Archivio del Tag ‘Federico Pizzarotti’
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5 Stelle, l’inganno mortale taglia le gambe al cambiamento
Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.L’ingloriosa agonia del Movimento 5 Stelle – 17% alle europee, votato da meno di un italiano su dieci e letteralmente sparito dai radar alle regionali – è da ascrivere all’impietoso confronto tra le mirabolanti promesse del 2018 e l’incresciosa cronachetta gialloverde, impregnata di codardia verso Bruxelles e costellata di tradimenti sfrontati. Leggasi obbligo vaccinale, F-35 e spese militari, Muos di Niscemi e Ilva di Taranto, gasdotto Tap, trivelle petrolifere in Adriatico, Tav Torino-Lione in valle di Susa. «Avete mai avuto la sensazione di essere presi per il culo?», domandò il rocker Johnny Rotten. «Affermativo», rispondono oggi i milioni di italiani che – dall’Alpe al Lilibeo – hanno smesso di votare 5 Stelle. Perché lo fecero, nel 2018, pur vedendo benissimo che le iperboliche fanta-promesse di Di Maio non sarebbero mai state realizzabili, se non in minima parte? Probabilmente speravano proprio in quella “minima parte”, non immaginando che si sarebbero invece ridotte a zero. C’era un equivoco, alla base dell’epocale malinteso. Ovvero: la speranza che, da qualche parte, i soldi necessari alle riforme sociali (le famose coperture) potessero spuntare. Dove? Nell’unico posto possibile: in un deficit adeguato, strappato in un energico negoziato con Bruxelles. Sarebbe stato il minimo sindacale, per avvicinare l’Italia alla generosissima flessibilità concessa alla Francia. Per non parlare del debito-fantasma cui attinge la Germania, truccando i bilanci alla faccia dell’austerity altrui.Di che pasta fosse, la fermezza grillina, lo si è visto con Di Maio, Conte e Tria. Ma c’erano precedenti allarmanti: come il trasloco tentato da Grillo nel 2016 per trasferire il gruppo europarlamentare pentastellato tra gli ultra-euristi dell’Alde, gli amici di Mario Monti, dopo aver sbandierato in Italia lo spauracchio di un referendum sull’euro. Acquattato nel suo apparente buen retiro di Genova, l’Elevato si sveglia sempre al momento opportuno per impartire i suoi diktat indiscutibili: l’idea di piazzare Conte a Palazzo Chigi, l’ordine di far eleggere Ursula von der Leyen alla Commissione Europea e lo sdoganamento improvviso del Pd renziano come alleato di governo. Un atto politico violento, quest’ultimo, come di consueto imposto dal centralismo di stampo sovietico con cui il signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, gestisce i sottoposti. Sapeva di poter contare sulla docilità dei parlamentari, terrorizzati dai sondaggi di fronte all’incubo delle elezioni anticipate. E non ha esitato a esibire lo spettacolo dell’amore per le poltrone, inflitto ai militanti che parlamentari non sono e, a differenza di deputati e senatori, non hanno stipendi d’oro a rischio di evaporazione. Ancora una volta, il pastore ha portato le pecore dove voleva. E l’ha fatto a reti unificate: tutta l’Europa ha visto di che sostanza è fatto il nostro ribellismo all’amatriciana in salsa pentastellata.Il colpo inferto dai 5 Stelle alla dolente democrazia italiana non è irrilevante: hanno dimostrato che si possono maneggiare valori forti – giustizia sociale, trasparenza, condivisione – facendone tranquillamente strame, dopo aver ingannato gli elettori. Al punto da indurre molti osservatori a ritenere che l’abbaglio collettivo del MoVimento non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un’abile operazione di gatekeeping per dirottare con sapienza il malcontento sociale verso lidi innocui. Malcontento peraltro esasperato dal neoliberismo globale, la “lotta di classe a rovescio” che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, interpretato in Europa da politici come Angela Merkel e la sua candidata Ursula von der Leyen, a cui non a caso è giunto in soccorso proprio il partito-caserma di Grillo. Neoliberismo feroce, altro che “reddito di cittadinanza”: Stato minimo, tagli al welfare, erosione dei risparmi, fine della classe media, precarizzazione del lavoro. In cambio, piccole battaglie di cartapesta come quella sulla riduzione dei parlamentari (funzionale, anche quella, alla diminuzione della rappresentatività democratica). Amara lezione, dai 5 Stelle: gli italiani che sognavano il cambiamento hanno imparato a non fidarsi più di chi lo promette, chiunque sia, specie se alza la voce nelle piazze. Un vero capolavoro politico, per la gioia dell’oligarchia che detesta la sovranità democratica.Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.
