Archivio del Tag ‘Fondazione Ford’
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India: laboratorio mondiale per la demonetizzazione forzata
Oltre mezzo miliardo di indiani costretti ad aprirsi un conto in banca, quindi a far guadagnare le banche e a farsi controllare, al centesimo. Tutto questo da que mesi a questa parte, con l’improvvisa soppressione del cash a favore della moneta elettronica. «Pensavo che un esperimento del genere compiuto nel corpo vivo di una nazione di 1.276 milioni di abitanti, con oltre 3 milioni di chilometri quadrati, con la bomba atomica e situata in una posizione strategica (sia geopoliticamente che economicamente e finanziariamente), avrebbe richiamato l’interesse di qualche guru dell’economia, specialmente di sinistra», scrive Piero Pagliani. «Invece niente», nessuno si è accorto dell’enormità che sta avvenendo. In compenso, il magnate statunitense Steve Forbes ha definito la “demonetizzazione” indiana «nauseante e immorale, una rapina di massa», paragonandola alla politica di sterilizzazione forzata voluta da Indira Gandhi. Tutto è partito l’8 novembre scorso, quando il governo nazionalista indù retto da Narendra Modi ha dichiarato fuori corso tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie (ovvero 7 e, rispettivamente, 14 euro). «Questo è equivalso a mettere fuori corso circa l’80% del denaro circolante».Gli indiani, ricorda Pagliani su “Megachip”, avevano due settimane di tempo per cambiare le loro banconote ormai “illegali” con quelle da 500 e 2.000 rupie, «facendo esasperanti code agli sportelli bancari dove sono morte decine di persone per infarto o collasso, o prelevare ai bancomat». Prelievi comunque limuitati, «solo fino a uno striminzito tetto massimo di 2.000 rupie, poi elevato a 4.000», cioè 55 euro. Pagliani denuncia «gli effetti di questa violenta demonetizzazione sui milioni di piccoli operatori economici che costituiscono il fitto tessuto economico indiano». Considera l’operazione «un enorme regalo alle banche che ha aspetti di sadismo sociale in una nazione di milioni di piccoli operatori economici». Si parla infatti di «centinaia e centinaia di milioni di persone danneggiate e a volte minacciate fin nella loro esistenza fisica e in quella dei loro familiari». In pratica, almeno 800 milioni di persone «gettate nella difficoltà e a volte nella disperazione», che oltretutto «sono solo un’avanguardia, una prima tranche». Infatti, «la mossa di Narendra Modi è un esperimento in grandissimo stile di un piano ben più generale portato avanti da potenti interessi radicati negli Stati Uniti e con vaste diramazioni internazionali».L’operazione, continua Pagliani, «è parte della politica di partnership strategica tra Usa e India, fortemente voluta dal presidente uscente Barack Obama». Più precisamente, «costituisce uno dei protocolli di cooperazione firmati tra il ministero indiano delle finanze e l’agenzia governativa statunitense Usaid». La manovra, aggiunge Pagliani, fa capo alle linee di azione della “Better Than Cash Alliance”, di cui fanno parte Mastercard, Visa, la Fondazione Ford e la Fondazione Gates, che agiscono anche individualmente, ad esempio proprio nell’iniziativa che ha colpito l’India. Non a caso Bill Gates era in visita in quel paese proprio in quei giorni e rilasciava dichiarazioni di sostegno alla demonetizzazione: «La moneta di plastica è il futuro in India». Ma uno dei padrini nascosti di questa manovra, spiega Pagliani, è Raghuram Rajan, governatore della Reserve Bank indiana fino a due mesi prima dell’annuncio a sorpresa che ha scioccato gli indiani. «Questo signore ha un passato come economista capo all’Fmi, è professore di economia all’Università di Chicago (culla accademica del neoliberismo) ed è membro del Gruppo dei Trenta» dove, spiega Norbert Haering, «rappresentanti di alto livello delle maggiori istituzioni commerciali finanziarie a livello mondiale condividono opinioni e piani coi presidenti delle più importanti banche centrali, a porte chiuse e senza nessun verbale».Raghuram Rajan è considerato un possibile successore di Christine Lagarde alla guida dell’Fmi: «Si sta conquistando il merito sul campo». Aggiunge Pagliani: «Se consideriamo il tessuto produttivo e commerciale indiano, il fatto che il 97% delle transazioni sono eseguite in contante e che solo il 55% degli indiani ha un conto in banca (e ci sono aree dove le banche sono lontanissime fisicamente) e che quei conti sono pochissimo movimentati, si capisce la misura del disastro indotto-voluto da questa manovra». Un disastro mistificato da slogan come “inclusione finanziaria” e “inclusione digitale”. «Insomma, il solito “nuovo che avanza”, il progresso, come ai tempi di Enrico VIII ed Elisabetta I lo erano le “enclosure” che gettavano nella miseria e nella disperazione i contadini inglesi che potevano solo andare a mendicare nelle città per farsi impiccare a schiere per via delle draconiane leggi contro l’accattonaggio e il vagabondaggio». Karl Marx sosteneva che la cosiddetta “accumulazione originaria” del capitale si ripete ciclicamente, come al solito «grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro». Il perspicace “Hindustan Times titolava”: «Modi è come la regina Antonietta che diceva: Se non avete il pane mangiate le brioches».Quali sono i vantaggi che le élite mondializzate intendono trarre dalla demonetizzazione forzata che per ora vediamo all’opera in India? Almeno tre. Il primo: «Ogni cittadino, almeno nelle intenzioni, sarà costretto a imprestare il grosso del denaro che possiede e che guadagna alle banche. Semplicemente perché per poter usare la “moneta di plastica” deve avere un conto in banca, e ogni volta che versa sul conto in banca fa un prestito alla banca stessa. Un drenaggio di ricchezza verso i soliti noti che già posseggono la quasi totalità del pianeta Terra». Secondo, la