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Il segreto di Renaissance, misteriosi matematici miliardari
Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».Grazie alle conoscenze di matematici e informatici di alto livello, Renaissance Technologies è diventato un colosso finanziario senza uguali al mondo: fa molto meglio di personaggi come Ray Dalio e George Soros, con un patrimonio (nel 2015) di oltre 60 miliardi di dollari. L’importanza della Renaissance è confermata dalla giornalista Katherine Burton, di “Bloomberg”, tra le pochissime voci a far luce sulla realtà di questo hedge fund. Il funzionamento dei loro sistemi dipenderebbe da un algoritmo che sarebbe «tra i segreti meglio celati al mondo». Una setta esoterica di matematici pitagorici, hanno definito i misteriosi “uomini d’oro” della Renaissance: «Nessuno lascia quel posto di lavoro: per tenersi stretti i dipendenti è stato creato un fondo ad hoc a loro riservato». Da quando è nato, il fondo Medallion ha guadagnato in media il 40% l’anno. «Chi all’inizio ha investito 1.000 dollari, ora si ritrova in tasca circa 14 milioni». Il famoso “algoritmo misterioso” sfrutterebbe il “machine learning”, «una branca dell’intelligenza artificiale che affida ai computer la capacità di imparare da soli, senza il bisogno che siano programmati esplicitamente».Robert Mercer, che ha sostituito Simons alla guida del fondo, è un noto esponente dell’estrema destra americana. «Ha investito 11 milioni di dollari nel giornale online “Breitbart” ed è il fautore dell’applicazione del machine learning all’interno delle campagne elettorali», scrive “Money.it”. «Il banco di prova sono state le elezioni Usa nel 2016: non riusciamo ad immaginare quanti soldi abbia guadagnato Renaissance Technologies con l’“inaspettata” vittoria di Donald Trump». Senz’altro c’è di mezzo la fisica quantistica, il cui lontano antenato è probabilmente la proto-scienza alchemica, arte di cui era un maestro lo stesso Isaac Newton. Lo stesso nome, “Tecnologie del Rinascimento”, sembra amiccare al periodo di massima fioritura dell’esoterismo rosacrociano, ipotizza una ricercatrice indipendente come Lara Pavanetto. «La cosa che più di ogni altra sbalordisce, della Renaissance, è che non ne parla mai nessuno: è ricchissima e potentissima, ma sostanzialmente invisibile, inaccesibile ai media, lontanissima dal mondo dell’informazione finanziaria che invece, ogni giorno, dà conto delle imprese di Dalio, Soros e colleghi».Il fondo Medallion, scrive Pavanetto nel suo blog, è uno dei grandi misteri della finanza: secondo la leggenda, sarebbe nato da un investimento iniziale di appena 1000 dollari. «Gli investitori sono i dipendenti stessi della società, che gestisce altri tre fondi aperti a investitori istituzionali per un totale di 25 miliardi di dollari». La Renaissance Technologies è stata fondata dal matematico Jim Simons nel 1982. Simons è stato a capo del dipartimento di matematica dell’università di Stony Brook e professore anche al Mit e ad Harvard. Un’inchiesta di “Bloomberg” ha cercato di far luce su questa misteriosa entità, scoprendo che la società «è un avanzatissimo laboratorio di matematica, con computer, complesse basi statistiche e un esercito di laureati votati alla sistematica ricerca di anomalie sui vari mercati». Molti uomini della società “invisibile” sono acquartierati a sessanta miglia da Wall Street, vicino a Long Island. Palazzi da milioni di dollari, in un villaggio chiamato Old Field. «Gli abitanti del posto hanno però dato un altro nome a questo territorio: la Riviera del Rinascimento. Questo perché i più ricchi residenti della zona sono scienziati, e lavorano per Renaissance Technologies, con sede nella vicina East Setauket».Questi scienziati, per lo più matematici, «sono i creatori e sorveglianti del fondo più grande del mondo: Medallion», che ha circa 300 dipendenti, il 90% dei quali laureati in matematica. «Renaissance è la versione commerciale del Progetto Manhattan», spiega Andrew Lo, professore di finanza alla Sloan School of Management del Mit e presidente di AlphaSimplex, una società di “ricerca quantitativa”. Andrew Lo lavora per Jim Simons, per riunire tanti scienziati a caccia di profitti economici: «Questi matematici sono l’apice dell’investimento “Quant”. Nessun altro vi è nemmeno lontanamente vicino». Tutti hanno sentito parlare della Renaissance, ma quasi nessuno sa ciò che accade all’interno: «Ricordano i pitagorici, cioè una setta filosofica di matematici». Quasi nulla si sa di questo piccolo gruppo di scienziati, «il cui vasto patrimonio influenza sempre di più la politica degli Stati Uniti», scrive Pavanetto. Proprietari e dirigenti evitano le interviste. Il loro sembra un sistema unico al mondo, «per il genio e l’eccentricità della sua dirigenza». Esempio: «Peter Brown, uno dei boss, di solito dorme su un letto nel suo ufficio. Il suo omologo, Robert Mercer, raramente parla. I due sono laureati in matematica e teorici della famosa “teoria delle stringhe”».Il mistero dei misteri? «E’ il modo in cui Medallion è riuscito a garantire rendimenti annuali di quasi l’80 per cento in un anno, al lordo delle commissioni». La spiegazione? I computer di Renaissance “pensano”, oltre a fare calcoli. Gli uomini Renaissance hanno più dati e meglio organizzati. Dispongono di più indizi su cui basare le loro previsioni e vantano modelli migliori per l’allocazione del capitale. Prestano molta attenzione al costo dei vari trade e di come il trading si muova sui mercati. «Molti di questi scienziati sono partiti dalla Ibm nel lontano 1980, dove hanno usato l’analisi statistica per affrontare le sfide più scoraggianti all’epoca pionieristica dei computer». Tuttavia, aggiunge Pavanetto, non è chiaro come sia possibile che nessuna informazione sia mai trapelata, in un mondo come quello dell’alta finanza, dove molti modelli sono simili e i dipendenti migrano da un hedge fund all’altro, dalla Goldman Sachs alla Jp Morgan. Invece da Renaissence non se ne è andato mai nessuno, o se qualcuno l’ha fatto è rimasto muto come una tomba. Non c’è fuga di segreti perché, davvero, a guadagnarci sono solo i dipendenti?Se così fosse, secondo Lara Pavanetto si paleserebbe un mistero ancora più grande: «Il modello avrebbe forti dosi di componenti deterministiche e le ottimizzazioni stocastiche interverrebbero solo nella parte residuale di un ipotetico “decision tree”, il che violerebbe il principio della aleatorietà dei mercati». Come dire che alla Reinassence sarebbero in possesso della legge deterministica dei mercati. «Un cosa che somiglierebbe molto alla “pietra filosofale”, tenendo conto che tale modello sarebbe stato concepito in un’epoca in cui le capacita computazionali erano un’infinitesimo di quanto lo sono oggi». Pochi sanno che James Simons, il fondatore di Reinassence, all’inizio della sua carriera fu un crittografo, sottolinea Pavanetto. Simons lavorò per la difesa degli Stati Uniti prima di essere licenziato, apparentemente, per il suo dissenso (a mezzo stampa) sulla Guerra del Vietnam. «Fece i suoi soldi inizialmente tramite un investimento in Colombia, e poi con il fondo Limroy, un precursore del fondo Medallion. Ha sempre reclutato personale che non ha mai lavorato a Wall Street. I suoi investitori inizialmente furono gente come Jimmy Meyer, uno dei più vecchi amici di Simons, e Edmundo Esquenazi, uomo d’affari di origine ebraica che fondò società emblematiche come Pavco, Mexichem Resinas Colombia (ex Petco) e Propilco».Ma il nome di Simons, continua Pavanetto, sarebbe anche legato all’affare Madoff, la truffa dello schema Ponzi (il cui nome viene da quello di un immigrato italiano che, agli inizi del Novecento, per primo lo mise in atto su grande scala). Il gioco: promettere agli investitori alti guadagni ma in modo fraudolendo, cioè pagando coi soldi dei nuovi investitori gli interessi maturati dai vecchi investitori. «La truffa consisteva nel fatto che Madoff versava l’ammontare degli interessi pagandoli con il capitale dei nuovi clienti. Il sistema saltò nel momento in cui i rimborsi richiesti superarono i nuovi investimenti». Nell’ultimo periodo le richieste di disinvestimento avevano raggiunto i 7 miliardi di dollari, al punto che Madoff non fu più in grado di onorare la remunerazione degli interessi promessi. Attenzione: «La dimensione della truffa messa in piedi da Madoff è almeno tre volte più grande dell’ammanco causato dal crac Parmalat». Dopo averli ascoltati, la Sec (autorità di vigilanza finanziaria) ha poi deciso di non procedere contro molti “senior partners” della Reinassence come Paul Broder, Henry Laufer, Nat Simons (figlio di Jim), Jimmy Meyer e vari “portfolio managers” del Meritage Fund, “gemello” di RenTech, uno dei fondi Reinassence.«Ciò che sorprende di più – scrive Pavanetto – è che la Renaissance Technologies non ha mai fatto cenno alla Sec», anche se Jimmy Meyer era «uno dei più vecchi amici di Jim Simons». Altra stranezza, infine: le strane morti attorno al mondo Reinassance. Due dei quattro figli dello stesso Jim Simons perdono la vita prematuramente Paul Simons muore nel 1996 investito da un’auto e suo fratello Nicholas annega nel 2003 nelle acque di Bali. Tre anni dopo, nel 2006, Alexander Astashkevich, impiegato (russo) di RenTech, uccide se stesso e sua moglie. Nel 2014 viene trovato impiccato William Broeksmit, un dipendente della Deutsche Bank che gestiva le opzioni di paniere di RenTech oggetto dell’investigazione americana Irs. «Le e-mail di Broeskmits che spiegavano l’uso del commercio da parte di RenTech sono state fornite agli investigatori statunitensi prima della sua morte», scrive Pavanetto, che cita anche l’ultima delle “strane morti”, quella di Scott Christianson, avvocato e giornalista, deceduto il 14 maggio 2017 “cadendo dalla scala di casa” doppo aver pubblicato, con il collega Greg Gordon, «un’indagine approfondita sui legami tra il presidente Donald Trump e il magnate dell’hedge fund Medallion Robert Mercer».Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».
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Gramsci: io sono libero, per me ogni mattina è capodanno
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita.Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.(Antonio Gramsci, “Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno”, da “L’Avanti!” del 1° gennaio 1916, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”; articolo riproposto da “Senza Soste” il 1° gennaio 2018. Politico e filosofo, politologo e giornalista, ma anche linguista e critico letterario italiano, nel 1921 Gramsci fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, divenendone segretario e leader prima di essere arrestato dai fascisti nel 1926. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società elaborando in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne).Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita.
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Ratto: questa scuola fabbrica soltanto servi, ragazzi infelici
I ragazzi sono spinti ad accettare tutto da una scuola che educa alla servitù, al non lamentarsi, alla sottomissione. A scuola si esercita una forma di terrorismo già dai primi anni delle secondarie superiori. Si ripete cioè: occhio, guarda che siamo in crisi – cosa che è sempre molto utile da ribadire – e quindi sarà difficilissimo trovare lavoro. Dunque prendi qualsiasi cosa ti capiti, non alzare la testa, non farti valere, sottomettiti alle logiche neoliberiste e a tutto quello che ne consegue. Quindi nessuno si lamenta più. Il fatto stesso che nel mio liceo qualcuno abbia osato lamentarsi del freddo, visto che si viveva in gran parte delle aule e dei corridoi a 14 gradi per sei ore di seguito, ha suscitato un grandissimo scalpore. Quasi tutti gli insegnanti si sono nascosti dietro a un dito. Da un lato speravano che i ragazzi si lamentassero perché loro stessi avevano freddo. Dall’altro, però li punivano se lo facevano, “perché io devo interrogare, perché io devo spiegare”. Insomma, il sistema che si sta creando è un sistema che insegna molto bene a sottomettersi. Faccio un esempio per tutti: è un classico trovare il ragazzo che ti dice: «Il tema è andato bene perché ho detto quello che voleva la professoressa». Questo è il modo grazie al quale, con una gravissima responsabilità da parte nostra, noi produciamo servi.E questa scuola – che ha preso spunto dal sistema d’istruzione statunitense – è una scuola fortemente globalizzata, finalizzata esattamente a questo genere di obiettivo. L’aspetto negativo è questa trasformazione progressiva che l’istruzione pubblica ha subìto in una logica aziendale, dal 2000 in avanti. La scuola è sempre più un sistema, in cui i ragazzi sono stati progressivamente trasformati in “clienti”. Tramite questa scuola dell’autonomia, i singoli istituti locali si sono trovati in competizione per attirare più “clienti” possibili. Quindi questo ha significato anche promuoverli più facilmente. Si è creata una situazione in cui si è parlato sempre più di “saperi minimi”. Si è diffusa una disistruzione di ragazzi sempre meno a conoscenza dei fatti, sempre meno istruiti. E in questa situazione, dopo una prima fase di coccole, siamo entrati nella seconda fase, quella attuale, in cui gli alunni sono oramai inebetiti, annichiliti, con una bassa cultura, così come probabilmente un certo sistema vuole, così come il modello americano impone. Quindi una cultura molto bassa, un grado di consapevolezza pressoché pari a zero. Passioni politiche, interessi, convinzioni religiose pari a zero, nel senso che basta aderire alla tradizione: ragazzi che in classe te li trovi come delle specie di mummie, non interessati a nulla se non all’ultima generazione di smartphone.In qualche modo gli elettori ideali, i cittadini consumatori ideali, individui che sono come delle nere lavagne vuote, su cui puoi scrivere quello che vuoi. E’ come sottomettere l’insegnamento dei valori elevati della vita alle esigenze di un pensiero neoliberista, perché in realtà ormai chi va a scuola è inserito nell’ottica del profitto, del primeggiare sugli altri, ognuno per sé. La stessa introduzione del concetto di credito scolastico, avvenuta con la riforma Berlinguer, ha portato a una svalutazione della centralità del voto, con la sua connotazione morale: se prendevi quattro ti vergognavi, ti sentivi un verme perché avevi preso quattro. Adesso il voto è solo un tramite per arrivare a un punteggio e il punteggio è il più possibile appiattente: annulla molto le differenze tra i più bravi e i meno bravi. E soprattutto è l’anticamera dei soldi: i ragazzi a scuola sono tirati su in forte competizione gli uni con gli altri, finalizzando tutto a prendere più credito possibile, più punteggio possibile, per una questione utilitaristica. C’è questa idea del sapere che deve servire a qualcosa. Sempre più spesso, mentre spiego, mi capita di sentirmi interrompere da qualcuno: “Questa cosa la dobbiamo sapere? Questa cosa serve?”. Non è che ci siano la passione o l’interesse: c’è soltanto l’interrogativo rispetto a quanto ciò che diciamo possa poi essere spendibile in termini di credito, in termini di pezzi di carta, in termini di soldi, in termini occupazionali.Una delle strategie che io trovo più orrende è proprio quella dell’orientamento scolastico. Cioè i ragazzi vengono convogliati solo in alcuni rami, in alcuni percorsi di studio universitario e poi occupazionale: quelli che interessano a chi gestisce l’aspetto tecnologico, quelli più valorizzati nel sistema economico, scoraggiando invece inclinazioni artistiche, inclinazioni letterarie e umanistiche. Perché? Perché ormai da un po’ di tempo sappiamo tutti che la potenza di uno Stato è basata sulla sua capacità tecnologica, su quella economico-capitalistica e non certo sulla bellezza delle sue opere d’arte o sulla musica, come in Italia invece dovrebbe essere. Si indottrinano persone che interiorizzano che l’unica cosa che conta sono i soldi, attraverso l’insegnamento della scuola, della televisione e della pubblicità. Bisogna apparire, bisogna essere di successo. Tra i vari termini orrendi di cui si alimentano tutte le ultime riforme scolastiche, c’è quella del “successo formativo”, che in qualche modo gonfia di significato il vuoto di una conoscenza spesso piuttosto mediocre. È chiaro che è tutta una rincorsa a costruire una società, un sistema di persone che ha in cima alla sua scala di valori questo apparire, questo possedere, questo avere più soldi possibile, ma infelice.La cosa che noto di più è questa diffusissima infelicità che si dirama dai ragazzi di quest’età, fino poi agli individui di età superiore. Una società in cui ogni individuo non è messo nelle condizioni di essere ciò che è, ovvero di realizzare sé stesso, costituirà una società di infelici. Ce l’ha insegnato Platone ne “La Repubblica” e di fatto le cose stanno effettivamente andando in questa direzione. Quale valore ha il dubbio e come lo si coltiva, in un mondo che emargina gli anticonformisti? Il dubbio ha un valore totale. Io dico sempre ai miei ragazzi: se c’è un’unica cosa che deve restarvi nell’animo, alla fine dei cinque anni di liceo, quella cosa è il dubbio. La cultura è soltanto quello. Non è il sapere, ma è il dubbio di non sapere. E d’altra parte, socraticamente, la questione è sempre la stessa: è il sapere di non sapere che fa la differenza tra chi è (forse) sapiente, e chi no. Sapiente nel senso che sa che non sa, e che quindi deve continuare a cercare. Quando non è scetticismo fine a se stesso, il dubbio scatena voglia di capire, voglia di interessarsi, di cercare. E dunque scatena un impegno personale, individuale, mette in gioco aspirazioni che portano poi a un percorso individuale di crescita continua. Finché c’è dubbio c’è la crescita, quando si arriva alla certezza si smette di crescere.