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Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
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Ecatombe di alberi in ogni città: intralciano il wireless 5G
Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?Nella “smart city” Prato sono scesi in strada gli attivisti del comitato locale “Stop 5G”, cartelli in mano hanno accompagnato la chirurgica esecuzione mostrando slogan su un’ipotetica correlazione col wireless di quinta generazione: “Più alberi, meno antenne”, l’equazione sfilata in corteo pure nel “Friday For Future”. E’ successo così anche alle porte di Roma, dove il “Comitato Stop 5G Cerveteri” ha diffuso una nota in cui veniva chiesto al sindaco ceretano di chiarire sulla contestata demolizione. Alessio Pascucci, primo cittadino nella città della necropoli etrusca ma pure coordinatore nazionale di “Italia in Comune” (il cosiddetto partito dei sindaci fondato dal parmense Pizzarotti dove è iscritta anche una consigliera della Regione Veneto firmataria di una mozione Stop 5G), è uscito allo scoperto accusando di teorie complottiste, rettiliane e terrapiattiste i difensori dell’ecosistema che nell’“Internet delle cose” ipotizzano il mandante del sincronico abbattimento di alberi, annunciato persino in 60.000 unità a Roma dalla giunta Raggi. Mentre in Abruzzo, nell’intento di scongiurare il de profundis, le “Mamme Stop 5G” portano i loro figli nei prati per farli abbracciare agli alberi, manco fossero scudi umani nell’avanzata dell’intelligenza artificiale.Puntando su studi e consulenze d’esperti, l’inchiesta di “Oasi Sana” prova a gettare un po’ di luce, tra le ombre di una polemica che promette strascichi non solo in sedi amministrative locali. Interviste e documenti alla mano, ecco cosa ne viene fuori su alberi e 5G. Alla faccia dei negazionisti. Il nesso esiste eccome: tra natura e intelligenza artificiale, tra albero e 5G la convivenza è critica… uno dei due è di troppo! «L’acqua, di cui in genere sono ricchi gli alberi e le piante, assorbe molto efficacemente le onde elettromagnetiche nella banda millimetrica», sostiene Andrea Grieco, docente di fisica a Milano ed esperto dei problemi legati all’inquinamento elettromagnetico. «Per questo motivo costituiscono un ostacolo alla propagazione del segnale 5G. In particolare le foglie, con la loro superficie complessiva elevata, attenuano fortemente i segnali nella banda Uhf ed Ehf, quella della telefonia mobile. Gli effetti biologici sono ancora poco studiati, però alcune ricerche rilevano danni agli alberi e alle piante sottoposte a irraggiamento da parte delle Stazioni Radio Base (le antenne spesso sui tetti dei palazzi, Ndr)».Quindi il sillogismo è presto fatto: alberi = clorofilla = acqua. E le inesplorate microonde millimetriche dalle mini-antenne 5G (senza studio preliminare sugli effetti per l’uomo, nonostante le radiofrequenze siano possibili cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) trovano nell’acqua e negli alberi un ostacolo nel trasporto dati, non avendo il segnale del wireless di quinta generazione lo stesso campo elettrico né la stessa penetrazione a lungo raggio dei precedenti standard 2G, 3G e 4G. In pratica, l’albero funge da barriera. Le foglie dell’albero assorbono lo spettro di banda del 5G, impedendone l’ottimale ricezione del segnale emesso dalle mini-antenne!Un documento di 46 pagine dell’autorevole Ordance Survey (si tratta dell’ente pubblico del Regno Unito incaricato di redigere la cartografia statale) sulle pianificazioni geo-spaziali del 5G stilato come manuale d’uso per pianificatori e autorità locali dal Dipartimento per la digitalizzazione, cultura, media e sport, afferma che nelle strade urbane si deve prima di tutto «valutare se l’area ha un flusso di traffico significativo e in particolare autobus e camion», per poi considerare come il segnale del 5G possa essere impattato, cioè ostacolato, «identificando tutti gli oggetti significativi in genere», con altezza «oltre i 4 metri», quali (ad