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Magaldi: un’email stralunata su me, i Savoia e Diego Fusaro
Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».«Quale moderatore della conferenza ho scelto il prof. Diego Fusaro che ha evidenziato l’odierna caduta dei Valori fondanti della Nazione. La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza. (Cordialmente, Giovanni Seia)».Mi pregio, con riferimento a tale sua stralunata e molto imprecisa (oltre che insipiente) missiva, di farle osservare quanto segue: 1) Quando si rivolge a me, abbia l’accortezza o di chiamarmi Dott. Magaldi o Presidente Magaldi, se preferisce un lessico profano, oppure Illustrissimo, Venerabilissimo e Potentissimo Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore/Patriarca, qualora si stia cimentando in qualche disamina di natura massonica, come in verità dalla sua lettera si evince. Per un personaggio, lei, che si qualifica come il delegato di una cosa pomposa, ridondante e ampollosa come l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, sarà il caso di avere riguardo anche per i formalismi e le ampollosità altrui, comprese quelle massoniche di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com) e del Rito Europeo Universale da me presieduti. Tanto più che senza la Libera Muratoria risorgimentale, di cui mi pregio di essere uno dei più devoti epigoni in questo XXI secolo, gli ospiti delle Reali Tombe non avrebbero potuto essere tali.Senza i massoni del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi in testa, che consegnò a Vittorio Emanuele II di Savoia l’intero Regno delle Due Sicilie da lui liberato/conquistato, ma anche l’opera del Fratello Cavour e di tanti altri intorno a lui non fu da meno), insomma, il Regno d’Italia non sarebbe mai stato appannaggio dei Savoia. 2) Lei è impreciso, quando dice che io abbia scritto qualcosa sul tema Fusaro, Savoia, Albertini. L’articolo cui si riferisce è opera di Giorgio Cattaneo. Semmai, il sottoscritto ha parlato della questione nella trasmissione citata e linkata sopra (se la vada a vedere/ascoltare). 3) Rispetto la sua inclinazione (e quella di altri, con lei) a voler festeggiare Vittorio Emanuele III nella ricorrenza della sua nascita (che peraltro mi constava essere nato a Napoli l’11 novembre 1869 e non il 16 novembre, ma avrete avuto i vostri motivi per celebrarne il genetliaco 5 giorni dopo la ricorrenza effettiva), ma nel video (che lei, da come si esprime, mostra di non aver visto) della puntata 53 di “Gioele Magaldi racconta” ( https://www.youtube.com/watch?v=sisX3JZV3_0 ) esprimo anche le mie gravi riserve su un monarca che non solo acconsentì all’instaurarsi della dittatura fascista, ma nemmeno mosse un dito contro la promulgazione delle vergognose leggi razziali del 1938 e si comportò da fellone alla fine della Seconda guerra mondiale.4) Probabilmente lei ha fatto male ad invitare Diego Fusaro quale moderatore della conferenza storico-scientifica da lei organizzata, perché costui – non privo di qualche competenza filosofica e politologica – appare platealmente carente in fatto di scienze storiche, come evidenziato da diversi svarioni inseriti nelle sue pubblicazioni (almeno quelle le ha lette? – io si, ahimé – o lei ha il vizio di parlare di cose che non conosce direttamente e approfonditamente?). 5) La parte più stralunata, imprecisa e sgangherata della sua lettera, tuttavia, è quella in cui scrive: «La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza».Chi avrebbe alluso a trame politiche? Tutta la questione è nata perché Diego Fusaro ha pubblicato una foto in cui veniva ritratto attovagliato con Emanuele Filiberto e Albertini, senza forse neanche spiegare il contesto dell’incontro (come invece ha tenuto a fare lei, ma sarebbe cambiato poco) e/o comunque senza che sul web fosse compreso tale contesto (ma sarebbe cambiato poco, ripeto: solo che forse si sarebbe ridimensionata l’immagine narcisistica e autocompiaciuta che Fusaro desiderava offrire…lasciando intendere di un pranzo per pochi intimi, mente c’erano 270 persone… ) Di qui, prima che ne parlassi io, una ridda di commenti su tale “attovagliamento”. Alla domanda del conduttore di “Gioele Magaldi racconta”, Fabio Frabetti, rivolta al sottoscritto, su cosa pensassi di tale foto, ho risposto sostanzialmente (ma legga meglio l’articolo di Libreidee e ancor meglio si guardi il video cui l’articolo si ispira) che se il sedicente “profeta” del riscatto del proletariato nel XXI secolo ci tiene tanto a pubblicare ed enfatizzare la foto che lo ritrae in una (vera o falsa) intimità conviviale con un erede di monarchi e un “vecchio” politico sedicente liberale (laddove il liberalismo è esecrato da Fusaro come il peggiore di tutti i mali, stante anche la sua confusione storica ed ermeneutica tra liberalismo, liberismo e neoliberismo) allora siamo davvero al paradosso più grottesco.Un paradosso, tuttavia, che si spiega benissimo con l’atteggiamento da “cortigiano e cicisbeo politico da salotto, televisivo e non”, che molti contestano al filosofo torinese, recente ispiratore del partitino rossobruno e fasciocomunista “Vox Italia”. E ho aggiunto delle riflessioni su questioni e trame politiche che riguardano il solo Fusaro e in cui non c’entra nulla né il suo “Istituto Nazionale bla bla bla” nè gli stesi Albertini ed Emanuele Filiberto di Savoia. 6) Poi lei ha l’impudenza, l’insolenza, l’ipocrisia e la mala creanza di scrivere: «Solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Ebbene, a differenza del suo amato Fusaro, io non compio “sfarfallamenti intellettuali”. Io, quando parlo di filosofia, storia, politica e politologia lo faccio al lume di competenze serie e strutturate. So quel che dico e so come lo dico, anche a differenza sua, che scrive fischi per fiaschi, confondendo anche chi abbia detto o scritto cosa e quando e perché.La visibilità mediatica il sottoscritto l’ha avuta sin dai primi anni in cui “Grande Oriente Democratico” muoveva i suoi primi passi (si documenti, dal 2010 in poi), finendo sulle prime pagine di giornali e in servizi/interviste televisive di testate e trasmissioni di punta. Il sottoscritto ha pubblicato anche altri libri, ma il solo primo volume della serie di “Massoni” (”La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere editore) ha venduto più copie di tutti i volumi pubblicati dal suo amato Diego Fusaro nel corso degli anni (libri, peraltro, in cui il successivo ripete le cose dette nel precedente e, all’interno dello stesso volume, anche i capitoli si copiano e reiterano nei contenuti, diffondendo una noia mortale in danno del lettore…). Le riconosco, tuttavia, che dopo che il sottoscritto ha pubblicato “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” e che è stato fondato il Movimento Roosevelt (www.movimentoroosevelt.com: soggetto politico metapartitico che ordinariamente non si presenta alle elezioni – essendo metapartitico, civico, pedagogico e trasversale – ma che quando si è presentato, ad esempio a Gioia Tauro, ha preso circa il 60% nel 2015, mentre alle comunali del 2019 Fusaro ha raccolto il 2,87%…), cioè a partire dal 2015/2016, una qualche ritrosia (non sempre rispettata, comunque) del sistema mediatico mainstream (lo stesso sistema contro cui tuona il rivoluzionario da salotto Fusaro) a parlare di me/noi c’è. Mentre non c’è alcuna ritrosia, da parte di tale sistema mediatico, nell’invitare spesso e volentieri l’esimio prof. Diego Fusaro, graditissimo sparring partner e avversario dialettico di comodo (irrisorio e irrilevante) per tutti i fiancheggiatori dell’egemonia neoliberista e postdemocratica in atto da decenni in Italia e in Europa.7) L’apice della sua insolenza e insipienza malevola, esimio Giovanni Seia, lei la raggiunge però quando parla, riferendosi a “Grande Oriente Democratico”, «di un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Lei è massone? Oppure uno studioso/esperto di cose massoniche? O ha studiato la Massoneria presso i libri del suo compare “monarchicheggiante” Aldo Mola, le cui opere sulla Massoneria appaiono, a ben vedere, estremamente lacunose e fuorvianti (oltre che faziosamente ispirate rispetto ad alcuni gruppi massonici italiani ed esteri)? A che titolo e in nome di quale sapienza o esperienza diretta Lei ha l’autorevolezza per definire cosa sia o non sia una “associazione massonica pura o spuria”? I Fratelli e le Sorelle di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com ), comunque, se ne rideranno delle sue ridicole farneticazioni e continueranno a consolidare la propria funzione “liquida e sovranazionale” di network massonico in grado di collegare le migliori avanguardie liberomuratorie progressiste planetarie.Quanto a Lei, Giovanni Seia, non ci sembra distinguersi né per spirito democratico (altrimenti come potrebbe tenere tanto alla celebrazione di un monarca, Vittorio Emanuele III, che sancì l’avvento del Fascismo e la fine della Democrazia, in Italia, per circa un ventennio?), né per intelligenza. Però ci sembra un sincero e schietto ipocrita quando ci saluta scrivendo “cordialmente”, mentre invece la sua missiva era tutto tranne che cordiale. Ecco perché la saluto senza alcuna stima ma anche senza veruna cordialità, proprio per non comportarmi da ipocrita come lei. Ad maiora.Gioele Magaldi, storico, filosofo, Presidente del Movimento Roosevelt, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico/Sovrano Gran Commendatore e Patriarca del Rito Europeo Universale.(Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Gioele Magaldi, “Riscontro alla sua stralunata e imprecisa mail”, che risponde a una lettera di Giovanni Seia a lui indirizzata, inviata a Libreidee). Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».
