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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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Federico Caffè fu fatto sparire dai killer di Palme e Sankara
Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punzione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».Unico indizio a disposizione, per ora: la sicurezza italiana. Tra il 2015 e il 2016, dopo la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo, l’intera Europa sembrava sul punto di trasformarsi in un mattatoio. Eppure, Magaldi annunciò: vedrete che il nostro paese non subirà attentati. Motivo: l’antiterrorismo italiano è “pulito” e coopera strettamente con settori della Cia altrettanto leali. Il terrorismo targato Isis, aggiunse, può colpire solo in paesi dove i servizi segreti sono infiltrati dagli agenti della strategia della tensione: la Francia in primis, ma anche – come si è visto – il Belgio e la Spagna, il Regno Unito e la Germania. In altre parole: se i “cattivi” hanno orchestrato il terrore per affermare il loro potere (magari impaurendo Hollande per poi lanciare Macron), sul fronte opposto i “buoni” si sono accordati per unire le forze e proteggere almeno uno Stato europeo: non un paese a caso, naturalmente, ma l’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gialloverde. Messaggio: non siete più onnipotenti, se c’è un pezzo di Europa che resta al riparo del vostro stragismo che spara nel mucchio, mietendo vittime tra i passanti. E sarà proprio l’Italia la prima pietra su cui costruire una nuova Europa, finalmente democratica.Missione compiuta? Solo a metà: gli ultimi anni in Italia sono trascorsi senza sangue, ma il governo Conte si è lasciato ugualmente spaventare da Bruxelles. Colpa del Deep State, ammette il deputato grillino Pino Cabras: al governo, dice, insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche un terzo incomodo, lo “Stato profondo” che ha potentissimi terminali anche al Quirinale, e lavora per sabotare il cambiamento. Nel bloccare la nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia, Sergio Mattarella spiegò che “i mercati” (veri padroni della situazione, quindi, a prescindere dalle elezioni) non l’avrebbero gradito, quel ministro. Con Savona all’economia, non avrebbero esitanto a mettere nei guai l’Italia con il ricatto dello spread. Dal convegno londinese sul New Deal Europeo, organizzato dal Movimento Roosevelt, Cabras ha rincarato la dose: lo “Stato profondo” è insediato ovunque, anche nei ministeri oltre che al Colle, e sta frenando qualsiasi cambio di paradigma: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, tranne che su un punto: resistere al Deep State, nel tentativo di dare più soldi agli italiani». Magaldi apprezza il coraggio di Cabras, la cui denuncia – clamorosa – è passata sotto silenzio, letteralmente ignorata dai media. «Il Deep State, però, non può diventare un alibi: perché il governo gialloverde non ci ha nemmeno provato, a rompere le regole Ue con un bel 10% di deficit. Si è limitato a quel misero e inutile 2%, prendendo schiaffoni a Bruxelles e tornando a Roma con la coda tra le gambe».Poteva andare diversamente? «Doveva», dice Magaldi. Che spiega: tutto sta cambiando, ai piani alti. «E già oggi, i politici intenzionati a lavorare per il benessere della collettività non hanno più motivo di avere paura di essere soli, di fronte a chi vorrebbe delegittimarli con la diffamazione o addirittura ucciderli, come nel caso di Palme e Sankara, o magari farli sparire, come accadde a Federico Caffè». Ed ecco la rivelazione, che Magaldi anticipa il 15 aprile a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming settimanale del lunedì, su YouTube: al convegno milanese del 3 maggio (“Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”) sarà lo stesso Magaldi a fornire dettagli inediti sui mandanti della sparizione di Caffè. Altre notizie clamorose saranno fornite dall’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e già allievo di Federico Caffè. Il professore era il più importante economista keynesiano: formò personaggi come Mario Draghi e Marcello De Cecco, Bruno Amoroso e Ignazio Visco (Bankitalia), Franco Archibugi e Giorgio Ruffolo. E poi Luigi Spaventa, Enrico Giovannini, Ezio Tarantelli (assassinato dalle Br) e lo stesso Alberto Bagnai, ora senatore leghista.Persino Wikipedia scrive che Federico Caffè fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche che di “economia del benessere”: «Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli». In altre parole, era il “cervello” dell’economia democratico-progressista: piena occupazione e welfare, cioè l’esatto contrario della politica del rigore che avrebbe preso il sopravvento, diventando un dogma – lo strapotere dei “mercati” – cui sembra piegarsi anche il Quirinale. La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto? Ufficialmente sì, ma non per Magaldi: secondo il presidente del Movimento Roosevelt, il convegno di Milano strapperà finalmente il velo sul caso Caffè. «C’è un filo rosso – avverte – che lega la sua sparizione agli omicidi di Olof Palme e Thomas Sankara». Palme, carismatico leader socialdemocratico svedese, era il faro del socialismo europeo: aveva varato il miglior welfare del continente e stava per essere eletto segretario generale dell’Onu. Una carica che gli avrebbe consentito di vegliare anche sull’Europa, scongiurando l’avvento del feroce ordoliberismo mercantilista che, da Maastricht in poi, ha rimesso in sella l’élite impoverendo il 99% della popolazione.Quanto a Sankara, parla per lui l’esodo dei migranti che sbarcano in Italia partendo dall’Africa Subsahariana affamata dal neocolonialismo: tre mesi prima di essere assassinato, il giovane leader del Burkina Faso aveva chiesto la cancellazione del debito estero e la fine degli aiuti finanziari all’Africa, vere e proprie catene post-coloniali. Il sogno del socialista Sankara? Un’Africa libera e sovrana, padrona a casa propria, capace di crescere basandosi sulle sue forze. «C’è un nesso che collega l’omicidio di Sankara e quello di Palme alla sparizione di Federico Caffè», insiste Magaldi, preparandosi a fornire dettagli inediti su quegli eventi che, nella seconda metà degli anni ‘80, hanno contribuito a plasmare lo sconfortante scenario di oggi. Un nome esemplare? Mario Draghi: il super-banchiere della Bce «non ha seguito il suo maestro, Federico Caffè, e oggi è nel gotha dei burattinai, degli artefici della involuzione post-democratica dell’Europa e del mantenimento del paradigma ideologico neoliberista in Europa e nel mondo». Paradigma spietato, per il quale ha duramente lavorato il Deep State massonico reazionario di cui lo stesso Draghi, secondo Magaldi, è un autorevolissimo esponente.Si può credere, a Magaldi? Qualcuno, di fronte al saggio “Massoni” (bestseller italiano, ignorato dai media mainstream) si è ritratto, rifugiandosi dietro l’assenza di prove documentali. Falso problema, assicura l’autore, che in premessa avverte: «Chiunque si senta diffamato me lo segnali, ed esibirò le carte che lo riguardano: dispongo di 6.000 pagine di documenti, troppo ingombranti per essere inseriti in un volume». Corollario: nessuno dei tantissimi big menzionati – Napolitano e Monti, lo stesso Draghi – si è azzardato a smentire alcunché. Meglio la consegna del silenzio. Ma il meccanismo innescato da quel libro sembra inesorabile: operazione trasparenza. Nel 2015, Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt. A fine marzo, ha promosso a Londra un confronto strategico tra economisti e politologi per mettere a fuoco un possibile New Deal europeo, basato sul recupero di Keynes (spesa pubblica strategica) per abbattere l’ideologia dell’austerity e restituire benessere alla popolazione. E ora è in arrivo l’assise milanese su Rosselli, Palme e Sankara, con anche le inedite news sulla sorte di Federico Caffè. «Questo incontro serve a dire: viviamo da decenni sotto la cappa di un’ideologia imperante e pervasiva, egemonizzante – il neoliberismo – che noi adesso rifiutiamo radicalmente».Il Movimento Roosevelt, continua Magaldi, si ispira alla lezione di Rosselli, Palme e Sankara: «Il nostro è un laboratorio politico che ha iniziato il suo percorso rivoluzionario a Londra, e a Milano affronta la sua seconda tappa». Teoria e pratica del Piano-B: «La nostra è un’ideologia social-liberale, opposta al neoliberismo: vogliamo proporla in Europa e nel mondo, ridando fiato a una corrente di pensiero che è stata rimossa, nei vari centrosinistra e centrodestra di tutto l’Occidente, a favore di una pervasività dogmatica del neoliberismo». Non si scherzava, ai tempi di Rosselli, ucciso su mandato del regime fascista di Mussolini. Ma c’era poco da ridere anche all’epoca di Palme, unico premier europeo assassinato mentre era in carica: freddato nella civilissima Svezia all’uscita di un cinema, nel cuore dell’Europa democratica. Il killer? Rimasto nell’ombra, ma fino a un certo punto: gli svedesi ricordano benissimo la strana morte del giallista Stieg Larsson, che al caso Palme si era interessato svolgendo indagini accurate, fino a consegnare alla polizia svariati documenti. La pista: servizi segreti, Deep State oscuro. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Gianfranco Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt – ricorda che, alla vigilia dell’omicidio Palme, un certo Licio Gelli indirizzò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente telegramma: “La palma svedese sta per cadere”.Se ti metti contro il Deep State, puoi rischiare la pelle: succede spesso, ed è capitato anche a Julian Assange. «Puoi essere fatto fuori con la diffamazione e la delegittimazione, con il fango che ti gettano addosso, oppure puoi essere eliminato». Assange? «Ha avuto coraggio», ammette Magaldi: «C’è dell’eroismo, nel suo agire». Per Magaldi, però, il destino del fondatore di Wikileaks non è segnato: «La questione è estremamente complessa», si limita per ora a dire l’autore di “Massoni”, lasciando capire che attorno al giornalista australiano si muovono forze diverse e opposte, e che l’estradizione richiesta da Trump potrebbe non trasformarsi in una feroce vendetta nei confronti di Assange. Il motivo? Sempre lo stesso: starebbe cambiando la natura del Deep State. O meglio, la sua composizione. «Oggi, se si ha il coraggio di svolgere il proprio mandato democratico – dichiara Magaldi – lo si può fare senza più il timore di essere eliminati, perché nel Deep State c’è stata, è in corso e si sta irrobustendo di mese in mese una riorganizzazione dei circuiti massonici progressisti, i quali non consentiranno – come è stato in passato – che nessun sincero politico democratico venga assassinato o eliminato in modo improprio».Beninteso: il nemico è ancora molto potente. Uomini che hanno conquistato i posti chiave della finanza, dell’economia, degli Stati. Magaldi li definisce «gli alfieri della massoneria neoaristocratica, i costruttori dell’ideologia neoliberista: quelli che tuttora gestiscono una globalizzazione di merci e capitali che non è fatta anche di diritti, di democrazia e di giustizia sociale». Ma aggiunge: «Credetemi, oggi a quei signori non conviene giocare sporco, nel momento in cui nella questione sono coinvolti anche i massoni democratico-progressisti che hanno la stessa consuetudine con il Deep State. Non gli conviene, è un problema di calcolo». E insiste: «Se c’è qualcuno che vuole agire a beneficio del popolo non abbia paura, non si lasci fermare da minacce o blandizie. Vada avanti per la sua strada, perché c’è chi è in grado, con la sua sola presenza, di frapporsi alle indebite interferenze da parte di rappresentanti del Deep State che vogliono sovvertire le regole del gioco democratico, piegandole a interessi opachi di natura privata». Per questo, aggiunge Magaldi, non hanno più scuse tutti quei politici «divenuti maggiordomi e camerieri, senza più quella forza di elaborazione politica che a molti, nel Novecento, è costata la vita».Oggi, assicura Magaldi, i politici che volessero davvero «difendere il senso e la dignità del proprio mandato, operando al servizio della collettività», possono evitare di farsi intimidire o corrompere per eseguire gli ordini dei soliti burattinai: «Li invito a cercare proprio nell’ambito del Deep State quei circuiti progressisti che sono impegnati per la difesa della democrazia, e che quindi potranno garantire che il Deep State oscuro non interferisca più con lo svolgimento di una normale dialettica democratica». Magaldi è stato affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle 36 Ur-Lodges che gestiscono il back-office del potere mondiale. Il suo Grande Oriente Democratico, movimento massonico d’opinione, è collegato alle superlogge progressiste. E’ in corso una sorta di guerra inframassonica: dopo decenni di letargo, la componente democratica si starebbe risvegliando. Le prove del contrattacco in corso? Tanto per cominciare, la sicurezza di cui ha goduto l’Italia durante l’ultima stagione dell’infame auto-terrorismo europeo, targato Isis ma gestito da settori inquinati dell’intelligence. E ora, dice Magaldi, i cavalieri oscuri del peggior Deep State si preparino: il convegno di Milano svelerà dettagli clamorosi anche sulla misteriosa scomparsa di Federico Caffè.Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punizione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».
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Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale
Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.Folgorante, l’ascesa di Draghi nell’élite finanziaria mondiale: dal vertice di Bankitalia a quello della Bce, la mega-banca che emette l’euro, cioè la moneta che sarebbe stata “impossibile” e letteralmente insostenibile, per il giovane studente Mario. Determinante, si dice, il transito negli Usa: Draghi è stato uno stratega della Goldman Sachs, la banca speculativa più temuta al mondo: quella che, tra l’altro, truccò i bilanci della Grecia, creando le premesse per il crollo di Atene. A disastro avvenuto, Draghi si occupò dei greci anche nelle vesti di inflessibile censore della Troika europea, in rappresentanza della Bce. Una conversione, la sua – da Keynes al neoliberismo – che lascia stupefatti: il geniale economista inglese aveva ispirato le politiche espansive che hanno arricchito l’Europa, mentre i suoi avversari (da Von Hayek a Friedman) hanno impoverito i nostri popoli, espropriandoli del potere statale di spesa a beneficio dell’oligarchia finanziaria, divenuta l’unica padrona del denaro. Come si spiega, un simile voltafaccia, da parte di quello che, ai tempi di Caffè, si presentava come un promettente economista post-keynesiano? L’immenso potere del denaro, certo: il dominio di Wall Street è divenuto assoluto, specie dopo che Clinton abolì il Glass-Stegall Act, la norma con la quale Roosevelt aveva tagliato le unghie alla speculazione (separazione netta tra banche d’affari e credito alle imprese). Franata la diga, la finanza predatoria è diventata una lotteria perversa, capace di piegare gli Stati. E oggi infatti eccoci qui, a elemosinare decimali di deficit, implorando una tecnocrazia di non-eletti.Ma non è tutto. Nel suo saggio, Magaldi svela un retroscena illuminante: il massone Draghi milita in ben 5 Ur-Lodges. Le superlogge sovranazionali sono in tutto 36 organismi occulti e molto trasversali, in grado di controllare il pianeta, ben al di sopra dei governi. Per la cronaca, il presidente della Bce sarebbe affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa” e alla “Der Ring”, nonché alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Three Eyes”, veri e propri santuari della supermassoneria “neoaristocratica”, protagonista dell’attuale globalizzazione finanziaria e post-democratica imposta a mano armata anche con la guerra e, all’occorrenza, persino il terrorismo e la strategia della tensione, oltre che con l’arma dell’austerity che ha precarizzato il lavoro e impoverito le popolazioni occidentali. Tutto merito loro: a imporre le durezze della crisi sono i signori del “back office” supermassonico. Sono questi, dice Magaldi, i veri “azionisti” di Mario Draghi, comicamente celebrato – dai media – come una specie di salvatore della patria. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha patito le conseguenze dell’azione di Draghi, che appartiene a un’oligarchia apolide, senz’altra patria che il denaro. «Viene presentato come il santo protettore dell’Italia? Mettetelo a Palazzo Chigi, e poi vedrete di che pasta è fatto», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Certo, visto dall’Italia oggi sembra remotissimo, Super-Mario, impegnato a vegliare sull’Europa dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Per questo, gli italiani riescono a bersi la versione del mainstream, che poi è questa: se non ha potuto fare abbastanza, per l’Italia, è perché il povero Draghi «aveva le mani legate dalle presunte regole della Banca Centrale Europea», e magari «era costretto a mediare con Jens Weidmann della Bundesbank». Tutte storie: «Fatelo governare, e vedrete di cosa sarà capace». Quanto sono fondate, le voci secondo cui Mattarella lo promuoverebbe senatore a vita, come già fece Napolitano con Monti, per poi proiettarlo a Palazzo Chigi? L’incarico alla Bce scadrà in autunno, e si sa che Draghi ambirebbe a prendere il posto di Christine Lagarde al vertice del Fmi. Secondo Magaldi, potrebbe anche concedersi un periodo sabbatico. Certo è che qualsiasi decisione sarà come sempre concertata con il super-potere finanziario, di cui Draghi resta una pedina di prima grandezza a livello mondiale. Senatore a vita, dunque? Non è dato saperlo. Probabilmente, dice Magaldi, la nomina potrebbe gradirla non tanto come “ascensore” verso la guida del governo, ma come viatico per un obiettivo più ambizioso: la presidenza della Repubblica. In ogni caso, aggiunge Magaldi, se mai dovesse fare il premier «sarebbe un regalo, per noi che combattiamo contro ciò che Mario Draghi rappresenta».Un simile esito sarebbe perfettamente speculare rispetto all’esperienza di Monti, che nel 2011 era osannato dai media, quando dalle pagine del “Corriere della Sera” «dispensava saggi consigli, ma non aveva mostrato come li avrebbe messi in pratica». Duro l’impatto con la realtà: «Averlo visto governare ci ha liberato per sempre dall’idea che Monti sia un uomo saggio e soprattutto preoccupato del bene collettivo degli italiani». Non pensate che con Draghi sarebbe diverso, chiarisce Magaldi, dal 2015 presidente del Movimento Roosevelt e ora promotore del “Partito che serve all’Italia”, per recuperare la perduta sovranità democratica. Draghi? Tuttora, viene proposto dal mainstream come il paladino degli interessi italiani, «l’uomo che ha risolto la crisi economica e che dalla Bce ha assicurato il “quantitative easing”, salvando le banche». Tutto falso: «Come banchiere centrale, è intervenuto quando i buoi erano già scappati dalla stalla, cioè quando l’economia europea era in picchiata e parecchi paesi erano ormai stati commissariati con l’avvento dei tecnocrati al governo». A quel punto, «Draghi ha fatto in modo che i denari arrivassero alle banche e non all’economia reale, per aiutare la quale non ha mosso un dito».Severo il giudizio di Magaldi sul super-banchiere europeo: «Mario Draghi è fra i registi di questa pessima governance post-democratica europea. E’ colui che ha detto che il “pilota automatico” è inserito nel sistema di gestione dell’economia dei vari paesi europei, e quindi non importa chi viene eletto: o aderisce alle indicazioni di questo “pilota automatico”, o viene delegittimato». In più c’è l’ombra, imbarazzante, della crisi Mps: «Insieme ad Anna Maria Tarantola, che all’epoca guidava la vigilanza di Bankitalia – continua Magaldi – Draghi è anche responsabile, per l’Italia, di quello che è accaduto nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena». Quindi, non dovrebbe essere gratificato di un posto di senatore a vita: «Semmai – dice Magaldi – dovrebbe essere messo sotto processo, anche per i danni che ha fatto, nella gestione delle privatizzazioni all’italiana, come direttore generale del ministero del Tesoro, carica rivestita ininterrottamente dal 1992 al 2001». Purtroppo viviamo in un mondo orwelliano, che ribalta la verità: e così Mario Draghi, «che è stato tra i personaggi più funesti, per il destino d’Europa e d’Italia», oggi «viene santificato dai media mainstream».