È una scuola che invece svende il sapere a un livello estremamente banale, marginale. Una scuola che sforna esperti. Seminare, senza curarsi del raccolto? Uno dei più grandi filosofi dell’ottocento, Kierkegaard, ha insistito moltissimo su questo aspetto. E dopo lui altri, compreso in Italia Augusto Del Noce. I problemi insiti in una cultura per obiettivi è stato analizzato benissimo dai grandi filosofi come un pericolo enorme, perché se un obiettivo venga raggiunto o meno è qualcosa che si valuta dal di fuori, nel momento in cui viene esternato. Questa cultura per obiettivi di fatto vanifica e banalizza il lavoro, che spesso non è valutabile così facilmente da un punto di vista esteriore. Mi ricordo quando ho cominciato a insegnare, all’inizio degli anni 90: ci si lamentava molto della riforma di Gentile. Di fatto la scuola reggeva ancora su quelle che erano le linee direttive della scuola gentiliana della metà degli anni Venti. E si diceva: è una scuola fascista o comunque nata in quell’ambito. Ma c’erano dei concetti, come quello della vocazione all’insegnamento, come una missione con un ruolo che non può essere in nessun modo insegnato, perché l’insegnante quel ruolo ce l’ha dentro. Insegnante è colui che sa insegnare perché dentro di sé è insegnante. C’era una fiducia nei nostri insegnanti, che poi di fatto è la fiducia che forse avevamo gli uni nei confronti degli altri.Una società invece basata su questo clima del sospetto – questo mettere tutti contro tutti, questo smantellamento di ogni valore – ha portato a tutta una serie di privazioni e di abbassamenti del valore degli insegnanti, così come di moltissimi altri profili. L’insegnante adesso è un impiegato. Non ci sono più i presidi, ci sono i “dirigenti”, in una logica assolutamente aziendale. L’insegnante non può essere l’impiegato, quello che compila i moduli, quello che progetta per rendere la scuola sempre più apprezzabile dall’esterno. Deve essere un insegnante nel senso di “lasciare un segno”. Invece gli insegnanti oggi non lasciano nulla: lasciano il vuoto, quel vuoto che ci portiamo dietro tutti e che abita nella nostra società. Io credo che questa scuola non sia certo ormai il luogo ideale per l’apprendimento. Quella che può insegnare è una scuola invece fatta di insegnanti veri, persone che sanno lasciare un segno, che coinvolgono, che danno un’impronta importante ai ragazzi. Sì, la Rete è importante: io insegno filosofia e storia, non termino mai una lezione di storia che non finisca con questa esortazione: «Andate a informarvi». E informarsi vuol dire andare a cercare.C’è il problema della verità: come faccio a sapere chi ha la verità? Questo è un problema, ma forse la verità non è tanto la conseguenza di una certa testimonianza: forse la verità è il dialogo tra le varie testimonianze. Cioè forse la verità è il confronto: forse la verità sta nel problematizzare non nel risolvere. E si ritorna a quello che secondo me è l’aspetto fondamentale: la cultura sta nella domanda, non nella risposta. Io esorto gli studenti a pretendere una scuola che li coinvolga, che li interessi, che li appassioni. Avete diritto ad una scuola che vi faccia saltare sulle sedie, che vi prenda. Una scuola nella quale il tempo passi alla stessa velocità con cui passa quando siete col fidanzato, quando siete a giocare a calcio, quando state suonando la chitarra con il vostro gruppo. Deve essere una scuola interessante nel senso proprio di interessarvi, di farvi entrare all’interno del meccanismo, di farvi partecipare. Voi vi meritate una scuola così, una scuola che in qualche modo vi chiami in causa, che vi faccia sentire vivi e che riesca a produrre in voi la felicità, cioè accordare per ognuno di voi la propria strada e la propria capacità di realizzare se stessi.(Pietro Ratto, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora nella video-intervista “Noi insegnanti produciamo servi”, pubblicata su “ByoBlu” il 15 dicembre 2017. Scrittore, filosofo e saggista, il professor Ratto ha appena pubblicato il romanzo “La scuola nel bosco di Gelsi”).I ragazzi sono spinti ad accettare tutto da una scuola che educa alla servitù, al non lamentarsi, alla sottomissione. A scuola si esercita una forma di terrorismo già dai primi anni delle secondarie superiori. Si ripete cioè: occhio, guarda che siamo in crisi – cosa che è sempre molto utile da ribadire – e quindi sarà difficilissimo trovare lavoro. Dunque prendi qualsiasi cosa ti capiti, non alzare la testa, non farti valere, sottomettiti alle logiche neoliberiste e a tutto quello che ne consegue. Quindi nessuno si lamenta più. Il fatto stesso che nel mio liceo qualcuno abbia osato lamentarsi del freddo, visto che si viveva in gran parte delle aule e dei corridoi a 14 gradi per sei ore di seguito, ha suscitato un grandissimo scalpore. Quasi tutti gli insegnanti si sono nascosti dietro a un dito. Da un lato speravano che i ragazzi si lamentassero perché loro stessi avevano freddo. Dall’altro, però li punivano se lo facevano, “perché io devo interrogare, perché io devo spiegare”. Insomma, il sistema che si sta creando è un sistema che insegna molto bene a sottomettersi. Faccio un esempio per tutti: è un classico trovare il ragazzo che ti dice: «Il tema è andato bene perché ho detto quello che voleva la professoressa». Questo è il modo grazie al quale, con una gravissima responsabilità da parte nostra, noi produciamo servi.
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Il pensiero positivo? Nato da Stalin, copiato da Hitler e Usa
La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.Quindi la critica non è permessa, è intesa come un esempio di psicosi. Vai in manicomio perché hai detto che c’era qualcosa su cui non eri d’accordo: hai pensato negativo. Stalin l’ha fatto, facendo sparire dalla Russia intere classi sociali – contadini, borghesi, militari. E il primo che l’ha preso seriamente in considerazione è stato Hitler. Al tempo del “Mein Kampf” no, negli anni Venti non ancora: Hitler allora era sempre incazzato e andava forte, cresceva tanto. Ma, una volta arriavato al potere, ha messo in moto il pensiero positivo staliniano con i tedeschi, dicendo: cari tedeschi, voi siete spaventati, terrorizzati, istupiditi dalla crisi economica, ma sbagliate, state pensando negativo. Pensiamo positivo: noi siamo il popolo superiore del mondo, non per motivi ideologici (come quei bastardi dei russi), ma per motivi razziali. Noi siamo gli ariani, siamo meglio di chiunque altro, e qualsiasi cosa sia ariana va bene. Questo è pensiero positivo – un misto di pensiero positivo e di autostima. In questo modo Hitler è riuscito ad avere un controllo formidabile su un popolo, e l’ha esteso ai minimi dettagli. Per esempio, cosa c’era scritto all’ingresso di diversi campi di concentramento? “Arbeit macht frei”, il lavoro fa diventare liberi. Cosa voleva dire? Dentro, mica lavoravano. Però uno scendeva dal treno, vedeva scritto “arbeit macht frei” e poteva pensare, vabbè, è un posto civile. Era un modo, quello lì, che poi gli americani hanno teorizzato e capito bene.Quando sono arrivati i russi, ad Auschwitz, hanno visto il campo di concentramento e han detto: sono dilettanti, non si fa così, la gente la si ammazza “normale”. Gli americani, invece – ingenui, ma pratici – vedono e contano: quanti prigionieri ci sono? Dodicimila. E quante guardie? Cento, e con anche una piscina per loro (quindi le guardie stavano rilassate). E pensano: come han fatto? Ci interessa. Come han fatto, in cento, a tenerne a bada dodicimila, che peraltro non avevano nessuna speranza di sopravvivere e quindi, in qualsiasi momento, potevano ammazzare quei cento, prendendosi almeno la soddisfazione? Si son detti: qui bisogna chiamare gli organizzatori. Presi, prelevati, arrivati in America insieme a un sacco di scienziati. E lì è venuto fuori il “positive thinking”. Però gli americani gli han detto: sentite, noi non siamo come voi pazzi, che usate queste cose per sterminare le persone. A noi interessa solo vendere. Ci interessano tre cose: vendere tanto, non avere comunisti tra i piedi e far sopportare alla gente l’inquinamento – non quello delle auto, quello radioattivo, che sta crescendo a livelli esponenziali.Nei bollettini meteorologici degli anni ‘50, in America, c’era scritto: per oggi è prevista pioggia, la temperatura sarà questa, il livello di radiazioni oggi sarà tollerabile. Uno legge questa roba e dice: «Voi siete pazzi. Livelli di radiazioni? Siete matti». Invece, dicono gli americani agli ex nazisti, noi vogliamo che i nostri concittadini siano contenti. Potete aiutarci? Sennò tornate in galera. E loro: eccoci pronti. Tanti sociologi ne hanno parlato – Adorno, Marcuse. L’idea era proprio: qui bisogna convincerli che tutto va bene. E la teoria che c’è dietro è bellissima. Rispetto a “Good”, l’espressione “Bad” vale cinque volte tanto, a livello energetico: per bilanciare un’esperienza “Bad” occorrono cinque esperienze “Good”. Quindi, se vuoi dominare un popolo, gli dai esperienze belle. Come si faceva, nei campi di concentramento, quando torturavano qualcuno? Chiamavano l’orchestrina. Non per coprire le urla: per abbassare l’energia. Se tu tieni la gente a livello “Good” per 10-15 anni, dopo puoi fargli quello che vuoi, perché sono tutti diventati deboli. Gli dai esperienze “Bad”? Non puoi fargli pagare le tasse al 73%, come adesso. In Francia non puoi, ti spaccano tutto. Il francese, dicono, è un italiano arrabbiato. Si permette esperienze “Bad”, non per niente ha fatto la rivoluzione – l’italiano no. Ma “Bad” non vuole dire cattivo, brutto. Vuol dire: difficile.Una cosa che colpisce, nel pubblico italiano, è che – a tutti i livelli – salta fuori qualcuno che dice: questo libro è difficile, cioè è “Bad”, ha un coefficiente di avversità alto. Dice: preferisco il libro “Good”. Ma non è vero che lo preferisce, è che non ce la fa più, non ci arriva più. A forza di esperienze “Good”, è cambiato in Italia il livello di attenzione, nell’arco di una sola generazione. Provate a guardare, su YouTube, un qualsiasi Carosello degli anni Sessanta. Dura tre minuti, erano 15 minuti in tutto e c’erano 5 Caroselli. Non riesci a seguirlo: non ce la fai, ti distrai. “La stella di Negroni vuol dire qualità”. Lo vedevano tutti, anche i bambini. Dopo, cos’è successo? “Good”, “Good”, “Good”, e l’energia cala. Ti do un libro “Bad”? Non ce la faccio più, non reggo. Devi fare un libro “Good”, perché la gente non ce la fa più. Ecco il prodotto del pensiero “Good”. Autostima, uguale: pensiero “Good”, applicato al singolo individuo. Se uno si autostima, cosa vuoi che desideri? Se per di più pensa positivo è già a posto, no? Ci mancherebbe che uno che si autostima avesse un’esperienza “Bad” come un desiderio.Il desiderio è un’esperienza “Bad”, perché vuol dire che tu dichiari che nella tua vita, alla tua età, ti manca ancora quella roba lì. E’ “Bad”, perché ammetti che ti manca. Ti spiace, riconosci questa mancanza. Gli altri ce l’hanno, quella cosa, e tu no. Ma, se hai dentro questa esperienza “Bad”, hai un desiderio: e allora la tua vita comincia a salire. Se invece sei abituato al “Good”, ti fermi. Pensi: non mi serve niente, ho già tutto. Naturalmente, uno che pensa positivo e ha un sacco di autostima, a un certo punto vede che qualcun altro esprime desideri. Allora ci prova anche lui, per evitare di avere un’esperienza “Bad”. Ma sono desideri finti, non sono cose davvero desiderate: sono cose copiate, e se non si realizzano non gliene frega niente. Ricordate Gesù? Due tizi salirono al tempio a pregare. Uno era un fariseo, e diceva quella bella preghiera farisaica che era tutta pensiero positivo: ti ringrazio, mio Signore, d’avermi fatto nascere ebreo, ricco e maschio. Si complimentava con Dio, per averlo creato bene. Invece l’altro era un pubblicano, cioè un mafioso, un delinquente, che diceva: che merda, mi sa che quando vengo qui a Te dà fastidio, Ti volti dall’altra parte, che brutta roba che sono… Chi dei due sarà piaciuto di più a Dio? Esatto: meglio l’esperienza “Bad” dell’esperienza “Good”.Autostima e pensiero positivo sono utilissimi nelle negoziazioni. C’è un aspirante suicida, in bilico sul cornicione al ventesimo piano, a un passo dal trovare il tremendo coraggio di lanciarsi nel vuoto? Cosa usa, nei suoi confronti, il negoziatore della polizia? Pensiero positivo e autostima. Un così bel ragazzo, perché vuoi buttarti giù? Non vedi che belle prospettive hai davanti? Via via che il negoziatore parla, gli fa calare l’energia. Alla fine, l’aspirante suicida ha talmente paura, che rientra. Gli cala l’energia, non ha più il coraggio di uccidersi. Se sei un suicida, ovviamente, pensiero positivo e autostima sono utilissimi – ma se non sei un suicida, no. Vuol dire che hai paura. Di cosa? Di quello che succede se cominci a desiderare – cioè a uscire dal “sidera”, dalle tue “stelle” prestabilite. Vengono fuori delle parti di te che sono spiazzanti, impreviste. Perché, se mollo il guinzaglio, salta fuori l’altro problema grosso, che è la paura. Non c’è praticamente mai, nella nostra vita, ma è il più grosso dei problemi che abbiamo. Se fai un testacoda, in macchina, ti ricordi che in quel preciso momento eri calmissimo; la paura è sopraggiunta dopo, quando eri già al sicuro. Ma quella non è paura, è paura derivata: paura di aver paura.La paura della paura ti tranquilizza: tu non ci sali, sul trampolino da dieci metri. Però vedi gli altri, in piscina, che invece ci salgono. E pensi: quasi quasi ci salgo anch’io. E senti che la tua “paura della paura” diventa un po’ agitata. E allora ricorri a un’altra cosa ancora: la paura della paura della paura. E’ il fatto che, in piscina, non ti volti mai verso il trampolino da dieci metri. E così finisci per non andarci neppure più, in piscina. Perché hai paura della paura di aver paura. E questo è il sentimento più diffuso, nel mondo occidentale. Uno molto coraggioso ha paura: arriva in certi stati in cui ha paura. Non che sia questa gran cosa, la paura: è energia frenata. Il topolino che spia il tuo frigorifero, quando scappa o lotta, non ha paura. E’ astuto e ride, o ringhia, o piange – però non ha paura. La paura è quando tu non puoi fare delle cose che sai fare: quella è paura, energia frenata. Produce una serie di ormoni, che girano nel cervello limbico: una serie di reazioni fisiche sono innescate da ormoni precisi, che scattano quando sei impedito nel fare qualcosa. Per cui una persona coraggiosa, che prova la paura, la prova per pochissimi istanti – se è libera. La prova giusto il tempo di accorgersi della sua energia frenata: allora la mette in moto e, da quel momento, non ha più paura. Poi gli resta la memoria di quella paura che ha avuto, che gli produce la paura della paura.Se fai un testacoda, hai una scarica di adrenalina forte che per un po, rimane in circolo. Ti spingerebbe, dopo un quarto d’ora, a fare un’altra cavolata. Non puoi farla, allora freni l’energia e viene fuori la paura, quando ormai sei al sicuro. Proprio per la paura di aver paura, quanti trampolini non vedi, durante il giorno? Quanta parte della tua vita non frequenti più, per paura della paura? Tanta. Naturalmente, “consideri”. Poi vedi che tutti gli altri fanno uguale, e allora dici: sono normale, va bene così. E no, che non va bene: perché poi ti accorgi che il desiderio non ce l’hai più. E formuli quel pensiero tremendo: se vengo via, non vado più a lavorare. Nelle lingue dell’Europa nord-occidentale, ma anche in latino e in greco, sono due le parole che indicano “lavoro”: in inglese sono “work” e “job”. In italiano ce n’è una sola, dal latino “labor”, che vuol dire: lavoro degli schiavi. In inglese, se dici “I work” non è “I have a job”. “Job” è sgobbare, suona anche uguale. “Work” è: fare delle opere, che ti piacciono. Le volte che trovo un bambino incustodito, gli dico: mi raccomando, tu non lavorare mai. E questo lo capisce al volo.Secondo la Bibbia, il lavoro è la piaga principale dell’umanità. La parola che indica “lavoro”, nella Bibbia, è la stessa che indica “schiavitù”, tale quale all’italiano “labor”, lavoro di schiavo, e al francese “travail”, nonché allo spagnolo “trabajo”. Il travaglio era uno strumento di tortura medievale, una gabbia fatta di travi. C’è gente che vive di “travaglio”, e poi dice: “Io, nel mio tempo libero”, e non si accorge mai di cosa sta dicendo. Nel tuo tempo libero fai le scemate e guardi Facebook? Ma tu sei pazzo. Tempo libero? E il resto del tempo cos’è? Tempo lavorativo. Il tempo dello schiavo, del travagliante. Ecco, se si comincia a mettere in discussione questo, si sa da dove di parte ma non dove si arriva. E’ lo stesso principio dell’Esodo: molliamo l’Egitto per andare dove? Si va verso di te, naturalmente. Però quel “tu” verso cui vai dà una bella preoccupazione – e poi vaglielo a spiegare, a casa, quando comincia ad andarvi stretto un po’ tutto, dal guardaroba al colore delle pareti, fino al coniuge…(Igor Sibaldi, estratto da YouTube della conferenza di presentazione del libro “Il mondo dei desideri”, sottotitolo “101 progetti di libertà”, edito da Tlön nel 2016).La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.