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“Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia”
Ha suscitato curiosità la foto di Diego Fusaro a pranzo con Emanuele Filiberto di Savoia e l’ex sindaco milanese Gabriele Albertini, postata sui social dallo stesso Fusaro il 16 novembre. Intanto, Fusaro non ha smentito le sue ambizioni poltroniere, cioè le voci (fastidiose anzitutto per lui) secondo cui sarebbe andato a trattare con la Lega e con Fratelli d’Italia per una poltrona. La contrattazione di cui si è parlato, in termini molto precisi e mai smentiti, è che Fusaro avrebbe detto: datemi una poltrona nel prossimo Parlamento, e io in cambio “congelo” Vox Italia. Le voci dicono che comunque è stato rispedito al mittente. Ma questa foto con Emanuele Filiberto e Albertini ci fa vedere tutto il compiacimento di Fusaro, che si proclama profeta del popolo, populista rossobruno contro la precarizzazione e la fuga di coscienza da parte del proletariato, privo di una coscienza – che lui vuole dargli, come nuovo vate e come ideologo del proletariato del XXI secolo, precarizzato e inconsapevole. E poi però c’è questo aspetto narcisistico, per cui Fusaro va a mendicare visibilità… L’abbiamo visto anche con Parenzo, che minacciava di pubblicare gli sms privati in cui, quasi piagnucolando, il filosofo andava cercando l’invito per qualche ospitata: quindi un Fusaro che cerca di andare dove può, in televisione, per mostrarsi e per vendere i suoi libri (che sono un po’ la copia l’uno dell’altro).
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Filosofo ebreo: la Commissione Segre restringe la libertà
La Commissione Segre è una minaccia alla libertà di opinione, e a ribadirlo non è certo un estremista di destra. Altro che mezzo per contrastare odio, razzismo e antisemitismo. Secondo Alain Finkielkraut, filosofo francese di origine ebrea, la Commissione Segre è un vero e proprio bavaglio che obbliga i cittadini a non esprimere in nessun caso posizioni in contrasto con l’immigrazione. Vietato criticare, anche in modo razionale e costruttivo, un tema che deve essere semplicemente accolto così come viene proposto dall’alto, alla stregua di un dogma religioso. La posizione di Finkielkraut, intervistato dal “Corriere della Sera”, non lascia indifferenti. Già, perché i genitori del filosofo furono deportati ad Auschwitz. Eppure, nonostante la Commissione Segre nasca ufficialmente per vigilare sui reati d’odio, compresi quelli contro gli ebrei, il rischio è che possa provocare un enorme controcircuito: «L’idea di istituire quella commissione ha provocato una legittima inquietudine. Con la scusa di lottare contro il razzismo, in Europa c’è la tendenza a stigmatizzare, se non addirittura criminalizzare, ogni cautela sull’immigrazione».Certo, alcune precisazioni sono però doverose. Intanto Finkielkraut, pur stroncando l’utilità della Commissione Segre, non nega che in Europa siano ritornate scaglie di antisemitismo e che tale fenomeno debba essere combattuto senza se e senza ma. Inoltre, il pensatore francese ha espresso la sua solidarietà alla senatrice Segre per gli insulti subiti, definiti «atroci e ignobili». Detto questo, Finkielkraut riparte in quarta, a difesa della libertà di espressione. Guai a strumentalizzare casi che nulla hanno a che fare con la difesa degli ebrei, confondendo il vero e pericoloso antisemitismo con semplici e legittime posizioni contrarie all’immigrazione: «Un errore usare questi terribili episodi per proibire ogni critica sull’immigrazione». Un esempio citato da Finkielkraut è il Patto di Marrakech, un accordo sottoscritto da diversi paesi (Italia esclusa) sul Global Compact. Ovvero un piano globale nato ufficialmente per rendere l’immigrazione più ordinata, ma che in realtà la incoraggia e la fa apparire come un fenomeno benefico.«Questo patto comincia con un inno all’immigrazione, stabilendo una specie di canone al quale i media devono conformarsi. Posso capire che in Italia qualcuno non veda di buon occhio una commissione fatta con lo stesso spirito del Patto di Marrakech». In altre parole, chi non accetta la linea ufficiale proposta dall’alto, intrisa di politically correct, rischia di essere marchiato con varie etichette – da antisemita a odiatore – capaci pure di avere conseguenze penali. Riguardo poi all’antisemitismo, Finkielkraut fa un’ultima riflessione: «Non è più un volto del razzismo, ma una patologia dell’antirazzismo: per difendere i musulmani, considerati i nuovi dannati della Terra, si attaccano gli ebrei». La posizione della sinistra europea è dunque intollerante e impedisce che qualcuno possa avere un pensiero contrapposto alla “linea ufficiale”. Anzi, come ha ben spiegato Finkielkraut, siamo di fronte a un paradosso: la sinistra vuole combattere l’antisemitismo ma in certi casi sta addirittura dalla parte degli odiatori, cioè degli estremisti musulmani.(Federico Giuliani, “Pure il filosofo ebreo Finkielkraut stronca la Commissione Segre: un pericolo per la libertà di espressione”, dal “Giornale” del 17 novembre 2019).La Commissione Segre è una minaccia alla libertà di opinione, e a ribadirlo non è certo un estremista di destra. Altro che mezzo per contrastare odio, razzismo e antisemitismo. Secondo Alain Finkielkraut, filosofo francese di origine ebrea, la Commissione Segre è un vero e proprio bavaglio che obbliga i cittadini a non esprimere in nessun caso posizioni in contrasto con l’immigrazione. Vietato criticare, anche in modo razionale e costruttivo, un tema che deve essere semplicemente accolto così come viene proposto dall’alto, alla stregua di un dogma religioso. La posizione di Finkielkraut, intervistato dal “Corriere della Sera”, non lascia indifferenti. Già, perché i genitori del filosofo furono deportati ad Auschwitz. Eppure, nonostante la Commissione Segre nasca ufficialmente per vigilare sui reati d’odio, compresi quelli contro gli ebrei, il rischio è che possa provocare un enorme controcircuito: «L’idea di istituire quella commissione ha provocato una legittima inquietudine. Con la scusa di lottare contro il razzismo, in Europa c’è la tendenza a stigmatizzare, se non addirittura criminalizzare, ogni cautela sull’immigrazione».