“Mister Euro” direttamente al comando dell’Italia, una volta rottamata la deludente esperienza gialloverde? Niente paura, dice Magaldi: «Questa situazione ci deve mettere di buon umore». E perché mai? «Perché è tipica dei momenti pre-rivoluzionari: alla vigilia di ogni rivoluzione, da chi occupa poltrone che stanno per franare miseramente proviene sempre un sussulto di arroganza, di disprezzo della verità, di imbroglio della comunicazione». Draghi a Palazzo Chigi? «Sarebbe un ottimo modo per vedere il suo vero volto, perché in questo mondo così veloce ormai le menzogne e i bluff durano poco. Dategli anche la presidenza della Repubblica, e poi ci divertiremo: perché ormai siamo arrivati alla frutta». Sulla crisi in corso, Magaldi è nettissimo: «L’Italia è stanca di essere malata, e ormai vede che non c’è stata nessuna cura». Pie illusioni, quelle alimentate dai gialloverdi: «Ignominiosa la rinuncia a lottare per il deficit, e vergognosa le genuflessione di Di Maio davanti alla Merkel». Tradotto: l’Italia ha perso un anno di tempo, dando credito a Lega e 5 Stelle. Domani il super-potere oserà schierare addirittura Draghi per spegnere gli ultimi focolai di ribellione, disinnescando la speranza che dall’Italia possa partire il riscatto democratico europeo? Quello, scommette Magaldi, sarà il segnale: di fronte a tanta arroganza, gli elettori finalmente insorgeranno. Primo passo: licenziare i finti rivoluzionari gialloverdi, che si sono fatti prendere a sberle dai signori di Bruxelles e dal loro nume tutelare, il potentissimo Mario Draghi.Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Il Mago ipnotizza l’Europa: votare non serve, decido solo io
Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.Di questo dovrebbero parlare, ogni giorno, i media italiani che si avventano come mastini rabbiosi contro il pallido governo gialloverde, scuoiato vivo a reti unificate solo per essersi permesso di innalzare il deficit, sia pure in modo irrisorio – ben al di sotto del tetto (artificioso, ideologico) sancito a Maastricht. Che razza di Europa è, quella di Maastricht? Per quale motivo, dopo un quarto di secolo, è ancora in vigore un trattato palesemente suicida, che ha “gambizzato” una potenza economica mondiale seconda solo agli Usa e alla Cina, seminando crisi e disperazione fino al punto da resuscitare i peggiori nazionalismi del Novecento? Come ragionano, i nostri post-giornalisti? Da dove pensano che provenga l’esasperazione di massa che sta letteralmente gonfiando l’esercito “rossobruno” dei cosiddetti sovranisti? Sta covando un vasto incendio, ormai, e i pompieri sono già al lavoro: l’oligarca Oettinger impone il bavaglio al web in vista delle prossime europee, mentre il collega Draghi minaccia ogni giorno il governo italiano (l’unico a rompere le righe, per ora, nel mortale ordoliberismo che i grassatori hanno imposto ai popoli europei). Impera un’ipocrisia disgustosa: il massimo rigore inflitto ai molti, per proteggere i privilegi di pochissimi, viene spacciato per virtù. Si racconta che il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia – come se anche la famiglia potesse battere moneta. Salgono in cattedra economisti che hanno rinnegato il proprio mestiere: di professione, ormai, fanno i maghi.Lo stesso Draghi, prima di salire sul Britannia da cui partì la grande spartizione dell’Italia, era un economista keynesiano: sapeva perfettamente che, senza una robusta dose di deficit, l’economia collassa. Lo sapeva così bene che la sua tesi di laurea, realizzata sotto la guida dell’insigne Federico Caffè, dimostrava – letteralmente – l’insostenibilità tecnica di una eventuale moneta unica europea, che avrebbe inevitabilmente imposto un regime fiscale austeritario, mettendo in crisi il continente. Poi, si sa, il mago Draghi fu promosso: prima di conquistare la poltronissima della Bce aveva presidiato Bankitalia, e come stratega della peggiore banca d’affari del mondo, la famigerata Goldman Sachs, aveva contribuito in modo decisivo (insieme a Carlo Cottarelli, del Fmi) a rovinare la Grecia. Oggi, sempre Draghi – al servizio del grande monopolio finanziario privato che domina l’Europa – si permette di dare consigli al presidente Mattarella su come scoraggiare il governo Conte, regolarmente intimidito anche da Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, teleguidato sempre dall’uomo di Francoforte. Questi signori agitano lo spettro dello spread, come se fosse un fenomeno naturale (e non invece la nota roulette scatenata a comando da poche mani). Chi sono, questi signori? Chi ha consegnato loro tanto potere? Chi ha dato loro la facoltà di annullare, sostanzialmente, il risultato democratico delle elezioni?Nello scenario odierno colpisce la dismisura tra la realtà e la sua narrazione virtuale. L’arma del mago – che manipola il pubblico – è sempre la stessa: la paura. Guai, se osate sforare i parametri della depressione collettiva programmata. Guai, se vi azzardate a espandere il benessere alla struttura sociale, ormai in stato di crescente sofferenza. Giornali e televisioni rilanciano lo stesso messaggio: è giusto avere paura. E’ saggio. Siamo nati, in fondo, per vivere nella paura. La paralisi generale che si ottiene è impressionante. E i maghi, innanzitutto, restano al loro posto. Oggi sono preoccupati, certo, dai primi rumorosi segnali di insofferenza. Se le vituperate masse dovessero malauguratamente svegliarsi, per loro sarebbe finita. Crocifìggono l’Italia per il suo debito pubblico, che viaggia attorno al 130% del Pil, ben sapendo che nessuno chiederà mai conto, a Draghi e ai suoi padroni, del successo di un sistema come quello del Giappone, arrivato al 250% di debito senza colpo ferire, senza disoccupazione, e senza subire nessun tipo di estorsione finanziaria (spread), essendo i giapponesi protetti da una vera banca centrale, che si comporta da prestatore di ultima istanza e garantisce in modo illimitato l’esposizione contabile della nazione.Sanno perfettamente, i maghi neri, che basterebbe la disobbedienza di un solo paese a far crollare l’incantesimo: investendo in modo coraggioso, con un super-deficit strategico (Keynes docet) l’economia si metterebbe automaticamente a volare. E un paese che scoppia di salute, ovvero di futuro, sarebbe preso d’assalto da tutti gli investitori del pianeta. Culmine della follia: i maghi neri trattano l’Italia come fosse il Burundi, e non un grande paese industriale del G8. Uno Stato con duemila miliardi di debito, ma quasi diecimila miliardi di patrimonio, tra risparmi e beni immobiliari. Stiamo parlando dell’Italia, il paradiso turistico tecnologicamente avanzato che detiene il 70% dei beni culturali del mondo. Solo una forma patologica di devastante ipnosi collettiva può consentire al mago e ai suoi compari di insolentire, minacciare, ricattare e derubare una comunità del genere, formata da 60 milioni di cittadini, condannandola a vivere – ancora e sempre – nella paura di perdere tutto. Ma chi è, davvero, Mario Draghi? Chi ce l’ha messo, alla guida della Bce? E chi è Jean-Claude Juncker? In nome di quale Europa questi signori parlano? Quale suffragio popolare ha mai sorretto gli spaventapasseri che a turno sputano minacce dagli uffici di una Commissione Europea che ignora deliberatamente qualsuasi indicazione provenga dall’Europarlamento, unica istituzione elettiva dell’Unione?Il Trattato di Lisbona non è una Costituzione europea, è uno statuto coloniale – con la differenza che, rispetto al colonialismo tradizionale, quello europeo non ha neppure il pregio della terribile visibilità della potenza dominante. Il vero vertice è rappresentato dal celeberrimo “pilota automatico”, che la cupola finanziaria privata utilizza per soggiogare i sudditi, spesso con la cortese collaborazione dei vari gauleiter franco-tedeschi, ai quali viene concesso il tristo privilegio del kapò. Risultato: mezza Europa oggi ce l’ha coi tedeschi, come popolo, per via degli immani crimini sociali commessi da Angela Merkel, mentre tanti italiani ormai detestano i francesi, in blocco, per colpa del loro impresentabile presidente, l’oltraggioso sbruffone Macron, a sua volta mal sopportato dai suoi stessi connazionali, in quanto servitore di poteri oligarchici nemmeno così oscuri. E questa sarebbe oggi l’Europa? Sarebbe questo il giusto habitat politico dove far vivere oltre mezzo miliardo di esseri umani, che ormai si guardano in cagnesco?In questi anni, il mago si è arricchito smisuratamente mentendo ai sudditi, raccontando loro che dovevano rassegnarsi a stare peggio, a rinunciare a crescere come un tempo. La protesta ribolle, in molti paesi, ma il mago non ha un Piano-B: non cambia ricetta, non prospetta alternative alla sua teologia dell’infelicità. Al limite, pensa a come depistare il pubblico, coi soliti sistemi: i media addestrati a ripetere menzogne, i governi frontalmente minacciati di terribili punizioni, i movimenti più irrequieti eventualmente infiltrati da agenti provocatori. Tutto questo accade, ancora, perché a valere sono le regole del mago: è stato lui a raccontare che, impoverendosi, ci si arricchisce. Austerity espansiva, l’ha chiamata. Che è come dire: tutti sappiamo che gli asini volano. Per