esempio) «pareti alte, statue e monumenti più piccoli, cartelloni pubblicitari» e (guarda caso) «alberi di grandi dimensioni e siepi alte», poiché arbusti, foglie e rami «devono essere considerati come bloccanti del segnale» del 5G al pari di materia solida (pietra e cemento).Se durante i test di valutazione ingegneristica sulla velocità di trasmissione del 5G condotti in particolari condizioni atmosferiche (neve, pioggia intensa) il colosso americano Verizon ha individuato nelle foglie sugli alberi un problema, sempre d’oltre Manica un altro documento (già pubblicato in esclusiva su “Oasi Sana”) conferma il nesso alberi e 5G. E’ dell’Istituto per i sistemi di comunicazione dell’Università britannica di Surrey a Guildford (Est Inghilterra) e dice come i «nuovi modi con cui le autorità di pianificazione locali possono lavorare con gli operatori di reti mobili per offrire enormi opportunità future per le comunità locali (…) è ridurre le altezze dei montanti mobili in modo che siano schermati visivamente da edifici e/o alberi, visto che gli alberi rappresentano l’ostruzione più alta e più probabile. Tuttavia, ciò scherma anche i segnali a radiofrequenza e ha sconfitto l’obiettivo di una copertura affidabile» del 5G. «Le curve tracciate nel diagramma – continua il testo redatto dai cattedratici – mostrano come all’aumentare dell’altezza dell’albero, sopra la linea di irradiazione della stazione radio base, aumenta anche quella che è noto come la ‘zona di Fresnel’ o perdita di ombre».Giungendo al dunque, infine, dall’Inghilterra vengono smascherati i conflitti tra alberi e 5G, ovvero cono d’ombra e segnale wireless sui lampioni della luce: «Per evitare questa perdita di ombreggiamento ed essere al di fuori della zona di Fresnel, è necessario che l’altezza dell’albero sia almeno 3 metri inferiore rispetto all’altezza della stazione di base». In definitiva, sia gli studiosi del 5G dell’Ordance Survey che quelli di Surrey a Guildford, convergono sullo stesso punto dicendo apertamente la stessa cosa: gli alberi con altezza ricompresa tra i 4 e i 3 metri sono un intralcio, un vero e proprio ingombro per la diffusione del segnale elettromagnetico del 5G che, irradiato dai lampioni della luce, non verrebbe recepito a terra dai nuovi Smartphone! Come anticipato dal fisico Andrea Grieco, che foglie e piante assorbano l’elettrosmog è risaputo. Lo certifica anche uno studio dell’americana Katie Haggerty che, sul giornale internazionale per le ricerche forestali, ha pubblicato gli esiti sull’influenza nociva delle radiofrequenze sulle piante. «Numerosi episodi si sono stati registrati in Nord America», deduce la ricercatrice, condotti esperimenti su piante schermate e non, irradiate da campi elettromagnetici.«La morfologia e il comportamento dei due gruppi esposti a radiofrequenza erano molto simili. Piantine non schermate e finte schermate avevano tessuto fogliare che variava di colore dal giallo al verde e un’alta percentuale di tessuto fogliare in entrambi i gruppi esposti mostrava lesioni necrotiche. Le foglie nel gruppo schermato erano sostanzialmente prive di lesioni del tessuto fogliare, ma le foglie non schermate e finte schermate erano tutte influenzate in qualche misura dalla necrosi del tessuto fogliare». In conclusione, oltre che per l’umanità, l’elettrosmog è pericoloso per ecosistema e piante. E gli alberi sono un intralcio al grande business del 5G. Certo, da qui a dire che tra Europa e America decine di migliaia di alberi siano stati sicuramente abbattuti per installare nuove antenne a microonde millimetriche ce ne passa, ma è un dubbio fondato e tutt’altro che azzardato su cui le istituzioni sono chiamate a chiarire. Responsabilmente. Senza inutili giri di parole. Anche perché la verità sarà nella prova dei fatti. Su quelle stesse strade senza più verde, spunteranno come funghi antenne 5G dai lampioni della luce?(Maurizio Martucci, “Ecatombe di alberi. Intralciano il wireless del 5G”, da “Oasi Sana” del 15 aprile 2019).Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?