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Zizek: solo i miliardari progressisti salveranno l’umanità?
Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?Perché sappiamo che le parole contano nei dibattiti pubblici: e anche se ciò di cui parla Gates non è “vero socialismo”, parla dei limiti fatali del capitalismo – e, ancora una volta, possiamo chiedere: gli autoproclamatisi socialisti attuali hanno una visione seria di cosa il socialismo debba essere oggi? Il paradosso della nostra situazione è quindi che, mentre la resistenza contro il capitalismo globale sembra non riuscire ad indebolirne l’avanzata, i suoi oppositori sembrano non essersi accorti dei vari trend che segnalano chiaramente la progressiva disintegrazione del capitalismo. Ed è come se le due tendenze (resistenza ed auto-disintegrazione) si muovessero a ritmi diversi e non riuscissero a incontrarsi: abbiamo dunque inutili proteste in parallelo a voci di imminente decadenza, ma sembra che non ci sia modo di riunire le due in un atto coordinato (come il superamento del capitalismo). Miliardari buoni? Come si è arrivati a questo? Mentre la sinistra (o perlomeno la maggior parte) cerca disperatamente di proteggere i diritti dei vecchi lavoratori contro l’assalto del capitalismo globale, è quasi esclusivamente il capitalismo più “progressista” (da Elon Musk a Mark Zuckerberg) che parla del post-capitalismo – come se il vero argomento del passaggio dal capitalismo, come lo conosciamo, ad un nuovo ordine post-capitalista sia stato appropriato dal capitalismo stesso.Di conseguenza, sta emergendo un nuovo gruppo di “intellettuali organici”, che esemplificano la privatizzazione dei nostri beni comuni. La figura di Elon Musk è emblematica, e appartiene alla stessa classe di Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed altri: tutti miliardari “socialmente consapevoli”. Rappresentano il capitale globale nella sua forma più seducente e “progressista”: in breve, nella sua forma più pericolosa. Ma allora questi ultra-ricchi possono salvarci? Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk non sarebbe Sloterdijk se non avesse tratto questa provocatoria conclusione: prima si pensava che solo i poveri (uniti) avrebbero potuto salvare il mondo, il ventesimo secolo ha invece mostrato le conseguenze catastrofiche di questo atteggiamento e la violenza distruttiva generata da un risentimento universalizzato. Ora, nel ventunesimo secolo, dovremmo finalmente avere il coraggio di accettare il fatto che solo i ricchi possono salvare il mondo, e possiamo dire che individui eccezionalmente creativi, che donano con generosità, come Gates e Soros, hanno fatto per le lotte per la libertà politica e contro le malattie più di quanto non abbia fatto qualsiasi intervento statale.La diagnosi di Sloterdijk non deve essere confusa con la solita protesta liberal-conservatrice contro il cosiddetto “risentimento di sinistra”. Perché l’idea centrale che sostiene questo sproloquio è che ne abbiamo avuto abbastanza della “tirannia del welfare” che abbonda nel nostro “dispotismo democratico”; come nel medioevo, l’orgoglio personale è oggi il più grande peccato, ed il nostro diritto fondamentale è sempre più semplicemente il “diritto alla dipendenza”. Approccio alternativo: «Il welfare oggi è una droga dalla quale dipendono sempre più persone. Una buona idea umana diventata una sorta di oppio dei popoli», ha detto Norbert Bolz, un altro pensatore tedesco. Quel che rende Sloterdijk diverso però è che intende la propria proposta come strategia per assicurare la sopravvivenza della più grande conquista economico-politica dell’Europa moderna, il social-democratico welfare State.Secondo Sloterdijk, la nostra realtà – perlmeno in Europa – è la democrazia sociale “oggettiva”, in contrapposizione alla democrazia sociale “soggettiva”. E per tenerla in vita, dovremmo creare una “nuova semantica”, un nuovo spazio di idee egemoniche in cui la cultura dell’orgoglio ed il riconoscimento dei vincenti (non solo in senso economico ma anche morale) avranno il proprio posto. Ma può funzionare? Io non la penso così. Torniamo a Bill Gates: individua correttamente la causa ultima dei nostri problemi (ecologici) nel capitalismo, e poi, invece di proporre cambiamenti al sistema stesso, fa appello al senso comune dei singoli capitalisti. Non sarebbe molto più appropriato cercare di creare un sistema non capitalista, che però premi anche i vincenti? Questi due desideri sono veramente inconciliabili?(Slavoj Zizek, “Solo i miliardari progressisti possono salvare l’umanità?”, da “Rt” dell’8 dicembre 2017; analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, con traduzione di Hmg).Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?
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Galloni: moneta sovrana e posti di lavoro, o addio Italia
Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.Non si sa fino a che punto tutto questo sia sostenibile, riassume Galloni, economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt. Il paradosso? «Quelli che stanno bene possono permettersi di pagare di tasca propria i servizi sanitari per i figli, l’assistenza agli anziani e quant’altro. I più poveri, bene o male, hanno accesso alla gratuità. Ma il grosso della classe media non ha sufficiente reddito per pagarsi i servizi essenziali, e in alcuni casi neppure per fare la spesa al supermercato o andare al cinema, al ristorante o in vacanza, per pagare le bollette, le rate del condominio. E non ha neppure accesso alla gratuità del welfare residuale». Il guaio? Ci sta crollando addosso la storia. Una storia “sbagliata”, che ha cominciato ad andare storta proprio quando l’Italia ha cessato di essere prima “un’espressione geografica”, e poi un paese popolato di contadini analfabeti. Ai fratelli maggiori d’Europa non è mai andato giù il fatto che il Belpaese potesse stupire il mondo con il suo sviluppo da record, il boom del dopoguerra fondato sull’industria. Probabilmente avremmo potuto superare la Francia, dice Galloni, se non ci fossimo fatti sfilare di mano il futuro delle telecomunicazioni, a patrire dalla geniale invenzione di Olivetti: il personal computer.Poi, aggiunge l’economista, fu essenziale il passaggio dell’89 in cui la Germania, per riunificarsi, rinunciò al marco per ottenere l’appoggio della Francia e puntare al suo vero obiettivo strategico: frenare l’Italia. «Perché un’Italia estremamente competitiva avrebbe reso proibitiva l’opera di riunificazione della Germania». Ma i “cugini” d’oltralpe, ricorda Galloni, prima ancora dei tedeschi hanno sempre lavorato contro l’Italia, contribuendo a far fuori gli italiani più decisivi, a cominciare da Enrico Mattei. Il capo dell’Eni era odiato dalle Sette Sorelle perché concedeva più soldi ai paesi petroliferi, ma a costargli la vita fu lo scontro con Parigi sul gas algerino: di fronte alla mano tesa dei francesi per accordarsi su quel business, Mattei rispose “no, grazie”. Disse: «Io tratterò solo col legittimo governo algerino, quello del popolo, che è rivoluzionario e anti-francese». E così avviene: «Gli algerini – ricorda Galloni – vincono la loro guerra di indipendenza nazionale, fanno gli accordi con l’Italia e però, poco dopo, Mattei viene ucciso. Le ultime ricostruzioni convergono sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi».Poi è il turno di Aldo Moro, «altro uomo odiatissimo in Europa». Si era lamentato del fatto che i francesi e gli stessi “servizi” della Fiat (che come l’Eni aveva una sua “polizia segreta”, in gran parte composta da ex poliziotti e carabinieri) non comunicassero tutte le notizie riguardo alle Brigate Rosse, e che addirittura alcuni brigatisti venissero ospitati in territorio francese. Mattei e Moro, quindi Berlusconi: voleva evitare la guerra con la Libia scatenata da Sarkozy, ma è stato “convinto” dal crollo in Borsa del titolo Mediaset, precipitato del 40% in poche ore. Così ha dovuto «abbassare la testa e accettare la terza grande aggressione degli interessi nazionali dell’Italia da parte da parte dei francesi». Ci hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, ma il peggio è che adesso l’ossigeno di sta esaurendo: «Non abbiamo più un welfare universale, abbiamo solo un welfare residuale che sta creando ulteriori lacerazioni sul territorio, anche perché spesso è destinato soprattutto agli immigrati. E quindi crea tensioni politiche e sociali che poi diventano determinanti nelle scelte dell’elettorato». Nonostante ciò, osserva Galloni, l’Italia non è ancora crollata: ha dimostrato capacità di resistenza impensabili.«In Italia ci sono 4 milioni di imprese, su quattro milioni e mezzo, che ormai sono fuori dal capitalismo perché non lavorano più per il profitto, ma per controllare risorse reali, darsi una dignità, un futuro». Aziende che «sfuggono a quelle che sono le regole dell’economia e della finanza». Anziché vendere l’azienda e vivere di rendita finanziaria, quattro milioni di imprenditori italiani – caso unico, in tutto l’Occidente – hanno tenuto duro pagando le tasse sulle perdite, senza nessun aiuto dal sistema bancario, e in più con infrastrutture oblsolete e la pubblica amministrazione che rema contro. «Però queste piccole imprese italiane hanno la caratteristica di essere competitive sui mercati internazionali, tant’è che noi siamo, con la Germania, l’unico paese che ha visto aumentare le esportazioni». Stiamo parlando di 9 miliardi di euro: «Non è tanto, però è significativo che ci sia un segno positivo. Ma ancora più significativo e positivo è che ci sia stata una riduzione di 40 miliardi di euro nell’importazione di prodotti agricoli e alimentari, dovuta ad un impressionante ritorno di tre milioni e duecentomila giovani che si sono impegnati nell’agricoltura, per fare quello che i loro padri non volevano più fare: riprendere il mestiere dei nonni». Giovani che «sono tornati a fare quello che si faceva in Italia prima del miracolo economico, che è stato soprattutto industriale».Abbiamo perso tutta la nostra grande industria privata, compreso l’80% di quella a partecipazione statale, che era un gioiello (ma quel 20% che ci rimane ancora fa molta gola a parecchi, compresi i francesi). Però, aggiunge Galloni, abbiamo mantenuto in vita l’80% della piccola industria, delle piccole imprese. «Stiamo parlando di più di 7 milioni di famiglie, che poi corrispondono grossomodo a quel 50% di elettorato che non va più a votare: è gente che non si farà abbindolare da nessuno di quelli che si presentano alle elezioni». La Francia non sta molto meglio: il suo grande problema, sociale, è quello che divide i francesi dagli immigrati, cittadini di serie B. «Da noi è esclusivamente un problema di censo, mentre da loro è un problema di nazionalità: e questo fa sì che lo studente che si è preso una laurea e che vive nella banlieue parigina non potrà mai accettare questo sistema francese». Ora, i grandi potentati finanziari – che finora si erano orientati verso i grandi immobili, i grandi alberghi – adesso stanno puntando all’agricoltura, ai terreni. E con la scusa delle crisi del sistema bancario italiano «cercheranno di entrare con grandi capitali per comprare i mutui al 10-20% del loro valore nominale, per poi rivendere gli appartamenti al 20-30% del mutuo residuo stesso. È un’operazione semplicissima, però potrebbe essere estremamente drammatica».Però poi è difficile che queste ciambelle riescano col buco, aggiunge Galloni, «perché l’Italia ha le energie per reagire e rimettersi in pista». Grande incognita, ovviamente, l’Unione Europea: avremo ancora il “quantitative easing” della Bce o prevarrà un ritorno alle posizioni più rigide, con la riapertura dell’incubo spread, che è un grande ricatto nei confronti del paese? Si insisterà sul Fiscal Compact, «che ovviamente ci metterebbe in ginocchio», oppure i “falchi” perderanno e ci sarà un recupero di fiducia fra i vari paesi? «I grandi potentati finanziari e le grandi multinazionali sono, per loro stessa natura, predatori: non guardano in faccia a nessuno. E dove vedono delle prede di più facile cattura (come siamo noi italiani, perché non abbiamo un governo, una guida, non abbiamo una pubblica amministrazione che funziona, non abbiamo un sistema bancario adeguato alle condizioni e non abbiamo – salvo alcune eccezioni – un sistema infrastrutturale adeguato) è chiaro che loro se ne approfitteranno». Nel 2018 saranno quotate in Borsa le Ferrovie dello Stato? Pessima idea: «Dopo, invece d’inseguire il miglioramento del servizio, dovranno inseguire l’aumento dei saggi d’interesse, altrimenti il titolo perderebbe valore».Lo sappiamo: è in atto una sorta di deindustrializzazione dell’Italia, a vantaggio di élite europee ed extra-nazionali a svantaggio della nostra popolazione. Come possiamo tenerci le industrie? «Dei modi ci sarebbero», risponde Galloni, «ma fanno perno sul ripristino della sovranità nazionale», che non è per forza la chiusura delle frontiere. La sovranità “saggia”, e ormai indispensabile, poggia sulla consapevolezza che quest’Europa dell’euro non sta funzionando: potrebbe implodere. Il Piano-B? «Affiancare alla moneta internazionale – che è straniera – una moneta nazionale». E gli altri paesi dovrebbero fare lo stesso. «Una moneta nazionale non è proibita dai trattati europei, perché avrebbe solo circolazione interna, ma sicuramente servirebbe per fare quegli investimenti e quelle assunzioni – dove servono – per ridare respiro al paese e ripristinare quel concetto di “welfare universale” che ci salva dalla guerra civile». Dopo il 1970, quando cioè l’umanità ha raggiunto livelli record di capacità produttiva, «la crisi ha iniziato a