. Accade per gradi, senza che vi sia per forza chissà quale complotto, già in partenza». E’ uno schema che si ripete sempre, insiste Mazzucco, citando gli anni di piombo: «Le Brigate Rosse non le avevano inventate i servizi segreti che poi le hanno infiltrate. All’inizio, erano un fenomeno spontaneo. Poi, un giorno, i fondatori delle prime Br – Curcio e gli altri – sono finiti tutti in galera. Da quel momento le nuove leve hanno comiciato a sparare e uccidere, fino alla tragedia di Aldo Moro». E oggi rieccoci qua, con i due Grillo all’opera: la ministra Giulia, che si guarda bene dal bocciare la legge Lorenzin, e l’ex mattatore Beppe, che si mette a tifare per i Talebani della vaccinazione universale, da imporre per legge e a scatola chiusa. Il governo gialloverde? «Non si capisce in cosa si differenzi dai precedenti, visto il poco o nulla che sta combinando, allineato com’è al volere dei soliti poteri forti». Elettori ingannati fin dall’inizio o traditi da politici non all’altezza della situazione? Mazzucco propende per la seconda ipotesi: al di là delle ciance, a Lega e 5 Stelle mancano “gli attributi” per imporsi, e difendere – davvero – gli italiani.Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».