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+Europa? I peggiori di sempre: hanno disastrato l’Italia
Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.Il segretario nazionale della neonata formazione +Europa è Benedetto Della Vedova. Anche per lui un curriculum politico lunghissimo che parte dai Radicali (movimento cuore di +E) e passa per il governo Monti, il governo tecnico voluto da Bruxelles e che arrivò alla maggioranza in Parlamento nel novembre del 2011 dopo aver rovesciato il governo precedente con la vetusta tecnica della Rivoluzione Parlamentare. Tecnica usata per la prima volta in Italia da Agostino Depretis nel 1876 e che consiste nel condizionari i parlamentari a formare governi diversi da quelli indicati dai cittadini col voto. Della Vedova, oggi leader con la Bonino di +Europa, fu sostenitore di Monti ed eletto nel 2013 tra le fila del suo partito, poi continuò la carriera come sottosegretario agli esteri nei governi europeisti di Renzi e Gentiloni. Questi i nomi più noti della lista, che però annovera tantissimi altri politicanti che hanno esercitato già la loro attività come decisori di cose pubbliche, da Pizzarotti a Taradash. Ebbene, come andò l’Italia negli anni di Mario Monti e Letta, che governarono grazie all’appoggio ideologico +europeista?Secondo diversi media, con l’arrivo dell’austerità voluta dai tecnici, Monti in primis, in Italia aumentarono i suicidi economici. I dati non sembrano confermare questa convinzione, che sarebbe dunque in linea con quanto avveniva purtroppo anche negli anni precedenti. Ciò che è fuori discussione, invece, sono gli altri dati macroeconomici. Il Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza del paese, con Monti calò drasticamente fino a far parlare qualche economista di depressione stile 1929. Se escludiamo il calo del 2008/2009 che riguardò tutte le economie avanzate dell’Occidente causa bolla americana, nel 2012, anno di governo europeista di Monti, mentre tutti i paesi risalivano la china, l’Italia fece un capitombolo a -2,4 (reale: -2,8 secondo la fonte Ameco). La produzione industriale risulta essere in calo da anni, e non è questo il momento di andare a vedere il perché. Ma se il calo era stato contenuto, con una media di circa -1,8, è con Mario Monti ed Enrico Letta che arriva il disastro: -3,6 per cento di produzione industriale con Monti e -2,7 con Letta.La tendenza all’aumento della disoccupazione risale all’ultimo governo Berlusconi, ma lo scettro spetta ancora una volta a Monti. E’ con lui che abbiamo il più grande (e grave) contributo alla disoccupazione italiana. Con il governo dell’austerità, infatti, la disoccupazione aumentò dell’1,3 per cento in media all’anno e del 3,7 per il settore giovanile. Con Monti e Letta (da aprile 2012 a fine 2013) la disoccupazione giovanile raggiunse il picco della storia superando abbondantemente il 40 per cento. Tanto per fotografare meglio il dato sulla disoccupazione, basta osservare che oggi gli italiani disoccupati sono il 10,8 per cento, mentre con Monti sfioravano il 12. Tra i giovani era disoccupato il 40 per cento, mentre oggi lo è il 32. “Già, ma Monti fu nominato per risolvere il problema dello spread”. Già mi sembra di sentire la solita solfa europeista sul terrore (immotivato) dello spread. Ma accettiamo la sfida e vediamolo nel dettaglio. Il rapporto deficit/Pil prima del governo piùeuropeista era del 116%. Quando Monti si dimetterà, nel 2013, era al 130%. Lo spread tra i titoli di Stato italiani Btp e i Bund tedeschi aveva sfondato i 500 punti a novembre 2011, ed era stato il dato macroeconomico che aveva convinto i parlamentari italiani a rovesciare il governo politico e a sostituirlo con quello tecnico di Monti.Monti governò circa un anno e mezzo, e per tutti quei mesi lo spread oscillò tra i 300 e i 500 punti. Per molti mesi, anzi, per tutto l’inizio del mandato, lo spread “di Monti” sarà più verso quota 500 che 300, ma a luglio 2012 Draghi pronunciò un famoso discorso durante il quale sostenne che i titoli dei paesi in difficoltà sarebbero comunque stati acquistati, ed ecco che allora (e solo allora) lo spread cominciò un lento calo. Persino l’inflazione non andò bene, con quei governi, perché ci furono tasse per i consumatori (aumento dell’Iva) e gabelle per i risparmiatori (bollo sui depositi). Secondo molti analisti, e soprattutto secondo i numeri, che non hanno colore, i governi piùeuropeisti della prima metà del decennio sono stati di gran lunga i peggiori della storia repubblicana. I danni che hanno fatto in termini occupazionali, di relazioni tra gli italiani, di produzione e di welfare li stiamo ancora pagando cari, a cinque anni di distanza. +Europa per entrare nel Parlamento Europeo dovrebbe superare la quota di sbarramento del 4 per cento. E non ce la farà, perché gli italiani sono smemorati, sì, ma non stupidi.(Massimo Bordin, “Quelli di +Europa hanno già governato, ecco come andò”, dal blog “Micidial” del 23 maggio 2019).Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.