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Il Seti: scienziati in ascolto, pronti a parlare con gli alieni
Riusciremo a parlare con gli alieni? «Sappiamo che le possibilità che esistano altre forme di vita sono letteralmente incommensurabili. E non abbiamo ancora iniziato a guardare, abbiamo ancora tanti posti da visitare». Inizia così un lungo servizio di “Bloomberg” dedicato a uno dei grandi interrogativi della nostra stessa esistenza: siamo soli? Esistono gli alieni o comunque altre forme di intelligenza con cui, prima o dopo, saremo in grado di metterci in contatto? O meglio: di capirci. C’è un gruppo di esperti, noto come Seti – Search for Extraterrestrial Intelligence – che da decenni punta dei potenti telescopi verso stelle o galassie “vicine” cercando degli specifici segnali radio che si crede possano essere prodotti solo da una qualche forma di tecnologia. D’altronde lo aveva ripetuto molto spesso anche Stephen Hawking, il grande cosmologo scomparso nel marzo dello scorso anno e pioniere degli studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo: «È il momento di impegnarci a cercare le risposte sulla vita oltre la Terra. Siamo vivi, siamo intelligenti, dobbiamo sapere», disse l’astrofisico di Oxford.Così questo gruppo di esperti ha deciso di mettersi davvero al lavoro, «invece di fare quel che abbiamo fatto per millenni, cioè chiedere ai preti e ai filosofi», come spiega nel doc l’astronoma Jill Tarter, presidente emerita dell’organizzazione scientifica. Una ricercatrice che ha dedicato la vita a questa missione e, curiosità, è anche l’esperta che ha ispirato il personaggio interpretato da Jodie Foster nel film “Contact” del 1997, diretto da Robert Zemeckis e basato sul libro di Carl Sagan pubblicato 12 anni prima che descrive appunto un ipotetico primo contatto fra esseri umani e alieni. Ma qual è esattamente il lavoro? Questo team internazionale è impegnato nella ricerca di radiazioni elettromagnetiche diverse dai segnali radio che otteniamo dagli oggetti naturali come stelle, galassie e quasar (i nuclei galattici attivi dalla natura controversa) e in qualche maniera corrispondenti a radiazioni emesse da strumentazioni tecnologiche. All’università di Berkeley, per esempio, una squadra guidata da Andrew Siemion è impegnata in un progetto decennale finanziato da privati per 100 milioni di dollari.«Le sorgenti tecnologiche hanno proprietà molto interessanti, possono cioè comprimere l’energia elettromagnetica nel tempo o nella frequenza – spiega Siemion – in questo modo si può ottenere molta energia in un singolo segnale: sono effetti che in natura tendono a non verificarsi». Sarebbe insomma la traccia di un qualche possibile contatto, anzi di un messaggio, tanto per rimanere dalle parti delle suggestioni cinematografiche. Anziché affidarsi a radiotelescopi, spesso pubblici o comunque appartenenti a governi e istituzioni, Seti ha deciso qualche tempo fa che occorreva un quartier generale, che alla fine è stato costruito a 280 miglia a nord-est di San Francisco. Il complesso si chiama Allen Telescope ed è di fatto un sistema di diversi tipi di strumentazioni più piccole che lavorano in collegamento fra loro e sono così in grado di osservare un’ampia porzione di spazio in contemporanea. L’Allen Telescope è ora dedicato quasi esclusivamente alle ricerche dell’organizzazione e a questo ascolto dell’ignoto.Una volta completato, queste parabole da sei metri di diametro dovranno essere 350. Al momento sono 42 e «la quantità di dati prodotta è impressionante», aggiungono gli esperti ai microfoni di “Bloomberg”. Una mole esplorata con l’aiuto di algoritmi alla ricerca di segnali, addestrati anche tramite tecniche di machine learning e intelligenza artificiale in grado di setacciare le informazioni significative e degne di approfondimento. «Quando mi sono laureata conoscevamo solo nove pianeti, quelli del nostro sistema solare – spiega Tarter – nulla sapevamo sui pianeti intorno ad altre stelle. Oggi invece sappiamo che ci sono più pianeti che stelle, perché ogni stella ha in media un pianeta e anche di più» che ruota intorno a essa. Questo è il punto centrale intorno al quale gira la ricerca del Seti: il fatto cioè che l’universo sia apparso nel corso dei più recenti decenni di ricerche sempre più come potenzialmente accogliente per altre forme vita.D’altronde, «nell’universo esistono più stelle che granelli di sabbia su tutte le spiagge del mondo, e se si guarda un solo granello e si assume che sia il Sole, e il terzo granello intorno a lui sia abitabile, e poi si torna a guardare alla spiaggia, ci si domanda perché dovrebbe accadere in un granello di sabbia e non anche in altri?», si domanda l’astrofisico Laurance Doyle. Il problema, insomma, siamo noi: non saremmo ancora in grado di riconoscere e decodificare complessi messaggi che sicuramente già sono stati trasmessi, spiega il principale responsabile della ricerca di Seti, già al lavoro con la Nasa sul telescopio spaziale Kepler. La missione dell’agenzia Usa punta proprio alla ricerca di pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle diverse dal Sole. «Tutto comunica. Tutti gli animali e anche le piante comunicano. Si tratta solo di capire quanto sia complessa questa comunicazione», aggiunge Doyle. Per questo è tornato a volgere lo sguardo alla Terra e alle sue creature.Per approfondire i diversi metodi di comunicazione naturali – come quelli dei delfini, delle misteriose megattere, i cetacei dalle grandi pinne pettorali, o delle scimmie scoiattolo – per costruire qualcosa di simile a un filtro, cioè a un sistema per comprendere le regole dell’intelligenza, la sua sintassi, cogliere almeno ciò che ci perdiamo per strada e lavorare sull’assenza. I segnali delle scimmie scoiattolo toccano il secondo ordine di entropia, magari quelli extraterrestri potrebbero toccare un livello di entropia del ventesimo ordine: «Ma se lo scoprissimo, almeno sapremmo che la nostra posizione rispetto a quei segnali è come il nostro linguaggio visto dalla prospettiva di una scimmia scoiattolo», dice Doyle. Una sfida impossibile da decodificare, per adesso, ma non per il futuro. «Siamo collegati a questo cosmo gigantesco – conclude Jill Tarter – e vogliamo sapere cosa altro sia successo lì fuori». Di sicuro sappiamo che l’universo per molte volte ha dato vita a certi tipi di organismi come noi. Organismi che pensano e si fanno domande sullo stesso universo. Adesso è il momento di cercare di capirci, visto che la domanda è quasi sicuramente la stessa.(Simone Cosimi, “Il team di scienziati che sta cercando di parlare con gli alieni”, da “Esquire” del 12 novembre 2012).Riusciremo a parlare con gli alieni? «Sappiamo che le possibilità che esistano altre forme di vita sono letteralmente incommensurabili. E non abbiamo ancora iniziato a guardare, abbiamo ancora tanti posti da visitare». Inizia così un lungo servizio di “Bloomberg” dedicato a uno dei grandi interrogativi della nostra stessa esistenza: siamo soli? Esistono gli alieni o comunque altre forme di intelligenza con cui, prima o dopo, saremo in grado di metterci in contatto? O meglio: di capirci. C’è un gruppo di esperti, noto come Seti – Search for Extraterrestrial Intelligence – che da decenni punta dei potenti telescopi verso stelle o galassie “vicine” cercando degli specifici segnali radio che si crede possano essere prodotti solo da una qualche forma di tecnologia. D’altronde lo aveva ripetuto molto spesso anche Stephen Hawking, il grande cosmologo scomparso nel marzo dello scorso anno e pioniere degli studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo: «È il momento di impegnarci a cercare le risposte sulla vita oltre la Terra. Siamo vivi, siamo intelligenti, dobbiamo sapere», disse l’astrofisico di Oxford.