significare che la gente non ha abbastanza reddito». E perché il denaro non circola, beché ormai svincolato dal valore dell’oro? Presto detto: «Non esercitando più la propria sovranità monetaria, lo Stato si trova nella stessa situazione di un qualunque disgraziato che debba chiedere un prestito, se vuole fare investimenti. E non ne può fare di più grandi rispetto a quello che incamera con le tasse».Ma quello delle tasse è un falso problema, spiega Galloni: se si tagliano le tasse ma anche la spesa pubblica, la gente avrà più soldi ma li spenderà tutti per pagare i servizi che prima erano gratuiti. A quel punto la classe media si impoverisce, faccendo crollare i consumi: addio quindi a qualsiasi possibile ripresa. «I consumi aumentano se aumentano i salari, ma oggi non ci sono le condizioni: purtroppo ce le siamo bruciate per tutta una serie di scelte furiosamente sbagliate in tutti i campi, cioè tutte le politiche che hanno portato la flessibilizzazione del lavoro in precarizzazione». Questo ovviamente ha impoverito tutti, «tranne le multinazionali che venivano qui a depredare». Ma l’impresa normale «non ha un vantaggio se i lavoratori sono sottopagati, perché allora chi compra i suoi prodotti?». Si potrebbe rispondere: ci pensano le esportazioni. «Ma per essere competitivi con le esportazioni – cioè con paesi dove i salari sono ancora più bassi dei nostri – devi ridurre i salari. Quindi è sempre un cane che si morde la coda, perché per essere competitivo devi ridurre la domanda interna, ovvero l’economia interna. Che è esattamente il modello europeo. Per questo non funziona, il modello europeo. Se non si supera questo modello deflattivo, il salario sull’occupazione, non ne esce vivo nessuno. Questo lo devono capire i francesi, i tedeschi o gli olandesi e tutti quanti».Che può fare l’Italia, da subito? Lo Stato può emettere una sua moneta, in qualsiasi momento. Il Trattato di Maastricht (articolo 128a) dice che non possiamo stampare banconote. Che problema c’è? Basta stampare “Statonote”, a circolazione nazionale, da usare per assumere e per fare investimenti, «perché poi chi le accettasse le utilizzerebbe per pagare le tasse». In questo modo, si aggirerebbe anche la tagliola del pareggio di bilancio in Costituzione (regalo di Monti), «perché se abbiamo spese superiori alle tasse, basterà aggiungere questa moneta sovrana, la quale – non essendo a debito – avrà lo stesso segno algebrico delle tasse, e cioè il segno più. Quindi: tasse più moneta sovrana, uguale spesa. E abbiamo anche il pareggio di bilancio senza tanti drammi». E possiamo persino coniare degli euro. Le monete vengono stabilite dalla Bce in base a dei plafond nazionali, «quindi non possiamo coniare monete della stessa pezzatura di quelle che abbiamo in tasca. Ma possiamo farlo con altre pezzature. Già la Finlandia lo fa con monete da 2,50 euro, e la Germania ha emesso monete da 5 euro. Anche in Italia sono state emesse monete da 10 euro».In Europa, fino al 1979 la filosofia dominante era che chi fosse stato più forte doveva fare delle rinunce per aiutare gli altri. Funzionava fino a un certo punto, «perché comunque i francesi e tedeschi facevano i marpioni, i furboni, e noi italiani – come al solito – invece aiutavamo gli spagnoli, i greci e i portoghesi a entrare». Dopo il 1979, con il G7 di Tokyo, si rompe il patto di solidarietà e l’Europa ne risente, «per cui il progetto europeo diventa un altro», continua Galloni. «E allora avvengono tutta una serie di scelte che poi porteranno all’euro». A quel punto l’abbrivio è stato molto negativo, ma si voleva fare una politica “di convergenza” che costringesse gli Stati ad avere gli stessi parametri finanziari, anche se avevano situazioni diverse a livello di economia reale. E poi magari si dava un contentino con i fondi la coesione, che furono utili soprattutto per i paesi come la Polonia, che entravano nell’Unione Europea in condizioni molto difficili. «Però alla fine ci siamo trovati con un’Europa dove l’obiettivo è la massimizzazione delle esportazioni, anche a basso valore aggiunto, che si realizzano riducendo salari e occupazione. Quindi è una politica deflattiva dove l’euro funge da moneta straniera, artificiosamente scarsa, che per averla devi pagare». Una vita d’uscita? «La moneta parallela statale, che non è a debito». Non è l’unica soluzione, ma è un passaggio fondamentale: «Dobbiamo rompere l’artificiosità della scarsità, perché sennò non ne usciamo».Ad esempio, per fare il reddito di cittadinanza «dobbiamo togliere a una parte della classe media delle risorse per darle a quelli che non hanno reddito». Errore: il vero reddito di cittadinanza, dice Galloni, deve consistere nella creazione di 7-8 milioni di posizioni lavorative «per mandare a regime tutte le esigenze della società italiana in termini di ambiente, di assetto idrogeologico del territorio, di cura delle persone (soprattutto gli anziani, ma anche i bambini) e di recupero del patrimonio artistico, archeologico e comunque esistente: manutenzioni, strade e ferrovie». Quindi, «se davvero vogliamo essere un paese moderno, è chiaro che abbiamo bisogno di 7-8 milioni di addetti». Ma non ne abbiamo, «quindi non c’è bisogno di fare il reddito di cittadinanza». C’è bisogno, invece di lavoro: che si può creare rapidamente, con moneta sovrana. «Dobbiamo rompere la condizione di scarsità artificiosa, che è voluta per asservire la gente e rendere la democrazia un costo. Invece, la democrazia dev’essere un modo che noi scegliamo per vivere, come scritto nella nostra Costituzione. Se invece diciamo che la democrazia non ce la possiamo permettere – perché non abbiamo i soldi per gestirla – è chiaro che non c’è soluzione».Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.
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Il Graal di Salvador Dalì, il segreto del suo Cristo alchemico
Salvador Dalì, uno dei pochi autentici Rosacroce, ha trasfuso nella sua opera pittorica il sapere esoterico a cui venne iniziato. La maggior parte dei suoi quadri, in particolare quelli dell’ultima fase misticheggiante, sono impregnati di un fortissimo significato esoterico, codificato sapientemente in un linguaggio simbolico a cui pochi possono accedere. Esiste una bellissima tela del pittore catalano dal titolo “Corpus Hypercubus”, del 1954, in cui viene raffigurato Cristo su una croce composta da otto cubi. Si tratta indubbiamente di un uso di ascendenza pitagorica del numero 4 e del numero 8, una scelta non casuale, considerata la matrice iniziatica del pittore. Cristo in realtà non è rappresentato inchiodato alla croce ma sospeso in aria, fluttuante come se fosse già risorto. Perché Dalì ha voluto rappresentare Cristo in un modo così palesemente discordante dalla tradizione sinottica (ma non da quella giovannea, intrisa della cosiddetta “teologia della gloria”)? Il corpo di Cristo appare perfetto, non flagellato e scarnificato dalle torture alle quali, secondo i Vangeli, venne sottoposto prima di essere crocifisso. Dunque, un’immagine di Cristo trasfigurata, che non trova corrispondenza nelle testimonianze neotestamentarie. Quale il significato simbolico da attribuire a questa strana rappresentazione che capovolge ogni logica?E’ indubbio che rappresentando Cristo come già risorto sulla croce Dalì abbia voluto celare ai profani un messaggio: la trasmutazione di un uomo in uno stato superiore dell’Essere avviene già in vita e non dopo la morte. Se così non fosse, Dalì avrebbe raffigurato Cristo alla maniera classica come sofferente e col corpo deturpato dal supplizio subito. Dalì ha senz’ombra di dubbio tratto ispirazione da Giovanni 8,28: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora saprete che Io Sono», dove per “innalzato” si intende proprio la crocifissione: Giovanni usa infatti il verbo greco “innalzare”, che è identico a quello usato in Numeri 21,4-9 (versione greca dei LXX) nell’episodio del serpente di rame innalzato da Mosè su di un’asta) – per alludere alla morte e rinascita spirituale del Figlio dell’Uomo, non dopo la morte ma al momento della crocifissione. Dunque Cristo rivela se stesso, la trasmutazione della sua natura umana in divina – e l’uso dell’Ego eimì, “Io sono”, non lascia molti dubbi sul significato da attribuire all’affermazione di Gesù – proprio nel momento più atroce e anche in quello più scandaloso per i credenti.Ma per rinascere a nuova vita in vita, per realizzare una perfetta compenetrazione tra la natura umana e quella divina, occorre salire in alto, ascendere verso gli stati superiori dell’Essere, cioè staccarsi dalla croce, che inchioda l’essere umano alla dimensione terrena, per fluttuare in una danza armonica con lo Spirito. Perciò Dalì non poteva che raffigurare Cristo staccato dalla croce e fluttuante nell’iperspazio rappresentato dalla figura geometrica del cubo. Ora, a questo punto i più acuti si saranno chiesti: furono la morte e la risurrezione di Cristo un evento solo simbolico? O furono anche degli eventi storici? Per chi come la sottoscritta ha penetrato certi misteri, la risposta non può che essere univoca: la croce e la risurrezione furono anche e soprattutto eventi storici, investiti tuttavia di un potente messaggio simbolico. Quale? Cerco di spiegarlo con pochi e semplici concetti. Cristo non è sceso dalla croce per salvare se stesso, come i membri del Sinedrio lo invitarono a fare per rivelare la potenza operante di Dio. Bevve fino in fondo il calice, il Santo Graal, che è accettazione della vita e delle sue terribili contraddizioni.Scegliendo di non salvare il suo Io terreno salvò la sua essenza non terrena. Scegliendo di rimanere in croce, Cristo realizzò la perfetta intersecazione tra il piano del visibile e dell’immanenza (l’asse orizzontale della croce) e quello del non visibile e della trascendenza (l’asse verticale della croce). Egli, da uomo, divenne Logos, trasmutò se stesso realizzando l’archetipo umano nella sua pienezza ontologica, che è da sempre nella mente di Dio. Il Santo Graal è la croce, simbolo della trasmutazione dell’essere. Cristo ha aperto una strada, quella della ricongiunzione tra le polarità opposte: essenza umana e divina, immanenza e trascendenza, vita ed eternità, nonché maschile e femminile, come spiegherò più avanti. Sta a noi seguire il percorso tracciato da Lui. Impresa delle imprese, traguardo quasi impossibile, meta irraggiungibile? La cosa fondamentale non è emulare ma porsi in tensione “verso”: non si imita un Dio, ci si pone in una tensione dialettica nella consapevolezza che l’attuale umanità è immersa da secoli in uno stato di torpore spirituale. Ma noi, che beviamo ogni giorno il Sacro Graal, abbiamo il compito di ridestarci e ridestare l’umanità, di scuoterla dall’immobilismo spirituale che da sempre la paralizza. Perciò è essenziale bere ogni giorno il calice amaro della vita: solo così possiamo andare oltre i nostri limiti e le nostre bassezze.La croce della vita quotidiana, così, da strumento di sofferenza può diventare uno strumento di trasmutazione, insieme interiore ed ontologica. Il Sacro Graal, appunto. E non è casuale che nella tela di Dalì compaia accanto alla croce una donna, raffigurata con le fattezze di Gala, la moglie di Dalì, per simboleggiare la riunificazione tra il maschile e il femminile. Gala, infatti, contempla estatica la risurrezione di Cristo, segno che il femminile gioca un ruolo determinante nella rinascita spirituale. Se così non fosse nella tela apparirebbe solo Cristo e l’iperspazio, ovvero il maschile, ma è proprio la presenza di una donna a suggerire che nel processo di risurrezione è coinvolta anche l’anima umana, che dal punto di vista esoterico è rappresentata dal femminile. D’altronde, i veri iniziati sanno molto bene che la conquista del Graal passa attraverso una ricomposizione della frattura edenica tra maschile e femminile, del loro bilanciamento armonico. Chi sostiene, come certe tradizioni religiose e certi controiniziati, che il femminile è soltanto un vaso, uno strumento da utilizzare per risaire nelle sfere più elevate dello Spirito (ogni riferimento a un uso deviato del tantra è puramente casuale) è ancora bel lontano dall’aver penetrato il mistero del Graal. Dalì docet.(Patrizia Francesconi, “Il Sacro Graal, la Croce e Dalì”, dal blog “Verità Giustizia Bellezza” del 30 ottobre 2017).Salvador Dalì, uno dei pochi autentici Rosacroce, ha trasfuso nella sua opera pittorica il sapere esoterico a cui venne iniziato. La maggior parte dei suoi quadri, in particolare quelli dell’ultima fase misticheggiante, sono impregnati di un fortissimo significato esoterico, codificato sapientemente in un linguaggio simbolico a cui pochi possono accedere. Esiste una bellissima tela del pittore catalano dal titolo “Corpus Hypercubus”, del 1954, in cui viene raffigurato Cristo su una croce composta da otto cubi. Si tratta indubbiamente di un uso di ascendenza pitagorica del numero 4 e del numero 8, una scelta non casuale, considerata la matrice iniziatica del pittore. Cristo in realtà non è rappresentato inchiodato alla croce ma sospeso in aria, fluttuante come se fosse già risorto. Perché Dalì ha voluto rappresentare Cristo in un modo così palesemente discordante dalla tradizione sinottica (ma non da quella giovannea, intrisa della cosiddetta “teologia della gloria”)? Il corpo di Cristo appare perfetto, non flagellato e scarnificato dalle torture alle quali, secondo i Vangeli, venne sottoposto prima di essere crocifisso. Dunque, un’immagine di Cristo trasfigurata, che non trova corrispondenza nelle testimonianze neotestamentarie. Quale il significato simbolico da attribuire a questa strana rappresentazione che capovolge ogni logica?