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Giannuli: Salvini mollerebbe i 5 Stelle, ma non per Silvio
Codice degli appalti, nomine, Tav, autonomia, recessione e assenza di investimenti sono i nodi sui quali si misura quotidianamente la distanza tra M5S e Lega. Tanto che il Quirinale, preoccupato per lo stallo del paese, starebbe lavorando attivamente alla rottura del patto di maggioranza, favorendo una ricomposizione del centrodestra (cui non mancherebbe un’interlocuzione col Pd). Una trappola che Salvini ha fiutato: lo dimostrano le garanzie di fedeltà fatte a Di Maio e il lavoro di “protezione” discreta del leader 5 Stelle che il ministro dell’interno ha raccomandato ai suoi. Salvini ha un problema di tempo: vuole liberarsi dei 5 Stelle, però non può farlo prima di avere normalizzato la destra, togliendosi dai piedi Berlusconi. Due le strade: o tenendo a bagnomaria Forza Italia e prendendosene un pezzetto ogni tanto, vedi le ultime elezioni, o aspettando che il Cavaliere tolga il disturbo. A quel punto si va al voto e Salvini si candida come capo di tutta la destra, con l’obiettivo di fare un governo suo. Questa situazione di stallo corre il rischio di durare troppo, e non è detto che il vento continui a soffiare nelle vele di Salvini. In realtà un poco sta calando, e Salvini se n’è accorto. In Sardegna non ha stravinto, e in Abruzzo è andato bene ma non benissimo. Può anche succedere che le tensioni nel governo esplodano tra una settimana. Ma è meno probabile.Quali sono i fattori più destabilizzanti? Ce ne sono diversi. La crisi economica, le pressioni dell’Unione Europea, la manovra d’autunno. Ancor prima le elezioni in Basilicata (il 24 marzo). Non è la Lombardia, è vero, però una terza sconfitta di seguito dei 5 Stelle anticiperebbe il risultato delle europee, condizionandole. Per quanto Salvini non abbia interesse a esasperare la situazione, i 5 Stelle potrebbero essere tentati di puntare i piedi su tutto. A cominciare dalla Tav e dall’autonomia differenziata, proprio per far vedere che non è Salvini a comandare. Sulla Tav, Tria ha ragione. Anche ammettendo che l’opera è sbagliata (e io sono tra quelli che l’hanno sempre pensato), non si possono firmare accordi internazionali, accettare i finanziamenti dell’Ue e poi tirarsi indietro perché è cambiato il governo. Più dei soldi vale la parola del paese. Venir meno ai patti vuol dire scoraggiare tutti gli investitori, anche coloro che potrebbero acquistare il nostro debito pubblico, con buona pace delle missioni di Giorgetti a Londra e negli Stati Uniti.Gli Usa vedono nell’Italia un grimaldello per scardinare l’Unione Europea, l’Ue è pronta a giocare in Italia con Mario Draghi la sua ultima carta. Come andrà a finire? E’ presto per dirlo. Occorre innanzitutto vedere quale sarà il risultato delle europee, che secondo me ci daranno un Europarlamento ingovernabile, per quello che conta il Parlamento Europeo. Io non sono affatto sicuro che socialdemocratici e popolari insieme avranno ancora la maggioranza, e ci metto anche i liberali. Si prospetta il caos? E’ molto probabile. Senza contare la stagione delle elezioni nazionali che si aprono dopo le europee. Se i partiti antieuropeisti hanno successo, l’Unione Europea rischia di perdere i paesi uno alla volta. Previsioni sul risultato italiano? Non sappiamo nemmeno quali saranno le liste. De Magistris si candida? Pizzarotti fa l’accordo con la Bonino? Si fa il listone di Calenda oppure no? Le variabili sono ancora troppe. Scissione 5 Stelle? Secondo me prima delle europee è difficile, a meno che non si mettano a fare espulsioni. Dopotutto, è possibile.