quanto ancora, il mago, terrà in vita il suo maleficio? Quanto tempo impiegheranno, i popoli europei, a sfrattare i loro parassiti? L’impresa è molto ardua, vista la sproporzione delle forze in campo. Nel 2012, sotto il dominio del mago Monti, l’Italia scrisse nella sua Costituzione che la Terra è piatta, e non gira affatto attorno al Sole. Tecnicamente: pareggio di bilancio. Tradotto: è giusto auto-sabotarsi, amputare il futuro. Perché non viene rimosso, oggi, quel vincolo medievale? Perché non si torna a dire, tanto per cominciare, che la Terra è tonda?La superstizione neoliberista è stata fatta a pezzi dagli economisti democratici e, prima ancora, dalla realtà stessa: il bilancio del sistema neoliberale è una vera e propria catastrofe planetaria. Laddove si è tagliato lo Stato, è crollata anche l’economia privata. Unici beneficiari, gli immensi oligopoli finanziarizzati. Se si abbatte la spesa pubblica, frana l’intero paese. L’hanno capito tutti, ormai. E i primi a saperlo sono proprio loro, i grandi illusionisti: Juncker e Draghi, Merkel, Moscovici, Macron. Per chi lavorano, in realtà? Per quale nuovo ordine feudale? Troppa democrazia fa male, scrivevano negli anni ‘70 i maghi ingaggiati dalla Trilaterale: l’eccesso di democrazia – affermarono, testualmente – si cura restringendo gli spazi democratici, confiscando libertà e diritti. L’Europa è stato il loro grande laboratorio. C’erano ostacoli, al loro piano, ma sono stati rimossi – dall’italiano Aldo Moro allo svedese Olof Palme. Nemmeno i Craxi dovevano più essere in circolazione: diversamente, come riuscire a raccontare che, per ingrassare, bisogna saltare i pasti? Ci si domanda quand’è che torneranno in vigore le regole fisiologiche della vita, al posto di quelle – truccate – dell’illusionista. Per esempio: dove è scritto che l’Europa non possa avere una Costituzione democratica, validata dai suoi popoli? Chi ha stabilito che l’Unione Europea non possa essere affidata a un governo legittimo, regolarmente eletto? Chi l’ha detto che il continente non possa avere un’autentica banca centrale, anziché un istituto privatizzato e gestito da stregoni? Quanto a lungo sarà ancora sopportata, l’insolenza bugiarda del mago?Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.
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Casalino e il Deep State. Mazzucco: che ingenui, i 5 Stelle
«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».Mazzucco è un abile demistificatore: ben attento a non finire nel variopinto girone del complottismo “gridato”, si dedica da anni a studiare meticolosamente i complotti veri. E’ stato tra i primi a dimostrare che la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. E nell’ultimo film, “American Moon”, certifica che le storiche immagini dell’allunaggio, purtroppo, non sono state affatto realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa. Fa sempre notizia il lavoro di Mazzucco, sia che si tratti della “nuova Peral Harbor” scatenata a Manhattan e comodamente attribuita ad Al-Qaeda, sia che sul monitor compaia una seria indagine sulle cure alternative per il cancro. E a proposito di salute: non certo ostile ai 5 Stelle, Mazzucco ha aspramente criticato il clamoroso voltafaccia sui vaccini, coi pentastellati prima tiepidi sul decreto Lorenzin e poi in confusione assoluta, ora che – con Giulia Grillo – avrebbero in mano le leve ministeriali del governo della sanità. Solo che, tra il dire e il fare, c’è appunto di mezzo la politica: «Me ne sono sempre tenuto alla larga, proprio perché temo quell’ambiente», confessa Mazzucco: «In passato ho anche rifiutato di impegnarmi personalmente, quando mi è stato chiesto di candidarmi, perché so che, per come sono fatto, essere costretto a confrontarmi con certe dinamiche mi farebbe perdere il sonno. Non fa per me, ecco tutto».Se però stiamo parlando di un soggetto politico come i 5 Stelle, aggiunge Mazzucco, le cose cambiano: «Nel momento in cui ti candidi a rivoluzionare l’Italia, non puoi non sapere che tipo di ostacoli incontrerai. I tuoi elettori, per primi, si aspettano che tu sappia perfettamente come muoverti. Bel guaio, se adesso scoprono che non sai bene che pesci pigliare». Un intero ministero che “rema contro” ostacolando lo stesso ministro, come nel caso di Tria, secondo la versione di Casalino? «Ma è ovvio, scusate», protesta Mazzucco: «Funziona così persino negli Usa», dove pure c’è un forte spoil-system e un robusto ricambio di funzionari, scelti dal politico che ha vinto le elezioni. «Il fatto è che puoi cambiare il ministro della difesa, non i generali: quelli restano. E se vogliono fare una guerra, prima o poi il ministro lo tirano dalla loro parte». Si chiama Deep State, ed è il potere che avrebbe bypassato lo stesso Bush durante la crisi dell’11 Settembre, per poi bivaccare alla Casa Bianca con Obama. Un potere, sempre lo stesso, che sta cercando di mettere in croce l’imprevedibile Donald Trump, finora sfuggito al suo controllo (e quindi braccato dal fantasma dell’impeachment). Come si può pensare che in Italia, a maggior ragione, non valgano le stesse regole? Come sperare che il Deep State euro-italico ceda docilmente il timone del dicastero dell’economia, teleguidato da Bruxelles?Appena quattro mesi fa, a fine maggio, Luigi Di Maio giunse ad annunciare ben altre dimissioni: non voleva mettere in stato di accusa oscuri funzionari, ma addirittura il capo dello Stato. La “colpa” di Mattarella? Aver impedito alla nascente alleanza gialloverde di insediare al ministero dell’economia Paolo Savona, fortemente avversato da Mario Draghi tramite il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Proprio da Visco, irritualmente, Mattarella “spedì” in udienza l’allora premier incaricato, Conte, perché prendesse nota delle raccomandazioni della banca centrale: guai a sforare il tetto (più che esiguo) imposto alla spesa pubblica dai super-poteri europei, pena lo tsunami dello spread. Nel giro di ventiquattr’ore, Di Maio ingoiò il rospo: rinunciare a Savona, pur di far nascere il governo. Giovanni Tria? Lo stesso Savona fu tra quanti ne approvarono la designazione, rivela Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Massone, Tria si dichiarò di opinioni progressiste, disponibile a infrangere – dopo inziali rassicurazioni – l’assurdo vincolo di spesa imposto dall’élite neoliberista che manovra le sedicenti istituzioni europee». Ora però lo stesso Magaldi è perplesso, su Tria: «Si decida a operare nel senso inizialmente concordato, viceversa i gialloverdi dovranno scegliere: o lui, o gli italiani (a cui hanno promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni dignitose, cancellando la legge Fornero)».Il guaio? Lo scomodissimo endorsement che l’euro-tecnocrate numero uno, «il gran maestro Mario Draghi, supermassone neo-aristocratico», ha tributato a Tria: apertamente elogiato, dal presidente della Bce, per la prudenza sui conti pubblici, ancora una volta improntati alla linea di rigore pretesa da Bruxelles. La battaglia è proibitiva: a “remare contro” il cambio di paradigma – più spesa pubblica, per rianimare l’economia – non sono solo Draghi, Visco e i fantomatici funzionari del ministero di Tria: tutto il mainstream giornalistico sta sparando ad alzo zero contro il nuovo governo. Ogni scusa è buona, a cominciare dall’intransigenza di Salvini sull’allegro “caos all’italiana” nella non-gestione dei migranti. E in questo pozzo di veleni, l’audio di Casalino irrompe come un petardo, per la gioia di telegiornali e talkshow. Tutto fa brodo, pur di continuare a non ragionare. Personaggi come Ferruccio De Bortoli (assistito nientemeno che da Piero Angela, su “Rai News 24”) arriva a rimpiangere la formidabile “ripresa” assicurata all’Italia dai compianti governi Renzi e Gentiloni, con all’economia Pier Carlo Padoan, ennesimo yesman di quel potere europeo che predica le virtù metafisiche del digiuno (altrui). Brutta bestia, il neoliberismo. Il suo capolavoro letterario, basato su conti truccati? La teoria – genere fantasy – della “austerity espansiva”, spacciata da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, da Harvard: fategli saltare i pasti, e l’affamato guarirà miracolosamente.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo del keynsiano Federico Caffè, interviene spesso nel dibattito pubblico per correggere le “fake news” immesse nel sistema da Carlo Cottarelli, tecnocrate di scuola Fmi e venerato dal Deep State (e dai media) come una sorta di vestale dei conti pubblici. Lo stesso Mattarella sventolò la “nomination” di Cottarelli a Palazzo Chigi per indurre a più miti consigli i gialloverdi, che all’economia volevano Savona. E’ semplicissimo, il ragionamento di Galloni, suffragato da prove incontrovertibili: ogni euro ben speso sotto forma di deficit “renderà” 3 o 4 volte tanto, l’anno seguente, in termini di lavoro, fatturato, assunzioni, gettito fiscale. E dato che la spesa pubblica produttiva fa crescere il Pil, il risultato è automatico: il debito pubblico, di colpo, farà meno paura (proprio perché supportato dalla famosa crescita, quella che forse – durante i governi Renzi e Gentiloni – De Bortoli avrà al massimo intravisto, lontana anni luce dall’Italia, solo grazie al potente telescopio di Piero Angela). Lo scomposto, imbarazzante Casalino? Perfetto, per permettere ai media di continuare – come sempre – a guardare il dito, anziché la Luna (quella vera, non la “American Moon” del film di Mazzucco). Tradotto: fino a quando un signore come Mario Draghi darà bei voti al nostro ministro dell’economia, per gli italiani saranno rogne. Meno soldi per tutti. “Austerity espansiva”: uno strano Ramadan, imposto da oligarchi che nessuno ha mai eletto. Una piovra tenace, con tentacoli ovunque – a partire dai ministeri economici. Appunto: possibile che i 5 Stelle non lo sapessero fin dall’inizio?«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».