tracciabilità: «Ovvero il controllo capillare. Praticamente su tutto. Un potere immenso di sorveglianza». Terzo vantaggio, per l’élite finanziaria: «Il controllo tecnico-politico delle transazioni e quindi delle grandi istituzioni finanziarie e di conseguenza un controllo politico dei governi che fanno loro riferimento». In fondo, conclude Pagliani, a Maria Antonietta «tagliarono la testa per molto meno».Oltre mezzo miliardo di indiani costretti ad aprirsi un conto in banca, quindi a far guadagnare le banche e a farsi controllare, al centesimo. Tutto questo da due mesi a questa parte, con l’improvvisa soppressione del cash a favore della moneta elettronica. «Pensavo che un esperimento del genere compiuto nel corpo vivo di una nazione di 1.276 milioni di abitanti, con oltre 3 milioni di chilometri quadrati, con la bomba atomica e situata in una posizione strategica (sia geopoliticamente che economicamente e finanziariamente), avrebbe richiamato l’interesse di qualche guru dell’economia, specialmente di sinistra», scrive Piero Pagliani. «Invece niente», nessuno si è accorto dell’enormità che sta avvenendo. In compenso, il magnate statunitense Steve Forbes ha definito la “demonetizzazione” indiana «nauseante e immorale, una rapina di massa», paragonandola alla politica di sterilizzazione forzata voluta da Indira Gandhi. Tutto è partito l’8 novembre scorso, quando il governo nazionalista indù retto da Narendra Modi ha dichiarato fuori corso tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie (ovvero 7 e, rispettivamente, 14 euro). «Questo è equivalso a mettere fuori corso circa l’80% del denaro circolante».
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Ue ed Eurozona, un progetto Cia-Rockefeller dagli anni ‘50
Documenti governativi americani declassificati mostrano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta hanno condotto una campagna per creare lo slancio verso l’Europa unita. Hanno finanziato e diretto il movimento federalista europeo. I documenti confermano i sospetti espressi all’epoca, secondo i quali l’America stava lavorando aggressivamente dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna in uno Stato europeo. Un memorandum, datato 26 luglio 1950, fornisce le istruzioni per una campagna finalizzata a promuovere un Parlamento Europeo a pieno titolo. È firmato dal generale William J. Donovan, capo del servizio segreto americano, in epoca bellica “Office of Strategic Studies” (Oss, Ufficio di Studi Strategici), precursore della Cia. I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore presso la Georgetown University di Washington. Comprendono i dossier rilasciati dai National Archives degli Usa.Il principale strumento di Washington per definire l’agenda europea è stato l’American Committee for a United Europe (Acue, Comitato americano per un’Europa unita) creato nel 1948. Il presidente era Donovan, che allora era apparentemente un avvocato privato. Il vicepresidente era Allen Dulles, il direttore della Cia negli anni Cinquanta. Il comitato includeva Walter Bedell Smith, il primo direttore della Cia, e un elenco di figure e funzionari ex-Oss che entravano e uscivano dalla Cia. I documenti mostrano che l’Acue finanziò il Movimento Europeo, la più importante organizzazione federalista negli anni del dopoguerra. Nel 1958, ad esempio, ha fornito il 53,5% dei fondi del movimento. La “European Youth Campaign” (Campagna della gioventù europea), un braccio del Movimento Europeo, è stata interamente finanziata e controllata da Washington. Il direttore belga, il barone Boel, riceveva pagamenti mensili in un conto speciale. Quando il direttore del Movimento Europeo, Joseph Retinger, di origini polacche, si risentì di questo livello di controllo americano e cercò di raccogliere fondi in Europa, venno subito rimproverato.I leader del Movimento Europeo – Retinger, il visionario Robert Schumann e l’ex primo ministro belga Paul-Henri Spaak – furono tutti trattati come dipendenti dai loro sponsor americani. Il ruolo degli Stati Uniti è stato gestito come un’operazione segreta. Il finanziamento dell’Acue arrivava dalle fondazioni Ford e Rockefeller, nonché da gruppi d’affari con stretti legami con il governo degli Stati Uniti. Il direttore della Fondazione Ford, l’ex ufficiale dell’Oss Paul Hoffman, ottenne un doppio incarico come capo dell’Acue alla fine degli anni Cinquanta. Anche il Dipartimento di Stato ha avuto un ruolo. Una nota della sezione europea, datata 11 giugno 1965, consiglia il vice-presidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, di perseguire l’unione monetaria di nascosto. La nota raccomanda di tacitare il dibattito fino al punto in cui «l’adozione di tali proposte diventerà praticamente inevitabile».(Ambrose Evans-Pritchard, “I federalisti europei finanziati dallo spionaggio Usa”, dal “Telegraph” del 19 settembre 2000. Articolo ripreso il 1° novembre 2015 dal blog “Vox Populi”).Documenti governativi americani declassificati mostrano che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta hanno condotto una campagna per creare lo slancio verso l’Europa unita. Hanno finanziato e diretto il movimento federalista europeo. I documenti confermano i sospetti espressi all’epoca, secondo i quali l’America stava lavorando aggressivamente dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna in uno Stato europeo. Un memorandum, datato 26 luglio 1950, fornisce le istruzioni per una campagna finalizzata a promuovere un Parlamento Europeo a pieno titolo. È firmato dal generale William J. Donovan, capo del servizio segreto americano, in epoca bellica “Office of Strategic Studies” (Oss, Ufficio di Studi Strategici), precursore della Cia. I documenti sono stati trovati da Joshua Paul, un ricercatore presso la Georgetown University di Washington. Comprendono i dossier rilasciati dai National Archives degli Usa.