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Mattei: siamo merce da macello, controllata via smartphone
Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.Parliamo della frontiera di tanto tempo fa, del saccheggio coloniale e così via. Quella era la frontiera della modernità. Con la modernità si scoprono le Americhe, nelle Americhe si sperimenta tutto ciò che non si poteva fare all’interno del nostro continente europeo. Perché non si poteva fare? Perché la tradizione lo impediva. La tradizione giuridica impediva la sperimentazione di ideologie proprietarie come quelle di Locke, che presupponevano la tabula rasa, un’idea di un vuoto che viene colmato attraverso delle istituzioni giuridiche fortemente semplificate. Fra le quali due capisaldi della modernità che sono la proprietà privata assoluta, il dominio dispotico di cui hanno parlato i giuristi da un lato e la sovranità dello Stato. Che sono i due poli organizzativi intorno ai quali noi abbiamo costruito le categorie giuridiche e politiche della modernità: il pubblico e il privato. Oggi la frontiera non è più una frontiera fisica, non abbiamo più le scoperte di Magellano, di Amerigo Vespucci o di Cristoforo Colombo, ma chiaramente è una frontiera di tipo informatico. Quella che Floridi aveva chiamato qualche anno fa “l’Infosfera”.Questa frontiera di tipo informatico condivide con la frontiera fisica, la frontiera dell’inizio della modernità, una caratteristica fondamentale, che ha reso il capitalismo da essa completamente dipendente: oggi è impensabile immaginare il capitalismo nella forma attuale – quindi dei rapporti di produzione capitalistici globali – senza la mediazione della rete di Internet. Se voi pensate alla vostra vita quotidiana, vi rendete conto perfettamente che nulla oggi può funzionare se non mediato dalla rete. Quando andavo a comprare un biglietto del treno, per andare a trovare i miei amici in età giovanile, c’era un signore che me lo faceva a mano. Certo, io sono molto anziano, però oggi se arrivi in stazione e il computer è giù, tu il biglietto non lo compri e il treno non lo prendi. Perché la sostituzione della macchina all’umano, in queste operazioni anche molto semplici come quella di fare un biglietto, è tale per cui semplicemente non è più possibile farne a meno. Se estendete tutto questo al mercato finanziario, alle banche, a tutto quanto, vi rendete perfettamente conto che chi può accedere al Master Switch (come è stato chiamato in un famosissimo libro molto importante di un signore che si chiama Tim Wu, professore della Columbia University), che sarebbe l’interruttore centrale, è colui che in realtà può disattivare il capitalismo.In questa frontiera si sperimentano molte cose. La frontiera dell’Infosfera è una frontiera dalla quale il capitalismo è dipendente e che dev’essere naturalmente tutelata in un modo assolutamente molto forte. Tramite che cosa? Tramite la costruzione di una serie di tabù, di una serie di ideologie, di una serie di convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione. Faccio un esempio molto semplice. Quando a noi arriva un messaggio di posta elettronica, di solito sotto c’è scritto: “Non stampare questa email, mantieni l’ambiente salubre”. Questo è una sorta di messaggio criptico per cui sostanzialmente la posta elettronica sarebbe, dal punto di vista ecologico, un modo di comunicare totalmente sostenibile, mentre stampare la carta e spedire la lettera non lo sarebbe. Il messaggio che passa è che la rete Internet vive in una sorta di empireo astratto assolutamente pulito (adesso si parla di nuvole, no?). In realtà la rete Internet è fatta, fisicamente, dall’hardware: sono dei giganteschi cavi, estremamente grossi, che passano sotto i mari. Sono una serie di server potentissimi che consumano una quantità spaventosa di energia e che semplicemente nessuno sa dove siano. Si sa vagamente che sono collocati nella zona dell’Occidente degli Stati Uniti, tra la parte – diciamo – nord della Stato della California, dello Stato di Washington e dell’Oregon. Si pensa che pezzi siano nel Canada, ma non v’è certezza. Una delle tesi più accreditate è che il famoso Master Switch, cioè il server centrale, quello davvero importante, stia in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.Tutto questo si va a schiantare contro quello che è la nostra impronta ecologica. L’impronta ecologica giusta è 1, ma oggi l’impronta ecologica globale è 1.4 e 1.5, il che significa che tutti gli anni verso luglio-agosto siamo nel cosiddetto Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale abbiamo finito di consumare le risorse che sono teoricamente riproducibili e incominciamo a consumare delle risorse che non saranno mai più riprodotte. 1.4 è una pessima impronta ecologica! Ma la cosa ancor peggiore è che i luoghi che vengono indicati da tutti come i più avanzati del mondo, la famosa Silicon Valley, dove ci si va a fotografare se si diventa primi ministri, da Twitter a Cupertino, a Palo Alto, a Mellow Yellow Party, i famosi posti della famosa Silicon Valley, ebbene l’impronta ecologica della Silicon Valley è 6. Il che significa che se tutto il mondo vivesse e si sviluppasse per poter diventare come ci dicono che potremmo diventare, cioè come la Silicon Valley («Crescete in modo tecnologicamente avanzato», e noi importiamo questo modello di sviluppo), ci vorrebbero sei pianeti per poter mantenere tutti quanti questo tenore di vita. Il che significa che se l’impronta ecologica è di appena 1.4, è solo perché dal Burkina Faso, all’India alla stessa Cina, l’impronta ecologica è molto più bassa rispetto a quella che è l’impronta ecologica dell’Occidente ricco. D’accordo?La Cina ha un’impronta ecologica di più della metà rispetto a quella degli Stati Uniti, anche se viene normalmente indicata come il posto in cui tutti inquinano e fanno delle cose tremende! E quella pro-capite è doppia negli Stati Uniti. Se poi ci stupiamo dei flussi migratori, delle situazioni drammatiche che si verificano, questo dipende semplicemente dal fatto che l’equilibrio globale è fortemente sbilanciato dal punto di vista dei consumi. Nessuno dei temi, compreso quello della Costituzione, può essere affrontato senza un’analisi seria dello stato del capitalismo attuale. Perché altrimenti noi ci mettiamo a ragionare di categorie astratte e non capiamo le condizioni materiali nell’ambito delle quali l’umanità si trova a vivere. E quali sono le possibilità, i rischi legati alla costruzione di questi dispositivi? Esempio molto semplice: gli untori. «Teniamo fuori i bambini che possono contagiare tutti gli altri». Che cosa significa? Che le mamme di questi bambini sono dei cattivi cittadini perché non investono sufficientemente in precauzione rispetto agli altri. Si costruisce un modello moralistico contro quelle mamme, e questo modello moralistico rende utilizzabile una sorta di implementazione diffusa di un ordine giuridico assolutamente contrario al precetto della Costituzione stessa.La Costituzione prevede che non si possano imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in casi assolutamente particolari, ed è chiaro che una vaccinazione a tutto raggio, fatta per tutti quanti, non rientra in quelle categorie di eccezionalità che giustificano il trattamento sanitario obbligatorio. Questo lo capisce chiunque. Allora, il punto vero è che oggi quella sperimentazione che viene fatta in Italia, per poi estendere i vaccini in tutto il mondo, io credo che venga fatta anche per sperimentare una futura possibile frontiera. Che è quella di rendere l’Internet delle cose sempre più inevitabile. In altre parole, se ci fate caso, quando vi comprate un telefonino di questa generazione ultima, non potete più togliere la batteria. Vi sarete chiesti: perché non si può più togliere la batteria? Perché togliendo la batteria ci si può disconnettere. Non la puoi togliere fisicamente! E certo, potresti smontare il telefono, ma guardate che se voi comprate un telefonino di ultima generazione e lo accendete – questo vale per la vostra televisione o per qualunque oggetto Smart – prima di poterlo utilizzare dovete premere una serie di pulsanti sui quali c’è scritto: “I agree. I agree. I agree”. E voi che cosa accettate, naturalmente senza leggerlo? Tu hai accettato in quel momento una serie di cose che non accetteresti mai rispetto a una tua normale proprietà.Per esempio hai accettato il fatto che non lo potrai portare a riparare da chi ti pare, ma dovrai portarlo a riparare soltanto da quello che ti indica il venditore. Hai accettato il fatto che non potrai hackerare, manipolare la tua proprietà per renderla più compatibile con un altro sistema operativo, perché se lo fai commetti un reato! Hai accettato semplicemente una giurisdizione all’interno della quale tutta una serie di comportamenti, che sono comportamenti totalmente normali rispetto a un proprio oggetto, sono in realtà rilevanti dal punto di vista penale. Hai in più accettato anche il fatto di togliere di mezzo ogni giurisdizione, cioè che utilizzando questo strumento e scaricando qualsiasi tipo di App, implicitamente non puoi più andare in una giurisdizione – sia straordinaria che amministrativa – a far causa a uno qualsiasi di questi provider cui hai venduto i tuoi dati. Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. È tanta gente! I nostri giornalisti ci dicono che si tratta della più grande nazione del mondo. Quel miliardo e mezzo di persone hanno accettato il sistema di risoluzione delle controversie tra l’utente e Facebook stesso, ma indovinate quante volte nella storia di Facebook lo hanno utilizzato? Sessantaquattro!Vale a dire che è stato completamente tolto di mezzo qualsiasi strumento di accesso alla giurisdizione ordinaria. E anche quella speciale, che ti viene offerta come giurisdizione privata, non viene semplicemente utilizzata mai. Cosa significa questo? Significa che nella frontiera dell’Infosfera possiamo fare a meno del giurista! La presenza del diritto non è più necessaria per costruire la struttura portante del capitalismo. Il giurista e il diritto sono stati sostituiti dai programmatori che riescono a introdurre dei processi che fondano le basi di transazioni economiche al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei giuristi. Voi mi direte: «Ma che bella cosa, perché i giuristi ci stanno molto antipatici!», e io sono anche d’accordo, da un certo punto di vista, perché purtroppo li frequento molto. Però il punto è che mentre nella storia tutte le rivoluzioni fin qui hanno sempre cercato di togliersi dai piedi i giuristi, ma non ci sono mai riuscite perché prima o dopo la loro presenza era necessaria per costruire le basi di una società organizzata fondata sullo scambio, oggi per la prima volta è possibile. Il che significa che mentre prima il capitalismo doveva in qualche modo sopportare i pistolotti dei giuristi che gli dicevano: «Ma guarda che ci sono anche gli standard di decenza, ci sono i diritti umani fondamentali, non si possono imporre vaccini obbligatori, non si possono fare una serie di cose senza ragionevolezza», perché quel ceto era un ceto in qualche modo indispensabile per la funzione primaria da cumulo capitalistico, oggi che quel ceto non serve più.Anche le nostre prediche sono destinate a rimanere, come diceva il buon Bob Dylan, Blowin’in the Wind. Sono destinate a rimanere completamente inascoltate, per un semplice fatto: che incentivo hanno ad ascoltare Ugo Mattei che gli fa il predicozzo, se poi non ne hanno bisogno per poter estrarre valore nei rapporti economici commerciali utilizzando le sue dottrine sul contratto sulla proprietà? Semplicemente se lo tolgono dai piedi nell’uno e nell’altro settore. Questa è una sperimentazione che per ora sta avvenendo in frontiera, nell’Infosfera, ma che sempre più rapidamente – io prevedo – arriverà anche nella madrepatria, nel mondo off-line – come oggi si chiama – perché quelle sperimentazioni lì vengono fatte in quel luogo e poi dopo ricadono anche nella nostra vita quotidiana. Proprio come le sperimentazioni di saccheggio nell’America Latina, soprattutto nel Nord America, sono ricadute nella strutturazione del capitalismo della madrepatria. Questo è un punto di una certa gravità, perché né tu né un altro miliardo di persone adesso potete più togliere la batteria: c’è il diritto penale che presiede alla vostra ubbidienza rispetto a quello che avete accettato.E questo è gravissimo, perché nel momento in cui tutti noi, dal primo all’ultimo, commettiamo dei reati senza saperlo, perché premiamo dei pulsanti, noi tutti, dal primo all’ultimo, possiamo essere inquisiti per quello che abbiamo fatto. E quindi noi, dal primo all’ultimo, possiamo finire nei guai proprio come è successo ad Aaron Swartz negli Stati Uniti d’America. Quanti di voi hanno sentito parlare di Aaron Swartz? Era un ragazzo che all’età di 12 anni era un genio informatico, un genio che aveva preso una sua consapevolezza politica. A 12 anni aveva fatto il Coding per il famoso programma, quello di Lawrence Lassie per i CoPilot, quindi insomma era un personaggio di grandissimo livello. A un certo punto capisce l’importanza di questi discorsi e pubblica un piccolo manifesto che si chiama “Guerilla Open Access Manifesto”. Pubblica questa cosa e comincia a dire che l’unico modo di mantenere la società come una società di liberi e non una società di schiavi è quella di rendere la cultura accessibile a tutti. Siccome era un genio e sapeva fare queste cose, penetra nella notte negli archivi del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, e scarica tutte le collezioni di Jstor, che è il più grande collettore di dati scientifici che ci siano nel mondo, e le rende pubbliche. Ok?Fa questa operazione di guerriglia per rendere accessibile questa informazione sulla base di una consapevolezza politica impressionante, perché nel Guerrilla Manifesto c’è tutto un ragionamento sul fatto dello iato tra i paesi ricchi e i paesi poveri, sulla cultura e di come deve essere in qualche modo accessibile, distribuita. Insomma, un personaggio di grande spessore nonostante la giovane età. Viene ovviamente preso di mira dall’Fbi e nonostante ottenga un accordo con Jstor per uscire dalla cosa – io conoscevo bene il suo avvocato che mi ha raccontato tutto – distrutto dai conti che ha dovuto pagare, tra avvocati e altre spese, all’età di 26 anni si è suicidato. C’è un bellissimo documentario che ne racconta la storia, si chiama “Killswitch”, vale la pena di vederlo perché è esattamente la storia di come in frontiera la partita si svolga tutta fra programmatori, così come una volta il giurista critico era visto come il peggior nemico del capitalismo stesso. Pashukanis viene ammazzato dallo stesso Stalin perché aveva introdotto una riflessione critica sul diritto che dava fastidio a chiunque volesse costruire delle strutture di sovranità. Quindi era sostanzialmente demonizzato perché conoscitore del segreto iniziatico. Stessa cosa successa per Aaron Swartz.Quindi questa è una partita molto importante. Che cosa impedirà un domani di far uscire una legge che, per ragioni di sicurezza e per lotta contro il terrorismo, ci obblighi a introdurci con una piccola iniezione un microchip sottocutaneo che si collega automaticamente con i vari sensori che ci sono nel mondo? Assolutamente nulla! Dal punto di vista tecnico è già totalmente possibile – ci sono già state sperimentazioni sull’introduzione di particelle talmente piccole che possono essere sostanzialmente iniettate sotto cute. Poi mi dicono che sono un “Conspiracy theorist”, che è il modo di dire di qualcuno che cerca di pensare criticamente: gli dicono che fa la “Conspiracy theory“, ma la verità vera è che oggi la tecnologia – se non oggi fra 3 anni, 5 anni, 8 anni, ma in un tempo molto vicino – consentirà cose di questo genere in modo assolutamente banale. Perché sono già totalmente possibili. Oggi il mio telefono, che è di un livello medio-scarso, è già molto più potente del top di gamma dell’Apple computer nel 2005. L’accelerazione tecnologica legata alla cosiddetta Legge di Moore, fa sì che oggi noi abbiamo un telefonino di livello medio-basso molto più potente del top di gamma non di 30 anni fa, ma di quattro, cinque, otto anni fa. Io credo che la questione della tecnologia debba essere affrontata in modo molto serio, perché ha trasformato profondamente i nostri sistemi politici portando alla sparizione totale della famosa contrapposizione fra pubblico e privato, sulla quale abbiamo costruito la civiltà liberale che ci governa, o comunque la civiltà moderna.Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti, io dissi: «Secondo me Obama è come Gorbaciov». Gorbaciov era stato l’ultimo dei comunisti all’interno del sistema sovietico, che aveva cercato di trasformare dall’interno senza riuscirci. Barack Obama è stato l’ultimo degli americani a provare a trasformare il sistema liberale dall’interno, a provarci secondo diciamo le possibilità concrete di farlo, che erano assai limitate perché non era un uomo particolarmente coraggioso. L’esito è stato da un lato la rivoluzione che ha portato a Putin, dall’altro Donald Trump, e poi questo modello di governo che stiamo vedendo ovunque, da Modi in India, alle trasformazioni del partito comunista cinese. Ovunque si sono istituite delle Costituzioni tecno-fasciste. In altre parole delle Costituzioni, delle strutturazioni che si sono liberate completamente dal vecchio controllo, dalla vecchia dicotomia pubblico/privato. Oggi nel consiglio di amministrazione di Facebook, delle cinque grandi corporation di grandi gruppi farmaceutici, siedono tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia all’Fbi. Perché non c’è più sostanzialmente nessuna separazione, e non può più esserci.Chi è il proprietario di queste grandi strutture dentro Internet? Chi mantiene quei cavi? Chi ha le chiavi per entrare ad aggiustare quel Master Server? Chi è che fa gli investimenti per migliorarlo? Semplicemente non lo sappiamo. Io sarò un ricercatore ignorante, zuccone e asino, ma sono tre anni che provo a trovare dei lavori scientifici seri sull’hardware, sulla parte hard della rete Internet, e non si trova assolutamente niente. Non c’è un paper scientifico che affronti dal punto di vista teorico quella che è la questione della proprietà delle infrastrutture materiali che governano l’Infosfera. Questo è un buco nelle nostre conoscenze estremamente pericoloso. Allora, se così stanno le cose, io credo che noi non possiamo trovare soluzioni che si facciano carico dei problemi, così come essi si verificano a questo livello di sviluppo tecnologico, all’interno delle vecchie strutture dell’ordinamento costituito. Noi non possiamo immaginare che possano essere i legislatori ordinari dei paesi del mondo, siano essi i paesi deboli e semiperiferici come il nostro, ma siano anche i grandi blocchi avanzati, a riuscire a mettere sotto controllo il potere economico così come è venuto a svilupparsi oggi. I rapporti di forza tra privato e pubblico sono drammaticamente cambiati.Il Leviatano un tempo era un signore pubblico, contro il quale avevamo costruito il diritto costituzionale liberale, per proteggere l’individuo vivo, la proprietà privata, la privacy, la nostra entità o la persona rispetto alle potenziali deviazioni del potere concentrato. Oggi le cose non stanno più così. Oggi non è più il privato a essere più debole del pubblico e a necessitare della tutela nei confronti del pubblico stesso, ma è il pubblico, sono questi sistemi burocratici che sono stati talmente colonizzati dal capitale privato, per cui nessuna delle scelte che vengono fatte può essere più considerata una scelta politica. Ma voi pensate che sia stata davvero la Lorenzin a decidere questa cosa dei vaccini? Ma stiamo scherzando? E pensate davvero che siano state le istituzioni europee sulla base di qualche think-tank di alto livello? Ma scherzate proprio? Sono stati i consigli di amministrazione di due, tre, quattro grosse multinazionali, che erano le stesse che ai tempi della mucca pazza – ogni tanto vengono costruite queste situazioni d’emergenza – avevano creato le condizioni per poter operare delle “estrazioni” – come dire – molto importanti.Perché per la mucca pazza in Italia avevamo comprato una quantità di vaccini, che poi abbiamo buttato via, impressionante! Milionate di vaccini! Avremmo finanziato la ricerca nei beni comuni, nel territorio e tutto quel che volevamo, ma c’è stato l’allarme mucca pazza, no? Adesso si è capito – come spesso avviene – che il momento di estrazione e di accumulo originario, quello che il vecchio Marx chiamava l’“Accumulazione Primitiva” non è un momento specifico (le Torri Gemelle, e allora dichiaro la guerra). No! Semplicemente si tratta di un modello permanente di strutturazione della società che consente a questi processi di andare avanti in modo lineare sempre in quella particolare direzione. Allora, come si risponde a questo? Io credo che prima di tutto bisogna avere l’umiltà di provare a capire questi processi. E provare a capire questi processi non è facile perché ti oppongono: «Ma tu, Mattei, sei un giurista. Che ne capisci di informatica? Tu, sociologo, che ne capisci di medicina? La medicina e l’informatica non sono democratiche, no?».Esattamente questo è il punto! Si sente la necessità di una cultura che sia nuovamente una cultura di tipo olistico, una cultura di tipo interdisciplinare che sia capace una volta tanto di esercitare un controllo critico sulle cose che lo specialismo cerca di farci ingurgitare. Questo è un punto – secondo me – molto molto importante. La seconda cosa è capire che oggi noi come individui non contiamo più niente: non importa niente a nessuno di noi come individui. Noi siamo delle categorie merceologiche. Nel momento in cui qualcosa ci viene dato gratis, significa che noi siamo la merce. Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu. Siamo categorie merceologiche che sono interessanti nel momento in cui veniamo raggruppati attraverso la forza computazionale, che sta aumentando in modo rapidissimo. Vi ricordate von Hayek? La teoria della conoscenza liberale qual era? Che il piano sovietico è destinato a perdere perché il libero mercato ha molte più informazioni di quante ne abbia il piano. Per cui i sovietici, non avendo il mercato libero che produce informazione, erano destinati al fallimento perché non si sapeva quanti stivali e quante scarpe col tacco lungo erano desiderati in quel momento, e quindi si producevano troppi stivali e troppo poche scarpe col tacco. E questo comportava l’impossibilità di far funzionare il piano.Oggi non è più così. Oggi la capacità computazionale crea una capacità pianificatoria molto più forte rispetto alla catalessi del mercato. Non c’è più – secondo me – un elemento per cui il potere diffuso possa imporsi rispetto al potere concentrato, nel momento in cui il potere concentrato mette sotto controllo la tecnologia ai livelli in cui la tecnologia è messa sotto controllo oggi. Il che significa che dobbiamo ripensare le stesse basi del dibattito teorico-filosofico che ci hanno accompagnati dalla modernità fino ad oggi. E’ un compito molto serio, molto molto importante e di cui però bisogna cominciare ad occuparsi. Bisogna che qualcuno abbia il coraggio di prendersi del buffone, ma andare a parlare di queste cose dove di queste cose bisogna parlare. Siccome non contiamo più come individui, ma come categoria merceologica, abbiamo la necessità di ricostruire istituzioni del collettivo. L’individuo è morto. L’individualismo basato sul diritto soggettivo assoluto è, come diceva Rosa Luxemburg a proposito della socialdemocrazia tedesca dell’epoca, un fetido cadavere, cioè qualcosa che non ha più senso di esistere perché oggi ci sono i collettivi che vanno ricostruiti.O ricostruiamo una situazione di collettivizzazione, anche di quelle persone che non accettano di essere merci da estrazione capitalistica, o ci siamo fatti riempire la testa di nozioni che ci depotenziano. Io sento dire che su alcune cose, i diritti civili liberisti sono più avanzati e quindi gli vogliamo dare spazio. Non si capisce che i diritti più importanti, come quelli sul nostro corpo, quelli sulla nostra identità sessuale, sono destinati a non servire assolutamente a nulla. Quindi ricostruire condizioni del senso comune, ricostruire solidarietà, ricostruire strutture di condivisione anche fondate sull’amore è secondo me molto importante, perché quello è il solo modo grazie al quale si può avere il coraggio di opporsi in modo radicale a delle leggi che sono leggi insostenibili, ingiuste e che creano obblighi collettivi di resistenza.(Ugo Mattei, “Perché non ti fanno più togliere la batteria dallo smartphone”, da “ByoBlu” del 26 novembre 2017. Il post è la trascrizione di un intervento di Mattei al convegno “Costituzione, comunità e diritti” tenutosi all’università di Torino il 19 novembre 2017. Giurista, Ugo Mattei è professore di diritto internazionale e comparato alla California University e docente di diritto privato nell’ateneo torinese).Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.
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Magaldi: carabinieri, massoneria e democrazia-fantasma
Il generale Leonardo Gallitelli «graziosamente indicato da Berlusconi» come suo eventuale successore, se perdurasse l’ostracismo della pessima legge Severino che impedisce al Cavaliere di ricandidarsi? «Ci risiamo, con la retorica della brava persona estranea alla politica: non conosco il generale Gallitelli, ma so che non ci servono onesti incompetenti. Al contrario, occorrono politici a tutto tondo, ben preparati al vero, grande scontro che può salvare l’Italia, quello con Bruxelles». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del futuro Pdp, Partito Democratico Progressista, invoca il ritorno alla democrazia sostanziale, la cui assenza sta producendo danni devastanti a ogni livello: politico, economico e sociale. «Non ho mai risparmiato critiche a Berlusconi, perché non ha neanche mai provato ad attuare le riforme liberali che aveva promesso», premette Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Gli auguro sinceramente di poter tornare in campo, ma in modo democratico: accettando cioè di confrontarsi con Salvini e la Meloni». Regolari primarie, insomma: «E’ giusto che sia il popolo del centrodestra a scegliersi finalmente il candidato che preferisce». Senza per questo farsi troppe illusioni: «Come Berlusconi, anche la Lega e An hanno già governato a lungo, non riuscendo a risolvere né il problema immigrazione né il rapporto con l’Ue, attualmente ostaggio di eurocrati che si dicono europeisti ma sono i veri nemici dell’Europa».Pur di evitare le primarie, Berlusconi evoca la candidatura di un generale dei carabinieri? Non è il solo a utilizzare il prestigio dell’Arma in chiave elettorale: l’hanno fatto anche Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa chiamando il generale Nicolò Gebbia a presentare il progetto della loro “Lista del Popolo”, definita anche “La Mossa del Cavallo” e ribattezzata da Magaldi “la Mossa del Somaro”, con allusione ai portatori d’acqua («i somari, appunto») cui toccherebbe mettere in piedi liste in tutta Italia, in pochissime settimane, «lasciando però l’ultima parola agli autoproclamati leader, di fatto padroni di ogni decisione». Il generale Gebbia, intanto, denuncia il ruolo occulto della massoneria nella politica: lascia anche intendere di esser stato messo da parte, nei ranghi dell’Arma, in quanto non-massone, e propone di obbligare i “grembiulini” a dichiararsi pubblicamente, se intendono concorrere a cariche pubbliche. Magaldi inorridisce: «E perché mai solo i massoni dovrebbero dichiararsi? Perché non anche esponenti di sindacati e associazioni religiose o filosofiche?». Quella contro gli aderenti alla massoneria, dice, sarebbe una grottesca discriminazione: «L’ennesima, in un paese come l’Italia, dove fa comodo fingere di non sapere che è stata proprio la massoneria a dar vita allo Stato unitario e poi a concorrere alla democrazia: era massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “commissione dei 75” che partorì la nostra Costituzione».Massone l’insigne giurista Pietro Calamandrei, massone il martire antifascista Giacomo Matteotti: di cosa stiamo parlando? Nel bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014, Magaldi è stato il primo a rivelare, semmai, il ruolo occulto delle Ur-Lodges sovranazionali nella cabina di regia del vero potere mondiale. Ne fa cenno anche il generale Gebbia, ricordando il ruolo di protezione esercitato da Berlusconi per le truppe italiane schierate a Nassiriya, in Iraq: un intervento risolutivo, ottenuto perché «Bush e Berlusconi facevano parte della stessa loggia». Magaldi corregge l’ufficiale, allora a capo del contingente dispiegato in Iraq: «Bush tentò di affiliare Berlusconi alla superloggia “Hathor Pentalpha”, ma non vi riuscì». Nella “Hathor”, invece, era presente – scrive Magaldi nel suo libro – l’allora ministro della difesa Antonio Martino, peraltro lungamente a capo della Mount Pélerin Society, santuario europeo dell’ordoliberismo finanziario di marca reazionaria. Chiarisce Magaldi: «Ci sono massoni non solo tra i carabinieri, ma anche tra poliziotti e finanzieri. Quando viene iniziato, un massone innanzitutto giura fedeltà alla repubblica italiana. Qualcuno se ne stupisce? Non dovrebbe: proprio la massoneria è stato il maggior fautore dello Stato laico, libero e democratico, basato sul suffragio universale e non più su privilegi di casta».Il generale Gebbia si sente vittima di carabinieri massoni? «Forse dovrebbe interrogarsi sulle sue effettive benemerenze», gli risponde a distanza Magaldi, non entusiasta del profilo politico-culturale che le parole dell’anziano ufficiale lasciano trasparire, evocando la consueta “caccia alle streghe” che contraddistingue tanto mainstream, politico e giornalistico: «Siamo bravissimi a fare i duri con i piccoli massoni di provincia, magari coinvolti in maneggi bancari come quelli di Banca Etruria e Montepaschi, per poi tacere di fronte all’identità supermassonica dei veri massoni di potere», accusa Magaldi. «Rosy Bindi reclama le liste degli aderenti al Grande Oriente d’Italia e Claudio Fava propone addirittura una legge che escluda i massoni dalla politica, privandoli cioè di un fondamentale diritto civile, ma poi tutti fingono di non conoscere la cifra massonica di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, che in qualità di dirigenti di Bankitalia avrebbero dovuto vigilare su Mps». “Dagli al massone?” Sì, ma a patto di sorvolare sui “fratelli” che contano davvero, «per esempio Mario Monti, il devastatore dell’economia italiana, e il suo sodale Giorgio Napolitano».Pura ipocrisia italica, insiste Magaldi: anziché dare la caccia ai “grembiulini” in quanto tali (e non invece ai pericolosi oligarchi nascosti anche nei club più esclusivi della supermassoneria che conta, quella internazionale) saerebbe il caso di mettersi sulle tracce della vera, grande assente dalla scena italiana: la democrazia. Che, appunto, rischia di restare ancora largamente latitante, se è vero che il Pd renziano sembra prepararsi all’ennesimo inciucio con Berlusconi, grazie anche al disastroso Rosatellum. «L’alibi delle larghe intese sarà il solito: fermare il Movimento 5 Stelle, come se fosse un vero pericolo». Purtroppo, continua Magaldi, i 5 Stelle non sono affatto un pericolo, per l’establishment: «Al contrario, sono un movimento soporifero: dove governano, come a Roma, addormentano le istituzioni, che andrebbero invece scosse con robuste dosi di democrazia». Insieme all’economista Nino Galloni, il presidente del Movimento Roosevelt scommette sul ritorno alla sovranità finanziaria, anche monetaria: «Non è possibile che l’Europa sia governata dai cartelli bancari a capo della Bce, e dalle oligarchie private che pilotano le cancellerie. L’Italia, che resta uno dei maggiori contraenti dell’Ue, deve dire semplicemente: ci riprendiamo la nostra sovranità, oppurre arrivederci, ben sapendo che – senza l’Italia – l’Unione Europea non esiste, crolla».Proposta secca: «Una Costituzione Europea politica, validata da referendum popolari». Ipotesi completamente ignorata da Renzi, Berlusconi e 5 Stelle. «Ma sarebbe l’unica soluzione, per poter finalmente cominciare a fare sul serio». Invece, conclude Magaldi, ci tocca assistere anche alla farsa di Bersani e D’Alema, che si appellano all’articolo 1 della Costituzione dopo aver rottamato la Carta, con l’inserimento del pareggio di bilancio. «Chiamare il loro movimento “democratico e popolare”, in antitesi a Renzi, è un insulto all’intelligenza degli italiani: Renzi non ha le colpe di D’Alema e Bersani, non ha lesionato la Costituzione», sostiene Magaldi. «Persino la sua brutta proposta di riforma, quella bocciata dal referendum, non avrebbe fatto i danni delle modifiche costituzionali votate da Bersani: l’abolizione del Senato elettivo non sarebbe stata così devastante, per il paese, quanto l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, che ha privato l’Italia di un fondamentale strumento di sovranità democratica». Ma non sarà così per sempre, si augura Magaldi: il paese dovrà svegliarsi dal sonno e sbarazzarsi di troppi politici mediocri e inutili, spesso anche cialtroni. Massoni e non, ma tutti agli ordini del vero potere, l’élite neo-feudale della globalizzazione privatizzatrice, «interpretata dai veri antieuropeisti, come la Merkel e gli oligarchi di Bruxelles».Il generale Leonardo Gallitelli «graziosamente indicato da Berlusconi» come suo eventuale successore, se perdurasse l’ostracismo della pessima legge Severino che impedisce al Cavaliere di ricandidarsi? «Ci risiamo, con la retorica della brava persona estranea alla politica: non conosco il generale Gallitelli, ma so che non ci servono onesti incompetenti. Al contrario, occorrono politici a tutto tondo, ben preparati al vero, grande scontro che può salvare l’Italia, quello con Bruxelles». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del futuro Pdp, Partito Democratico Progressista, invoca il ritorno alla democrazia sostanziale, la cui assenza sta producendo danni devastanti a ogni livello: politico, economico e sociale. «Non ho risparmiato critiche a Berlusconi, perché non ha neanche mai provato ad attuare le riforme liberali che aveva promesso», premette Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Gli auguro sinceramente di poter tornare in campo, ma in modo democratico: accettando cioè di confrontarsi con Salvini e la Meloni». Regolari primarie, insomma: «E’ giusto che sia il popolo del centrodestra a scegliersi finalmente il candidato che preferisce». Senza per questo farsi troppe illusioni: «Come Berlusconi, anche la Lega e An hanno già governato a lungo, non riuscendo a risolvere né il problema immigrazione né il rapporto con l’Ue, attualmente ostaggio di eurocrati che si dicono europeisti ma sono i veri nemici dell’Europa».