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Magaldi al “fratello” Tria: con Draghi, finirete come Renzi
Non crediate di prendere in giro gli italiani: avete visto quanto ci ha messo, il prode Renzi, a passare dal 40% allo zero assoluto? Messaggio che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché massone progressista (Grande Oriente Democratico) rivolge proprio a quelle figure di garanzia, inserite nel governo gialloverde con una missione precisa: rompere, dopo tanti anni, la penosa consuetudine della sottomissione a Bruxelles. Qualcuno sta venendo meno agli impegni? Il primo indiziato è il professor Giovanni Tria, titolare del ministero dell’economia in virtù di «quell’incredibile attentato alla Costituzione che fu il “niet” proposto da Mattarella rispetto all’incarico a Paolo Savona». Ebbene, da oggi Magaldi lo chiama “il fratello Tria”, rivelando pubblicamente la sua identità massonica, per di più dichiaratamente “progressista”. Il problema? Molte chiacchiere, sin qui, ma pochi fatti. Peggio: insieme al ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, «già massone neo-aristocratico “di rito montiano”, poi apertosi all’impegno progressista», proprio Tria – alle prese con il delicatissimo bilancio 2019 – ha appena ricevuto il più scomodo degli endorsement, quello di Mario Draghi: essere “promossi” da Draghi, scandisce Magaldi, è un “premio” che nessun governante sinceramente democratico può permettersi, in quest’Europa impoverita dall’élite neoliberista e messa alla frusta proprio dalla Bce.Se c’è uno che davvero non può permettersi di dare “pagelle” a nessuno, questi è proprio il “fratello” Mario Draghi, dichiara Magaldi in web-streaming su YouTube con Marco Moiso, già coordinatore del Movimento Roosevelt: la Bce ha finora fatto esattamente il contrario di quello che sarebbe servito, per risollevare l’economia europea. Le è stato complice il Fondo Monetario guidato dalla “sorella” Christine Lagarde, «libera muratrice anch’essa contro-iniziata e neo-aristocratica». Non stupisce che oggi si parli di un clamoroso scambio di poltrone, da scongiurare in ogni modo: la Lagarde alla Bce, e Draghi “promosso” al Fmi. E perché mai? «Quale premio andrebbe dato a una banca centrale che ha lasciato che tutti i buoi uscissero dalla stalla, durante la crisi del 2011, consentendo allo spread di innalzarsi per poter poi commissariare i governi?». La banca centrale europea, aggiunge Magaldi, si è limitata a intervenire a cose fatte, «facendo il minimo indispensabile». E cioè: «Ha elargito denari al sistema bancario per propiziare l’acquisto dei titoli di Stato in modo da tener basso lo spread, ma al sistema produttivo reale non è arrivato nemmeno un euro: una situazione davvero verminosa». Ecco perché c’è da preoccuparsi – e molto – se il presidente della Bce oggi si spertica in elogi per il nostro ministro dell’economia, proprio mentre Tria sta approntando la legge di bilancio, intenzionato a mantenere la spesa pubblica (ancora una volta) ben al di sotto del minimo vitale, in ossequio ai signori di Bruxelles, Berlino e Francoforte.Magaldi, con Tria, non va per il sottile: caro ministro, il tempo della pazienza è scaduto. Ora dimostri di mantenere gli impegni presi, o il consenso al governo “gialloverde”, oggi ancora robusto, potrebbe scemare alla velocità della luce. «Abbiamo sostenuto l’esecutivo e lo sosterremo ancora – premette Magaldi – anche difendendo Salvini dalla demonizzazione di cui è vittima. Ma, a parte il legittimo scatto di dignità sul problema immigrazione (che poi richiederà anche una “pars construens”, per aiutare comunque quell’umanità che è migrante perché è sofferente), dal loro governo gli italiani si aspettano ben di più». Ovvero: fatti concreti per rianimare l’economia, come promesso, allentando la tassazione e introducendo misure espansive – che non potranno che dispiacere, ai signori della Disunione Europea. Dunque, stando così se cose, se invece Draghi fa i complimenti al governo italiano significa che c’è qualcosa che non va. Lo osserva il “rooseveltiano” Egidio Rangone, neo-responsabile del dipartimento economia (settore supervisionato da Nino Galloni, vicepresidente del movimento). Le perplessità di Rangone sono le stesse di Luciano Barra Caracciolo, sottosegretario agli affari europei: come si permette, il signor Draghi, di dare i voti all’Italia, quando nessun governo democraticamente legittimato può osare aprir bocca sull’operato della Bce?Giustamente, dice Magaldi, ci si domanda come mai la Bce possa continuare a essere «una specie di santuario su cui la politica non deve mai mettere le mani, secondo il paradigma neoliberista che governa questa Europa (speriamo ancora per poco)». La banca centrale europea, infatti, «non è controllata da nessuno: nessuno ne deve parlare, bisogna solo “ammaestrarsi” ai suoi giudizi». Non sorprende – e invece dovrebbe – il fatto che Draghi dia i voti ai ministri. Tanto peggio, se i voti sono buoni. E peggio ancora se a essere “promosso” è Giovanni Tria. Avverte Magaldi: «E’ giunto il momento di sciogliere alcune questioni riguardanti l’ambiguità, l’ambivalenza dell’operato del ministro Tria, che finora ho voluto interpretare in modo benevolo». Il punto è questo: «Inquieta non poco la lode che Mario Draghi fa al “fratello” massone Tria, visto che Tria era entrato in questo governo per rassicurare sul cambiamento annuncuiato». Doveva garantire, Tria, che la linea del governo sarebbe stata critica, rispetto all’attuale gestione Ue, nonostante il più che irrituale siluramento di Savona, da parte di Mattarella.Se il delicatissimo dicastero economico, anziché all’ex ministro di Ciampi, alla fine è stato dato «al massone sedicente progressista Tria», è proprio perché il professore, «nell’interpretazione benevola che ne abbiamo voluto dare sin qui», avrebbe dovuto magari «giocare di rassicurazione in rassicurazione», per poi però effettivamente «essere parte integrante di un lavoro di rinnovamento, nei rapporti tra la gestione dell’economia italiana e gli stralunati, strumentali e pidocchiosi atteggiamenti delle sedicenti istituzioni europee rispetto alla gestione del bilancio». Il “fratello” Tria, aggiunge Magadi, si era solennemente impegnato a guidare l’economia italiana con lungimiranza, «e quindi in modo opposto rispetto a quella che è stata la bussola nei governi almeno da Mario Monti in poi – ma potremmo parlare di un venticinquennio intero di paradigma dell’austerity, naturalmente con vicende diverse, che fino al 2011 avevano reso meno percepibile quello che si andava comunque costruendo, anche in termini di crisi italiana – già ben presente, sia pure in modo strisciante». C’è di che preoccuparsi, dunque, se oggi Draghi dice “bravo” a Moavero Milanesi, «massone accredidatosi come “convertito” a una visione massonica progressista e a una visione politica di rinnovamento democratico, e proprio per questo inserito nell’attuale governo».A maggior ragione, preoccupa il fatto che Draghi “promuova” Tria, cervello economico di un governo che ha promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e riforma della legge Fornero sulle pensioni, ma finora si è limitato alle chiacchiere, confidando – in modo imprudente – su sondaggi che danno la Lega sopra il 30% dei suffragi. Attenzione, sottolinea Magaldi: «Questo consenso è basato su un investimento per il futuro, proprio come il consenso di cui aveva goduto a suo tempo Matteo Renzi: dunque non ci si inebri, del consenso. E’ una sorta di cambiale, che richiede risultati precisi: ma di fatti, per ora, se ne sono visti pochi». Un avvertimento esplicito: «Il popolo potrebbe bocciare rapidamente il governo gialloverde, così come ha bocciato severamente centrodestra e centrosinistra, che per anni hanno giocato a prendere per i fondelli gli interessi degli italiani, simulando un’alternanza che non esisteva – perché c’era un consociativismo permanente, per cui la rotta economica in tutti i temi politici nevralgici era decisa altrove e solo eseguita, in modo pedissequo e bovino, da coloro che hanno occupato le istituzioni soprattutto per fare i propri affari». Ebbene: se Lega e M5S continuano soltanto a chiacchierare, l’esecutivo Conte non può illudersi di andare lontano.Magaldi avvisa: il Movimento Roosevelt (in pieno rilancio) non starà alla finestra: produrrà idee e critiche, anche attraverso iniziative editoriali ormai in cantiere, senza rinunciare all’idea di contribuire a creare un “partito che serve all’Italia”, «o per aiutare il governo attuale, che sembra zoppicare, balbettare e cincischiare molto ma produrre poco, o per sostituirsi ad esso nel portare avanti un testimone politico importante». Per Magaldi – non da oggi – il ruolo del nostro paese è decisivo: «Ormai lo si è capito, e l’avevamo detto tanti anni fa: dall’Italia può venire il cambiamento. Se non viene dall’Italia non verrà da nessun’altra parte. Quindi c’è una ragione storica. E francamente c’è ancora troppa moderazione e troppa subalternità, narrativa e ideologica, rispetto a ciò che dicono da Bruxelles e da Francoforte». Quanto a Draghi, già allievo post-keynesiano del grande Federico Caffè ma poi convertitosi al peggiore neoliberismo (privatizzazioni selvagge e svendita dell’Italia), Magaldi ha fornito un inquietante profilo nel volume “Massoni”, uscito per Chiarelettere nel 2014. Il presidente della Bce milita in ben 5 superlogge sovranazionali del massimo potere neo-aristocratico: si tratta delle Ur-Lodge reazionarie “Three Eyes”, “Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”e “Der Ring”.Queste strutture-ombra, rivela Magaldi, sono a capo dell’architettura che ha ridisegnato il mondo in modo autoritario, a partire