(Aldo Giannuli, dichriarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Salvini vuole mollare M5S ma Berlusconi non glielo permette”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 1° marzo 2013).Codice degli appalti, nomine, Tav, autonomia, recessione e assenza di investimenti sono i nodi sui quali si misura quotidianamente la distanza tra M5S e Lega. Tanto che il Quirinale, preoccupato per lo stallo del paese, starebbe lavorando attivamente alla rottura del patto di maggioranza, favorendo una ricomposizione del centrodestra (cui non mancherebbe un’interlocuzione col Pd). Una trappola che Salvini ha fiutato: lo dimostrano le garanzie di fedeltà fatte a Di Maio e il lavoro di “protezione” discreta del leader 5 Stelle che il ministro dell’interno ha raccomandato ai suoi. Salvini ha un problema di tempo: vuole liberarsi dei 5 Stelle, però non può farlo prima di avere normalizzato la destra, togliendosi dai piedi Berlusconi. Due le strade: o tenendo a bagnomaria Forza Italia e prendendosene un pezzetto ogni tanto, vedi le ultime elezioni, o aspettando che il Cavaliere tolga il disturbo. A quel punto si va al voto e Salvini si candida come capo di tutta la destra, con l’obiettivo di fare un governo suo. Questa situazione di stallo corre il rischio di durare troppo, e non è detto che il vento continui a soffiare nelle vele di Salvini. In realtà un poco sta calando, e Salvini se n’è accorto. In Sardegna non ha stravinto, e in Abruzzo è andato bene ma non benissimo. Può anche succedere che le tensioni nel governo esplodano tra una settimana. Ma è meno probabile.
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Contro Salvini i Tg, Papa Mattarella e il presidente Bergoglio
Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.Sulla rivolta dei sindaci populisti – Leoluca Orlando e Giggino de Magistris sono due tribuni della plebe, e nasce populista pure l’ex grillino e neo-furbino Pizzarotti – l’informazione nazionale, la rappresentazione pubblica, è dalla parte loro, vede il mondo coi loro occhi, col loro linguaggio. Il ministro dell’interno è trattato come un esterno, un cocciuto nemico dell’umanità che oppone ai sindaci non una legge votata dal Parlamento ma – dicono molti Tg e rassegne stampa – “un muro”, che è la parola infame nel gergo mediatico-ideologico per bollare tutti i Trump e i trumpettieri del pianeta. Penso ai tempi bui in cui c’era la lottizzazione, il manuale Cencelli, la spartizione. In quel tempo c’era un criterio non detto ma praticato che grosso modo era questo: un terzo degli spazi va al governo, un terzo alla maggioranza che lo sostiene e un terzo all’opposizione. Regola becera ma a suo modo equilibrata, dosaggio chimico in uso soprattutto nell’ammiraglia della Rai che di fatto dava due terzi di rilievo e di ragione a chi governa e un terzo a chi si oppone. Poi arrivò Renzi e riuscì a fare perfino peggio della lottizzazione, tutto venne renzizzato. Ora, sarò un maldestro spettatore ma a me pare che, salvo fatti e sfumature, l’intonazione generale è la stessa di prima, la linea è rimasta quella (si salva un po’ il Tg2).La presenza delle opposizioni in video è ampia e articolata, quella della maggioranza è didascalica e minore. E’ fuori dal racconto. Il dosaggio delle notizie e delle facce a malapena è cambiato perché la realtà di fatto è cambiata: ma la rappresentazione è sempre la stessa. Gli oppositori sono dentro il racconto, i governativi lo interrompono. Figurano come Paolini, il disturbatore dei Tg. Certo, non si cambia dall’oggi al domani. Certo, se cambi i vertici, il personale poi resta sempre lo stesso, la stessa provenienza, lo stesso sindacato, la stessa trafila di carriera e la stessa ideologia. Certo, anche le figure nominate sono più o meno dell’area di prima, non vengono dalla luna, hanno lo stesso pedigrèe catto-vago-sinistrese; ma questo succede se vai al governo sprovvisto di una classe dirigente, tu e il popolo o la rete e in mezzo niente… «Ho preso il Tg e la rete ma non so cosa mettermi addosso». Sulla Tv in generale, è normale poi che devi sciropparti le stesse robe di sempre, le fiction, i programmi preconfezionati e decisi in epoca antecedente. Siamo ancora sotto effetto dei farmaci e delle indigestioni precedenti. D’altra parte per essere realmente alternativo devi avere una tua interpretazione storica, una visione culturale… Se non ce l’hai soccombi, ti limiti a sparare tweet e video.Al governo ci sono i marziani, o meglio i marziani e i saturniani insieme, e invece la