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Tellinger: noi, specie schiava degli Dei venuti dallo spazio
«Siamo stati creati o ci siamo evoluti? La verità sta probabilmente nel mezzo, ed è sconvolgente». Lo afferma UnoEditori, nell’annunciare l’uscita per l’Italia del libro di Michael Tellinger “Specie Schiava degli Dei” (titolo originale: “Slave Species of the Gods”) con la prefazione di Mauro Biglino. «Tellinger ci dimostra come l’uomo sia frutto di una manipolazione genetica effettuata da una specie aliena, gli Anunnaki, per realizzare la loro missione sulla Terra». Lo confermerebbero scoperte spiazzanti, come i fossili di “umanoidi”: quel che resta degli antichi Figli delle Stelle? Attraverso un’analisi meticolosa e comparativa di testi antichi (sumeri e biblici) con moderne conoscenze, secondo l’editore «emerge un affresco storico che ricostruisce l’epopea dell’uomo, la sua relazione di schiavitù con gli “dèi” e la sua possibile riscossa e liberazione». La deduzione è drastica: «La storia ufficiale è una menzogna necessaria a far sì che l’umanità rimanga nell’ignoranza per continuare a servire i creatori». Secondo Tellinger, la specie umana è il risultato di una manipolazione genetica: l’Homo Sapiens sarebbe un ibrido ottenuto dall’incrocio tra Anunnaki e Homo Erectus. Esiste una radice comune all’origine di tutte le civiltà della Terra, e i miti – è la tesi del libro – sono di fatto il riflesso archetipico di realtà storiche, di eventi realmente verificatisi. Quanto al denaro, «è stato inventato dagli Anunnaki come strumento di controllo della razza umana».
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Magaldi: è stato il libro ‘Massoni’ a far dimettere Napolitano
Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e ora orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, se ad esempio fosse eletto presidente della Repubblica dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.Napolitano, dice Magaldi, «si è dovuto dimettere in seguito all’uscita del mio libro», un besteller (e long-seller, tuttora vendutissimo) preceduto da decine di migliaia di prenotazioni, prima ancora del debutto in libreria. Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, entità metapartitica trasversale creata per rianimare in senso democratico la politica italiana, sclerotizzata nell’apparente opposizione destra-sinistra (a valle dell’obbedienza trentennale ai poteri forti dell’oligarchia europea). Già inziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora gran maestro del Grande Oriente Democratico, lo stesso Magaldi fornisce una lettura esclusiva del back-office del vero potere, che descrive come interamente massonico, dominato da decine di superlogge apolidi e transnazionali che ispirano le scelte politiche a monte dei governi eletti. Secondo questa rappresentazione, una faglia profonda oppone le due galassie supermassoniche: da una parte la corrente progressista rooseveltiana, che detenne la leadership dell’Occidente fino alla fine dgli anni ‘60 preparandosi a lanciare verso la Casa Bianca il ticket rappresentato da Bob Kennedy e Martin Luther King, e dall’altra il filone neo-conservatore che avrebbe messo in campo politici come Reagan e Thatcher, per arrivare fino all’estremismo “terroristico” del clan Bush.Obiettivo della regia supermassonica del neoliberismo: demolire il welfare e la mobilità sociale, in nome dei dogmi economico-filosofici di Milton Friedman, Robert Nozick e Friedriech von Hayek, figli di una concezione neo-feudale della società. Di qui la politica post-democratica dell’ordoliberismo Ue: predisporre la scarsità artificiosa della moneta, sostanzialmente “privatizzata”, per ricattare gli Stati (leggasi spread) togliendo loro sovranità democratica e capacità di spesa, a esclusivo vantaggio della grande finanza speculativa. I rottami di questa lunghissima stagione, aperta in Italia dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia (retta allora dal massone Ciampi), sono sotto i nostri occhi. Il dramma dell’Ilva non è che l’ultimo capitolo di una tragedia a puntate, avviata dallo smembramento dell’Iri affidato a Romano Prodi (che Magaldi definisce “globalizzatore in grembiulino”). Sintomatico l’episodio del Britannia, 2 giugno ‘92, col massone Draghi raccontato come grande protagonista occulto della presunta cospirazione finanziaria anglosassone per la svendita del paese. «Più che le suggestioni complottistiche – avverte Magaldi – pesano i lunghi anni in cui Draghi, da direttore generale del Tesoro, agevolò le disastrose privatizzazioni all’italiana che minarono il futuro del paese».Qualche anno dopo, Massimo D’Alema (per Magaldi, altro supermassone neoaristocratico) si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Ma D’Alema non era un leader della sinistra? Se è per questo lo erano anche Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schroeder, fautori della “terza via” teorizzata dall’inglese Anthony Giddens come formula a metà strada tra capitalismo e socialismo. In realtà, i “terzisti” erano arruolati nella supermassoneria reazionaria – e tra questi anche Napolitano, iniziato alla superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski. Un uomo di cui Magaldi offre un ritratto piuttosto ruvido: «Negli anni ‘50, il comunista Napolitano era stalinista e difese la repressione sovietica della rivolta ungherese, e ancora negli anni ‘70 era un ostinato avversario della prospettiva europeista». Cambiò idea su tutto, capovolgendo le sue posizioni politiche: «Nel 2011, insieme a Draghi, predispose il “golpe bianco” di Mario Monti, eseguendo le direttive della supermassoneria oligarchia e post-democratica europea». Oggi tocca a Draghi cambiare bandiera, stavolta in direzione opposta?C’è chi lo indica candidato al Quirinale addirittura dalla Lega, in cambio del suo appoggio a un eventuale governo Salvini, qualora il Conte-bis saltasse per aria nei prossimi mesi. In molti diffidano del super-banchiere, solo ieri osannato dai peggiori esponenti dell’euro-sistema, Macron e Merkel in testa. Da parte sua, Magaldi ribalta il ragionamento: proprio per il prestigio di cui Super-Mario gode, da Bruxelles a Berlino, chi potrebbe smentire altrettanto autorevolmente i suoi ex sodali? Del resto, far passare dalla tua parte un generale nemico può essere il modo migliore per vincere una guerra. Non c’è bisogno di scomodare il paragone con la lotta alla mafia, dove sono stati i pentiti a svolgere un ruolo decisivo. Proprio la compravendita di colonnelli è lo sport nel quale ha primeggiato il fronte neoliberista, reclutando leader della sinistra e dirigenti sindacali. Era una prescrizione del geniale memorandum scritto nel 1971 da Lewis Powell: “comprare” i capi della sinistra riformista, lasciando a loro il compito di spiegare all’elettorato che l’austerity sarebbe stata cosa buona e giusta. Nel caso di Draghi, in realtà, saremmo di fronte a un ripensamento spontaneo: si è ricordato dell’antico insegnamento progressista del maestro Federico Caffè? In ogni caso, Magaldi è ottimista: gli oligarchi dell’euro-sistema, dice, hanno capito perfettamente che la loro “teologia” del rigore non potrà durare, viste le sofferenze sociali che sta infliggendo ai popoli europei.Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e non più orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, specie nel caso in cui, ad esempio, fosse eletto al Colle dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.