dall’Ue, attraverso una globalizzazione a senso unico, che ha spolpato le classi medie piegando gli Stati alla “teologia” del rigore, demonizzando il deficit – cioè la leva strategica su cui si erano fondati i decenni del benessere diffuso. A Giovanni Tria dovrebbe guardare con estrema diffidenza un super-tecnocrate e supermassone reazionario come Draghi, direttore del Tesoro all’epoca del Britannia, poi promosso a Bankitalia, quindi stratega della Goldman Sachs nell’operazione-Grecia e infine “imperatore” della Bce. Che c’azzecca, Draghi, col governo gialloverde? «Questo personaggio – dice Magaldi – è davvero meritevole di rispetto e stima per la qualità della sua contro-iniziazione», espressione che nel linguaggio massonico significa: tradimento dell’impegno a lavorare per il bene della società. «Mario Draghi è davvero un brillante esempio di contro-iniziazione, sul piano massonico, e di declinazione perfetta della post-democrazia sul piano politico “profano”. E ora, con queste sue pagelle, lui che non vuole essere giudicato da nessuno, si permette di spiegare quello che deve o non deve fare il governo sovrano dell’Italia».Non staremo certo con le mani in mano, ribadisce Magaldi: «Quindi si prepari, Tria, perché sarà messo sotto esame, com’è giusto che sia, dall’opinione pubblica, inclusi i movimenti come il nostro». Non solo: «Tria sarà messo sotto osservazione dai “confratelli” progressisti cui aveva giurato di voler offrire un contributo importante per un rinnovamento democratico dell’Italia. E saranno valutati severamente, come sempre, anche personaggi come Draghi che – davvero – non perdono né il pelo né il vizio». Aggiunge Magaldi: «Tanto per non essere ambigui: come presidente del Movimento Roosevelt sto dando un avvertimento chiaro, al governo gialloverde. Abbiamo sostenuto l’alleanza e siamo vicini ad alcuni di loro – non a quelli che si gingillano in ipocrite massonofobie: il Consiglio dei ministri è pieno zeppo di massoni, tutti sedicenti progressisti. Ma qualcuno, a questo punto – ipotizza Magaldi – potrebbe rivelarsi “l’amico del Giaguaro”», una quinta colonna del potere neoliberista che ha colonizzato le istituzioni europee. Beninteso: «Nel governo non ci sono solo persone che stanno operando in senso ambivalente o sterile, ci sono anche presenze che si confermano positive. Ma il problema – conclude Magaldi – è che il dicastero dell’economia è affidato al “fratello” Tria, al quale è richiesto di gettare via ogni ambivalenza e di procedere in modo tale da non ricevere la lode di Mario Draghi: e la lode di Draghi è un sigillo che nessun serio governante che abbia a cuore il benessere dell’Italia può permettersi di ricevere».Non crediate di prendere in giro gli italiani: avete visto quanto ci ha messo, il prode Renzi, a passare dal 40% allo zero assoluto? Messaggio che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché massone progressista (Grande Oriente Democratico) rivolge proprio a quelle figure di garanzia che sono state inserite nel governo gialloverde con una missione precisa: rompere, dopo tanti anni, la penosa consuetudine della sottomissione a Bruxelles. Qualcuno sta venendo meno agli impegni? Il primo indiziato è il professor Giovanni Tria, titolare del ministero dell’economia in virtù di «quell’incredibile attentato alla Costituzione che fu il “niet” proposto da Mattarella rispetto all’incarico a Paolo Savona». Ebbene, da oggi Magaldi lo chiama “il fratello Tria”, rivelando pubblicamente la sua identità massonica, per di più dichiaratamente “progressista”. Il problema? Molte chiacchiere, sin qui, ma pochi fatti. Peggio: insieme al ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, «già massone neo-aristocratico “di rito montiano”, poi apertosi all’impegno progressista», proprio Tria – alle prese con il delicatissimo bilancio 2019 – ha appena ricevuto il più scomodo degli endorsement, quello di Mario Draghi: essere “promossi” da Draghi, scandisce Magaldi, è un “premio” che nessun governante sinceramente democratico può permettersi, in quest’Europa impoverita dall’élite neoliberista e messa alla frusta proprio dalla Bce.
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Galloni: erano soldi nostri, Genova sia l’inizio di una svolta
Poco meno di quarant’anni fa, il paese iniziò un percorso nuovo che l’avrebbe portato in un vicolo cieco, l’attuale vicolo cieco. Nel gennaio del 1981, infatti, facendo seguito a pressioni americane e mitteleuropee, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse una semplice lettera all’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi per informarlo che, da quel momento, la Banca d’Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico a bassissimi tassi di interesse che lo Stato non riusciva a vendere direttamente al mercato. Si voleva così sottrarre, senza passare per un voto parlamentare, alla classe politica corrotta e clientelare, lo strumento più importante, quello degli investimenti e della spesa pubblica produttiva. Da quel momento, in un colpo solo, lo Stato si vide equiparato a qualsiasi disgraziato che debba implorare soldi dalle banche, alle condizioni decise dal mercato cioè dalle banche stesse; il Tesoro non poté più decidere il tasso di interesse e, infatti, da allora il debito pubblico cominciò a schizzare dal 60% del Pil (1980) al 120% (1989).La spesa pubblica produttiva e per investimenti si contrasse, ma quella ordinaria e vincolata no, sicchè si ottenne esattamente l’opposto di quello che si auspicava: la qualità della spesa peggiorò; il paese si trovò in difficoltà; e la classe politica, sollevata dal compito di decidere le grandi strategie, si concentrò solo su clientelismo, corruzione e poltrone. Dopo il 1981 è stato un crescendo di misure volte a contenere la spesa pubblica e i disavanzi, accrescere la pressione fiscale, governare con l’assillo dei conti, legarsi sempre più mani e piedi per accettare quanto chiesto dall’Europa e ottenere un posto nell’euro in prima fila. Ma in questi quasi quarant’anni il mondo è cambiato radicalmente (sono aumentati esigenze, reti informatiche e telematiche, meccanizzazione delle infrastrutture, cambiamenti nell’edilizia civile e industriale, sensibilità per l’ambiente, la sicurezza e la salute); ma non si sono registrati sufficienti progressi sul fronte della cultura economica e politica. Si è accettata l’idea che le risorse pubbliche siano scarse e che i privati possano gestire tutte le attività meglio dello Stato.Quindi si è dimenticato che se talune attività è bene che vengano gestite con la logica del profitto, molti altri servizi (sanità, trasporti collettivi, infrastrutture) richiedono standard di sicurezza che per lo Stato sono investimenti e per i privati sono costi (da minimizzare). Ma se lo strumento delle privatizzazioni e l’obiettivo del profitto non risultano in certi casi adeguati perché gli operatori di Borsa guardano al livello del profitto e quest’ultimo è concorrente al costo della sicurezza, rimangono solo 4 strade. L’aumento delle tasse; ma nessuno lo vuole. L’aumento dei disavanzi pubblici, ma essi sono stati – a torto – demonizzati (invece si doveva continuare a finanziarli a bassi tassi di interesse). La moneta pubblica sovrana non a debito, ma quasi nessuno sa cos’è. Le partecipazioni statali che hanno vincolo di bilancio, ma non devono necessariamente massimizzare il profitto.Se non si accetta almeno uno dei 4 strumenti appena accennati è inutile ed ipocrita piangere i morti di Genova. Bisogna accettarli come le vittime di una guerra; una guerra che gli italiani stanno perdendo, come altri popoli, ma che – ora – debbono dimostrare di non volere. Non volete pagare troppe tasse o veder aumentare il debito pubblico? Benissimo, allora delle due l’una: o accettate le vittime derivanti da insufficiente manutenzione del territorio e delle infrastrutture o vi decidete a pensare in termini di sovranità monetaria e di ritorno alla spesa pubblica produttiva. Ogni Stato dell’Eurozona può emettere mezzi monetari a sola circolazione nazionale con cui pagare gli investimenti necessari: gli Stati e le banche centrali diversi dalla Bce non possono emettere banconote e moneta a corso legale in tutta l’Eurozona (articolo 128 del Trattato di Lisbona), ma nulla vieta la emissione di Statonote, monete di pezzatura non standard o biglietti di Stato a sola circolazione nazionale… Pensiamoci!(Nino Galloni, “Perché Genova sia l’inizio di una svolta”, da “Scenari Economici” del 19 agosto 2018. Autorevole economista neo-keynesiano, già allievo del professor Federico Caffè, Galloni è vicepresidente del Movimento Roosevelt).Poco meno di quarant’anni fa, il paese iniziò un percorso nuovo che l’avrebbe portato in un vicolo cieco, l’attuale vicolo cieco. Nel gennaio del 1981, infatti, facendo seguito a pressioni americane e mitteleuropee, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse una semplice lettera all’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi per informarlo che, da quel momento, la Banca d’Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico a bassissimi tassi di interesse che lo Stato non riusciva a vendere direttamente al mercato. Si voleva così sottrarre, senza passare per un voto parlamentare, alla classe politica corrotta e clientelare, lo strumento più importante, quello degli investimenti e della spesa pubblica produttiva. Da quel momento, in un colpo solo, lo Stato si vide equiparato a qualsiasi disgraziato che debba implorare soldi dalle banche, alle condizioni decise dal mercato cioè dalle banche stesse; il Tesoro non poté più decidere il tasso di interesse e, infatti, da allora il debito pubblico cominciò a schizzare dal 60% del Pil (1980) al 120% (1989).