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Guénon: macché progresso, scivoliamo verso la barbarie
René Guenon è un esoterista francese del Novecento. Esoterista è una parola non proprio comune, anzi del tutto fuori moda nell’odierna civiltà. Esoterista è chi si occupa dell’esoterico, cioè di un sapere per pochi iniziati attinente alle cose Nascoste, Ultime, Vere. Ha a che fare con un approccio spirituale, con una venerazione per il ‘Sacro’ collocabile a mille miglia, agli antipodi addirittura, dal greve materialismo, dalla superficialità chiacchierona, dall’agire compulsivo e senza scopi dell’Evo post moderno. In ogni caso, Guenon suggeriva una lettura della Storia umana in totale controtendenza rispetto a quella insegnata nelle scuole, soprattutto occidentali, e di cui molti ‘maestri’ contemporanei sono imbevuti debitori. Parlo dell’idea ‘progressista’ secondo la quale le vicende umane sono paragonabili a una freccia, a un tracciante ben direzionato che va da un prima a un dopo, ma anche da un indietro a un avanti, da un sotto a un sopra, da un meno a un di più. Secondo questa logica, il nostro è il migliore dei mondi possibili proprio perché viene dopo quelli barbari del passato.Tale logica ha partorito il concetto dei ‘secoli bui’ medievali e il mito illuminista e positivistico di una Ragione Umana tesa a una marcia di ineluttabile miglioramento delle nostre sorti e condizioni. Ebbene, la visione di Guenon cattura perché sovverte la prospettiva. Egli recupera gli insegnamenti di uno dei primi poeti greci, Esiodo, e di molta letteratura indiana antica sui cicli cosmici. Da queste fonti ricava il convincimento di una Storia composta di cicli votati al degrado anziché al progresso, una successione di ere che – da quella dell’oro – scalano a quella dell’argento e poi del bronzo e poi del ferro. Secondo Guenon, l’età in corso (e lui se ne andò prima di assistere allo sfacelo dei decenni successivi alla sua morte) è quella del Kali Yuga, cioè del materialismo trionfante, dell’amnesia spirituale, della solidificazione energetica.Il metodo suggerito da René asseconda una presa di coscienza oggi detestata dagli ottimisti a cottimo, da quelli che ‘bisogna pensare positivo’, dai cultori dei prodigi futuristi della scienza e della tecnica. Infatti, esorta ad aprire gli occhi e a non farsi illusioni. Derubrica a umana arroganza la pretesa di poter cambiare lo stato delle cose, di voler trovare una via d’uscita dalla crisi morale, politica, economica, sociale dell’Evo Competitivo. Questo, secondo Guenon, è il Tempo del Declino e ogni pulsione prometeica di mutarne il verso, di capovolgere il senso degli eventi, si libra – per ciò stesso – nei cieli dell’utopia. Insomma, Guenon, custode di una Tradizione perduta, ci suggerisce non di lottare per cambiare il mondo esterno, ma di lottare per cambiare il mondo interno, per non spegnere la piccola fiaccola di ‘altezza’, di ‘profondità’, di ‘senso’, di ‘sacro’, ancora accesa in noi, sempre che lo sia. In attesa di una svolta che verrà – questo è certo – ma non grazie all’umanità attuale. Piuttosto, nonostante essa.(Francesco Carraro, “Magnifiche sorti regressive”, dal blog di Carraro del 29 ottobre 2017).René Guenon è un esoterista francese del Novecento. Esoterista è una parola non proprio comune, anzi del tutto fuori moda nell’odierna civiltà. Esoterista è chi si occupa dell’esoterico, cioè di un sapere per pochi iniziati attinente alle cose Nascoste, Ultime, Vere. Ha a che fare con un approccio spirituale, con una venerazione per il ‘Sacro’ collocabile a mille miglia, agli antipodi addirittura, dal greve materialismo, dalla superficialità chiacchierona, dall’agire compulsivo e senza scopi dell’Evo post moderno. In ogni caso, Guenon suggeriva una lettura della Storia umana in totale controtendenza rispetto a quella insegnata nelle scuole, soprattutto occidentali, e di cui molti ‘maestri’ contemporanei sono imbevuti debitori. Parlo dell’idea ‘progressista’ secondo la quale le vicende umane sono paragonabili a una freccia, a un tracciante ben direzionato che va da un prima a un dopo, ma anche da un indietro a un avanti, da un sotto a un sopra, da un meno a un di più. Secondo questa logica, il nostro è il migliore dei mondi possibili proprio perché viene dopo quelli barbari del passato.
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Insetti e Ogm: per l’élite sarà quello il nostro cibo del futuro
«La frutta era l’unico elemento della loro dieta. Quegli esseri del futuro erano vegetariani rigorosi, e per tutto il tempo che rimasi con loro, pur desiderando un pezzo di carne, fui frugivoro anch’io». È l’anno 802.701. Il Viaggiatore del Tempo ha appena incontrato una delle due razze che popolano il futuro della Terra: si tratta degli Eloi, creature bellissime, fragili, pacifiche, piccole di statura come bambini, dalla pelle color porcellana e simili tra loro anche nel sesso. Conducono una vita di puro divertimento e sono dotati di scarsa immaginazione e intelletto. Si tratta di una citazione de “La macchina del tempo”, uno dei racconti più celebri di H.G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1895. Nell’Inghilterra di fine Ottocento, uno scienziato racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto. Otto giorni dopo, durante una cena a casa sua, il protagonista ricompare in uno stato alterato, i vestiti in disordine e il volto spettrale: racconterà davanti a una platea sbigottita, di aver viaggiato avanti e indietro nel tempo fino a raggiungere l’anno 802.701, periodo in cui l’umanità è divisa in due tronconi differenti: gli Eloi, appunto, e i Morlock, esseri mostruosi che vivono nelle viscere della terra.Costoro escono la notte per cibarsi delle carni degli Eloi, da loro accuditi e allevati come bestie da macello. Se gli Eloi sono fruttariani, i Morlock non solo sono carnivori ma si cibano addirittura della carne dei fragili Eloi. Gli Eloi di Wells prefigurano alcune caratteristiche che ritroveremo nel capolavoro distopico di Aldous Huxley, “Il mondo nuovo”. Gli abitanti del futuro (un futuro remoto in Wells, più vicino a noi in Huxley) sono creature pacifiche che vivono in apparenza in una società perfetta e felice. Gli Eloi però sono il cibo dei Morlock, così come gli abitanti del mondo nuovo di Huxley sono creature create in laboratorio e manipolate fin dalla nascita: sono cioè “cavie” per il potere, distratte dai problemi della vita tramite la saturazione del piacere. Non vengono “mangiati” come gli Eloi, ma è la loro “anima”, la loro capacità intellettiva e artistica a essere stata annullata dai governanti. Viene da citare, seppur impropriamente, Charles Fort quando scrisse «the Earth is a farm. We are someone else’s property».Queste due opere hanno anche prefigurato molte tematiche ora più che mai attuali che ho approfondito ampiamente in altre sedi con Gianluca Marletta (“Governo Globale”, “La fabbrica della manipolazione”, “Unisex”). Tornando alla citazione iniziale, è però interessante notare come l’attuale moda “vegetariana” e “vegana” abbia preso una deriva bizzarra, arrivando ad accettare di introdurre sulle nostre tavole carne e pesce artificiale (in linea con l’orizzonte post-umano del Transumanesimo che si pone come dottrina “spirituale” del mondialismo) oppure una dieta che accolga nei nostri piatti anche gli insetti, ossia l’entomofagia. Premesso che sono vegetariana da 21 anni e che dunque non è mia intenzione “giudicare” regimi dietetici alternativi, mi sembra però che si stia “spingendo” per l’assunzione di alimenti alternativi, quasi si prefigurasse per il nostro futuro una divisione in caste tra i poveri costretti a mangiare insetti, frutta e verdura (che ovviamente saranno Ogm, mica biologici!) e i sempre più ricchi a cui nulla sarà interdetto, tantomeno la carne che sarà appunto un lusso per pochi eletti.Mi sembra che oltre al mantra buonista e politicamente corretto del Love is Love (che dal poliamore arriverà presto a battersi per la legalizzazione della pedofilia), si stia andando di pari passo verso la sponsorizzazione di una moda culturale hippie-chic-newaggiarola che impone come modello per l’uomo del futuro un pacifista a tempo determinato (cioè buono e amorevole solo nei confronti di coloro che sono come lui, per gli altri nessuna pietà), empatico a intermittenza, irrazionale, incapace di pensiero critico (sarà ormai schiavo del bipensiero orwelliano) e di assumersi le proprie responsabilità. Insomma, un bambino o al massimo un perenne adolescente emotivo, vittima delle mode inculcate dalla propaganda e intrappolato nella visione estetico-dongiovannesca dell’esistenza. La teoria della gradualità, declinata nel Principio della Rana Bollita di Noam Chomksy o nella Finestra di Overton, sembra ora voler sdoganare nell’opinione pubblica occidentale anche l’introduzione di insetti sulle nostre tavole. Nascono così start-up che si occupano di creare cibi a base di farina di grilli o di altri insetti commestibili che presto saranno disponibili anche in Italia.La Fao ha lanciato da alcuni anni il programma “Edible insects” per promuovere la diffusione dell’entomofagia, già seguita da circa 2 miliardi di persone nel mondo, principalmente in Asia, Africa e America Centrale. Ciò avviene in base alle stime di sovrappopolazione che vedono la Terra, nell’anno 2050, popolata da circa 9 miliardi di persone. Gli insetti, pertanto, potrebbero diventare una “necessaria” fonte di cibo, sia per la loro ricchezza nutrizionale sia per il minor impatto ambientale del loro allevamento. Per ovviare al problema della sovrappopolazione rientra anche la produzione di carne e pesce artificiali, prodotti cioè in laboratorio. L’obiettivo, in apparenza “legittimo”, sarebbe anche in questo caso, quello di risparmiare al pianeta lo sfruttamento delle risorse ambientali. Ma è proprio questo lo scopo? Il “progresso” legittima tutto ciò che è “sintetico” e dall’altra rimodella la società in due macro caste metaforicamente simili agli Eloi e ai Morloch. Forse i ricchi del futuro non mangeranno fisicamente i più poveri, ma costoro rappresenteranno per loro “carne da macello”, come lo siamo ora per i governanti. E come lo siamo sempre stati. Manodopera da sfruttare, sorvegliare e controllare.Torniamo a “La macchina del tempo” e al “Mondo nuovo”. Si tratta in apparenza di due romanzi, uno fantascientifico, l’altro “distopico”. Eppure hanno molto in comune se non fosse per gli interessi e il legame tra i due romanzieri. Entrambi si inseriscono infatti nell’alveo mondialista britannico di quegli anni, fervidi sostenitori del dogma evoluzionistico, dell’eugenetica e del mondialismo, appassionati critici del problema della sovrappopolazione e quindi neomalthusiani. H.G. Wells era socio della Fabian Society (come entrambi i fratelli Huxley) e del Coefficent Club, già allievo dello zio di Aldous, il biologo darwinista Thomas Huxley, amico e collega del fratello di Aldous, Julian, con cui aveva collaborato alla stesura nel 1927 di “The Science of Life”. Il saggio proponeva il tema dell’evoluzione come fondamento dell’etica di quello Stato mondiale a cui Wells avrebbe dedicato il lavoro negli ultimi anni della sua vita. Wells, nel 1928 pubblicò, ricorda Enzo Pennetta in “Inchiesta sul darwinismo”, «un libro intitolato “The Open Conspiracy”, in cui manifestò il proprio ideale di un mondo unificato sotto l’egemonia anglosassone e ispirato agli ideali socio economici della Fabian Society».Nella raccolta “Idee per un nuovo umanesimo” (1961), premesso che «la nuova organizzazione del pensiero deve essere globale», Julian Huxley precisava che «la religione del prossimo futuro potrebbe essere una buona cosa. Crederà nella conoscenza», conciliando così il neodarwinismo e la filosofia positiva di Comte. Infatti, concludeva, «la religione può essere utilmente considerata ecologia spirituale applicata». L’umanesimo promosso infatti da pensatori come Wells e i fratelli Huxley ha dato vita a un’ideologia ibrida che unisce eugenetica, malthusianesimo, denatalismo, socialismo e una spiccata attenzione per le scienze e il controllo sociale. Da lì a pochi anni il nazismo avrebbe mostrato al mondo quali rischi implicava l’eugenetica, ma i suoi princìpi base sarebbero sopravvissuti al crollo del Terzo Reich e sarebbero confluiti in organizzazioni di stampo mondialista come l’Unesco, fondata nel novembre del 1945. Julian Huxley, sostenitore di svariati metodi di “selezione” della specie, ne sarebbe stato nominato primo direttore. Il cerchio così si chiude, lasciando intravedere il “filo conduttore” che anima ideologicamente molte fra le scelte sociali, culturali e politiche degli anni che stiamo vivendo. E su cui forse dovremmo riflettere… per non fare la fine degli Eloi.(Enrica Perucchietti, “Insetti e Ogm: il cibo del futuro secondo i padroni del mondo”, dal blog “Interesse Nazionale”, novembre 2017).«La frutta era l’unico elemento della loro dieta. Quegli esseri del futuro erano vegetariani rigorosi, e per tutto il tempo che rimasi con loro, pur desiderando un pezzo di carne, fui frugivoro anch’io». È l’anno 802.701. Il Viaggiatore del Tempo ha appena incontrato una delle due razze che popolano il futuro della Terra: si tratta degli Eloi, creature bellissime, fragili, pacifiche, piccole di statura come bambini, dalla pelle color porcellana e simili tra loro anche nel sesso. Conducono una vita di puro divertimento e sono dotati di scarsa immaginazione e intelletto. Si tratta di una citazione de “La macchina del tempo”, uno dei racconti più celebri di H.G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1895. Nell’Inghilterra di fine Ottocento, uno scienziato racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto. Otto giorni dopo, durante una cena a casa sua, il protagonista ricompare in uno stato alterato, i vestiti in disordine e il volto spettrale: racconterà davanti a una platea sbigottita, di aver viaggiato avanti e indietro nel tempo fino a raggiungere l’anno 802.701, periodo in cui l’umanità è divisa in due tronconi differenti: gli Eloi, appunto, e i Morlock, esseri mostruosi che vivono nelle viscere della terra.