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Appello a Liliana Segre: la Commissione attenta alla libertà
Questo scritto è un appello alla senatrice Segre, al suo coraggio, alla sua lucidità. Una delle più gravi violazioni in atto dei principi fondamentali della Costituzione e della stessa civiltà occidentale è la limitazione ai diritti di informazione, di insegnamento e di ricerca scientifica voluta dal pensiero unico e dai suoi beneficiari. La pubblica informazione è in mano a cinque grandi agenzie mondiali, controllate da capitali privati, dedite al filtraggio delle notizie, delle analisi e al consolidamento di un pensiero unico liberista-mercatista-globalista; ad esse quasi tutti i giornalisti e i mass media si attengono, anche quelli pubblici. I docenti, anche quelli universitari, persino quelli di filosofia, ricevono dalla politica direttive ideologiche afferenti al pensiero unico, cui devono attenersi per conservare il posto, far carriera, aver visibilità. La ricerca scientifica, con la stampa scientifica, è in gran parte finanziata e controllata da capitali privati che contrattualmente si riservano la proprietà dei risultati e il diritto di decidere che cosa divulgare e che cosa no; in tal modo il capitale orienta la scienza, il suo insegnamento, la sua applicazione, dall’economia alla medicina;Ai medici in Italia è stato perfino vietato, sotto pena di radiazione, di esercitare il diritto di informazione dei pazienti sugli effetti dei vaccini obbligatori. Facebook esercita arbitrariamente il potere di oscurare i suoi utenti non allineati col pensiero unico (lo ha fatto anche a me, per un mese, durante la campagna elettorale europea). Imperversa la pratica del grievance-mongering, o vittimismo di mestiere, consistente nell’attaccare, isolare, licenziare, oscurare persone che hanno espresso le proprie idee o preferenze nel rispetto della legge, e che strumentalmente il vittimista accusa di averlo offeso nella sua sensibilità religiosa o etnica o razziale o sessuale. Tutto ciò costituisce un’aggressione organica, sistemica, strategica, alla stessa esistenza di una società basata sulle predette libertà, ed esigeva l’urgente costituzione di una Commissione parlamentare per la tutela delle medesime libertà. Invece, hanno fatto la Commissione Segre per il controllo discrezionale della comunicazione via Internet (con possibilità di censura, punizione e oscuramento), onde limitare ulteriormente la libertà di informazione e di pensiero, col pretesto della lotta a un estremismo politico e a un razzismo o suprematismo o sessismo che, sì, esistono e sono talvolta lesivi di beni giuridici riconosciuti, ma sono già puniti dalle leggi italiane e che non hanno, né possono avere in questa fase storica, la forza materiale per minacciare la società.L’istituzione della Commissione va vista e studiata insieme con altre due ‘riforme’: il tracciamento di ogni pagamento e versamento (con la costrizione a passare per una banca ad ogni transazione); l’imposizione di vaccinazioni di massa senza trasparenza sugli effetti reali dei prodotti inoculati (con l’Ema che vuole inserire dal 2022 le certificazioni vaccinali nei passaporti come condizione di validità). Le tre suddette riforme vanno comprese come strumenti fondamentali e integrati dell’attuale fase evolutiva del controllo sociale, basata essenzialmente: sulla manipolazione e modificazione diretta degli uomini, anche biologica e genetica, via farmaci, vaccini, alimenti; sul loro monitoraggio costante e capillare nelle idee, negli spostamenti, nel denaro; sulla possibilità di escluderli unilateralmente, con un click, dalle reti (comunicazioni, servizi, accesso al proprio denaro in banca).Lo statuto della Commissione Segre (andatevelo a leggere) è formulato in termini vaghi, indeterminati, ampiamente soggettivi e discrezionali, non limitati all’istigazione all’odio (…intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche), in modo che essa possa censurare, impedire e reprimere non solo e non tanto le istigazioni all’odio, ma la divulgazione di informazioni e analisi oggettive che possano, per le loro implicazioni, suscitare indignazione morale, “odio” nella Neolingua politically correct.Infatti, è facile equivocare tra indignazione e odio, accusare colui di diffondere odio colui che in realtà diffonde informazioni e commenti su inganni, soprusi, illegalità, tradimenti politici, maxi-truffe bancarie coperte dalle istituzioni, soprattutto in relazione al nuovo ordine globale e totalizzante, il quale delegittima come eresia ogni alternativa a sé stesso. L’ordine del capitalismo finanziario e del mercato (non libero, ma) manipolato, con tutti gli effetti sulla vita delle persone e delle società, è un ordine onnipervasivo, egemonizza l’intrattenimento, la cultura e la stessa contro-cultura (vedi il fenomeno Greta). Il totalitarismo capitalista non è funzionalmente diverso da altri totalitarismi, a quelli verso cui, per il pensiero unico, è lecito esprimere odio, come quello autore dello sterminio di milioni soggetti appartenenti a categorie-bersaglio, tra cui innanzitutto gli ebrei, compresi i familiari della senatrice Segre – la quale suppongo non abbia percepito per tempo i fini liberticidi a cui è stata strumentalizzata, ma ora può ben rimediare brillantemente. Gli ebrei, ricorrenti vittime della persecuzione contro la libertà culturale, sono pure storici paladini, nonché simbolo, della medesima!La Commissione Segre, nata da un testo della Boldrini e che dovrebbe chiamarsi commissione Boldrini ed è stata ridenominata ‘Segre’ solo per inibire le critiche, ha uno statuto che, con la sua vaghezza, la predispone: a prevenire e contrastare lo svilupparsi una coscienza dei gravissimi, attuali conflitti di classe e tra nazioni, e a tutelare così la falsa narrazione irenica (deconflittualizzata) del mainstream; a oscurare l’informazione sugli effetti perniciosi e, per l’appunto, ‘odiosi’ del liberal-globalismo, scoraggiando la critica sistemica ad esso; a contrastare il dissenso e il suo organizzarsi in opposizione politica e sociale, ossia a difendere il pensiero unico liberale, il consenso ad esso, ai suoi esecutori politici, economici e culturali, e alle loro riforme; a colpire ogni richiamo politico allo Stato nazionale, alla sua sovranità sulla moneta, sui confini, sulle scelte di modello socioeconomico, e alla responsabilità democratica verso il bene dei propri cittadini come funzione e dovere di tale Stato (tutte cose che l’ordine finanz-capitalistico è vigorosamente impegnato a smantellare e screditare, perché ostacolano l’ottimizzazione del mondo alle sue dinamiche anche demografiche).Molte notizie, in materia di economia, finanza, banche, immigrazione, potranno essere censurate perché idonee a suscitare indignazione sociale, che verrà ridefinita “odio” allo scopo predetto. Del resto, già gli antichi sentenziavano: veritas odium parit. Se lo scopo della Santa Commissione fosse onesto e non liberticida, se fosse diverso da quello che ho testé descritto, il suo statuto da un lato sarebbe stato garantista, cioè preciso e oggettivo nel definire, con riferimento al Codice Penale, le espressioni da colpire; e, dall’altro lato, avrebbe compreso la tutela dì diritti – questi sì costituzionalmente fondati – di opinione, informazione, ricerca e insegnamento, mediante l’individuazione e il contrasto a tutte quelle lesioni alla libertà di parola che ho menzionato in apertura. Senatrice Segre, affido a Lei l’iniziativa di questa alta difesa della Libertà!(Marco Della Luna, “Santa Commissione o Santa Inquisizione?”, lettera aperta alla senatrice Liliana Segre pubblicata sul blog di Della Luna il 4 novembre 2019, “per la difesa della fede nella narrazione”).Questo scritto è un appello alla senatrice Segre, al suo coraggio, alla sua lucidità. Una delle più gravi violazioni in atto dei principi fondamentali della Costituzione e della stessa civiltà occidentale è la limitazione ai diritti di informazione, di insegnamento e di ricerca scientifica voluta dal pensiero unico e dai suoi beneficiari. La pubblica informazione è in mano a cinque grandi agenzie mondiali, controllate da capitali privati, dedite al filtraggio delle notizie, delle analisi e al consolidamento di un pensiero unico liberista-mercatista-globalista; ad esse quasi tutti i giornalisti e i mass media si attengono, anche quelli pubblici. I docenti, anche quelli universitari, persino quelli di filosofia, ricevono dalla politica direttive ideologiche afferenti al pensiero unico, cui devono attenersi per conservare il posto, far carriera, aver visibilità. La ricerca scientifica, con la stampa scientifica, è in gran parte finanziata e controllata da capitali privati che contrattualmente si riservano la proprietà dei risultati e il diritto di decidere che cosa divulgare e che cosa no; in tal modo il capitale orienta la scienza, il suo insegnamento, la sua applicazione, dall’economia alla medicina.