rappresentazione del paese è la stessa di prima. Cambia solo l’annuncio dei provvedimenti di governo: ogni giorno una versione diversa delle pensioni, del reddito di cittadinanza, di quota 100 e roba varia. L’effetto comico è che agli occhi dei Tg, perfino il Pd sembra una cosa viva, seria, unita. Quanto a lungo potremo vivere con questo schema bipolare, ma nel senso del disturbo psichiatrico e non dell’alternanza democratica? Quanto potrà durare questa schizofrenia tra la realtà e la rappresentazione? Il governo da una parte, l’egemonia dall’altra. Non è una preoccupazione di ordine elettorale, perché più le fabbriche del pregiudizio stampano moneta falsa più la gente va in direzione opposta. Semmai ci preoccupa proprio l’effetto che producono, la diffidenza della gente verso i media, il disgusto e il fastidio, l’alibi per non leggere, non ascoltare, non documentarsi, tanto è sempre la stessa minestra. Preoccupa un paese dove l’ideologia oscura i fatti e deforma la verità; che non sono mai solo da una parte.(Marcello Veneziani, “Tutto come prima”, da “La Verità” del 4 gennaio 2019: articolo ripreso sul blog di Veneziani).Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.
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Giannuli: i 5 Stelle guastati dal potere che volevano battere
C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.Le critiche di Giannuli si sono fatte più frequenti e forse più aspre, per cui non è stato un caso che nelle recenti elezioni politiche, alla Camera non ha votato 5 Stelle ma “Potere al Popolo”. «Non sono io che mi sono man mano allontanato dal M5S: io sono rimasto fermo, è il M5S che ha preso altre strade». Per esempio, la guida “carismatica” dell’uomo solo al comando. «Il M5S al quale mi ero avvicinato era quello dell’“uno vale uno” che, pur non senza contraddizioni anche evidenti, rifiutava l’idea di un capo politico che decidesse tutto». In quelle “contraddizioni anche evidenti”, Giannuli evita di nominare Grillo, il designatore di Di Maio; non che ai tempi di Beppe, cioè quando sulla scena stava l’ex comico, contasse davvero l’“uno vale uno”: bastava un sospiro del Capo per esiliare chiunque avesse osato ragionare con la propria testa, da Pizzarotti in giù. Comunque la si veda, secondo Giannuli, le cose sono ulteriormente peggiorate: «Oggi, nel movimento vige un regolamento che nessuno ha mai approvato e che dà pieni poteri al capo politico, sino al punto di dargli la possibilità di nominare i capigruppo parlamentari non più eletti (cosa che non ha precedenti nella storia del Parlamento repubblicano)».Aggiunge Giannuli: «Il M5S al quale mi ero avvicinato parlava di democrazia diretta, anche con un’enfasi eccessiva che si traduceva in un discutibile rifiuto della democrazia rappresentativa; oggi di democrazia diretta non si parla più ed è restato solo un antiparlamentarismo ancora più inquietante di ieri». Nostalgia dichiarata: «Il M5S cui mi ero accostato miscelava temi di destra (come l’ostilità verso gli immigrati) con temi di sinistra (come la difesa dell’articolo 18) ma aveva una decisa avversione ai poteri finanziari (ricordiamoci le partecipazioni di Grillo alle assemblee degli azionisti Telecom)». Oggi invece Di Maio «dice che i governi devono tener conto dell’orientamento dei mercati finanziari». Sta cadendo un velo che in realtà esisteva già prima: Giannuli non se n’era accorto? «Il M5S con il quale iniziai a collaborare – aggiunge – si schierò decisamente per la legge elettorale proporzionale e contro la riforma renziana della Costituzione in difesa della Costituzione repubblicana del 1948». L’edizione più recente del movimento, invece, «ha fatto non poche concessioni nel dibattito sulla legge elettorale (in particolare quando si parlò di metodo tedesco) e, con ogni evidenza, si appresta a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario».Quanto alla Costituzione, la pretesa di avere la presidenza del Consiglio sulla base della maggioranza relativa ottenuta nel voto per l’elezione della Camera «è solo la premessa logica di una