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Galloni: più deficit ‘guarisce’ il debito, spiegatelo a Cottarelli
Un paio di giorni fa mi trovavo a mangiare una granita da Giolitti, con una parlamentare del M5S (ed il suo segretario) che era preoccupatissima per la tabella con la quale Cottarelli aveva dimostrato che, se non ci fosse stata la spending review del governo Monti, il rapporto debito pubblico/Pil sarebbe cresciuto al 145%. Lì per lì non ho dato molto peso alla preoccupazione, ma, per scrupolo, tornato a casa, mi sono procurato il ragionamento di Cottarelli e… mi sono messo a ridere. Infatti, la premessa del documento era: se la spesa pubblica cresce, è vero che c’è una crescita del Pil, ma aumenta anche il deficit e, quindi, la emissione di titoli del debito pubblico; il documento, poi, prosegue dimenticandosi tale premessa e asserendo che, “quindi” (quindi?), si poteva stimare tale peggioramento nel rapporto debito/Pil in ulteriori 12 punti percentuali. Bene, premesso che, durante la missione Monti, il rapporto debito/Pil è peggiorato di circa 11 punti, vediamo perché. Infatti, se io aumento la spesa pubblica, l’effetto sul Pil sarà più che proporzionale (si chiama moltiplicatore della spesa pubblica ed è l’effetto di cumulo e di spinta della spesa stessa): i più restii ad ammettere un effetto positivo della spesa pubblica sono gli economisti (antikeynesiani) del Fmi – cui Cottarelli dovrebbe guardare con partecipazione – secondo i quali detto rapporto è (solo) di 1,5. Vale a dire (solo) il 50% in più; stime di altre scuole e, soprattutto, l’evidenza empirica, lo portano correttamente a 2-3 volte e persino oltre.Quindi, se io aumento la spesa pubblica del 2%, avrò un aumento del Pil e, a parità di pressione fiscale, del gettito, del 3% (secondo le stime pessimistiche del Fmi, del 4 o 5% secondo le altre): “quindi”, la inutile e dannosa spending review ha impedito non solo al Pil, ma anche alle entrate, di aumentare. Ecco perché il rapporto peggiora a prescindere dal livello assoluto del debito che, in condizioni di spesa pubblica espansiva, diminuisce in percentuale del Pil. Allo stesso modo, le relazioni tecniche sul “decreto dignità” (che, spero sia solo un inizio di quanto serve al paese da tempo, vale a dire la riqualificazione dell’occupazione) riescono a discernere tra gli effetti espansivi – sulla domanda di lavoro, l’andamento dell’economia internazionale, su un orizzonte temporale di dieci anni: bravi! Risultato eccezionale! Veramente! Come? Non sappiamo che fine faremo tra un anno, quando si sentiranno gli effetti del termine del Quantitative Easing, cosa succederà tra Trump e la Cina, la Merkel che strizza l’occhietto a Putin (e vorrebbe affossare l’euro senza prendersene la responsabilità) e gli esperti sanno discernere di una misura che induce un ostacolo al proseguimento dei contratti a termine oltre i due anni?Finora, le imprese italiane, prevalentemente, avevano usato contratti a termine di pochi mesi ed un elevato turn over dei collaboratori: poco pagati, poco affezionati, poco motivati e si lamentavano se la professionalizzazione non era abbastanza elevata. Così, si domanda un cameriere qualificato dal venerdì sera alla domenica mattina per pagarlo 100 euro a we: non si trovano camerieri? E’ logico. Invece, proviamo a pagarli di più e a cercarli più professionalizzati e stai sicuro che ti faranno guadagnare di più. Pagali poco, trattali male, sostituiscili continuamente, lamentati che i “nostri” rifiutano i lavori e vedrai che guadagnerai di meno. Queste sono le due sfide che abbiamo di fronte: aumentare la spesa pubblica (anche con moneta parallela non a debito, mini bonds e certificati di credito fiscale) per ridurre il rapporto debito/Pil; migliorare la qualità della domanda e dell’offerta di lavoro per far crescere occupazione, paghe e profitti.(Nino Galloni, “Dai grafici di Cottarelli ai tecnici di Di Maio”, dal blog “Scenari Economici” del 15 luglio 2018. Tra i più autorevoli economisti italiani, il professor Galloni – docente universitario e già allievo di Federico Caffè – è vicepresidente del Movimento Roosevelt nonché fautore di una rinascita dell’economia italiana su base keynesiana, fondata cioè sul recupero di sovranità finanziaria da parte di uno Stato che torni finalmente a investire sulla piena occupazione, mettendo fine alla piaga sociale dell’austerity provocata a colpi di crisi dall’ideologia neoliberista e privatizzatrice).Un paio di giorni fa mi trovavo a mangiare una granita da Giolitti, con una parlamentare del M5S (ed il suo segretario) che era preoccupatissima per la tabella con la quale Cottarelli aveva dimostrato che, se non ci fosse stata la spending review del governo Monti, il rapporto debito pubblico/Pil sarebbe cresciuto al 145%. Lì per lì non ho dato molto peso alla preoccupazione, ma, per scrupolo, tornato a casa, mi sono procurato il ragionamento di Cottarelli e… mi sono messo a ridere. Infatti, la premessa del documento era: se la spesa pubblica cresce, è vero che c’è una crescita del Pil, ma aumenta anche il deficit e, quindi, la emissione di titoli del debito pubblico; il documento, poi, prosegue dimenticandosi tale premessa e asserendo che, “quindi” (quindi?), si poteva stimare tale peggioramento nel rapporto debito/Pil in ulteriori 12 punti percentuali. Bene, premesso che, durante la missione Monti, il rapporto debito/Pil è peggiorato di circa 11 punti, vediamo perché. Infatti, se io aumento la spesa pubblica, l’effetto sul Pil sarà più che proporzionale (si chiama moltiplicatore della spesa pubblica ed è l’effetto di cumulo e di spinta della spesa stessa): i più restii ad ammettere un effetto positivo della spesa pubblica sono gli economisti (antikeynesiani) del Fmi – cui Cottarelli dovrebbe guardare con partecipazione – secondo i quali detto rapporto è (solo) di 1,5. Vale a dire (solo) il 50% in più; stime di altre scuole e, soprattutto, l’evidenza empirica, lo portano correttamente a 2-3 volte e persino oltre.