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Ratto: noi idioti, posseduti dalla tecnologia nostra padrona
È assolutamente essenziale che, in una società che si voglia dire veramente libera e composta da uomini e non da manichini, venga sempre mantenuta da chi governa la possibilità, per tutti i cittadini, di poter delinquere e infrangere le leggi. Forse gli idioti che gestiscono il sistema non lo hanno capito. O forse, invece, lo hanno capito benissimo. E a essere idioti son tutti gli altri. Fatto sta che è così. È assolutamente così. Dopo aver perso il controllo su di noi, sul nostro corpo, sulle nostre passioni, sulle nostre reazioni, ora stiamo via via perdendo anche il controllo sui nostri mezzi. Le macchine circolano da sole, posteggiano da sole, frenano da sole. La casa è gestita da una mignotta elettronica, che di nome fa la coniugazione al femminile del computer di “2001 Odissea nello Spazio”, e che ci accende le luci, ci spegne la caldaia, ci prepara il caffè, ascolta quel che diciamo al vicino e poi informa Google circa le prossime pubblicità da spedirci via mail. Tutto ciò che ci circonda è “smart”, nel senso che ci assicura la comodità di non preoccuparci di parecchi dettagli a cui, invece, provvedono direttamente i nostri stessi aggeggi. Dettagli da poco, per carità.. Questioni che, banalmente, hanno a che fare con tutte le piccole scelte quotidiane che, finora, facevamo da soli. E a cui, adesso, pensano direttamente le mille cose che acquistiamo, credendo illusoriamente di possederle.E proprio come diceva quel deficiente durante una pubblicità di non so più quale compagnia telefonica, la “libertà” che possiamo meritarci sta ormai consistendo, sempre più, nel “non dover scegliere”. In nome di una criminale, liberticida “sicurezza”, in un mondo in cui le cose ci spiano e ci possiedono, esultiamo ebeti di fronte alle automobili che rispettano da sole i limiti di velocità, impedendoci di trasgredirli. Di fronte alle telecamere che scoraggiano qualsiasi illegalità, facendo leva sul deterrente del controllo a distanza. Alle transazioni di denaro e ai conti in banca sistematicamente “monitorati” da Equitalia, per impedir qualsiasi tentazione di evasione fiscale. Noi esultiamo, sì. Diciamo: io mica ho niente da nascondere. Diciamo: è più sicuro. È più comodo..! E il processo va avanti; e andrà avanti così. Le cose ci si scaraventeranno contro. Al prossimo giro i cruscotti delle nostre automobili ci stamperanno in faccia le multe ad ogni nostra infrazione. Poi, semplicemente, si arresteranno a ogni rosso. O si metteranno d’accordo tra loro, su chi di volta in volta abbia la precedenza all’incrocio… E noi saremo liberi! Liberi di chattare anche durante il viaggio. Di postare foto del cazzo mentre la macchina ci porta in ufficio, eccetera eccetera.C’è solo un particolare. Un piccolissimo particolare. Idioti come dei secchi vuoti, privi di memoria (perché a ricordare ci penserà già l’agenda elettronica), totalmente incapaci di ragionare (perché a ciò provvederà già il computer), derubati dell’imbarazzo angosciante del dover scegliere (perché le nostre macchine, ormai, lo faranno per noi), sprovvisti definitivamente di qualsiasi controllo sulle nostre pulsioni e di qualunque capacità di rispettar le regole (perché milioni di impedimenti elettronici avranno provveduto a prevenire a monte qualsiasi illegittimità), noi saremo definitivamente trasformati in oggetti. In quegli stupidi strumenti che, un tempo, eravamo noi a controllare. E a quel punto, o il controllo elettronico su di noi saprà essere perfetto, assoluto, totalizzante, capace di determinare qualsiasi nostra azione e prevenir qualunque irregolarità, oppure, al primo baco nel sistema, ci scaglieremo addosso gli uni contro gli altri. Sbranandoci ferocemente, senza pietà.(Pietro Ratto, “L’essenziale possibilità di delinquere”, dal blog “Bosco Ceduo” del 30 maggio 2019. Scrittore, saggista, filosofo, insegnante e musicista, Ratto ha fondato il sito “In-contro/storia”. Accanto a romanzi come “Il treno” e “Senet”, ha pubblicato apprezzati saggi di storia e attualità, indagando risvolti scomodi come quello sulla Papessa Giovanna nel volume “Le pagine strappate”, ora edito con Youcanprint. Tra i libri più letti si segnala “L’Honda anomala” (Bibliotheka Edizioni) sul rapimento Moro, insieme a “I Rothschild e gli altri. Dal governo del mondo all’indebitamento delle nazioni, i segreti delle famiglie più potenti del mondo”, edito da Arianna come “Rockefeller e Warburg. I grandi alleati dei Rothschild. Le famiglie più potenti della terra”. Per l’editrce Dissensi, Ratto ha scritto “La storia dei vincitori e i suoi miti”, sottotitolo: “Da Giovanna d’Arco al delitto Moro, da Cristoforo Colombo ai Rothschild, mille anni tutti da riscrivere”).È assolutamente essenziale che, in una società che si voglia dire veramente libera e composta da uomini e non da manichini, venga sempre mantenuta da chi governa la possibilità, per tutti i cittadini, di poter delinquere e infrangere le leggi. Forse gli idioti che gestiscono il sistema non lo hanno capito. O forse, invece, lo hanno capito benissimo. E a essere idioti son tutti gli altri. Fatto sta che è così. È assolutamente così. Dopo aver perso il controllo su di noi, sul nostro corpo, sulle nostre passioni, sulle nostre reazioni, ora stiamo via via perdendo anche il controllo sui nostri mezzi. Le macchine circolano da sole, posteggiano da sole, frenano da sole. La casa è gestita da una mignotta elettronica, che di nome fa la coniugazione al femminile del computer di “2001 Odissea nello Spazio”, e che ci accende le luci, ci spegne la caldaia, ci prepara il caffè, ascolta quel che diciamo al vicino e poi informa Google circa le prossime pubblicità da spedirci via mail. Tutto ciò che ci circonda è “smart”, nel senso che ci assicura la comodità di non preoccuparci di parecchi dettagli a cui, invece, provvedono direttamente i nostri stessi aggeggi. Dettagli da poco, per carità.. Questioni che, banalmente, hanno a che fare con tutte le piccole scelte quotidiane che, finora, facevamo da soli. E a cui, adesso, pensano direttamente le mille cose che acquistiamo, credendo illusoriamente di possederle.