riforma di indirizzo presidenziale», sostiene Giannuli. «Ma allora, perché ci si è opposti alla riforma di Renzi?». Il professore ha combattuto il ras del Pd in quel referendum perché era «contrario alla sua riforma», non per fini reconditi. «Mi viene il dubbio – dice – che qualche altro ha combattuto quella riforma solo perché voleva togliere di mezzo Renzi». Di fatto, ribadisce Giannuli, cinque anni fa il Movimento 5 Stelle «entrò nelle stanze del potere per ribaltarle», mentre quello oggi capitanato da Di Maio «non si sottrae all’abbraccio mortale del potere consolidato». Non hanno cambiato il potere, scandisce il professore: al contrario, è il potere che ha cambiato loro. «Non sono mai le persone a fare progetti di potere: è il potere che fa progetti sulle persone», sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, altro estimatore della base grillina – ma severo censore del vertice: «Di Maio – dice – era la peggior scelta possibile, per i 5 Stelle: un uomo inconsistente e condizionato dalla finanza anglosassone, sovragestito da un personaggio ambiguo come il politologo statunitense Michael Ledeen, supermassone del B’nai B’rith, legato ad ambienti sionisti del massimo potere mondiale, specialisti in manipolazione geopolitica».Visto dal punto di vista di Giannuli (che, a differenza di Carpeoro, con i 5 Stelle ha interagito direttamente) il paesaggio è ingombro di macerie: «Il M5S con cui ho collaborato – racconta il professore – fece un’epica battaglia parlamentare contro la “riforma” della Banca d’Italia che ne faceva dono alle principali banche nazionali. La legge prevedeva tre anni di tempo per mettere sul mercato le azioni possedute in eccesso dai pochi oligopolisti, il limite è scaduto nel 2017 senza che sia avvenuto niente: e il M5S non dice niente, preferendo posare occhi vogliosi sulla Cassa Depositi e Prestiti, in perfetto stile “spoil system”. Certo, sin qui è stata gestita malissimo, ma quale è il rimedio? Piazzare qualche amico? Non so». Altrettanto preoccupante il rapporto con Bruxelles, capitale dell’austerity: «Oggi non solo non si parla proprio più di uscita dall’euro – scrive Giannuli – ma si fa dell’oltranzismo filo Ue, e si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del Parlamento Europeo, “En Marche”». Il movimento grillino delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, certo, «ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra», rileva il politologo. E oggi? «Quella ambiguità è sciolta», ma nel modo peggiore: «Pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra».Fatemi scendere, dice Giannuli. E spiega: «Io ero e sono sempre rimasto di sinistra», dunque la convergenza verso lo “xenofobo” Salvini sarebbe quanto mai indigesta. «Potevo convivere con l’ambiguità iniziale, ma non con una cosa esplicitamente di destra». Dopo aver lungamente tollerato la non-chiarezza dei grillini, ora Giannuli vota contro la spiacevole franchezza di Di Maio e soci. Per cui, aggiunge, non stupitevi: «Sapete che sono anticonformista». Ovvero: «In un paese in cui (quasi) tutti salgono sul carro del vincitore, io scelgo di scendere». Precisa: «Sarò grato ai conduttori televisivi che non mi presenteranno più come “vicino al Movimento 5 stelle” ma come persona “che è stata a lungo vicina al M5S». Intendiamoci, niente di personale: «Nessuna acrimonia e nessuna ostilità preconcetta». Distacco nel giudizio, serena equanimità: «Quando il M5S farà scelte condivisibili lo difenderò, quando ne farà di segno opposto lo criticherò». Ma sempre nel merito, assicura Giannuli. Perché, «nonostante tutto», cioè malgrado Di Maio, il Movimento 5 Stelle «è ancora oggi una importante risorsa per il paese». E quindi «sarebbe altamente auspicabile che correggesse questa discutibile rotta». Benvenuto tra noi, potrebbero dire a Giannuli alcuni milioni di italiani, tra il 27% degli aventi diritto, che il 4 marzo hanno valutato inevitabile l’astensionismo elettorale, dopo aver visto Di Maio inchinarsi ai santuari della finanza-canaglia.C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.