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Magaldi: Galloni e Rinaldi nei ministeri, contro la tecnocrazia
Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra ci sono anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».Nomi autorevoli, che sempre «sarebbero utilissimi al back-office ministeriale del governo Conte», come anticipato dallo stesso Magaldi a “Colors Radio”, nel formulare la prima “cinquina”. Il primo della lista è ovviamente Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: economista post-keynesiano allievo di Federico Caffè, Galloni è stato un altissimo dirigente del back-office ministeriale italiano, già impegnato a contrastare l’impianto del Trattato di Maastricht, denunciato come sfavorevole all’Italia. Poi c’è Antonio Maria Rinaldi, altro docente universitario, allievo di Paolo Savona e creatore del newsmagazine “Scenari Economici”: già consulente e collaboratore di diverse banche private e della Consob, Rinaldi è stato anche direttore generale della Sofid, società “capogruppo finanziaria” dell’Eni. Altro nome: Claudio Quaranta, già importante funzionario in aziende del gruppo Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale malamente smantellato a suo tempo da Romano Prodi. Quaranta è un esperto di risorse umane e organizzazione gestionale; oggi è l’amministratore unico di Ics Group e coordinatore del progetto politico “Unione di Scopo”.Armando Siri? «Particolarmente adatto a un incarico viceministeriale, in questa fase», l’ha definito Magaldi, a poche dalla nomina. Per il futuro, il presidente del Movimento Roosevelt vede in Siri «un eccellente ministro dell’economia e finanze, o un titolare di altri dicasteri importanti». Neo-senatore eletto nelle fila della Lega, è l’ispiratore e curatore della «originalissima e benemerita» Scuola Politica del Carroccio. Magaldi considera Siri «tra i più importanti artefici della svolta della Lega in senso nazionale e della trasformazione del suo paradigma politico-economico in senso post-keynesiano, con inclusa proposta della Flat Tax: elementi “social”, quindi, positivamente contaminati con suggestioni autenticamente “liberali” di riduzione drastica delle aliquote fiscali». L’ultimo nome della “prima cinquina” proposta da Magaldi è quello di Aldo Storti, socio fondatore del Movimento Roosevelt nel 2015: ingegnere versato anche in studi umanistici, Storti è definito «intellettuale raffinato e studioso di tradizioni sapienziali occidentali e orientali». E’ il responsabile della regia tecnica della “Scuola politica della Lega”, nonché consulente in scienza della comunicazione e analisi socio-politiche. «La prospettiva pedagogica e culturale di area rooseveltiana – chiosa Magaldi – intende promuovere un nuovo ethos politico-civile». Tradotto: anziché tramare nell’ombra per le poltrone, è il caso di podurre esternazioni trasparenti, per rendere pubblico ciò che solitamente viene detto solo in privato.Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra dei virtuosi ci starebbero anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».
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Carpeoro: pericolo terrorismo, ora l’Italia ha nemici potenti
«Temo per l’Italia: c’è rischio di attentati, se si “smonta” il vertice dei servizi segreti». E’ un monito, quello che Gianfranco Carpeoro lancia al governo “gialloverde” appena insediato: l’attuale struttura di intelligence, dice, negli ultimi 4-5 anni ha vigiliato in modo efficiente sulla sicurezza del nostro paese, sventando stragi ed evitando all’Italia il sanguinoso “trattamento” cui sono stati sottoposti i maggiori partner europei, in primis la Francia, senza dimenticare la Germania e la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro si mostra pessimista: tanto per cominciare, premette, «non mi aspetto una lunga durata di questo governo». In più, aggiunge, «mi aspetto una diversa gestione della finanza, a nostro danno, da parte della Bce». E, dulcis in fundo: «Mi aspetto qualcosa nell’ambito del terrorismo, a breve termine». Ma l’arma del terrorismo, appunto, non è l’unica a disposizione della “sovragestione”: c’è il ricatto finanziario del debito, «abbuonato alla Germania ma non all’Italia», che si somma alla situazione esplosiva creata in Libia, contro l’Italia, dalla Francia: «Io quantificherei il danno e ai francesi chiederei un risarcimento, in soldoni, per l’enorme perdita economica che hanno inflitto, al nostro paese, con la vergognosa deposizione di Gheddafi organizzata allo scopo di accaparrarsi la Libia».Un’analisi a tutto campo, quella di Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela i retroscena – paramassonici, non islamici – della strategia della tensione internazionale scatenata in Europa e in Medio Oriente da settori d’intelligence manovrati da un’oligarchia altantica reazionaria: «Il famoso Abu Bakr Al-Baghadi, leader dell’Isis, è anche la tessera numero 12 della superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush». Tra i suoi esponenti, anche Nicolas Sarkozy. La massoneria francese oggi si schiera contro l’Italia? Sveglia, dice Carpeoro: «E’ da quando fu silurato Mitterrand che la massoneria francese condiziona la politica di Parigi in funzione anti-italiana». E vogliamo parlare della Germania, che ci tiene appesi al nostro ingente debito pubblico? «Qualcuno – scandisce Carpeoro – dovrebbe andare a Bruxelles e chiedere come mai alla Germania fu cancellato l’enome debito che aveva, al momento di fondare l’Unione Europea, mentre all’Italia non fa sconti nessuno. Il nuovo governo dovrebbe dire, semplicemente, di essere pronto a rispondere solo per il debito effettivamente riconducibile alla politica italiana, non a quello derivante dalla politica finanziaria europea», su cui non c’è mai stata una validazione democratica.“Sovragestione”, appunto: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia. Coincidenze: all’epoca «fu fatto sparire anche il professor Federico Caffè, eminente keynesiano». Per Carpeoro, la misteriosa scomparsa di Caffè – storico maestro di Mario Draghi, Bruno Amoroso e Nino Galloni – fu un messaggio chiaro, intimidatorio. Caffè si opponeva all’arrembante neoliberismo: dunque, chi lo avesse seguito avrebbe fatto la sua stessa fine. Draghi capì l’antifona e si mise al servizio del super-potere privatizzatore, quello che ha già tentato – con l’ostruzionismo di Mattarella – di fermare il governo Conte ponendo il veto su Paolo Savona, «altro allievo, guardacaso, di Federico Caffè». Oggi, l’Italia “gialloverde” è in mezzo a un guado pericoloso: Francia e Germania si preparano ad azzannarla, con l’aiuto della Bce. L’ultima cosa da fare, raccomanda Carpeoro, è sbaraccare l’attuale assetto dei servizi segreti che finora ci hanno protetto. Problema spinoso: per il momento, la delega l’ha mantenuta il premier. Di solito, spiega Carpeoro, viene attribuita al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che però in questo caso è Giorgetti, leghista come il ministro dell’interno Salvini. Due cariche che, per la prima volta, sono espresse dallo stesso partito.Secondo Carpeoro, il nuovo potere insediatosi a Palazzo Chigi potrebbe avere la tentazione di mettere la propria firma anche sui servizi. E qui si entrerebbe in zona pericolo: «Quella è una struttura che si è rivelata molto efficiente. Cambiarne i vertici – sottolinea l’analista – vuol dire mettersi nelle condizioni di correre un grosso rischio: sul piano squisitamente tecnico, delle competenze, non è detto che gli eventuali successori siano all’altezza dei predecessori». Fino a ieri, aggiunge Carpeoro, va detto che l’Italia non era esattamente nell’occhio del ciclone: la sua completa irrilevanza politica – i governi Renzi e Gentiloni, innocui per Bruxelles – la mettevano al riparo dal pericolo di maxi-attentati come quelli di Nizza e del Bataclan. «In ogni caso – precisa Carpeoro – i nostri servizi hanno comunque sventato, già allora, decine di attentati minori sul suolo italiano». Ma è adesso che il pericolo cresce: se l’Italia ha tanti nuovi nemici, proprio ora potrebbe essere messo in agenda, dalla “sovragestione”, anche un maxi-attentato sul suolo italiano. «Ecco perché farei di tutto – dice Carpeoro – per mantenere integra la struttura che finora ha garantito la nostra sicurezza».«Temo per l’Italia: c’è rischio di attentati, se si “smonta” il vertice dei servizi segreti». E’ un monito, quello che Gianfranco Carpeoro lancia al governo “gialloverde” appena insediato: l’attuale struttura di intelligence, dice, negli ultimi 4-5 anni ha vigilato in modo efficiente sulla sicurezza del nostro paese, sventando stragi ed evitando all’Italia il sanguinoso “trattamento” cui sono stati sottoposti i maggiori partner europei, in primis la Francia, senza dimenticare la Germania e la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro si mostra pessimista: tanto per cominciare, premette, «non mi aspetto una lunga durata di questo governo». In più, aggiunge, «mi aspetto una diversa gestione della finanza, a nostro danno, da parte della Bce». E, dulcis in fundo: «Mi aspetto qualcosa nell’ambito del terrorismo, a breve termine». Ma l’arma del terrorismo, appunto, non è l’unica a disposizione della “sovragestione”: c’è il ricatto finanziario del debito, «abbuonato alla Germania ma non all’Italia», che si somma alla situazione esplosiva creata in Libia, contro l’Italia, dalla Francia: «Io quantificherei il danno e ai francesi chiederei un risarcimento, in soldoni, per l’enorme perdita economica che hanno inflitto, al nostro paese, con la vergognosa deposizione di Gheddafi organizzata allo scopo di accaparrarsi la Libia».
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L’impresentabile Cottarelli, contro l’Italia che voleva Savona
L’Italia è vistosamente in subbuglio, dopo la decisione del presidente Mattarella di non consentire la nascita del “governo del cambiamento” bloccando – in modo controverso – la nomina di Paolo Savona, ministro designato all’economia. In attesa che si chiarisca il profilo giuridico della decisione, da più parti ampiamente contestata (fino alla possibile richiesta di impeachment nei confronti del capo dello Stato), emerge in mille rivoli un sentimento popolare che si sta rivelando maggioritario: l’amarezza per una decisione percepita come una beffa, uno schiaffo alla cosiddetta sovranità popolare. Eloquente lo stesso discorso del presidente della Repubblica dopo il licenziamento di Giuseppe Conte: impossibile nominare un ministro che rischi di irritare i mercati finanziari privati, da cui ormai dipende la finanza pubblica. A questo è ridotta la sovranità democratica, in nome della quale si chiede ai cittadini di partecipare alle elezioni? Di fatto, il capo dello Stato ha compiuto un’azione che secondo molti osservatori non ha precedenti, imponendosi sui partiti eletti nel bocciare un candidato ministro per le sue idee politiche. E come se nulla fosse accaduto, mentre il paese intero si interroga sul proprio destino, un tecnocrate del Fondo Monetario Internazionale accetta con la massima disinvoltura l’incarico di presidente del Consiglio.