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Niccolai, il fascista “eretico” che fece votare le idee del Pci
«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».In principio, riassume Veneziani su “La Verità”, Niccolai fu tra i fondatori del Msi nel segno di “legge e ordine”. Poi si andò spostando verso una sinistra nazionale e “spirituale”, auspicando di ricucire la frattura del ’14 coi socialisti, spingendosi persino a quella del ’21 coi comunisti. «Non condivise però la linea di Pino Rauti di sfondare a sinistra; sognava altre sintesi». Niccolai morì il 31 ottobre dell’89, «nove giorni prima che cambiasse il mondo, col Muro crollato e la caduta del comunismo, e da noi la fine della Prima Repubblica». L’anno prossimo sarà il centenario della sua nascita. «Quando morì, Niccolai lasciò un vuoto», scrive Veneziani, «ma era lo stesso vuoto che lo circondava quando era in vita». “Beppe” dissentiva da Almirante, e spesso era all’opposizione nell’opposizione, distante pure da Rauti. «L’avevano sistemato in una teca, con l’etichetta di coscienza critica, per venerarlo e accantonarlo». Conoscendolo, «era amabile e inquieto, tutt’altro che un fascistone prepotente con le certezze granitiche, in bianco e nero». Fascista, Niccolai lo era stato davvero, «ma sulla sua pelle: volontario in Africa, e poi – per fedeltà al suo fascismo, prigioniero degli americani nel “fascist criminal camp” ad Hereford, come l’artista Alberto Burri, lo scrittore Giuseppe Berto e Roberto Mieville, futuro capo dei giovani missini della prima ora».A Pisa, continua Veneziani, Niccolai fu l’antagonista storico di Adriano Sofri, che mobilitò Lotta Continua per impedire un suo comizio il 5 maggio del ’72. «Negli scontri con la polizia morì un anarchico, Serantini, e anche per vendicare lui pochi giorni dopo fu ucciso Calabresi. Ma Niccolai difese il “nemico” Sofri quando fu accusato d’omicidio», aggiunge Veneziani. Da parlamentare, l’amico “Beppe” «fece memorabili interventi in commissione antimafia contro le collusioni politiche, soprattutto democristiane, e fu elogiato anche da Leonardo Sciascia, allora parlamentare di sinistra». Non solo: «Denunciò le stragi e le responsabilità dei servizi segreti; e riuscì a scucire la verità ai magistrati veneziani sull’aereo Argo 16 della nostra aeronautica abbattuto dagli israeliani nel novembre del ’73 a Venezia uccidendo i militari italiani a bordo, accusati di aver salvato alcuni terroristi arabi che preparavano un attentato a un aereo di linea israeliano». Un’operazione filo-araba, condotta dall’allora ministro degli esteri Aldo Moro (cinque anni più tardi “sistemato” con l’opaca operazione terroristica affidata alle Brigate Rosse).A Niccolai, Veneziani era accomunato «dal gusto ardito dell’eresia e dalla rivoluzione conservatrice, da amici comuni come Giano Accame e il pisano Gino Benvenuti». Si scoprirono entrambi «figli di presidi di liceo, cresciuti con una buona biblioteca in casa». Quando Veneziani fu silurato dall’editoria di destra per le sue simpatie verso il socialismo tricolore di Craxi, Niccolai scrisse un pezzo solidale sul suo foglio, “L’Eco della Versilia”, e ribadì la sua protesta al congresso missino di Sorrento nel 1987, «dove fu la voce stonata nel congedo di Almirante dalla guida del Msi». Non era un vecchio arnese, Niccolai: «Nell’Msi fu con l’ala modernizzatrice di Mimmo Mennitti: voleva aprire il ghetto missino, dialogare col Craxi patriota e sognava di ricucire con la sinistra». Raccontava che l’ultimo Mussolini aveva raccomandato ai suoi fedelissimi: «Se crolla il fascismo, seguite Pietro Nenni». Veneziani lo ricorda come «uno spirito critico e appassionato, pensante e romantico, magari impolitico». Nel 1988 fu espulso dal Msi: aveva fatto votare alla direzione del partito un ordine del giorno contro i potentati economici. Solo più tardi si seppe che quel documento l’aveva ripreso, pari pari, da una relazione del comitato centrale del Pci. «Niccolai raccontò al “Corriere della Sera” la beffarda verità, e Fini lo cacciò perché all’epoca aveva orrore delle contaminazioni con la sinistra». Ma il suo scopo non era goliardico, assicura Veneziani: non voleva prendere in giro il suo partito, ma dimostrare che i pregiudizi ideologici impediscono convergenze su temi condivisi. «Era un marziano allora, figuratevi ora. Ad avercene…».«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».
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Il folle riconosce il mondo, il genio ci mostra com’è davvero
Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.Per Thomas Beckett nasciamo tutti pazzi, alcuni poi lo restano. Il genio mette a frutto la pazzia, cavalca la follia senza esserne dominato. A volte finisce irretito nella sua follia, perché ne è congenitamente predisposto, è ipersensibile o ha preteso l’infinito, l’assoluto. Ma chi è il genio, cosa lo distingue dal resto degli uomini? Dal ’68 in poi serpeggia l’illusione di una genialità di massa, attraverso l’uso estroso della trasgressione: si ritiene che la sregolatezza decreti il genio. Creatività diffusa, fantasia, la vita come capriccio e stravaganza di massa sono i suoi indizi fino al paradosso di sentirsi tutti speciali, fuori dal comune. Si abusa dell’aggettivo geniale. In giro troppi geni estemporanei per autoacclamazione o per esagerazione di chi li ama (ogni scarrafone è genio a mamma sua). Per Arthur Schopenhauer, che visse con la frustrazione del genio incompreso, genio è colui che sa vedere l’assoluto nel particolare, sa andare oltre i fenomeni e trascende la soggettività in una visione più ampia.Il genio ha una conoscenza intuitiva; vede le cose collegate da una postazione più alta, vede il mondo alla luce del sole, non al lume della sua candela. La fantasia è un suo strumento indispensabile per trascendere il reale nel possibile. Vede il generale nel particolare, a differenza dell’uomo comune e delle donne, nota Schopenhauer. Coglie l’essenza delle cose e supera la natura che invece congiunge intelletto e volontà. Ciò porta il genio a somigliare alla follia: entrambi, notava Pessoa, sono disadattati. Il genio non è mai un moderato o un flemmatico, spiega Schopenhauer, ma è sempre un eccessivo, frutto di un’esaltazione anormale della sua vita neuro-cerebrale. Il genio si dedica all’inutile e i suoi frutti saranno colti nel futuro. Un’opera geniale non è mai utile; è il suo rango, la sua nobiltà, come la fioritura. Il genio non serve al suo tempo, ed eccedendo dalla norma è destinato ad essere incompreso. Le persone comuni possono apprezzare il talento o il tipo brillante, difficilmente il genio che vive in perenne discordanza col mondo esterno e col proprio tempo. Avvertenza d’obbligo: per un genio incompreso ci sono mille presunti incompresi che geni non sono.Il genio è per natura solitario. È troppo raro per poter incontrare suoi simili e troppo diverso dagli altri per poter stare in compagnia e pensare in comune. Perciò si apparta, è a disagio. Se il genio è misantropo anche qui non vale l’inverso, che la misantropia non è il segno certo di una superiorità. Il genio è malinconico, anche se si delizia quando dà sfogo alla sua vena. Lo diceva già Aristotele, lo ripeteva Cicerone, poi anche Goethe. Schopenhauer spiega che la sua mente è più capace di percepire la miseria della condizione umana. Dunque il genio non può che essere pessimista, come lo era lui. Ripeto la controtesi: se il genio è malinconico, non tutti i tristi e i depressi sono geniali. Infine il genio è come un bambino, ha uno sguardo puro e disinteressato sul mondo. Anzi, ogni bambino è in un certo senso un genio potenziale e ogni genio è in un certo senso un bambino (S. cita Mozart e Goethe, noi potremmo citare Dalì e Fellini).Nel fanciullo, nota S., l’intelletto prevale sulla volontà (ma i suoi capricci non prefigurano la volontà?). Al bambino come al genio manca l’arida serietà tipica degli uomini comuni; c’è una vena giocosa e grottesca. Qui si affaccia la sindrome di Peter Pan: ma l’infantilismo in sé non è sintomo di genialità. Per Schopenhauer la genialità originaria del bambino viene poi rubata dalla genitalità: la pulsione sessuale è il focolaio della volontà e dunque nemica della conoscenza. Come dire che il genio tende a restare sessualmente bambino. Il genio, insomma, è un bambino malinconico che trascura sé e si cura del mondo. Il suo soffitto è il cielo, la sua vista è la visione del mondo, che è la sua penetrazione. Schopenhauer fa notare che l’orangutan è intelligente da piccolo e diventa poi brutale da adulto, in un rapporto inverso tra età e intelligenza. Ma non mancano capolavori del genio in età senile. Se il genio è sregolatezza, anche l’età precoce non può essere una regola. Il genio è puer eternus, bambino perenne. Ma la sua ombra è il pazzo, che a volte lo accoppa.(Marcello Veneziani, “Rari geni, pochi pazzi, tanti imitatori”, da “La Verità” del 23 ottobre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.