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Pornografia e feticismo, la postmodernità delle anime morte
La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.Schiavitù economica contrabbandata come libertà per i singoli, ma fino a un certo punto, perché si mina alla base il concetto di uguaglianza (perché dovremmo essere uguali? L’individuo non deve essere uguale a nessun altro) per favorire l’individualismo thatcheriano. Negli ultimi 10 anni si sono diffuse in Europa vari tipi di forze politiche, che sono state definite dal potere “populismi”: Indignados, Sovranisti, Podemos, M5S. Ma secondo l’ordine simbolico e linguistico imposto dal potere, con il solo obiettivo di rinsaldare il proprio dominio sui dominati, è necessario controllare la popolazione, e mantenere la massa schiavizzata in una condizione di subalternità, in modo tale che la neolingua possa diventare veicolo di potenziamento dei valori del neoliberismo. Dal 1989 il capitale ha adottato una nuova neolingua, e chiunque metta in discussione il potere oligarchico viene demonizzato come disfattista, complottista, o populista. La categoria di populista serve esattamente a diffamare ogni prospettiva che assuma la parte del Servo e non del Signore (“Fenomenologia dello spirito”, W. Friedrich Hegel).Oggi viene diffamato chiunque prenda la difesa dei lavoratori precarizzati e schiavizzati, perché ciò contraddice il potere, che vuol contrabbandare i propri dogmi ideologici come fossero interessi universali: concorrenza, competitività, globalizzazione, delocalizzazione, cancellazione dell’articolo 18, licenziabilità senza giusta causa, flessibilità. Chiunque abbia il coraggio di svelare il vero significato oscurato della neolingua viene silenziato come populista e complottista, incapace di accettare la mera ricostruzione dei fatti e degli eventi prospettata dalla mediatizzazione della realtà, che il potere ci mostra quotidianamente sugli schermi televisivi. Il termine “populismo” o “antipolitica”, viene quindi usato dal potere con toni spregiativi e diffamatori, è diventato una specie di parolaccia. E i media ci presentano una realtà confusa e distorta, Grillo come Trump, Raggi come Obama, l’imperatore buono, Premio Nobel per la pace, in realtà ha sostenuto 7 guerre in contemporanea (Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria).Modernità e Postmodernità. Termini che indicano lo spirito di una civiltà, nel suo divenire storico, antropologico e culturale. La distinzione va ricercata secondo un’analisi marxista, l’aforisma di Marx, per cui «la cultura dominante coincide perfettamente con la cultura della classe dominante» (Karl Marx, “Ideologia tedesca”). Le realtà virtuali, l’iperrealtà, sono la matrice della Postmodernità, strettamente correlate all’uso di macchine creatrici di virtualità: Pc, Tablet, iPhone… Se la “produzione” è la cifra della Modernità, la “simulazione” è quella della Postmodernità. La Postmodernità ridimensiona la produzione per favorire la simulazione, sposta ingenti masse di salariati dalle fabbriche al terziario o oltre, azzera quella middle class che era il volano dell’economia dei consumi, chiude impianti produttivi. La disoccupazione di massa è la vera piaga della postmodernità: felicità virtuale e disperazione reale.L’Illuminismo aveva concentrato l’attenzione sull’impatto politico della nuova mentalità scientifica, che inneggiava all’“Homo faber fortunae suae”, e aveva indotto i nuovi uomini a sostenere le prime grandi rivoluzioni della storia, Rivoluzione Americana 1776, Rivoluzione Francese 1789. Il background filosofico culturale entro cui nasce il populismo è dunque l’età postmoderna, che propone una narrazione sempre più inquieta e socialmente devastante, dove le solide narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica. Diversi autori hanno percepito in anticipo l’avvento del postmoderno, e lo hanno interpretato attraverso la loro acuta sensibilità, a partire dagli anni ’70: Jean-François Lyotard, Guy Debord, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman. Al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni, favole illusionistiche, simulacri evanescenti, emersi direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, e dalla società dello spettacolo.Le nuove minacce metropolitane sono: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam; politiche di austerity che massacrano l’economia dell’Italia, divenuta il Sud Europa. La “notizia” della postmodernità è una fake news, consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a informare sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta deformandoli, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, “La scomparsa dei fatti”). Jean-François Lyotard, nel suo testo “La condizione postmoderna” (1979), conia il nuovo termine di “postmoderno” per definire l’epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Lo sviluppo tecnologico diventa sempre più invasivo per il benessere neurovegetativo umano (“Psyche e Techne”, Umberto Galimberti). La pornografia dei media produce la molteplicità dei linguaggi, la contaminazione degli stili, un citazionismo ossessivo (film di Quentin Tarantino), tipico di un’epoca che non ha più nulla da dire, se non ripetere all’infinito, in modalità sempre diverse, le stesse tematiche.Ne è derivata la perdita di centralizzazione nell’organizzazione dello Stato (federalismo), la perdita di sovranità (euro, Ue), un aumento dei “processi di disgregazione dello Stato Nazione”. L’Occidente sta vivendo una stagione sconcertante, attraversata dalle rapidissime trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna (secoli XVII e XX) e l’epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell’uomo, della società e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea forte dei moderni è il progresso umano, essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. L’idea forte della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di produrre il progresso, una sorta di nichilismo dei valori. Ne segue la negazione della scuola e dell’università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. La perdita di potere e di funzione sociale dell’intellettuale, che a partire dall’età dei Lumi era stato la coscienza della modernità. Tutto molto strano per quella che viene definita la «società della conoscenza».Guy Debord, di formazione hegeliana e marxista, è stato uno dei critici più importanti delle società occidentali avanzate. L’incipit della “Società dello Spettacolo” (1967) riprende a un secolo di distanza quello del “Capitale” (1867) di Marx: «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci». L’incipit dell’opera di Debord è: «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (“La Società dello Spettacolo”). Secondo Debord, La caratteristica principale del capitalismo moderno consiste nell’accumulazione del capitale, nell’espansione delle tecnologie della comunicazione, e nel «feticismo delle merci». Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente «la sua manifestazione sociale più opprimente» («Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini»). Tuttavia lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una parte della società.«Per il fatto stesso che lo spettacolo è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza». Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione. E poi, giacché la comunicazione dei media è unilaterale, il Potere giustifica se stesso attraverso un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte. «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere». Lo spettacolo del capitalismo presuppone quindi l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare. «Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento». Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato.È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. Debord descrive in questi termini l’alienazione del consumatore: «Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio». In una società mercificata, sostiene Debord, è la merce ad avere un ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.Questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”. Alle regionali siciliane Vittorio Sgarbi si presenta con un movimento, “Rinascimento siciliano”, insieme a Morgan e Giulio Tremonti, proponendo un trinomio decisamente bizzarro, composto da vecchi arnesi della politica spettacolo, camuffati da nuova proposta rinascimentale. La società è completamente dominata da immagini falsificate che sostituiscono la realtà, facendo scomparire qualsiasi verità al di là della falsificazione continua. Ciò determina una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e quindi anche della democrazia. La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo. «Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati».La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò che l’ha preceduta per un solo elemento, ma d’importanza decisiva. «Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza». Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che questo». Nella comunità la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune. Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato dovrebbe riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia.Jean Baudrillard poi, altro acuto osservatore del postmoderno, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Baudrillard inizia con la critica polemica verso il capitalismo. Smantellate le grandi teorie che guardavano alla realtà come un sistema complesso ma ordinato e descrivibile (“Idealismo o Positivismo”), il presente diventa ora un insieme di segni. Oggi predomina una iperrealtà virtuale, fatta di segni e simulacri (“Simulacri e simulazioni”, 1981). Ad essere messo in discussione è il concetto di realtà, non di verità, come spesso era accaduto in passato. Lo sguardo di Baudrillard che si proietta sul quotidiano è pessimistico, per non dire tragico e drammatico. La cultura produce qualcosa senza significato, e la sola branca del reale che è in grado di tenere in mano le sorti dell’uomo è l’industria, la società dei consumi.I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Nel suo libro “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?” (1996), Baudrillard ha spiegato come la televisione abbia sostituito la realtà. Tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Consideriamo Disneyland, Las Vegas, dove tutto è incastrato in un meccanismo di funzionamento invidiabilmente impeccabile, un mondo finto che però funziona alla perfezione. Ci rechiamo volontariamente in tali luoghi perché attratti dalla spettacolarità magnetica della ri-creazione, della meraviglia, del simulacro. Siamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne la differenza con criticità? Viviamo nei non-luoghi, definiti così da Marc Augé nel libro “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”. Gli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade, svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, campi profughi, sale d’aspetto, ascensori… ecc ecc. Spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare… l’esatto contrario dell’agorà di Atene, culla della democrazia. Sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.I nonluoghi sono prodotti della società della postmodernità, dove i luoghi della memoria sono confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, il protagonista, Tom Hanks, un cittadino di un immaginario Stato dell’Europa orientale, atterra a New York e dopo aver scoperto che nel suo paese è avvenuto un colpo di Stato, diviene improvvisamente un uomo senza nazionalità, e perciò impossibilitato sia a uscire nella tanto agognata New York, sia a fare ritorno a casa, quindi resta prigioniero e si integra perfettamente nel nonluogo. I nonluoghi sono presenti anche sulla moneta Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia, a differenza delle immagini presenti sulla Lira di Caravaggio, Verdi, Montessori, Galileo, Marconi, Colombo…Gli utenti si accontentano della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Da qui un paradosso: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi (“Villaggio globale”, Marshall McLuhan). Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/ passeggeri/ clienti/ consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole.La società che si vuole democratica non pone limiti all’accesso ai nonluoghi. Farsi identificare come consumatori solvibili, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare. Anche il concetto di “viaggio” è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: i grandi “nonluoghi” posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. Il più grande centro commerciale degli Stati Uniti d’America, il “Mall of America”, richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno. Scrive il critico Michael Crosbie nella rivista “Progressive Architecture”: «Si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland». Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico. Nell’Europa che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, si crea un’ambivalenza dei nonluoghi: quelli dell’abbondanza, e quelli della miseria, come campi profughi, centri di detenzione dei migranti et similia. In essi però l’identità è pericolosa per chi ci si trova, poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione.Zigmunt Bauman è stato forse il pensatore, che ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. Molti saggi di grande successo, a partire da “Dentro la globalizzazione” del 1998, o “Modernità liquida” del 2000, lo hanno decretato il guru del pensiero della postmodernità. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune (“Amore liquido”, 2003 o “Vita liquida”, 2005). La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. Dagli Indignados ad Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene fortemente contestato, con istanze naturalmente diverse ma sempre antisistema. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche.Al contrario, la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni sempre più intense”. Un mondo spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale (“La solitudine del cittadino globale”, 1999). Bauman in particolare nel libro “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” del 2014, parla di un approccio del tutto diverso rispetto alle strutture di potere. Jeremy Bentham e Michel Foucault avevano parlato di Panopticon, inteso come carcere centralizzato che controlla migliaia di detenuti, e in cui bastano pochi agenti di sicurezza per la custodia, metafora evidente del potere centralizzato della modernità e del suo controllo sulla società moderna. Bauman invece parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo.La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli Stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello Stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.Nascere in Italia 40 anni fa significava avere buone probabilità di vivere la propria vita in quegli stessi luoghi, avere la speranza di trovare un lavoro vicino a casa, di conoscere i propri concittadini, la possibilità di fare previsioni verosimili sul proprio futuro. Oggi, si nasce in luoghi che mediamente vengono lasciati nella prima adolescenza, i giovani seguono opportunità di lavoro fugaci, sempre più volatili ed evanescenti, i lavoratori vengono assunti in aziende che da un momento all’altro potrebbero delocalizzare. Le spinte all’individualismo e alla competizione determinano questo stile di vita veloce che porta con sé nuova alienazione: quella dell’uomo e dei suoi rapporti. Per il cittadino globale la leggerezza e la velocità di spostamento sono caratteristiche fondamentali, meno vincoli si hanno e più si è pronti alla sopravvivenza nella selva-mondo virtuale, senza barriere né confini. Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.Nella postmodernità è nata una nuova immagine di società, come spazio che racchiude una molteplicità di individui senza più alcuna cornice comune, sempre più uguali nei loro destini ma sempre più divisi e soli nelle proprie vite. Aumenta poi costantemente il divario tra la condizione dei poveri e quello dei ricchi. Il populismo, in modo particolare il M5S, per quanto riguarda la situazione italiana, è quindi la reazione culturale e politica rispetto alle condizioni sociali drasticamente mutate nel tempo della postmodernità, dopo il golpe messo in atto dalla nuova classe sociale dominante, quell’aristocrazia finanziaria che mira a distruggere i diritti del lavoro, a proletarizzare la middle class, a desovranizzare gli Stati, ad americanizzare l’Europa. Data la potenza propagandistica dei media, riuscirà veramente a vincere le prossime elezioni politiche e a prendere il potere? Oppure sarà costretto inevitabilmente ad abbandonare istanze essenziali delle proprie battaglie, soggiogato dalla potenza della restaurazione liberista?(Rosanna Spadini, “Populismi e postmodernità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 settembre 2017).La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.