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Campiglio: Def senza soldi, più tasse a carico delle famiglie
Gran parte della manovra è legata al disinnesco delle clausole di salvaguardia, che assorbono più dei due terzi dei 30 miliardi in gioco. Dalle risorse messe in campo non ci possiamo attendere una grande spinta. La cautela è dettata dal fatto che la pressione fiscale aumenterà: nel 2019 è al 41,9% del Pil e nel 2020 subirà un leggero aumento al 42%, e comunque non in diminuzione. Il divario dell’Italia rispetto a paesi come la Germania o la Francia per i provvedimenti a favore della famiglia è da molto tempo intorno allo 0,5-1% del Pil. E’ chiaro che i 200 milioni per gli asili nido vanno accolti con favore, ma bisogna considerare i tempi, perché se diventano operativi quando i bambini sono grandi, forse arrivano un po’ in ritardo. E non è una battuta, è quello che è accaduto finora. Anche quando c’erano le risorse non è stato fatto nulla. Il dato centrale che ne è seguito è che in modo rapsodico un governo sì e un governo no ha introdotto qualcosa per la famiglia, in sostanza bonus a scadenza. Quasi una beffa: gli aumenti delle tasse non finiscono mai – noi ancora oggi abbiamo pagato accise sulla benzina per il finanziamento della guerra in Etiopia – ma le agevolazioni su diversi aspetti della vita familiare scadono sempre. Speriamo che prima o poi ci sia la volontà politica di varare provvedimenti che abbiano una stabilità nel tempo che vada al di là dei 5 anni.Intanto il governo ha annunciato l’istituzione del Fondo assegno unico e servizi per la famiglia, che dovrebbe contare su una dotazione crescente fino ai 2,5 miliardi entro il 2022. Come verrà finanziato? I 2,5 miliardi possono essere un punto di partenza di grande interesse se si raccolgono risorse fresche, e non una partita di giro di altre risorse esistenti con cui lo Stato sociale interviene a sostegno della famiglia in modo diretto o indiretto. Anche qui suggerisco cautela, perché se la pressione fiscale torna a crescere, ciò che conta è il reddito netto delle famiglie in moneta e in natura. Se metto risorse con una mano e le tolgo con un’altra, l’effetto è quanto meno imprevedibile. E mi riferisco alla filosofia di fondo di questa manovra. Fondamentalmente è il primo passo verso il rientro definitivo nelle regole fiscali che i differenti Parlamenti negli anni recenti hanno votato a larga maggioranza. In buona sostanza, nel 2019 si prevede un rapporto debito/Pil pari al 135,7%, sulla base dei nuovi dati Istat e Banca d’Italia, e sulla base del Documento programmatico di bilancio in diminuzione al 135,2% nel 2020, al 133,4% nel 2021 e al 131,4% nel 2022.Nell’aggiornamento di settembre al Def (NaDef del precedente governo) vi è un esercizio particolarmente elaborato su sentieri e tempi di rientro del rapporto debito/Pil, a legislazione corrente o con scenario ottimistico o pessimistico, da qui al 2030. Il messaggio implicito della NaDef è: stiamo lavorando per un rientro del rapporto debito/Pil che – nello scenario più ottimistico – da oggi al 2030 dovrebbe tornare sotto quota 100, ai livelli cioè del 2007. In un scenario di mercato pessimistico rimarrebbe invece intorno al 120%. Negli ultimi anni è vero che l’Italia è cresciuta un po’ più dell’1%, ma tutto è avvenuto in una congiuntura mondiale molto favorevole, in cui il nostro paese era sempre, purtroppo, fanalino di coda nei tassi di crescita. Adesso il quadro globale è diventato più incerto e questo rientro decennale significa altri dieci anni, non diciamo di austerity, parola che fa paura, ma di parsimonia. Una parsimonia – ecco il punto vero – anche per chi la sta usando suo malgrado da più tempo, cioè i ceti più deboli. Occorre perciò un intervento più robusto e meno controverso: il Fondo europeo di stabilità finanziaria potrebbe essere il nuovo soggetto da attivare per un cambio di rotta. Le clausole di salvaguardia? Introdotte come fossero un’ ipoteca sulla casa, per le manovre del passato. Il mancato aumento dell’Iva comporta un minor gettito tributario e la necessità di aumentare le tasse o ridurre la spesa.A legislazione vigente e in assenza di una ripresa della crescita, lo spazio di manovra che esiste per rilanciare o irrobustire l’economia del paese o delle famiglie si riduce di molto. Il disinnesco delle clausole contabilmente figura come entrate mancate, e se ci sono meno entrate da una parte bisogna trovarle da un’altra parte. La lotta all’evasione, per esempio? Mettere in bilancio 7 miliardi dal contrasto all’evasione utilizzando solo lotta al contante e fatturazione elettronica è, con tutto il rispetto, eccessivo. Le attività reali difficilmente sfuggono all’imposizione fiscale. In particolare la casa, che è la vera ricchezza degli italiani, è candidata a subire un effetto ingiusto, e cioè che il saldo netto tra micro-bonus e micro-tasse sia casuale: ci sarà chi guadagna di più e chi invece paga di più. Ma il punto decisivo – lo ripeto – è che complessivamente la pressione fiscale potrebbe aumentare. Di spazio per la crescita ce n’è poco, perché mancano le risorse. E se far quadrare i conti diventa difficile, è molto probabile che verranno toccate altre voci di bilancio, come il sistema di deduzioni e detrazioni. Ma attenzione: intervenire, azzerandole progressivamente sui redditi più alti, rischia di diventare un boomerang, perché si prefigura un gettito che non ci sarà: chi ha alti redditi ha infatti anche un’assicurazione privata, e di conseguenza si potrebbero di nuovo ridurre le spese sulla sanità per chi ne ha bisogno.(Luigi Campiglio, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella nell’intervista “Zero crescita, famiglie stangate: ecco la nuova crisi”, pubblicata sul “Sussidiario” il 18 ottobre 2019, in relazione alla manovra 2020 del Conte-bis. Il professor Campiglio è docente di politica economica all’Università Cattolica di Milano).Gran parte della manovra è legata al disinnesco delle clausole di salvaguardia, che assorbono più dei due terzi dei 30 miliardi in gioco. Dalle risorse messe in campo non ci possiamo attendere una grande spinta. La cautela è dettata dal fatto che la pressione fiscale aumenterà: nel 2019 è al 41,9% del Pil e nel 2020 subirà un leggero aumento al 42%, e comunque non in diminuzione. Il divario dell’Italia rispetto a paesi come la Germania o la Francia per i provvedimenti a favore della famiglia è da molto tempo intorno allo 0,5-1% del Pil. E’ chiaro che i 200 milioni per gli asili nido vanno accolti con favore, ma bisogna considerare i tempi, perché se diventano operativi quando i bambini sono grandi, forse arrivano un po’ in ritardo. E non è una battuta, è quello che è accaduto finora. Anche quando c’erano le risorse non è stato fatto nulla. Il dato centrale che ne è seguito è che in modo rapsodico un governo sì e un governo no ha introdotto qualcosa per la famiglia, in sostanza bonus a scadenza. Quasi una beffa: gli aumenti delle tasse non finiscono mai – noi ancora oggi abbiamo pagato accise sulla benzina per il finanziamento della guerra in Etiopia – ma le agevolazioni su diversi aspetti della vita familiare scadono sempre. Speriamo che prima o poi ci sia la volontà politica di varare provvedimenti che abbiano una stabilità nel tempo che vada al di là dei 5 anni.